Spartan

Ogni tanto capita che la distribuzione italiana non cambi il titolo originale, come qui. Perché non titolarlo Lo spartano? Avevano paura che lo spettatore italiano pensasse ad un peplum (come venivano chiamati i film ambientati nell'antichità classica)? In ogni caso il titolo ha lo scopo di rimarcare le differenze tra il protagonista (Val Kilmer) e la ragazzina che sta cercando di liberare. Lui pensa ai ranger, e cita una tra le loro frasi preferite, un po' da spaccone come nel carattere del corpo, "One riot, one ranger", e lei risponde citando Re Leonida da Sparta che pare avesse l'abitudine (che le Termopili gli toglieranno) di mandare un solo uomo quando fosse richiesto un suo aiuto militare.

Visto su segnalazione di Gegio, che pure non ne era rimasto completamente convinto.

Nel primo quarto d'ora non ho capito che diamine stesse accadendo, solo una certa aria di familiarità con le tecniche di addestramento mostrate ne Il silenzio degli innocenti mi ha salvato dall'essere completamente perso. E in effetti il riferimento al bel film di Jonathan Demme non è poi peregrino, anche se gli sviluppi sono ben diversi, dato che a scrivere e dirigere qui c'è David Mamet (che ha anche un legame diretto con quel film, avendo scritto la sceneggiatura del seguito Hannibal - non una delle sue cose migliori, per essere gentili - e, chissà, forse i soldi per fare questo glieli hanno dati anche come ringraziamento per aver scritto quello).

Ma con un po' di pazienza si capisce che Kilmer è un istruttore di uno di quei corpi speciali che entrano in azione quando i guai non riguardano i comuni mortali. Facciamo la rapida conoscenza di un paio di reclute da lui formate (Tia Texada e Derek Luke) ma veniamo poi scaraventati in azione: la figlia di un pezzo grosso di Washington (il presidente?) scompare. Non si capisce bene come, tutto è poco chiaro. Kilmer non ci fa caso, non è un suo problema, lui è un operativo. Gli si dica cosa fare e lui lo fa. Ci pensino gli analisti a farsi carico delle decisioni. Ma che succede se le decisioni che altri prendono sono evidentemente in contrasto con tutto quello che lui ritiene giusto? Riuscirà a essere lui a prendere delle decisioni? E riuscirà ad accettare il peso che deriva da prendere decisioni?

Bella l'accoppiata (fortuita) tra questa mia visione e il precedente I mercenari. In entrambi i casi i protagonisti hanno un dilemma morale, ma Stallone lo risolve come se fosse una barzelletta. Lì la divisione tra "buoni" e "cattivi" è immediata e facilmente comprensibile anche a un poppante (i cattivi muoiono, i buoni non si fanno neanche un graffio. I buoni che sbagliano e fanno qualcosa di male rischiano la morte ma, essendo buoni, alla fine si salvano), qui è difficile dire quanto sia giusto o sbagliato quello che qualcuno fa, se non relativamente al contesto. Anche la colonna sonora (Mark Isham) rimarca la differenza tra una produzione grossolana e un film fatto per il piacere di dire qualcosa.

Da notare William H. Macy in una parte che inizialmente sembra assolutamente secondaria, ma che assume rilevanza nel finale.

4 commenti:

  1. Non ne ero convinto, ma per colpa di Val Kilmer, e per tutte quelle cose che fanno di Spartan un film per persone afflitte dalla sf=$%: programmi una cosa, la dici in giro, e tac, non va avanti come previsto. Il personaggio spartano, per come viene introdotto, è fantastico, ma poi le faccende si risolvono come nei thriller che ho imparato ad odiare. Ho notato altre cose quindi.

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    1. Ma no, non è sfiga, è solo realismo. I nostri progetti necessariamente devono essere adattati alla realtà, e spesso finiscono per cozzare contro progetti altrui. Se qui le cose vanno molto male, è perché nell'ambiente narrato c'è molta violenza, che da qualche parte si deve pure scaricare.

      Non mi pare che la soluzione sia poi così standard. Kilmer finisce "bruciato" e con parecchio materiale per incubi notturni, la sua protetta torna all'ovile probabilmente alla vita che faceva prima. Eppure, nonostante tutto, almeno nella prospettiva del protagonista, il risultato è positivo.

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    2. Ok, ma mi sa tanto che Mamet l'ha fatto apposta. Non riesco più ad entusiasmarmi per un thriller, neanche se lo scrive Gilroy, e vado in cerca di altre cose.

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    3. Credo sia il rischio della produzione di genere. Meglio variare.

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