Film francese (Le hérisson in originale) basato sul romanzo di grande e inaspettato successo di Muriel Barbery "L'eleganza del riccio". Pare che il titolo del film differisca da quello del libro a causa di incomprensioni nate tra autrice del testo letterario e Mona Achache, regista della pellicola. Non ho letto libro, e quindi non ci metto becco. Noto solo che il film ha avuto un riscontro meno positivo.
Cast di ignoti, almeno a noi italiani che di cinema francese conosciamo mediamente poco. E in effetti l'unico personaggio che mi ha ricordato qualcosa è quello del giapponese, Togo Igawa, che ha avuto una particina in Memorie di una geisha - il mediatore che tratta la vendita della protagonista.
Lo svolgimento del racconto avviene con una lentezza quasi eccessiva, soprattutto nella prima parte, ma la storia regge e alla fine si riesce a dire che abbia un suo perché. Viene narrata dal punto di vista di una ragazzina inquieta che pianifica sin dall'inizio del film il suo suicidio, che dovrebbe cadere, in modo piuttosto melodrammatico, proprio il giorno del suo dodicesimo compleanno. Caso vuole che alcuni avvenimenti scatenati dalla morte di un vicino che libera l'appartamento per un nuovo occupante giapponese le faranno (probabilmente) cambiare idea.
Simpatiche le scene in cui la ragazzina disegna creando quasi cartoni animati.
Si parla di senso della vita, tra morti vere e presunte (il pesce rosso di famiglia ha una vicenda complicata ma a lieto fine), con una certa garbata leggerezza.
Star Wars III - La vendetta dei Sith
Terzo e ultimo episodio della trilogia "moderna" di Star Wars, in cui si compie la vendetta dei sith, che si vendicano di essere stati allontanati per un millennio dal governo della galassia o forse, come mi pare intendesse il titolo originale (Revenge of the Sith), si vendica il Sith, quello che pensavamo fosse il senatore Palpatine, poi cancelliere supremo, e che alla fine del film diventa l'imperatore contro cui combatterà il giovane Skywalker nella trilogia "storica" (ma logicamente successiva).
Comunque sia, a chi abbia solo un modesto interesse nella saga, e non si volesse sparare tutti e tre gli episodi, consiglierei di beccarsi solo questo, e di farsi solo un rapido riassunto dei due precedenti.
Il bonus è che Hayden Christensen, che interpreta Anakin Skywalker, qui è più sopportabile che nell'episodio precedente - anche se continua a non sembrarmi l'interprete ideale. Inoltre anche la sceneggiatura fila via più scorrevole, nonostante ci sia anche qui qualche piccolo inciampo.
La fine non può che essere tragica, dato che si deve preparare il terreno per la trilogia basata su Luke, ma è narrata con grazia.
Comunque sia, a chi abbia solo un modesto interesse nella saga, e non si volesse sparare tutti e tre gli episodi, consiglierei di beccarsi solo questo, e di farsi solo un rapido riassunto dei due precedenti.
Il bonus è che Hayden Christensen, che interpreta Anakin Skywalker, qui è più sopportabile che nell'episodio precedente - anche se continua a non sembrarmi l'interprete ideale. Inoltre anche la sceneggiatura fila via più scorrevole, nonostante ci sia anche qui qualche piccolo inciampo.
La fine non può che essere tragica, dato che si deve preparare il terreno per la trilogia basata su Luke, ma è narrata con grazia.
Star Wars II - L'attacco dei cloni
Come nella trilogia "storica" di Star Wars, anche quella "moderna" ha la caratteristica di avere i due episodi finali legati tra loro al punto da renderne consigliata la visione a distanza ravvicinata.
L'episodio 2, infatti, racconta l'inizio della guerra di secessione all'interno della galassia che terminerà nell'episodio successivo. L'attacco dei cloni (Attack of the Clones - in originale) di cui si parla avviene, per l'appunto, giusto al termine del film, lasciando lo spettatore in sospeso sui risultati. Anche perché i cloni sono poi quelli che ai tempi di Luke Skywalker saranno i soldati imperiali - quegli incapaci che vengono sterminati a dozzine da chiunque brandisca una qualche sorta di arma.
Il ruolo di Anakin Skywalker viene preso qui da Hayden Christensen, di una decina di anni più vecchio dell'Anakin del primo episodio, il che rende non inverosimile la storia di amore con Padmé (Natalie Portman) già regina e ora, per esigenze di sceneggiatura, passata al ruolo di senatrice.
Neanche questo Anakin mi convince. Sembra più adatto a interpretare il figlio di papà che l'adolescente sovrastato da una triste infanzia ed enormi poteri che non riesce a gestire in modo corretto. Le scene d'amore, poi, sono di una noia mortale.
Oltre al buon Ewan McGregor che continua ad intepretare un Obi-Wan che cresce in spessore e Samuel L.Jackson, nel cast troviamo anche Christopher Lee, che fa sempre il suo effetto.
L'episodio 2, infatti, racconta l'inizio della guerra di secessione all'interno della galassia che terminerà nell'episodio successivo. L'attacco dei cloni (Attack of the Clones - in originale) di cui si parla avviene, per l'appunto, giusto al termine del film, lasciando lo spettatore in sospeso sui risultati. Anche perché i cloni sono poi quelli che ai tempi di Luke Skywalker saranno i soldati imperiali - quegli incapaci che vengono sterminati a dozzine da chiunque brandisca una qualche sorta di arma.
Il ruolo di Anakin Skywalker viene preso qui da Hayden Christensen, di una decina di anni più vecchio dell'Anakin del primo episodio, il che rende non inverosimile la storia di amore con Padmé (Natalie Portman) già regina e ora, per esigenze di sceneggiatura, passata al ruolo di senatrice.
Neanche questo Anakin mi convince. Sembra più adatto a interpretare il figlio di papà che l'adolescente sovrastato da una triste infanzia ed enormi poteri che non riesce a gestire in modo corretto. Le scene d'amore, poi, sono di una noia mortale.
Oltre al buon Ewan McGregor che continua ad intepretare un Obi-Wan che cresce in spessore e Samuel L.Jackson, nel cast troviamo anche Christopher Lee, che fa sempre il suo effetto.
Scoop
Film decisamente in linea con la produzione tipica di Woody Allen.
Ottimo il cast, che include Scarlett Johansson alla seconda apparizione in un film di Allen, dopo Match Point (2005) e prima di Vicky Cristina Barcelona (2008).
Spicca nella sceneggiatura il fatto che la storia sia ambientata a Londra, e non a Manhattan, ma per il resto si ritrovano i temi comuni un po' a tutta la filmografia brillante di Woody Allen.
Allen ha il ruolo di un prestigiatore da strapazzo - come non pensare a La maledizione dello scorpione di giada del 2001 - che viene coinvolto, suo malgrado in un caso di omicidio, vedi anche Misterioso omicidio a Manhattan (1993), dalla Johansson che riceve un'imbeccata dall'oltretomba su chi pare sia l'assassino.
C'é un po' di già visto, ma presentato bene. Lo sconsiglierei solo a chi, per un qualche suo motivo, non sopporti Allen.
Ottimo il cast, che include Scarlett Johansson alla seconda apparizione in un film di Allen, dopo Match Point (2005) e prima di Vicky Cristina Barcelona (2008).
Spicca nella sceneggiatura il fatto che la storia sia ambientata a Londra, e non a Manhattan, ma per il resto si ritrovano i temi comuni un po' a tutta la filmografia brillante di Woody Allen.
Allen ha il ruolo di un prestigiatore da strapazzo - come non pensare a La maledizione dello scorpione di giada del 2001 - che viene coinvolto, suo malgrado in un caso di omicidio, vedi anche Misterioso omicidio a Manhattan (1993), dalla Johansson che riceve un'imbeccata dall'oltretomba su chi pare sia l'assassino.
C'é un po' di già visto, ma presentato bene. Lo sconsiglierei solo a chi, per un qualche suo motivo, non sopporti Allen.
Espiazione
Visto sulla fiducia per Ian Mc Ewan. Scrittore veramente notevole di cui, per motivi insondabili, ho letto solo pochi libri, tra cui non quello da cui è stato tratto questo lavoro. Titolo originale di libro e film: Atonement.
Non avendo letto il libro non posso fare paragoni tra le due diverse realizzazioni, ma questa è probabilmente una delle cose migliori di questo post.
Dovessi dire quali sono i punti di forza del film sarei in imbarazzo. Certamente la storia originale è potente e spiazzante. Ma anche la sceneggiatura è veramente un lavoro di alta classe. Ottima la regia (Joe Wright), anche se certe scene mi sono sembrate un po' troppo patinate, ma tutto sommato ci stanno, nel solco di una certa filmografia inglese che ama la rappresentazione del paesaggio - e lo sa fare bene. Anche gli attori sono molto bravi - tra tutti, secondo me, spicca Vanessa Redgrave che ha una piccola parte nel finale ma che varrebbe da sola il prezzo del biglietto (fra parentesi, in quella scena è intervistata da Anthony Minghella, in quella che credo sia stata la sua unica apparizione come attore). E poi c'è una colonna sonora eccezionale, veramente bella che, oltre tutto, ha la particolarità di mescolarsi spesso con l'azione. Per spiegarmi meglio, una parte importante nel film ce l'ha la macchina per scrivere della giovane sorella Tallis (Saoirse Ronan), e la musica ingloba in alcune occasioni - già a partire dalla bella scena iniziale - il suo ticchettio. Musiche originali di Dario Marianelli, di cui si può sentire l'ottimo lavoro anche in Orgoglio e Pregiudizio.
Il punto debole è forse il doppiaggio. A mio gusto i bambini della versione italiana sono proprio insopportabili.
A seguire, il trailer preso da youtube che, come spesso accade, dà una idea non troppo corretta di quello che è davvero il film:
La storia è, a dir poco, drammatica. Però è trattata con una levità tutta inglese che riesce a non far stramazzare dal dolore. Un amore (lei è Keira Knightley, lui James McAvoy) contrastato dai problemi di casta tipici dei britannici, soprattutto considerando che la storia è ambientata nei tardi anni 30 del secolo scorso, a cui si vanno a sommare altri accidenti come una guerra mondiale, una rivalità fra sorelle, fraintendimenti e passioni giovanili.
In breve, direi che si tratta di un film non leggero ma che può essere visto e apprezzato da chi non abbia paura di un film che richiede una buona dose di attenzione.
Non avendo letto il libro non posso fare paragoni tra le due diverse realizzazioni, ma questa è probabilmente una delle cose migliori di questo post.
Dovessi dire quali sono i punti di forza del film sarei in imbarazzo. Certamente la storia originale è potente e spiazzante. Ma anche la sceneggiatura è veramente un lavoro di alta classe. Ottima la regia (Joe Wright), anche se certe scene mi sono sembrate un po' troppo patinate, ma tutto sommato ci stanno, nel solco di una certa filmografia inglese che ama la rappresentazione del paesaggio - e lo sa fare bene. Anche gli attori sono molto bravi - tra tutti, secondo me, spicca Vanessa Redgrave che ha una piccola parte nel finale ma che varrebbe da sola il prezzo del biglietto (fra parentesi, in quella scena è intervistata da Anthony Minghella, in quella che credo sia stata la sua unica apparizione come attore). E poi c'è una colonna sonora eccezionale, veramente bella che, oltre tutto, ha la particolarità di mescolarsi spesso con l'azione. Per spiegarmi meglio, una parte importante nel film ce l'ha la macchina per scrivere della giovane sorella Tallis (Saoirse Ronan), e la musica ingloba in alcune occasioni - già a partire dalla bella scena iniziale - il suo ticchettio. Musiche originali di Dario Marianelli, di cui si può sentire l'ottimo lavoro anche in Orgoglio e Pregiudizio.
Il punto debole è forse il doppiaggio. A mio gusto i bambini della versione italiana sono proprio insopportabili.
A seguire, il trailer preso da youtube che, come spesso accade, dà una idea non troppo corretta di quello che è davvero il film:
La storia è, a dir poco, drammatica. Però è trattata con una levità tutta inglese che riesce a non far stramazzare dal dolore. Un amore (lei è Keira Knightley, lui James McAvoy) contrastato dai problemi di casta tipici dei britannici, soprattutto considerando che la storia è ambientata nei tardi anni 30 del secolo scorso, a cui si vanno a sommare altri accidenti come una guerra mondiale, una rivalità fra sorelle, fraintendimenti e passioni giovanili.
In breve, direi che si tratta di un film non leggero ma che può essere visto e apprezzato da chi non abbia paura di un film che richiede una buona dose di attenzione.
Babel
Non sono rimasto particolarmente soddisfatto dalla visione di Babel, film del 2006 di Alejandro González Iñárritu, che pure s'è preso la palma d'oro a Cannes, anche se devo ammettere che è, tutto sommato un buon film.
Sarà perché mi pare ricalchi le solite tematiche del regista, e che quindi mi è sembrato un po' già visto, anche se era la mia prima visione.
Storia ad incastri che si svolge tra il confine Messico-Stati Uniti, il Marocco e il Giappone. In realtà mi sembra che l'episodio giapponese sia legato troppo flebilmente con il resto della storia, il che ha contribuito al mio disappunto.
I personaggi principali del film, Pitt e la Blanchett, sono una coppia del primo mondo con cui è davvero difficile entrare in sintonia. Immaturi, a dir poco. Passano attraverso una serie di esperienze sconvolgenti ma pare che le cose scivolino su di loro senza lasciar traccia. Se un cambiamento c'è in loro, il film non ce lo mostra.
Direi che è da consigliare solo a chi ha già visto Amores Perros e 21 Grammi, gli siano piaciuti, e voglia vedere ancora qualcosa di simile. Personalmente consiglierei di iniziare da Amores Perros che, a mio gusto, è quello riuscito meglio dei tre.
Da notare che Amores Perros e Babel sono accomunati dalla presenza di Gael García Bernal, che ha qui un ruolo meno importante. Ho notato con sorpresa anche la partecipazione in un ruolo minore di Michael Peña, nello stesso anno in cui s'è beccato il ruolo di coprotagonista in World Trade Center di Oliver Stone.
Mi è sembrata interessante la struttura babelica del film, con tutto quell'alternarsi di lingue, culture e incomprensioni. Come accennavo sopra, l'episodio giapponese resta però un po' troppo a sé stante, portando un po' di confusione aggiuntiva nello spettatore, ma senza che questo vada a incidere particolarmente sulla storia che, raccontata in poche parole è quella di una coppia di americani in crisi che vanno a farsi una vacanza in Marocco, lasciando i bambini a casa in compagnia della governante messicana irregolare. La Blanchett si piglia un proiettile vagante sparato per gioco da un ragazzino, usando il fucile che un turista giapponese ha regalato ad un amico del padre, e che questi gli ha venduto per un po' di soldi e una capra. A seguito di ciò accadono sciagure un po' a tutti quanti. I giapponesi hanno problemi loro, che niente hanno a che fare con questa vicenda, e forse sono quelli che se la cavano meglio.
Sarà perché mi pare ricalchi le solite tematiche del regista, e che quindi mi è sembrato un po' già visto, anche se era la mia prima visione.
Storia ad incastri che si svolge tra il confine Messico-Stati Uniti, il Marocco e il Giappone. In realtà mi sembra che l'episodio giapponese sia legato troppo flebilmente con il resto della storia, il che ha contribuito al mio disappunto.
I personaggi principali del film, Pitt e la Blanchett, sono una coppia del primo mondo con cui è davvero difficile entrare in sintonia. Immaturi, a dir poco. Passano attraverso una serie di esperienze sconvolgenti ma pare che le cose scivolino su di loro senza lasciar traccia. Se un cambiamento c'è in loro, il film non ce lo mostra.
Direi che è da consigliare solo a chi ha già visto Amores Perros e 21 Grammi, gli siano piaciuti, e voglia vedere ancora qualcosa di simile. Personalmente consiglierei di iniziare da Amores Perros che, a mio gusto, è quello riuscito meglio dei tre.
Da notare che Amores Perros e Babel sono accomunati dalla presenza di Gael García Bernal, che ha qui un ruolo meno importante. Ho notato con sorpresa anche la partecipazione in un ruolo minore di Michael Peña, nello stesso anno in cui s'è beccato il ruolo di coprotagonista in World Trade Center di Oliver Stone.
Mi è sembrata interessante la struttura babelica del film, con tutto quell'alternarsi di lingue, culture e incomprensioni. Come accennavo sopra, l'episodio giapponese resta però un po' troppo a sé stante, portando un po' di confusione aggiuntiva nello spettatore, ma senza che questo vada a incidere particolarmente sulla storia che, raccontata in poche parole è quella di una coppia di americani in crisi che vanno a farsi una vacanza in Marocco, lasciando i bambini a casa in compagnia della governante messicana irregolare. La Blanchett si piglia un proiettile vagante sparato per gioco da un ragazzino, usando il fucile che un turista giapponese ha regalato ad un amico del padre, e che questi gli ha venduto per un po' di soldi e una capra. A seguito di ciò accadono sciagure un po' a tutti quanti. I giapponesi hanno problemi loro, che niente hanno a che fare con questa vicenda, e forse sono quelli che se la cavano meglio.
Io sono l'amore
Il film, in sé, mi sembra ben fatto. Buona fotografia, bello il lavoro scenografico soprattutto nella villa di famiglia, piacevole il ritratto di Milano, come pure l'uso di uno stile un po' d'antan, riferibile alla prima metà del secolo scorso, che ci sta bene con l'immagine della famiglia alto borghese (da sembrare quasi nobiliare) che seguiamo nel film. Buona la regia, il cast, l'interpretazione. Piacevole la colonna sonora, anche qui, molto novecentesca ma con una certa impostazione minimalistica anche se, almeno a me, mi ha dato sin da subito una sensazione di tragedia imminente che forse sarebbe dovuta essere più sfumata. Per lo meno nella prima parte.
E allora, cos'è che non mi convince? Boh. Forse una mancanza di empatia verso i personaggi. Il sentimento più caloroso che mi è venuto rispetto alle loro vicende è il disinteresse. E questo non aiuta molto in un opera che mi pare sia identificabile come melodrammatica. Il punto forte del film sono infatti le emozioni, soprattutto quelle di Emma, interpretata da Tilda Swinton, moglie russa del poco presente Tancredi, figlio del fondatore dell'impero industriale Recchi. Già, ma se non si entra in sintonia con i personaggi, poco si riesce a simpatizzare.
Risultato? Consiglierei la visione del film solo a chi cerca un film di forti passioni, cosa che magari lo può aiutare a immedesimarsi anche in personaggi che sono, probabilmente, lontani dal suo mondo.
Questo il trailer:
Non essendo entrato in sintonia con il film, alcuni piccoli dettagli che avrei accettato senza farmi troppi problemi mi hanno dato fastidio. Il personaggio di Edoardo Gabbriellini in primis. Dovrebbe essere un cuoco milanese di padre ligure, eppure parla con un accento toscano perlomeno fuori luogo. Dovrebbe essere circa coetaneo del figlio di Emma, Flavio Parenti, e qui ci siamo, è del '75. Solo che la povera Swinton è del '60 e quindi o i giovani portano molto male i loro anni (stravizi?) o lei è davvero in splendida forma. Noto che pure Marisa Berenson, che sarebbe la suocera di Emma, ha solo 13 anni più della Swinton, che risulta dunque troppo schiacciata tra le due generazioni.
Sembra che il film abbia ottenuto più successo all'estero che in Italia, forse perché rappresenta bene alcune idee stereotipizzate che nel resto del mondo hanno sulla nostra penisola.
E allora, cos'è che non mi convince? Boh. Forse una mancanza di empatia verso i personaggi. Il sentimento più caloroso che mi è venuto rispetto alle loro vicende è il disinteresse. E questo non aiuta molto in un opera che mi pare sia identificabile come melodrammatica. Il punto forte del film sono infatti le emozioni, soprattutto quelle di Emma, interpretata da Tilda Swinton, moglie russa del poco presente Tancredi, figlio del fondatore dell'impero industriale Recchi. Già, ma se non si entra in sintonia con i personaggi, poco si riesce a simpatizzare.
Risultato? Consiglierei la visione del film solo a chi cerca un film di forti passioni, cosa che magari lo può aiutare a immedesimarsi anche in personaggi che sono, probabilmente, lontani dal suo mondo.
Questo il trailer:
Non essendo entrato in sintonia con il film, alcuni piccoli dettagli che avrei accettato senza farmi troppi problemi mi hanno dato fastidio. Il personaggio di Edoardo Gabbriellini in primis. Dovrebbe essere un cuoco milanese di padre ligure, eppure parla con un accento toscano perlomeno fuori luogo. Dovrebbe essere circa coetaneo del figlio di Emma, Flavio Parenti, e qui ci siamo, è del '75. Solo che la povera Swinton è del '60 e quindi o i giovani portano molto male i loro anni (stravizi?) o lei è davvero in splendida forma. Noto che pure Marisa Berenson, che sarebbe la suocera di Emma, ha solo 13 anni più della Swinton, che risulta dunque troppo schiacciata tra le due generazioni.
Sembra che il film abbia ottenuto più successo all'estero che in Italia, forse perché rappresenta bene alcune idee stereotipizzate che nel resto del mondo hanno sulla nostra penisola.
Star Wars I - La minaccia fantasma
Un ventennio dopo la prima trilogia di Star Wars arriva un secondo terzetto di film con la stessa ambientazione, ma spostati una generazione indietro.
Se il protagonista degli episodi 4,5,6 è Luke Skywalker, qui il ruolo principale se lo piglia il padre, Anakin Skywalker, che sappiamo già essere uno Jedi passato al lato oscuro della forza.
Il fatto di saper già come va a finire, indebolisce la vicenda. Ma non è il solo punto debole di questo secondo blocco di episodi di Star Wars. Un altro grosso problema è che, se narrare il futuro è a rischio di invecchiamento precoce, raccontare dopo vent'anni i precedenti di un futuro invecchiato è davvero un processo molto complicato.
Tecnicamente parlando i tre Star Wars centrati su Anakin sono nettamente superiori ai tre di Luke, però non hanno molto da dire e, nonostante la cura con cui sono stati fatti, finiscono per essere interessanti solo per appassionati del genere.
Episodio I, The Phantom Menace. Quale diamine sia la minaccia fantasma non è chiarissimo. Interpolando, dovrebbe essere il Sith che organizza l'attacco alla repubblica. E qui nasce la domanda spontanea: ma da dove saltano fuori questi Sith? La spiegazione data dal film è che erano dati per estinti da un millennio, e all'improvviso eccone qua un paio - viaggiano sempre in coppia, ci viene detto. Strano che non si parli dei Sith ai tempi di Luke, vien da dirsi. Altra cosa strana sono i midi-clorian, sorta di mediatori tra forme viventi e la forza, di cui pure non si dirà nulla in futuro.
La regia, di George Lucas, non è particolarmente entusiasmante, ma il cast fa bene il suo lavoro. A partire Liam Neeson, nel ruolo dello Jedi master di Obi-Wan Kenobi, a sua volta interpretato adeguatamente da Ewan McGregor e da Natalie Portman come regina Amidala.
Ho trovato bizzarro che il ruolo del giovane Anakin sia stato affidato ad un bambino di dieci anni. Immagino che si sia trattato di una scelta a livello di marketing, per attrarre un mercato di consumatori interessante a livello di giocattoli e gadget associati al film. Ma all'interno della storia la cosa non regge, anche mettendoci la forza e tanta buona volontà. Tra l'altro fa amicizia con Amidala che, oltre ad essere regina, ha anche una decina di anni più di lui.
Se il protagonista degli episodi 4,5,6 è Luke Skywalker, qui il ruolo principale se lo piglia il padre, Anakin Skywalker, che sappiamo già essere uno Jedi passato al lato oscuro della forza.
Il fatto di saper già come va a finire, indebolisce la vicenda. Ma non è il solo punto debole di questo secondo blocco di episodi di Star Wars. Un altro grosso problema è che, se narrare il futuro è a rischio di invecchiamento precoce, raccontare dopo vent'anni i precedenti di un futuro invecchiato è davvero un processo molto complicato.
Tecnicamente parlando i tre Star Wars centrati su Anakin sono nettamente superiori ai tre di Luke, però non hanno molto da dire e, nonostante la cura con cui sono stati fatti, finiscono per essere interessanti solo per appassionati del genere.
Episodio I, The Phantom Menace. Quale diamine sia la minaccia fantasma non è chiarissimo. Interpolando, dovrebbe essere il Sith che organizza l'attacco alla repubblica. E qui nasce la domanda spontanea: ma da dove saltano fuori questi Sith? La spiegazione data dal film è che erano dati per estinti da un millennio, e all'improvviso eccone qua un paio - viaggiano sempre in coppia, ci viene detto. Strano che non si parli dei Sith ai tempi di Luke, vien da dirsi. Altra cosa strana sono i midi-clorian, sorta di mediatori tra forme viventi e la forza, di cui pure non si dirà nulla in futuro.
La regia, di George Lucas, non è particolarmente entusiasmante, ma il cast fa bene il suo lavoro. A partire Liam Neeson, nel ruolo dello Jedi master di Obi-Wan Kenobi, a sua volta interpretato adeguatamente da Ewan McGregor e da Natalie Portman come regina Amidala.
Ho trovato bizzarro che il ruolo del giovane Anakin sia stato affidato ad un bambino di dieci anni. Immagino che si sia trattato di una scelta a livello di marketing, per attrarre un mercato di consumatori interessante a livello di giocattoli e gadget associati al film. Ma all'interno della storia la cosa non regge, anche mettendoci la forza e tanta buona volontà. Tra l'altro fa amicizia con Amidala che, oltre ad essere regina, ha anche una decina di anni più di lui.
Il caso Thomas Crawford
In originale ha un titolo meno scontato, Fracture, frattura, nel senso di punto di rottura, o imperfezione, credo. Il titolo italiano la butta più esplicitamente sul legal thriller.
Regia di un esperto del genere, Gregory Hoblit, che ha un buon senso del ritmo, e anche storia originale e sceneggiatura sono di persona che sa il fatto suo, Daniel Pyne. Nonostante questo, a ben vedere, la storia non regge troppo. Non svelo i due dettagli che reggono l'inghippo per non rendere la visione troppo scontata, ma ci si può arrivare e rovinarsela da soli.
In realtà il punto forte del film è l'ottima recitazione dei due protagonisti, Anthony Hopkins, carogna al suo meglio, e Ryan Gosling, canadese trentenne di cui non avevo visto niente prima ma che scopro ora aver raccolto una buona messe di premi nella sua ancor breve carriera, che lascia presagire ulteriori interessanti sviluppi.
Divertente, sul DVD, vedersi un paio di finali alternativi (quello definitivo mi sembra il migliore).
Il Thomas Crawford del titolo (bizzarramente, in originale si chiama Theodore-Ted e non Thomas-Tom), interpretato da Hopkins, è un ingegnere aeronautico precisino all'inverosimile. Scopre che la moglie lo tradisce e la fa fuori, congegnando un piano diabolico per farla franca. Parte del suo piano consiste nell'accettare il caso che ha voluto che a occuparsi del suo caso come pubblico ministero sia il giovane e brillante Willy Beachum (Gosling), bravissimo ma sul punto di lasciare l'incarico per passare alla più redditizia attività privata, e quindi poco motivato, secondo i calcoli di Crawford, a darsi da fare in questa circostanza.
Crawford parte da un assunto valido, ovunque e in ognuno ci sono punti deboli, punti di frattura -citando il titolo originale, e dunque sfrutta al meglio queste debolezze nel sistema giuridico americano, nella moglie, nel suo amante, e perfino nel pubblico ministero che si trova davanti al processo. Ma dimentica di considerare che anche lui è umano, e quindi anche in lui e nel suo piano ci sono punti deboli.
Più interessante Beachum. All'inizio è un giovinotto di belle speranze che ha accettato di lavorare nel settore pubblico solo per crearsi un trampolino per saltare in una grossa, e redditizia, azienda privata. Il pasticcio in cui lo ficca Crawford gli serve per crescere. Capisce quanto il posto a cui ambiva non fosse quello che davvero cercava, e prende una nuova direzione nella sua vita.
Molto limitato lo spazio lasciato alle donne. La signora Crawford (Embeth Davidtz - più famosa in televisione che al cinema, piccole parti come la terribile Natasha in Bridget Jones) sparisce di scena quasi subito, e Nikki Gardner (Rosamund Pike - la maggiore delle sorelle Bennet in Orgoglio e Pregiudizio), che dovrebbe essere il nuovo capo di Beachum e con cui ha una storia, non si capisce bene come gestisca la situazione. Sembra che molli l'amore e si tenga il lavoro, ma non è chiaro.
Regia di un esperto del genere, Gregory Hoblit, che ha un buon senso del ritmo, e anche storia originale e sceneggiatura sono di persona che sa il fatto suo, Daniel Pyne. Nonostante questo, a ben vedere, la storia non regge troppo. Non svelo i due dettagli che reggono l'inghippo per non rendere la visione troppo scontata, ma ci si può arrivare e rovinarsela da soli.
In realtà il punto forte del film è l'ottima recitazione dei due protagonisti, Anthony Hopkins, carogna al suo meglio, e Ryan Gosling, canadese trentenne di cui non avevo visto niente prima ma che scopro ora aver raccolto una buona messe di premi nella sua ancor breve carriera, che lascia presagire ulteriori interessanti sviluppi.
Divertente, sul DVD, vedersi un paio di finali alternativi (quello definitivo mi sembra il migliore).
Il Thomas Crawford del titolo (bizzarramente, in originale si chiama Theodore-Ted e non Thomas-Tom), interpretato da Hopkins, è un ingegnere aeronautico precisino all'inverosimile. Scopre che la moglie lo tradisce e la fa fuori, congegnando un piano diabolico per farla franca. Parte del suo piano consiste nell'accettare il caso che ha voluto che a occuparsi del suo caso come pubblico ministero sia il giovane e brillante Willy Beachum (Gosling), bravissimo ma sul punto di lasciare l'incarico per passare alla più redditizia attività privata, e quindi poco motivato, secondo i calcoli di Crawford, a darsi da fare in questa circostanza.
Crawford parte da un assunto valido, ovunque e in ognuno ci sono punti deboli, punti di frattura -citando il titolo originale, e dunque sfrutta al meglio queste debolezze nel sistema giuridico americano, nella moglie, nel suo amante, e perfino nel pubblico ministero che si trova davanti al processo. Ma dimentica di considerare che anche lui è umano, e quindi anche in lui e nel suo piano ci sono punti deboli.
Più interessante Beachum. All'inizio è un giovinotto di belle speranze che ha accettato di lavorare nel settore pubblico solo per crearsi un trampolino per saltare in una grossa, e redditizia, azienda privata. Il pasticcio in cui lo ficca Crawford gli serve per crescere. Capisce quanto il posto a cui ambiva non fosse quello che davvero cercava, e prende una nuova direzione nella sua vita.
Molto limitato lo spazio lasciato alle donne. La signora Crawford (Embeth Davidtz - più famosa in televisione che al cinema, piccole parti come la terribile Natasha in Bridget Jones) sparisce di scena quasi subito, e Nikki Gardner (Rosamund Pike - la maggiore delle sorelle Bennet in Orgoglio e Pregiudizio), che dovrebbe essere il nuovo capo di Beachum e con cui ha una storia, non si capisce bene come gestisca la situazione. Sembra che molli l'amore e si tenga il lavoro, ma non è chiaro.
Star Wars VI - Il ritorno dello Jedi
Qui il titolo italiano è la traduzione letterale dell'originale, Return of the Jedi. Casomai si potrebbe discutere sulla sua ambiguità, nel senso che non è chiaro di quale Jedi si sta parlando. Si alluderà al giovane Skywalker, Luke, o al vecchio, Anakin?
Già, perché il succo della storia è che in limine mortis Darth Vater torna a comportarsi da Jedi, e riesce quindi a salvarsi dal lato oscuro.
L'intreccio regge, anche se occorre essersi visti i due precedenti episodi per capire cosa stia succedendo. Gli effetti speciali sono terribili, se consideriamo quello che ci si aspetta da un film paragonabile al giorno d'oggi.
Già, perché il succo della storia è che in limine mortis Darth Vater torna a comportarsi da Jedi, e riesce quindi a salvarsi dal lato oscuro.
L'intreccio regge, anche se occorre essersi visti i due precedenti episodi per capire cosa stia succedendo. Gli effetti speciali sono terribili, se consideriamo quello che ci si aspetta da un film paragonabile al giorno d'oggi.
Star Wars V - L'impero colpisce ancora
In originale, The Empire Strikes Back, ovvero l'impero risponde all'attacco, ma la traduzione ufficiale scorre certamente meglio.
Come mi pare sia l'episodio della trilogia storica di Star Wars (episodi 4-6 nella numerazione corrente) che funzioni meglio tra i tre, e che porti meno i segni della vecchiaia.
Il suo difetto fondamentale è quello di non essere autonomo, dato che termina a metà, con Han Solo (Harrison Ford) ibernato e la storia più ingarbugliata che mai.
Come mi pare sia l'episodio della trilogia storica di Star Wars (episodi 4-6 nella numerazione corrente) che funzioni meglio tra i tre, e che porti meno i segni della vecchiaia.
Il suo difetto fondamentale è quello di non essere autonomo, dato che termina a metà, con Han Solo (Harrison Ford) ibernato e la storia più ingarbugliata che mai.
Star Wars IV - A new hope
Non c'è niente che invecchi più alla svelta del futuro. E dunque i film di fantascienza corrono il rischio di diventare obsoleti velocemente.
Come probabilmente tutti sanno, Star Wars 4 è il primo episodio della saga ad essere stato realizzato, nell'ormai lontano 1977 da George Lucas. Più di trent'anni fa che, nonostante i milioni che Lucas ha speso in questi anni in restauri e piccoli imbellimenti, pesano parecchio.
Direi che oggi può interessare solo ad un amante del genere.
Come probabilmente tutti sanno, Star Wars 4 è il primo episodio della saga ad essere stato realizzato, nell'ormai lontano 1977 da George Lucas. Più di trent'anni fa che, nonostante i milioni che Lucas ha speso in questi anni in restauri e piccoli imbellimenti, pesano parecchio.
Direi che oggi può interessare solo ad un amante del genere.
Valzer finale per un killer
Simpatico filmetto singaporese senza molte pretese, titolo originale One Last Dance. La sceneggiatura di Max Makowski, pur non brillando per originalità, regge. Meno la regia, sempre di Makowski, un po' troppo attirata da facili effetti fumettistici.
Buona la recitazione di Francis Ng, una star del cinema di Hong Kong, nei panni di un killer a pagamento che tiene molto alla sua privacy. Ruolo minore per Harvey Keitel, nei panni di un boss della cosa nostra americana in trasferta a Singapore.
Il film potrebbe ricordare alla lontana qualcosa di Quentin Tarantino, per via del montaggio labirintico che ha lo scopo di confondere le idee dello spettatore, e per qualche trovata di post produzione. Un altro riferimento, anche qui piuttosto lontano, può essere Luc Besson, per il senso del ritmo e di un certo umorismo, e in effetti la storia narrata potrebbe in un certo modo ricordare Léon. O magari il Jim Jarmusch di Ghost Dog.
Il tutto in scala minore, si noti bene.
D'altronde il Makowski è ancora relativamente giovane, e si può sperare che migliori con gli anni.
Che ne dicono gli altri
Gli utenti di imdb non sono rimasti particolarmente impressionati da questo titolo che, fino a questo momento, ha raccolto solo 365 voti, e noto che il gradimento decresce con l'aumentare dell'età del votante. [0.59]
Come spesso accade, i commenti degli utenti di imdb vanno letti sapendo che ci si può trovare di tutto.
djwortham ne è entusiasta, ma consiglia di vedere prima altri film d'azione coreani per capire meglio lo spirito del film. Lo paragona a Memento, per la struttura del film, ma lo fa evidentemente solo perché ritiene più figo citare (a mio avviso non molto appropriatamente) Nolan piuttosto del Tarantino di Pulp Fiction, infatti come secondo riferimento dà Old boy - il film coreano diretto da Park Chan-wook e adorato da Tarantino.
Mike nota l'uso eccessivo di cliché ed è (come me) vagamente infastidito dall'uso ingiustificato di CGI e dall'uso della macchina da presa un po' troppo manierista. Siamo in linea anche nell'essere positivamente impressionati dal lavoro di Francis Ng.
wmmm-1 ne è entusiasta, e consiglia di vederlo in lingua originale (confermo: è una seccatura seguire i sottotitoli, ma è davvero divertente l'uso del linguaggio da parte degli attori).
Dick è singaporese, e quindi ha il vantaggio di sapere di cosa si parla, ha gradito il film anche se gli sembra un po' confuso. Noto che ritiene che Harvey Keitel interpreti un boss della cosa nostra siciliana e non di quella americana. In effetti nel film il dettaglio non è ben chiarito, e parlano di "italiani" quando intendono i mafiosi. Ma i termini utilizzati, e anche l'accento usato da Keitel è tipicamente italoamericano.
A massaster760 il film è piaciuto, ma non si spiega come mai. Trova che Joseph Quek, che interpreta Ko, sia insopportabile, come pure la sceneggiatura e i tentativi di comicità. Eppure, chissà come, ne è contento. Le vie del cinema sono infinite.
Per Dario e altri il film è un disastro. Dario vede un riferimento a Memento nella struttura a incastro del film, ma a me continua a sembrare un parallelo erroneo, dato che in Memento il montaggio è funzionale alle esigenze narrative, qui è invece più che altro un espediente per spiazzare lo spettatore.
Per Mauro su Zabriesky Point è un film bizzarro. Il vero argomento sarebbe l'amore, nelle sue diverse declinazioni, visto da personaggi a loro modo "puri". [0.70]
Buona la recitazione di Francis Ng, una star del cinema di Hong Kong, nei panni di un killer a pagamento che tiene molto alla sua privacy. Ruolo minore per Harvey Keitel, nei panni di un boss della cosa nostra americana in trasferta a Singapore.
Il film potrebbe ricordare alla lontana qualcosa di Quentin Tarantino, per via del montaggio labirintico che ha lo scopo di confondere le idee dello spettatore, e per qualche trovata di post produzione. Un altro riferimento, anche qui piuttosto lontano, può essere Luc Besson, per il senso del ritmo e di un certo umorismo, e in effetti la storia narrata potrebbe in un certo modo ricordare Léon. O magari il Jim Jarmusch di Ghost Dog.
Il tutto in scala minore, si noti bene.
D'altronde il Makowski è ancora relativamente giovane, e si può sperare che migliori con gli anni.
Che ne dicono gli altri
Gli utenti di imdb non sono rimasti particolarmente impressionati da questo titolo che, fino a questo momento, ha raccolto solo 365 voti, e noto che il gradimento decresce con l'aumentare dell'età del votante. [0.59]
Come spesso accade, i commenti degli utenti di imdb vanno letti sapendo che ci si può trovare di tutto.
djwortham ne è entusiasta, ma consiglia di vedere prima altri film d'azione coreani per capire meglio lo spirito del film. Lo paragona a Memento, per la struttura del film, ma lo fa evidentemente solo perché ritiene più figo citare (a mio avviso non molto appropriatamente) Nolan piuttosto del Tarantino di Pulp Fiction, infatti come secondo riferimento dà Old boy - il film coreano diretto da Park Chan-wook e adorato da Tarantino.
Mike nota l'uso eccessivo di cliché ed è (come me) vagamente infastidito dall'uso ingiustificato di CGI e dall'uso della macchina da presa un po' troppo manierista. Siamo in linea anche nell'essere positivamente impressionati dal lavoro di Francis Ng.
wmmm-1 ne è entusiasta, e consiglia di vederlo in lingua originale (confermo: è una seccatura seguire i sottotitoli, ma è davvero divertente l'uso del linguaggio da parte degli attori).
Dick è singaporese, e quindi ha il vantaggio di sapere di cosa si parla, ha gradito il film anche se gli sembra un po' confuso. Noto che ritiene che Harvey Keitel interpreti un boss della cosa nostra siciliana e non di quella americana. In effetti nel film il dettaglio non è ben chiarito, e parlano di "italiani" quando intendono i mafiosi. Ma i termini utilizzati, e anche l'accento usato da Keitel è tipicamente italoamericano.
A massaster760 il film è piaciuto, ma non si spiega come mai. Trova che Joseph Quek, che interpreta Ko, sia insopportabile, come pure la sceneggiatura e i tentativi di comicità. Eppure, chissà come, ne è contento. Le vie del cinema sono infinite.
Per Dario e altri il film è un disastro. Dario vede un riferimento a Memento nella struttura a incastro del film, ma a me continua a sembrare un parallelo erroneo, dato che in Memento il montaggio è funzionale alle esigenze narrative, qui è invece più che altro un espediente per spiazzare lo spettatore.
Per Mauro su Zabriesky Point è un film bizzarro. Il vero argomento sarebbe l'amore, nelle sue diverse declinazioni, visto da personaggi a loro modo "puri". [0.70]
Sarabanda
Ultimo film (per la televisione) di Ingmar Bergman. Nel solco della sua produzione analizza rapporti interpersonali all'interno di una famiglia che ha i suoi bei problemi. Non si tratta certo di un film leggero, e conviene affrontarlo con una certa preparazione.
Ultimo film, almeno per quanto riguarda i ruoli principali, anche per la splendida Liv Ullmann, qui protagonista e narratrice della storia.
Ultimo film, almeno per quanto riguarda i ruoli principali, anche per la splendida Liv Ullmann, qui protagonista e narratrice della storia.
Orgoglio e pregiudizio
Un film molto british, a partire dal soggetto estratto dal celeberrimo (per gli inglesi) libro di Jane Austen di cui mantiene il titolo (in originale Pride and Prejudice). Fa eccezione, solo come passaporto, il canadese Donald Sutherland, nella parte del padre delle scatenate 5 sorelle Bennet.
Della Austen ho letto solo un racconto breve, che mi era dispiaciuto alquanto e una sorta di orgoglioso pregiudizio mi ha portato a non leggere niente più a sua firma. Clamoroso errore. Anche se il lavoro di sceneggiatura avesse stravolto l'impianto originario, cosa che dubito dato che probabilmente ciò avrebbe causato una specie di rivoluzione in Gran Bretagna, dal film si capisce che il romanzo deve essere una lettura molto piacevole.
Tornando al film, per chi, come il sottoscritto, non abbia letto il libro, certi dettagli hanno un che di misterioso, ma scorre comunque tutto via benissimo, e traspare una gran gioia, vitalità, allegria, che fa voglia di passare qualche ora a casa Bennet. Non più di qualche ora, perché alla lunga la cosa deve essere molto faticosa, come lascia capire l'ottima interpretazione di Sutherland, unico uomo della famiglia Bennet.
E' la prima regia cinematografica di Joe Wright, che si era però fatto le ossa con le serie televisive, e questo aiuta a spiegare in buon risultato. Debutto sullo schermo per Carey Mulligan (è Kitty), Rosamund Pike è Jane, protagonista (Elizabeth) la già lanciatissima Keira Knightley.
Bellissimi i panorami, e molto bella la colonna sonora, i cui brani originali sono composti dall'ottimo Marianelli, che ormai non è neanche più una sorpresa.
Molte candidature a molti premi, ma pochi trofei di pregio portati a casa. La produzione si è consolata con un buon risultato in termini di incassi a livello planetario (41° posto nel 2005, secondo mojo).
Della Austen ho letto solo un racconto breve, che mi era dispiaciuto alquanto e una sorta di orgoglioso pregiudizio mi ha portato a non leggere niente più a sua firma. Clamoroso errore. Anche se il lavoro di sceneggiatura avesse stravolto l'impianto originario, cosa che dubito dato che probabilmente ciò avrebbe causato una specie di rivoluzione in Gran Bretagna, dal film si capisce che il romanzo deve essere una lettura molto piacevole.
Tornando al film, per chi, come il sottoscritto, non abbia letto il libro, certi dettagli hanno un che di misterioso, ma scorre comunque tutto via benissimo, e traspare una gran gioia, vitalità, allegria, che fa voglia di passare qualche ora a casa Bennet. Non più di qualche ora, perché alla lunga la cosa deve essere molto faticosa, come lascia capire l'ottima interpretazione di Sutherland, unico uomo della famiglia Bennet.
E' la prima regia cinematografica di Joe Wright, che si era però fatto le ossa con le serie televisive, e questo aiuta a spiegare in buon risultato. Debutto sullo schermo per Carey Mulligan (è Kitty), Rosamund Pike è Jane, protagonista (Elizabeth) la già lanciatissima Keira Knightley.
Bellissimi i panorami, e molto bella la colonna sonora, i cui brani originali sono composti dall'ottimo Marianelli, che ormai non è neanche più una sorpresa.
Molte candidature a molti premi, ma pochi trofei di pregio portati a casa. La produzione si è consolata con un buon risultato in termini di incassi a livello planetario (41° posto nel 2005, secondo mojo).
Microcosmos - Il popolo dell'erba
Simpatico film francese (titolo originale Microcosmos: Le peuple de l'herbe) che mostra un'ipotetica giornata in un prato tra insetti e invertebrati. Accompagnato da una bella colonna sonora ci fa passare un'abbondante ora a contatto di una natura a cui difficilmente prestiamo attenzione, pur avendola, di fatto, sott'occhio.
Soprattutto in Francia il film è stato accolto molto bene, e ha pure ottenuto premi prestigiosi come un gran premio tecnico a Cannes, dove era apparso fuori concorso, e numerosi César.
Soprattutto in Francia il film è stato accolto molto bene, e ha pure ottenuto premi prestigiosi come un gran premio tecnico a Cannes, dove era apparso fuori concorso, e numerosi César.
Quei bravi ragazzi
Meglio noto con il titolo originale, Goodfellas. Un film molto citato quando si parla di mafia italoamericana anche se, a dire il vero, a me non sembra la miglior cosa fatta sull'argomento, e nemmeno il miglior lavoro di Martin Scorsese (meglio The Departed o Taxi Driver, per fare solo un paio di titoli - aspetto con curiosità il suo prossimo lavoro su Sinatra).
E' interessante il punto di vista di un pesce piccolo. La sceneggiatura è tratta da un libro che narra la storia di un italo-irlandese destinato a non poter crescere nella gerarchia mafiosa a causa della sua parte irlandese. Sarà un problema mio, ma il fatto di dover seguire un percorso reale trovo che spesso riduca la capacità espressiva del regista. Inoltre, il protagonista non mi sembra ben scelto. Ray Liotta - che interpreta Henry Hill - non mi convince nel suo ruolo.
Mi pare anche poco convincente la struttura generale della sceneggiatura, si tratta in pratica di una lunga rievocazione dei fatti da parte del protagonista, a partire dalla sua infanzia fino all'epilogo in cui decide di chiedere la protezione dell'FBI per salvare la pelle, con intermezzi in cui a prendere la parola è la moglie. In questo modo si perde un po' di vista il quadro generale della vicenda, che mi sarebbe interessato di più.
Si tratta comunque di un ottimo lavoro ed è piaciuto un po' a tutti, pubblico, critica, premi vari. Sono contento che l'oscar sia stato dato a Joe Pesci, che ho apprezzato in altri film (Mio cugino Vinnie, ad esempio). In questo film ha un ruolo secondario ma ben caratterizzato. Più in ombra Robert De Niro, che comunque beh, è sempre De Niro.
E' interessante il punto di vista di un pesce piccolo. La sceneggiatura è tratta da un libro che narra la storia di un italo-irlandese destinato a non poter crescere nella gerarchia mafiosa a causa della sua parte irlandese. Sarà un problema mio, ma il fatto di dover seguire un percorso reale trovo che spesso riduca la capacità espressiva del regista. Inoltre, il protagonista non mi sembra ben scelto. Ray Liotta - che interpreta Henry Hill - non mi convince nel suo ruolo.
Mi pare anche poco convincente la struttura generale della sceneggiatura, si tratta in pratica di una lunga rievocazione dei fatti da parte del protagonista, a partire dalla sua infanzia fino all'epilogo in cui decide di chiedere la protezione dell'FBI per salvare la pelle, con intermezzi in cui a prendere la parola è la moglie. In questo modo si perde un po' di vista il quadro generale della vicenda, che mi sarebbe interessato di più.
Si tratta comunque di un ottimo lavoro ed è piaciuto un po' a tutti, pubblico, critica, premi vari. Sono contento che l'oscar sia stato dato a Joe Pesci, che ho apprezzato in altri film (Mio cugino Vinnie, ad esempio). In questo film ha un ruolo secondario ma ben caratterizzato. Più in ombra Robert De Niro, che comunque beh, è sempre De Niro.
Il buono, il brutto, il cattivo
In ricordo di Aldo Giuffrè, mi sono rivisto quello che penso sia il miglior film a cui ha partecipato, Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone. Per maggiori dettagli sul film rimando alla scheda, decisamente molto interessante, di wikipedia.
Una cosa da notare di questo film è che, fuori d'Italia, molti pensano si tratti di un film americano - sicuramente a causa del cast con Clint Eastwood a fare il buono, Eli Wallach il brutto, e Lee Van Cleef in cattivo. E spesso anche i non inglesi lo chiamano col titolo inglese, The Good, the Bad and the Ugly.
In effetti è buffo che quello che molti ritengono essere il miglior film western mai fatto, sicuramente uno tra i più popolari al mondo, sia una produzione italo-spagnola (mente italiana, realizzazione in Spagna per tener bassi i costi).
Se devo dire la verità, avrei preferito che fosse un po' più corto, certe scene mi pare allentino la tensione senza dare niente in cambio. Fortuna che regia, montaggio, e l'eccezionale colonna sonora di Ennio Morricone sostengano il film anche in questi momenti.
Una cosa da notare di questo film è che, fuori d'Italia, molti pensano si tratti di un film americano - sicuramente a causa del cast con Clint Eastwood a fare il buono, Eli Wallach il brutto, e Lee Van Cleef in cattivo. E spesso anche i non inglesi lo chiamano col titolo inglese, The Good, the Bad and the Ugly.
In effetti è buffo che quello che molti ritengono essere il miglior film western mai fatto, sicuramente uno tra i più popolari al mondo, sia una produzione italo-spagnola (mente italiana, realizzazione in Spagna per tener bassi i costi).
Se devo dire la verità, avrei preferito che fosse un po' più corto, certe scene mi pare allentino la tensione senza dare niente in cambio. Fortuna che regia, montaggio, e l'eccezionale colonna sonora di Ennio Morricone sostengano il film anche in questi momenti.
Alpha Dog
Si parla di delinquenza giovanile. Nel caso specifico una trasposizione cinematografica abbastanza vicina al reale di un caso avvenuto nel 2000 in California.
Droga, violenza, sesso, mancanza di senso. Questi gli ingredienti di base, che lo fanno sembrare un film dei fratelli Cohen.
Dato il tema, le parti principali sono prese dai giovinastri della gang di cui si tratta, e il nome noto qui è quello di Justin Timberlake (più noto per la sua carriera musicale, ma non disdegna il cinema). Tra i pochi adulti, necessariamente costretti in ruoli minori, si fanno notare Bruce Willis, padre del protagonista, e Sharon Stone, madre della vittima.
La buona regia e sceneggiatura sono di Nick Cassavetes (forse più noto per John Q, con Denzel Washington), figlio di John Cassavetes.
Droga, violenza, sesso, mancanza di senso. Questi gli ingredienti di base, che lo fanno sembrare un film dei fratelli Cohen.
Dato il tema, le parti principali sono prese dai giovinastri della gang di cui si tratta, e il nome noto qui è quello di Justin Timberlake (più noto per la sua carriera musicale, ma non disdegna il cinema). Tra i pochi adulti, necessariamente costretti in ruoli minori, si fanno notare Bruce Willis, padre del protagonista, e Sharon Stone, madre della vittima.
La buona regia e sceneggiatura sono di Nick Cassavetes (forse più noto per John Q, con Denzel Washington), figlio di John Cassavetes.
The Berlusconi Show
Leggo su Repubblica che l'autore di "A Silvio", canzone più nota come "Meno male che Silvio c'è", ha fatto causa ai produttori di tre film perché lo avrebbero utilizzato in maniera impropria, e chiede, oltre ai danni morali, che vengano distrutti tutti i master e gli esemplari dei film suddetti.
Si tratta di Draquila, di Sabina Guzzanti; Videocracy, di Erik Gandini; e di "The Berlusconi Show", un documentario prodotto e trasmesso dalla BBC.
L'autore avrebbe detto che vuole "chiedere i danni morali perché queste persone hanno sputtanato Berlusconi", e che avrebbe ricevuto l'appoggio morale del corrente presidente del consiglio italiano.
In seguito a questa stupefacente notizia, e dubbioso che la BBC possa aver trasmesso un documentario non corretto, ho deciso di vedere "The Berlusconi Show". Purtroppo non è possibile vederlo sul sito della BBC, ma è disponibile su canali paralleli, tipo youtube.
Sul sito della BBC leggo che il reporter che ha curato la realizzazione del film (59 minuti di durata) è Mark Franchetti. Regia e produzione sono di Nick Read.
Mark Franchetti è un giornalista del londinese Sunday Times basato a Mosca. Ha ricevuto il British Press Award nel 2003 e il Foreign Press Association Award nel 2004. In genere tratta notizie dall'area russa o comunque ex-sovietica.
Per questo lavoro ha probabilmente contato la sua origine italiana. La struttura del documentario riflette la sua conoscenza del Paese e la committenza. In pratica si cerca di dare una spiegazione plausibile del perdurare del fenomeno Berlusconi agli inglesi, che ben poco sanno dell'Italia.
Mi è parso un buon lavoro. Molto spazio è stato dato ai supporter di entrambi i punti di vista. Manca un'intervista al soggetto, e il reporter se ne duole, dato che gli è stata rifiutata. Ci può far vedere solo la reazione, tra lo stupito e lo sconvolto, della scorta quando chiede di poter porre una domanda al volo al presidente del consiglio. La considerazione finale del reporter è che, giornalisticamente parlando, Berlusconi è una manna, dato che scatena reazioni polarizzate e produce una gran messe di fatti su cui parlare.
L'autore della canzone ha probabilmente agito senza aver visto la pellicola, dato che la si mostra esattamente nel contesto da lui preferito, ovvero al termine di un comizio del soggetto a cui è dedicata, e subito dopo si presenta l'intervista ad alcuni giovani sostenitori dello stesso, che affermano di conoscere la canzone a memoria, e di cantarla pure sotto la doccia.
Dal mio punto di vista, il film ha la debolezza principale di non dar conto di molti fatti che pure hanno un notevole peso nel chiarire la personalità del soggetto studiato. Ma questo si può spiegare agevolmente con la mancanza di tempo (impossibile raccontare tutto in una sola ora) e di background culturale dell'audience attesa.
Difficile infatti che uno spettatore inglese possa capire dove sia il problema se si fosse sollevato il punto dell'affiliazione del protagonista alla loggia P2, dato che in Gran Bretagna la massoneria non presenta i problemi che ha avuto in Italia. Non si è nemmeno accennato ai conflitti di interesse, al problema della struttura del partito, e altri problemi più specificamente politici.
Tra gli intervistati, i contributi più significativi mi sono sembrati quelli di Alessio Vinci, conduttore di Matrix, che ha sottolineato la solitudine del personaggio, circondato da persone che vogliono da lui solo favori, e di un anziano anonimo supporter che ha raccontato con semplicità i motivi del suo schieramento.
Si tratta di Draquila, di Sabina Guzzanti; Videocracy, di Erik Gandini; e di "The Berlusconi Show", un documentario prodotto e trasmesso dalla BBC.
L'autore avrebbe detto che vuole "chiedere i danni morali perché queste persone hanno sputtanato Berlusconi", e che avrebbe ricevuto l'appoggio morale del corrente presidente del consiglio italiano.
In seguito a questa stupefacente notizia, e dubbioso che la BBC possa aver trasmesso un documentario non corretto, ho deciso di vedere "The Berlusconi Show". Purtroppo non è possibile vederlo sul sito della BBC, ma è disponibile su canali paralleli, tipo youtube.
Sul sito della BBC leggo che il reporter che ha curato la realizzazione del film (59 minuti di durata) è Mark Franchetti. Regia e produzione sono di Nick Read.
Mark Franchetti è un giornalista del londinese Sunday Times basato a Mosca. Ha ricevuto il British Press Award nel 2003 e il Foreign Press Association Award nel 2004. In genere tratta notizie dall'area russa o comunque ex-sovietica.
Per questo lavoro ha probabilmente contato la sua origine italiana. La struttura del documentario riflette la sua conoscenza del Paese e la committenza. In pratica si cerca di dare una spiegazione plausibile del perdurare del fenomeno Berlusconi agli inglesi, che ben poco sanno dell'Italia.
Mi è parso un buon lavoro. Molto spazio è stato dato ai supporter di entrambi i punti di vista. Manca un'intervista al soggetto, e il reporter se ne duole, dato che gli è stata rifiutata. Ci può far vedere solo la reazione, tra lo stupito e lo sconvolto, della scorta quando chiede di poter porre una domanda al volo al presidente del consiglio. La considerazione finale del reporter è che, giornalisticamente parlando, Berlusconi è una manna, dato che scatena reazioni polarizzate e produce una gran messe di fatti su cui parlare.
L'autore della canzone ha probabilmente agito senza aver visto la pellicola, dato che la si mostra esattamente nel contesto da lui preferito, ovvero al termine di un comizio del soggetto a cui è dedicata, e subito dopo si presenta l'intervista ad alcuni giovani sostenitori dello stesso, che affermano di conoscere la canzone a memoria, e di cantarla pure sotto la doccia.
Dal mio punto di vista, il film ha la debolezza principale di non dar conto di molti fatti che pure hanno un notevole peso nel chiarire la personalità del soggetto studiato. Ma questo si può spiegare agevolmente con la mancanza di tempo (impossibile raccontare tutto in una sola ora) e di background culturale dell'audience attesa.
Difficile infatti che uno spettatore inglese possa capire dove sia il problema se si fosse sollevato il punto dell'affiliazione del protagonista alla loggia P2, dato che in Gran Bretagna la massoneria non presenta i problemi che ha avuto in Italia. Non si è nemmeno accennato ai conflitti di interesse, al problema della struttura del partito, e altri problemi più specificamente politici.
Tra gli intervistati, i contributi più significativi mi sono sembrati quelli di Alessio Vinci, conduttore di Matrix, che ha sottolineato la solitudine del personaggio, circondato da persone che vogliono da lui solo favori, e di un anziano anonimo supporter che ha raccontato con semplicità i motivi del suo schieramento.
The Informant!
Se non fosse per la colonna sonora, non è immediato capire cosa stia succedendo in questo film. Canzonette dal tono scherzoso ci danno la dritta che Steven Soderbergh ha scelto un tono da commedia per questo suo lavoro.
In realtà si tratta di una storia seria, basata su un lavoro di giornalismo di inchiesta su uno scandalo che ha colpito una multinazionale agroalimentare negli anni novanta.
Il taglio dato mette in ridicolo il mondo delle grande aziende americane, mostrando come uno svitato (interpretato molto bene da un Matt Damon sovrappeso) possa fare carriera, rubare una montagna di soldi, causare grossi problemi alla sua ditta, finire in galera e, nonostante ciò, trovare un nuovo lavoro come manager di un'altra azienda.
C'accorgiamo praticamente subito che Mark Whitacre (il protagonista) si comporta in modo strano, dice cose a metà, si contraddice, mantiene versioni diverse a seconda di chi parla. Ogni tanto, mentre il personaggio parla, sentiamo il suo pensiero che vaga su fatterelli inconsistenti. Ma non riusciamo a capire bene cosa diamine voglia fare, e perché lo faccia, fino a quasi alla fine.
Non è un capolavoro, non ci si sganascia dalle risate, ma è un film divertente, piacevole, ben diretto e interpretato. Probabilimente il soggetto risulta più interessante agli americani, che sanno meglio di cosa si tratta, e questo spiega come mai al botteghino sia andato meglio in USA che nel resto del mondo.
In realtà si tratta di una storia seria, basata su un lavoro di giornalismo di inchiesta su uno scandalo che ha colpito una multinazionale agroalimentare negli anni novanta.
Il taglio dato mette in ridicolo il mondo delle grande aziende americane, mostrando come uno svitato (interpretato molto bene da un Matt Damon sovrappeso) possa fare carriera, rubare una montagna di soldi, causare grossi problemi alla sua ditta, finire in galera e, nonostante ciò, trovare un nuovo lavoro come manager di un'altra azienda.
C'accorgiamo praticamente subito che Mark Whitacre (il protagonista) si comporta in modo strano, dice cose a metà, si contraddice, mantiene versioni diverse a seconda di chi parla. Ogni tanto, mentre il personaggio parla, sentiamo il suo pensiero che vaga su fatterelli inconsistenti. Ma non riusciamo a capire bene cosa diamine voglia fare, e perché lo faccia, fino a quasi alla fine.
Non è un capolavoro, non ci si sganascia dalle risate, ma è un film divertente, piacevole, ben diretto e interpretato. Probabilimente il soggetto risulta più interessante agli americani, che sanno meglio di cosa si tratta, e questo spiega come mai al botteghino sia andato meglio in USA che nel resto del mondo.
Il favoloso mondo di Amélie
Le fabuleux destin d'Amélie Poulain, in originale. Una storia un poco folle di una giovin donna francese, Amélie per l'appunto che dopo alcune traversie trova l'amore. Niente di che, a dir così. Ma gli eventi a dir poco bizzarri che vengono narrati, e il piglio decisamente anticonvenzionale di Jean-Pierre Jeunet alla regia rendono il film molto godibile.
Jean-Pierre Jeunet non è molto prolifico, ma ha certamente uno stile che non passa inosservato. Si veda anche Delicatessen, film che ha diretto e sceneggiato dieci anni prima di Amélie. Ha anche diretto un non fortunatissimo episodio di Alien (La clonazione, del 1997).
I protagonisti sono Audrey Tautou (Codice Da Vinci, Coco avant Chanel) e Mathieu Kassovitz (più noto come regista - I fiumi di porpora).
Si tratta di uno dei film francesi più popolari al mondo, si è guadagnato 5 nomination all'oscar (ma ahimé nemmeno una statuetta), 4 César (regia, film, colonna sonora, scenografia) e una lunga serie di altri riconoscimenti di vario livello.
Jean-Pierre Jeunet non è molto prolifico, ma ha certamente uno stile che non passa inosservato. Si veda anche Delicatessen, film che ha diretto e sceneggiato dieci anni prima di Amélie. Ha anche diretto un non fortunatissimo episodio di Alien (La clonazione, del 1997).
I protagonisti sono Audrey Tautou (Codice Da Vinci, Coco avant Chanel) e Mathieu Kassovitz (più noto come regista - I fiumi di porpora).
Si tratta di uno dei film francesi più popolari al mondo, si è guadagnato 5 nomination all'oscar (ma ahimé nemmeno una statuetta), 4 César (regia, film, colonna sonora, scenografia) e una lunga serie di altri riconoscimenti di vario livello.
Miami Vice
Non è da consigliare a chi sia piaciuto la serie di telefilm omonima da cui è tratto. Non è nemmeno da consigliare a chi siano piaciuti altri titoli di Michael Mann (che qui cura regia, sceneggiatura e produzione), primo fra tutti Heat, del 1995 con un cast stellare Pacino-De Niro sfruttato adeguatamente, o anche Collateral del 2004.
In breve, è un titolo che non mi sento di consigliare a nessuno. Il cast è notevole, Colin Farrell (meglio vederlo in Sogni e delitti - Cassandra's Dream 2007) e Jamie Foxx (Ray, Collateral, ...) hanno i ruoli principali e Gong Li in uno dei suoi pochi titoli americani (nessuno dei quali molto fortunato). Nonostante tutto ciò, il risultato scarsotto.
Vale però forse la pena di vedere i primi minuti, un attacco molto forte in una discoteca di Miami con la musica dei Linkin Park + Jay-Z. Ne propongo qui un simpatico montaggio da parte di Hugo, che ha utilizzato a suo modo spezzoni un po' da tutto il film:
Purtroppo, dopo pochi minuti il film si smoscia, e procede a strappi fino alla sparatoria finale che salderà i conti tra buoni e cattivi. Miami Vice, sul mercato americano, ha ottenuto un risultato non particolarmente entusiasmante, viste le premesse di produzione, ottenendo secondo mojo il 43° posto. Risultato migliorato a livello planetario grazie al resto del mondo, che lo ha fatto salire al 28°.
In breve, è un titolo che non mi sento di consigliare a nessuno. Il cast è notevole, Colin Farrell (meglio vederlo in Sogni e delitti - Cassandra's Dream 2007) e Jamie Foxx (Ray, Collateral, ...) hanno i ruoli principali e Gong Li in uno dei suoi pochi titoli americani (nessuno dei quali molto fortunato). Nonostante tutto ciò, il risultato scarsotto.
Vale però forse la pena di vedere i primi minuti, un attacco molto forte in una discoteca di Miami con la musica dei Linkin Park + Jay-Z. Ne propongo qui un simpatico montaggio da parte di Hugo, che ha utilizzato a suo modo spezzoni un po' da tutto il film:
Purtroppo, dopo pochi minuti il film si smoscia, e procede a strappi fino alla sparatoria finale che salderà i conti tra buoni e cattivi. Miami Vice, sul mercato americano, ha ottenuto un risultato non particolarmente entusiasmante, viste le premesse di produzione, ottenendo secondo mojo il 43° posto. Risultato migliorato a livello planetario grazie al resto del mondo, che lo ha fatto salire al 28°.
La parola ai giurati
Strano il percorso che ha avuto questo film. Nato come riadattamento di un film per la televisione, affidato per la regia a Sidney Lumet, che fino a quel momento aveva lavorato solo per il piccolo schermo, ha ottenuto un immediato successo di critica ma è stato un imprevisto flop al botteghino, dovuto probabilmente all'avvento del colore che è avvenuto proprio in quel periodo.
Di conseguenza, tre nomination all'oscar che non si sono concretizzate in alcun premio; una sfilza di altri premi, tra cui il prestigioso orso d'oro berlinese; il BAFTA a Henry Fonda, come miglior attore non inglese; una menzione speciale a Locarno per Lumet; e anche il nastro d'argento per il regista del miglior film non italiano.
Il tempo ha dato poi ragione ai meriti del film, ed è correntemente considerato, soprattutto negli USA, come uno dei migliori prodotti della storia del cinema.
Il titolo originale "12 Angry Men" si riferisce ai giurati, anche se non mi è ben chiaro perché dovrebbero essere tutti e dodici arrabbiati. Ci sono state numerose versioni seguenti, sia per il cinema (nota soprattutto la versione di Nikita Mikhalkov del 2007) sia per il teatro (recente in Italia la messa in scena curata e interpretata da Alessandro Gassman).
Si tratta di un film giudiziario che inizia dove in genere finiscono gli altri, ovvero alla fine del processo. Infatti quello che ci si vuole mostrare è quanto possa essere rischioso il sistema giudiziale americano, in cui il destino dell'imputato è appeso alla decisione di dodici persone che possono essere del tutto disinteressati su quello che stanno facendo. D'altro canto, ci dice anche che è tutto sommato un buon metodo, perché basta un giurato che non decida di seguire la strada più semplice per dare una speranza all'imputato.
Passiamo tutto il tempo in camera consiglio con i dodici giurati, seguendo l'evoluzione dei pareri. Inizialmente sono praticamente tutti convinti della colpevolezza dell'imputato - avrebbe ucciso il proprio padre. Anche l'unico che vota contro, lo fa non perché sia convinto della sua innocenza, ma perché gli pare che la sua colpevolezza non sia stata provata con sufficiente certezza.
Gli indizi vengono soppesati, valutati, analizzati, e alla fine tutti quanti votano per l'innocenza.
Il punto della sceneggiatura è come solo alcuni giurati fossero inizialmente colpevolisti per motivi reali, mentre gli altri basavano il loro giudizio su pregiudizi razziali, spirito di vendetta, o semplice disinteresse nella vicenda.
Oltre all'interpretazione di Henry Fonda, è da notare anche il lavoro di Lee J.Cobb, nel ruolo non semplice del giurato carogna, colpevolista a prescindere, che solo alla fine capisce di aver voluto la condanna del ragazzetto incriminato per una sorta di vendetta contro il proprio figlio che lo ha deluso.
Ottima la regia di Lumet, che riesce a gestire al meglio una situazione tendenzialmente anticinematografica: dodici persone chiuse in una stanza a discutere di un fatto di cui non abbiamo modo di veder niente.
Non si dice mai esplicitamente da cosa fossero motivati i pregiudizi nei giurati ma chi conosca un po' la società americana non dovrebbe far fatica a capire da alcuni accenni (l'uso del coltello, ad esempio) che si parla della comunità italoamericana. E infatti il ragazzo accusato di omicidio, che appare brevemente all'inizio del film, è interpretato da John Savoca.
Di conseguenza, tre nomination all'oscar che non si sono concretizzate in alcun premio; una sfilza di altri premi, tra cui il prestigioso orso d'oro berlinese; il BAFTA a Henry Fonda, come miglior attore non inglese; una menzione speciale a Locarno per Lumet; e anche il nastro d'argento per il regista del miglior film non italiano.
Il tempo ha dato poi ragione ai meriti del film, ed è correntemente considerato, soprattutto negli USA, come uno dei migliori prodotti della storia del cinema.
Il titolo originale "12 Angry Men" si riferisce ai giurati, anche se non mi è ben chiaro perché dovrebbero essere tutti e dodici arrabbiati. Ci sono state numerose versioni seguenti, sia per il cinema (nota soprattutto la versione di Nikita Mikhalkov del 2007) sia per il teatro (recente in Italia la messa in scena curata e interpretata da Alessandro Gassman).
Si tratta di un film giudiziario che inizia dove in genere finiscono gli altri, ovvero alla fine del processo. Infatti quello che ci si vuole mostrare è quanto possa essere rischioso il sistema giudiziale americano, in cui il destino dell'imputato è appeso alla decisione di dodici persone che possono essere del tutto disinteressati su quello che stanno facendo. D'altro canto, ci dice anche che è tutto sommato un buon metodo, perché basta un giurato che non decida di seguire la strada più semplice per dare una speranza all'imputato.
Passiamo tutto il tempo in camera consiglio con i dodici giurati, seguendo l'evoluzione dei pareri. Inizialmente sono praticamente tutti convinti della colpevolezza dell'imputato - avrebbe ucciso il proprio padre. Anche l'unico che vota contro, lo fa non perché sia convinto della sua innocenza, ma perché gli pare che la sua colpevolezza non sia stata provata con sufficiente certezza.
Gli indizi vengono soppesati, valutati, analizzati, e alla fine tutti quanti votano per l'innocenza.
Il punto della sceneggiatura è come solo alcuni giurati fossero inizialmente colpevolisti per motivi reali, mentre gli altri basavano il loro giudizio su pregiudizi razziali, spirito di vendetta, o semplice disinteresse nella vicenda.
Oltre all'interpretazione di Henry Fonda, è da notare anche il lavoro di Lee J.Cobb, nel ruolo non semplice del giurato carogna, colpevolista a prescindere, che solo alla fine capisce di aver voluto la condanna del ragazzetto incriminato per una sorta di vendetta contro il proprio figlio che lo ha deluso.
Ottima la regia di Lumet, che riesce a gestire al meglio una situazione tendenzialmente anticinematografica: dodici persone chiuse in una stanza a discutere di un fatto di cui non abbiamo modo di veder niente.
Non si dice mai esplicitamente da cosa fossero motivati i pregiudizi nei giurati ma chi conosca un po' la società americana non dovrebbe far fatica a capire da alcuni accenni (l'uso del coltello, ad esempio) che si parla della comunità italoamericana. E infatti il ragazzo accusato di omicidio, che appare brevemente all'inizio del film, è interpretato da John Savoca.
Happy Feet
Alla sua uscita ha lasciato stupiti per il livello di dettaglio molto coinvolgente che gli valse l'oscar, il bafta, e altri premi come miglior film di animazione. Ma questo è un campo dove lo sviluppo è così travolgente che già oggi Happy Feet sembra solo "normale".
E' nel filone dei cartoni-musical, e anche la colonna sonora ha ricevuto la sua dose di premi.
La storia però non è entusiasmante. Un pinguinetto, Mambo (in originale Mumble), nasce diverso dagli altri: non sa cantare - caratteristica dei pinguini imperatore nel film - mentre invece balla che è un portento. Secondo le tradizioni della pinguinera questa è cosa brutta, e perciò viene allontanato. Mambo si mette in mente di risolvere il problema dalla scarsità di pesce e di portare la soluzione alla sua popolazione, in modo da riconquistare la fiducia e poter tornare a stare con la sua bella pinguina (Gloria). Il pesce manca ai pinguini perché ce lo mangiamo noi umani, dunque Mambo cerca il contatto con gli umani, finisce in uno zoo e ballando stabilisce un contatto con gli umani. Non si capisce bene come mai, ma il fatto che il pinguino balli (e che poi convinca tutta la colonia a ballare con lui) convince i governi mondiali a dichiarare off-limits l'antartide per la pesca.
Dunque conviene non dar troppo peso alla trama e lasciarsi affascinare dalle immagini di moltitudini di pinguini canterini e ballerini.
Notevole la prestazione vocale delle parti principali (levato Mambo che da copione è stonato come una campana), tra cui spiccano Robin Williams che fa un paio di pinguini di Adelia (che in originale parlano un misto ango-spagnolo), Nicole Kidman che fa la pinguina mamma di Mambo (Norma Jean, carattere basato evidentemente su Marilyn Monroe) sposata a Memphis (basato su Elvis Presley) interpretato da Hugh Jackman (il Wolverine nella serie degli X-Men).
Interessante notare come gli umani che appaiono nel film non siano animazioni ma attori in carne ed ossa - è ancora l'opzione più economica, quando non si tratta di star.
Dato che anche al botteghino il risultato è stato ottimo, migliore negli USA (settimo) che nel resto del mondo (decimo a livello planetario). Il sequel è praticamente obbligatorio, e dovrebbe essere rilasciato alla fine del 2011.
E' nel filone dei cartoni-musical, e anche la colonna sonora ha ricevuto la sua dose di premi.
La storia però non è entusiasmante. Un pinguinetto, Mambo (in originale Mumble), nasce diverso dagli altri: non sa cantare - caratteristica dei pinguini imperatore nel film - mentre invece balla che è un portento. Secondo le tradizioni della pinguinera questa è cosa brutta, e perciò viene allontanato. Mambo si mette in mente di risolvere il problema dalla scarsità di pesce e di portare la soluzione alla sua popolazione, in modo da riconquistare la fiducia e poter tornare a stare con la sua bella pinguina (Gloria). Il pesce manca ai pinguini perché ce lo mangiamo noi umani, dunque Mambo cerca il contatto con gli umani, finisce in uno zoo e ballando stabilisce un contatto con gli umani. Non si capisce bene come mai, ma il fatto che il pinguino balli (e che poi convinca tutta la colonia a ballare con lui) convince i governi mondiali a dichiarare off-limits l'antartide per la pesca.
Dunque conviene non dar troppo peso alla trama e lasciarsi affascinare dalle immagini di moltitudini di pinguini canterini e ballerini.
Notevole la prestazione vocale delle parti principali (levato Mambo che da copione è stonato come una campana), tra cui spiccano Robin Williams che fa un paio di pinguini di Adelia (che in originale parlano un misto ango-spagnolo), Nicole Kidman che fa la pinguina mamma di Mambo (Norma Jean, carattere basato evidentemente su Marilyn Monroe) sposata a Memphis (basato su Elvis Presley) interpretato da Hugh Jackman (il Wolverine nella serie degli X-Men).
Interessante notare come gli umani che appaiono nel film non siano animazioni ma attori in carne ed ossa - è ancora l'opzione più economica, quando non si tratta di star.
Dato che anche al botteghino il risultato è stato ottimo, migliore negli USA (settimo) che nel resto del mondo (decimo a livello planetario). Il sequel è praticamente obbligatorio, e dovrebbe essere rilasciato alla fine del 2011.
Next
L'idea che c'è dietro alla sceneggiatura di Next è a dir poco geniale. Non per niente è di un genio, ovvero Philip K. Dick, ben noto da chi pratica la fantascienza americana della seconda metà del secolo scorso. Tra i film più noti tratti da suoi scritti ci sono Blade Runner, Minority Report e Total Recall.
In realtà Gary Goldman ha rielaborato a tal punto il racconto originale ("The Golden Man" - curioso legame col suo cognome) da lasciare nel film solo l'idea di partenza: un uomo nasce col "dono" di vedere nel suo futuro. La cosa viene descritta, esplicitamente nel racconto, implicitamente nel film, come la capacità di vedere l'albero delle possibilità che conseguono dal singolo atto del protagonista. Ma solo per una piccolo tratto nel futuro. Nel film si specifica a parole che la visione sarebbe limitata a circa due minuti in avanti, anche se la rappresentazione visiva sembra più legata all'impostazione originale. A parte questa caratteristica, racconto e film hanno ben poco in comune.
In Next il punto fondamentale è che quello che sembra essere un vantaggio può diventare anche una dannazione. Per campare fa il miracolato fa prestigiatore, in modo da usare in qualche modo il suo dono, ma non può farsi notare, per non essere trattato come fenomeno da baraccone, e allora ha uno spettacolino da quattro soldi. Per arrotondare gioca d'azzardo, ma anche qui deve fare attenzione a non vincere troppo, per non finire nei guai.
A ben vedere una brutta vita.
La regia, non memorabile, è del neozelandese Lee Tamahori, che aveva fatto un exploit nel 1994 con Once Were Warrios, ma che poi ha finito per dirigere filmoni di produzione come uno 007 (La morte può attendere - Die Another Day, del 2002) o il secondo episodio di XXX. Ha comunque diretto bene gli attori, tra cui spiccano Nicolas Cage che ha il ruolo del protagonista (e partecipa anche alla produzione del film); Julianne Moore, la motivata, e un po' carogna, agente dell'FBI che sta dietro al protagonista; Jessica Biel, di cui il protagonista si innamora (e si può ben capire come mai); e Peter Falk, in un piccolo ruolo secondario.
Nonostante che le premesse per un opera dignitosa ci siano tutte, qualcosa va storto nella sceneggiatura. Forse il problema è che hanno voluto tenere aperto il finale per un possibile seguito, fatto è che il risultato è uno sviluppo poco soddisfacente.
Nella vita mediocre di Cris (Cage) avvengono contemporaneamente troppe cose in troppo poco tempo: Callie (Moore) lo vuole reclutare a forza nell'FBI per sventare un attacco nucleare agli USA da parte di una non ben specificata organizzazione nazionale (si sente parlare in francese, tedesco e in chissà quante altre lingue tra gli associati); nel contempo Cris ha una sorta di appuntamento con Liz (Biel), avendo visto nel futuro che la incontrerà in un diner - sa l'ora ma non il giorno (eccezione alla sua capacità di vedere solo nel suo futuro prossimo); mentre fa qualche soldo ad un casinò Cris sventa una rapina e si attira contro la polizia; i terroristi internazionali si accorgono che l'FBI stanno dietro a Cris, e pensano che lui sia una minaccia alla loro operazione.
Troppa roba.
Grazie alle sue capacità Cris riesce a fare andare le cose come vuole lui, e lascia la città con Liz, la conquista e fanno all'amore. Dopodiciò Cris ha una sorta di estensione dei suoi poteri - pare che sia il contatto con Liz a creare questo effetto - e vede che se sta con Liz non ci sono santi, va a finire con una catastrofe. Come si diceva sopra, la maledizione di avere un dono così potente. Dunque decide di collaborare con l'FBI, anche se capisce che questo lo metterà nei guai, difficilmente lo lasceranno andare risultando così utile.
Come si vede, c'è tanto di quel materiale da farci sopra ben più di un sequel, per lo meno una intera serie televisiva. Troppa roba inspiegata ed inspiegabile che, evidentemente, ha lasciato perplesso il pubblico. Chi sono mai i terroristi internazionali? Come fanno ad introdurre negli USA tale e tanto materiale bellico? Qual'è il loro scopo? Come mai l'FBI punta su una pista così balenga come Cris? Come fanno i terroristi a capire che Cris è un pericolo per loro?
Meglio sarebbe stato eliminare almeno alcune di queste complicazioni.
Peccato perché, tutto sommato, si tratta di un buon lavoro.
Secondo Mojo il film è stato un flop negli USA, dove si è piazzato al 117° posto nel 2007. Fortunatamente per i produttori il mercato mondiale ha reagito meglio, portando il titolo al 72° posto complessivo.
In realtà Gary Goldman ha rielaborato a tal punto il racconto originale ("The Golden Man" - curioso legame col suo cognome) da lasciare nel film solo l'idea di partenza: un uomo nasce col "dono" di vedere nel suo futuro. La cosa viene descritta, esplicitamente nel racconto, implicitamente nel film, come la capacità di vedere l'albero delle possibilità che conseguono dal singolo atto del protagonista. Ma solo per una piccolo tratto nel futuro. Nel film si specifica a parole che la visione sarebbe limitata a circa due minuti in avanti, anche se la rappresentazione visiva sembra più legata all'impostazione originale. A parte questa caratteristica, racconto e film hanno ben poco in comune.
In Next il punto fondamentale è che quello che sembra essere un vantaggio può diventare anche una dannazione. Per campare fa il miracolato fa prestigiatore, in modo da usare in qualche modo il suo dono, ma non può farsi notare, per non essere trattato come fenomeno da baraccone, e allora ha uno spettacolino da quattro soldi. Per arrotondare gioca d'azzardo, ma anche qui deve fare attenzione a non vincere troppo, per non finire nei guai.
A ben vedere una brutta vita.
La regia, non memorabile, è del neozelandese Lee Tamahori, che aveva fatto un exploit nel 1994 con Once Were Warrios, ma che poi ha finito per dirigere filmoni di produzione come uno 007 (La morte può attendere - Die Another Day, del 2002) o il secondo episodio di XXX. Ha comunque diretto bene gli attori, tra cui spiccano Nicolas Cage che ha il ruolo del protagonista (e partecipa anche alla produzione del film); Julianne Moore, la motivata, e un po' carogna, agente dell'FBI che sta dietro al protagonista; Jessica Biel, di cui il protagonista si innamora (e si può ben capire come mai); e Peter Falk, in un piccolo ruolo secondario.
Nonostante che le premesse per un opera dignitosa ci siano tutte, qualcosa va storto nella sceneggiatura. Forse il problema è che hanno voluto tenere aperto il finale per un possibile seguito, fatto è che il risultato è uno sviluppo poco soddisfacente.
Nella vita mediocre di Cris (Cage) avvengono contemporaneamente troppe cose in troppo poco tempo: Callie (Moore) lo vuole reclutare a forza nell'FBI per sventare un attacco nucleare agli USA da parte di una non ben specificata organizzazione nazionale (si sente parlare in francese, tedesco e in chissà quante altre lingue tra gli associati); nel contempo Cris ha una sorta di appuntamento con Liz (Biel), avendo visto nel futuro che la incontrerà in un diner - sa l'ora ma non il giorno (eccezione alla sua capacità di vedere solo nel suo futuro prossimo); mentre fa qualche soldo ad un casinò Cris sventa una rapina e si attira contro la polizia; i terroristi internazionali si accorgono che l'FBI stanno dietro a Cris, e pensano che lui sia una minaccia alla loro operazione.
Troppa roba.
Grazie alle sue capacità Cris riesce a fare andare le cose come vuole lui, e lascia la città con Liz, la conquista e fanno all'amore. Dopodiciò Cris ha una sorta di estensione dei suoi poteri - pare che sia il contatto con Liz a creare questo effetto - e vede che se sta con Liz non ci sono santi, va a finire con una catastrofe. Come si diceva sopra, la maledizione di avere un dono così potente. Dunque decide di collaborare con l'FBI, anche se capisce che questo lo metterà nei guai, difficilmente lo lasceranno andare risultando così utile.
Come si vede, c'è tanto di quel materiale da farci sopra ben più di un sequel, per lo meno una intera serie televisiva. Troppa roba inspiegata ed inspiegabile che, evidentemente, ha lasciato perplesso il pubblico. Chi sono mai i terroristi internazionali? Come fanno ad introdurre negli USA tale e tanto materiale bellico? Qual'è il loro scopo? Come mai l'FBI punta su una pista così balenga come Cris? Come fanno i terroristi a capire che Cris è un pericolo per loro?
Meglio sarebbe stato eliminare almeno alcune di queste complicazioni.
Peccato perché, tutto sommato, si tratta di un buon lavoro.
Secondo Mojo il film è stato un flop negli USA, dove si è piazzato al 117° posto nel 2007. Fortunatamente per i produttori il mercato mondiale ha reagito meglio, portando il titolo al 72° posto complessivo.
Avatar
Difficile a credersi, ma Avatar ha fatto più successo nel resto del mondo che negli USA, e non perché gli Stati Uniti siano stati freddini. Mojo lo riporta al numero uno in tutte le classifiche di genere in cui lo cataloga, oltre che a indicarlo come incasso maggiore per il 2009 negli USA, e nel resto del mondo. Ma se negli USA ha incassato la cifra stratosferica di quasi 760 milioni, nel resto del mondo ha superato l'incredibile risultato di due miliardi di dollari.
Nella sola Italia, stagione 2009/2010, il lavoro di James Cameron ha incassato quasi 66 milioni di euro, come riporta il box office di mymovies.it
Che cos'ha di così strepitoso questo film? Non certo la storia, banalotta, e neppure il 3D, che pure ha il suo fascino. Probabilmente Pandora, il mondo inventato da Cameron che è una vera festa per gli occhi.
Ma forse quello che resterà di questo film tra un decennio o più sarà l'ennesimo passo fatto dall'animazione all'interno del cinema con personaggi in carne e ossa. Il confine diventa sempre più sfumato e sembra che manchi poco al tempo in cui gli attori umani avranno un ruolo importante solo nel fornire la voce. E chi vuole vedere vera recitazione tornerà al teatro. Uno scenario che non mi dispiace.
Nota che i personaggi principali, Sam Worthington e Zoë Saldana, non sono attori di primo piano - la Saldana ha avuto parti secondarie in film importanti come The Terminal, e l'ultimo Star Trek (oltre che altri non disprezzabili come Vantage Point). Mentre i comprimari, per cui è più importante la presenza scenica, sono a parte Michelle Rodriguez (ottima comprimaria), il ben noto Giovanni Ribisi, che ormai si becca sempre le parti del piccoletto cattivello, e la superstar Sigourney Weaver (curiosamente, anche lei presente in Vantage Point, con un piccolo ma significativo ruolo di raccordo).
Si sta dunque tendendo al paradosso che vede i nomi più conosciuti a fare i comprimari, dato che i protagonisti hanno altri mezzi espressivi da usare.
Dicevo che la storia, in sé, non è un granché. Alcuni hanno fatto il parallelo con Pocahontas, secondo me il paragone è ingeneroso verso il cartone della Disney, ma evidenzia correttamente l'aspetto dello scontro di civiltà, una più tecnologizzata, l'altra più in sintonia con la natura.
Altri hanno visto nel film un richiamo a temi di attualità, indicando una condanna delle azioni statunitensi di guerra preventiva e di espropriazione delle risorse altrui. Lette pure interpretazioni in stile new-age, dove il punto della situazione sarebbe il ritorno alla natura.
Il problema è che è tutto vero. Nel film ci sono tutti questi temi, e chissà quanti altri ancora, ma nessuno di questi mi sembra fondamentale. Sono piuttosto richiami messi lì per compiacere lo spettatore.
Direi quindi di non perdere troppo tempo a cercare un senso in Avatar, ma di aprire bene gli occhi e godersi lo spettacolo.
Nella sola Italia, stagione 2009/2010, il lavoro di James Cameron ha incassato quasi 66 milioni di euro, come riporta il box office di mymovies.it
Che cos'ha di così strepitoso questo film? Non certo la storia, banalotta, e neppure il 3D, che pure ha il suo fascino. Probabilmente Pandora, il mondo inventato da Cameron che è una vera festa per gli occhi.
Ma forse quello che resterà di questo film tra un decennio o più sarà l'ennesimo passo fatto dall'animazione all'interno del cinema con personaggi in carne e ossa. Il confine diventa sempre più sfumato e sembra che manchi poco al tempo in cui gli attori umani avranno un ruolo importante solo nel fornire la voce. E chi vuole vedere vera recitazione tornerà al teatro. Uno scenario che non mi dispiace.
Nota che i personaggi principali, Sam Worthington e Zoë Saldana, non sono attori di primo piano - la Saldana ha avuto parti secondarie in film importanti come The Terminal, e l'ultimo Star Trek (oltre che altri non disprezzabili come Vantage Point). Mentre i comprimari, per cui è più importante la presenza scenica, sono a parte Michelle Rodriguez (ottima comprimaria), il ben noto Giovanni Ribisi, che ormai si becca sempre le parti del piccoletto cattivello, e la superstar Sigourney Weaver (curiosamente, anche lei presente in Vantage Point, con un piccolo ma significativo ruolo di raccordo).
Si sta dunque tendendo al paradosso che vede i nomi più conosciuti a fare i comprimari, dato che i protagonisti hanno altri mezzi espressivi da usare.
Dicevo che la storia, in sé, non è un granché. Alcuni hanno fatto il parallelo con Pocahontas, secondo me il paragone è ingeneroso verso il cartone della Disney, ma evidenzia correttamente l'aspetto dello scontro di civiltà, una più tecnologizzata, l'altra più in sintonia con la natura.
Altri hanno visto nel film un richiamo a temi di attualità, indicando una condanna delle azioni statunitensi di guerra preventiva e di espropriazione delle risorse altrui. Lette pure interpretazioni in stile new-age, dove il punto della situazione sarebbe il ritorno alla natura.
Il problema è che è tutto vero. Nel film ci sono tutti questi temi, e chissà quanti altri ancora, ma nessuno di questi mi sembra fondamentale. Sono piuttosto richiami messi lì per compiacere lo spettatore.
Direi quindi di non perdere troppo tempo a cercare un senso in Avatar, ma di aprire bene gli occhi e godersi lo spettacolo.
Mary e Max
Uno tra i molti pregi di questo bel film è anche nella notevole colonna sonora. Ad esempio il brano sui titoli d'apertura è il notevole Perpetuum Mobile della Penguin Cafe Orchestra, che qui di seguito possiamo ascoltare in un trailer che integra altre scene da Max and Mary:
Come si può notare, è un film di animazione in passo uno, tecnica di cui tempo fa eravamo maestri in Italia. Adesso pare che i lavori più interessanti vengano da posti inaspettati, in questo caso dall'Australia.
Nonostante che il prodotto sia di notevole fattura, e che abbia ricevuto pure premi di un certo spessore (tra cui spicca quello di Annecy e la menzione speciale per l'orso di cristallo di Berlino), non è stato distribuito con molta convinzione.
La storia narrata è quella di una bambina australiana che fa amicizia via posta (rigorosamente non elettronica) con uno stralunato newyorkese la cui passione principale è per gli hot-dog al cioccolato - una sua ricetta personale. Gli avvenimenti, anche terribili, che legano i nostri due eroi sono narrati in un modo scanzonato, divertito e divertente.
Sceneggiatura e regia di Adam Elliot, voci note come quelle di Philip Seymour Hoffman ed Eric Bana.
Come si può notare, è un film di animazione in passo uno, tecnica di cui tempo fa eravamo maestri in Italia. Adesso pare che i lavori più interessanti vengano da posti inaspettati, in questo caso dall'Australia.
Nonostante che il prodotto sia di notevole fattura, e che abbia ricevuto pure premi di un certo spessore (tra cui spicca quello di Annecy e la menzione speciale per l'orso di cristallo di Berlino), non è stato distribuito con molta convinzione.
La storia narrata è quella di una bambina australiana che fa amicizia via posta (rigorosamente non elettronica) con uno stralunato newyorkese la cui passione principale è per gli hot-dog al cioccolato - una sua ricetta personale. Gli avvenimenti, anche terribili, che legano i nostri due eroi sono narrati in un modo scanzonato, divertito e divertente.
Sceneggiatura e regia di Adam Elliot, voci note come quelle di Philip Seymour Hoffman ed Eric Bana.
The Kingdom
Esplosioni, spari e ammazzamenti ce ne sono in quantità. Anche se c'è da dire che, da questo punto di vista, il film è un po' sbilanciato. È una sorta di ibrido tra un film investigativo e militare, abbiamo quindi il crimine all'inizio - un attentato antioccidentale in Arabia Saudita - e una indagine che porta ad una soluzione intermedia. A questo punto inizia la seconda parte, con un altro attentato - questa volta contro il team che stava risolvendo il caso - a cui segue una operazione militare con conclusione della vicenda.
Il trailer mescola le carte ma dà comunque un idea di cosa ci si può aspettare:
Lo svolgimento della storia è un po' dissociato: da un lato è il tipico film d'azione buoni contro cattivi; dall'altro si alzano bandierine nella direzione opposta - ci sono sauditi tra i buoni, e soprattutto il finale dice (a chi vuole capirlo) quanto quell'azione di forza dei buoni sia stata non solo poco utile, ma addirittura paragonabile all'attentato stesso fatto dai cattivi all'inizio del film.
Sembra dunque un film che voglia fare contenti tutti. Ma spesso a voler far contenti tutti si finisce per non far contento nessuno.
Ruolo principale affidato a Jamie Foxx, che ne esce bene, affiancato da veterani del genere, come Chris Cooper. Da mojo vediamo che il titolo ha avuto più successo negli USA che non nel resto del mondo ed ha ottenuto, tutto considerato, un risultato medio, piazzandosi al 61° posto nel mondo.
Il trailer mescola le carte ma dà comunque un idea di cosa ci si può aspettare:
Lo svolgimento della storia è un po' dissociato: da un lato è il tipico film d'azione buoni contro cattivi; dall'altro si alzano bandierine nella direzione opposta - ci sono sauditi tra i buoni, e soprattutto il finale dice (a chi vuole capirlo) quanto quell'azione di forza dei buoni sia stata non solo poco utile, ma addirittura paragonabile all'attentato stesso fatto dai cattivi all'inizio del film.
Sembra dunque un film che voglia fare contenti tutti. Ma spesso a voler far contenti tutti si finisce per non far contento nessuno.
Ruolo principale affidato a Jamie Foxx, che ne esce bene, affiancato da veterani del genere, come Chris Cooper. Da mojo vediamo che il titolo ha avuto più successo negli USA che non nel resto del mondo ed ha ottenuto, tutto considerato, un risultato medio, piazzandosi al 61° posto nel mondo.
Shrek terzo
Terzo episodio della saga di Shrek, "Shrek The Third" in originale, non il migliore ma comunque divertente. Anche se potrebbe reggere alla visione preso da solo, conviene certamente vedersi prima gli altri due episodi, che risalgono rispettivamente al 2001 e al 2004.
Del resto anche il trailer italiano qui a seguire, prima di presentare questo episodio, fa un rapido riepilogo di quello che è successo in precedenza:
Se possibile, sarebbe meglio vederlo in originale, dove le voci sono di Mike Myers (Shrek), Cameron Diaz (Fiona), Eddie Murphie (Ciuchino), Antonio Banderas (Gatto con gli stivali), Julie Andrews (Regina), John Cleese (Re Ranocchio), Rupert Everett (Principe Azzurro), Eric Idle (Merlino), Justin Timberlake (! - Artù), e perfino Larry King che dà voce a Doris, "sorella" di Cenerentola.
In breve la storia: Re Ranocchio tira gli ultimi, e passerebbe con gioia lo scettro a Shrek, ma questi non si sente per niente portato alla vita di corte e non vede l'ora di tornare alla sua baracca. Ci sarebbe un cugino, Artù, che potrebbe prendere il posto, e dunque l'orco, dopo il funerale del ranocchio (che viene accompagnato da un coro di rane che cantano "Live and let die" di Paul McCartney - già colonna sonora dell'episodio di James Bond dallo stesso titolo) parte per andarlo a recuperare.
A complicare le cose, arriva la notizia che Fiona è incinta e Shrek teme di non essere un buon padre - ricordando che il di lui padre, da buon orco, aveva cercato di mangiarselo; inoltre il Principe Azzurro fa un golpe, si nomina re e vuole vendicarsi di tutti, e soprattutto di Shrek. C'è poi il particolare che Artù non sembra per niente all'altezza del compito di futuro re.
La matassa è piuttosto ingarbugliata, ma si svolge in modo molto lineare, per arrivare alla conclusione attesa: Artù supera i suoi problemi e diventa re; Shrek accetta la paternità e diventa un buon padre (di ben tre orchetti); il Principe Azzurro si prende una torre in testa (sembra una citazione di Hook 1991, dove capitano Uncino finisce allo stesso modo).
Curioso notare come al botteghino il risultato di questo episodio sia stato nettamente peggiore di quello precedente negli USA, mentre nel resto del mondo sono stati apprezzati circa nello stesso modo. Trend che sembra confermato anche nell'episodio successivo. Pare che gli americani non si siano affezionati all'orco verde come hanno fatto gli spettatori del resto del mondo. Ancor più curioso notare come, nonostante ciò, in termini di piazzamento il film abbia fatto meglio nei soli USA, dove quell'anno ha segnato un secondo posto, che in tutto il mondo (quarto).
Del resto anche il trailer italiano qui a seguire, prima di presentare questo episodio, fa un rapido riepilogo di quello che è successo in precedenza:
Se possibile, sarebbe meglio vederlo in originale, dove le voci sono di Mike Myers (Shrek), Cameron Diaz (Fiona), Eddie Murphie (Ciuchino), Antonio Banderas (Gatto con gli stivali), Julie Andrews (Regina), John Cleese (Re Ranocchio), Rupert Everett (Principe Azzurro), Eric Idle (Merlino), Justin Timberlake (! - Artù), e perfino Larry King che dà voce a Doris, "sorella" di Cenerentola.
In breve la storia: Re Ranocchio tira gli ultimi, e passerebbe con gioia lo scettro a Shrek, ma questi non si sente per niente portato alla vita di corte e non vede l'ora di tornare alla sua baracca. Ci sarebbe un cugino, Artù, che potrebbe prendere il posto, e dunque l'orco, dopo il funerale del ranocchio (che viene accompagnato da un coro di rane che cantano "Live and let die" di Paul McCartney - già colonna sonora dell'episodio di James Bond dallo stesso titolo) parte per andarlo a recuperare.
A complicare le cose, arriva la notizia che Fiona è incinta e Shrek teme di non essere un buon padre - ricordando che il di lui padre, da buon orco, aveva cercato di mangiarselo; inoltre il Principe Azzurro fa un golpe, si nomina re e vuole vendicarsi di tutti, e soprattutto di Shrek. C'è poi il particolare che Artù non sembra per niente all'altezza del compito di futuro re.
La matassa è piuttosto ingarbugliata, ma si svolge in modo molto lineare, per arrivare alla conclusione attesa: Artù supera i suoi problemi e diventa re; Shrek accetta la paternità e diventa un buon padre (di ben tre orchetti); il Principe Azzurro si prende una torre in testa (sembra una citazione di Hook 1991, dove capitano Uncino finisce allo stesso modo).
Curioso notare come al botteghino il risultato di questo episodio sia stato nettamente peggiore di quello precedente negli USA, mentre nel resto del mondo sono stati apprezzati circa nello stesso modo. Trend che sembra confermato anche nell'episodio successivo. Pare che gli americani non si siano affezionati all'orco verde come hanno fatto gli spettatori del resto del mondo. Ancor più curioso notare come, nonostante ciò, in termini di piazzamento il film abbia fatto meglio nei soli USA, dove quell'anno ha segnato un secondo posto, che in tutto il mondo (quarto).
2012
Per i soli amanti del genere catastrofico, direi. La storia è evidentemente pensata per avere un certo appeal in tutto il mondo, e i risultati economici hanno dato ragione ai produttori, dato che (mojo docet) il film ha fatto l'80% dei suoi cospicui incassi fuori dagli Stati Uniti.
Il progetto è praticamente tutto nelle mani di Roland Emmerich (regia, sceneggiatura, produzione), una garanzia per titoli di questo tipo, basti ricordare The Day After Tomorrow, Godzilla, Indipendence Day.
Se sono piaciuti gli altri, probabilmente piacerà anche questo.
Un buon cast che include John Cusack, nel ruolo del protagonista, e Danny Glover che fa niente meno che il presidente degli Stati Uniti.
Una curiosità riguarda il personaggio del primo ministro italiano, che è interpretato da Leonardo Tenisci, un attore canadese di origine italiana, ma la cui voce, nell'orginale, è resa da Peter Arpesella.
Questo il trailer, che dà un buon riassunto della vicenda:
Come spesso accade nei film di questo genere, la storia è un dettaglio tutto sommato secondario. Quello che importa sono i danni che vengono inflitti all'ambiente circostante, e qui, bisogna dire, si raggiunge un livello molto alto, viene infatti distrutto gran parte del mondo. La dovizia di particolari mostrata è notevole, e ognuno ha modo di deliziarsi vedendo cadere a pezzi un qualche angolo del pianeta a lui particolarmente noto. Per gli italiani questo potrebbe essere il cupolone di San Pietro, che schiaccerà Papa e primo ministro.
L'idea è quella che i Maya ci avrebbero azzeccato e che in effetti il mondo, come noi lo conosciamo, sia davvero destinato a finire nel 2012. In questa ricostruzione il motivo sarebbe da imputarsi al riscaldamento del nucleo della Terra a causa della radiazione solare (ma, come si diceva, tutto ciò è secondario).
I governi dei Paesi ricchi costruiscono alcune gigantesche arche per salvare una minima parte della popolazione mondiale, nascondendo l'informazione al resto di noi poveri disgraziati (così ci mettiamo dentro anche un'ipotesi di complotto universale). Ad essere salvati saranno i ricchi, i potenti, e coloro che sono considerati necessari alla ricostruzione del pianeta.
Tra le lodevoli eccezioni ci sono il presidente degli Stati Uniti, che all'ultimo momento decide che sia meglio restare con i disgraziati a cui non è stato concesso un biglietto per la salvezza; il Papa che preferisce stare a fare una bella messa finale; il primo ministro italiano, che però non si capisce bene perché preferisca andare a farsi schiacciare da San Pietro; e un bieco miliardario russo, che all'ultimo momento scopre di non essere così scontento di restare fuori dal salvataggio, se al suo posto ce la fanno i suoi figli.
Il personaggio interpretato da Cusack entra di straforo nella vicenda. Si tratta infatti di un tizio dalla vita complicata che per puro caso riesce a trovare le informazioni giuste (un complottologo catastrofista gli dice del disastro in arrivo e gli fornisce la mappa per trovare dove sono le arche) e i mezzi (fa anche l'autista del miliardario russo di cui sopra che ha pagato il biglietto) per raggiungere salvezza. Dopo molte peripezie e drammi vari riesce a rimettere insieme a sua famigliola (aveva divorziato) e salvare la pellaccia.
Si è piazzato al 15° posto nelle classifiche americane per incassi del 2009, e addirittura al 5° a livello planetario. Ma il risultato è ancora migliore di quello che sembra, visto che il film è stato lanciato a metà novembre, e quindi la sua vita cinematografica s'è svolta a cavallo tra il 2009 e il 2010.
Il progetto è praticamente tutto nelle mani di Roland Emmerich (regia, sceneggiatura, produzione), una garanzia per titoli di questo tipo, basti ricordare The Day After Tomorrow, Godzilla, Indipendence Day.
Se sono piaciuti gli altri, probabilmente piacerà anche questo.
Un buon cast che include John Cusack, nel ruolo del protagonista, e Danny Glover che fa niente meno che il presidente degli Stati Uniti.
Una curiosità riguarda il personaggio del primo ministro italiano, che è interpretato da Leonardo Tenisci, un attore canadese di origine italiana, ma la cui voce, nell'orginale, è resa da Peter Arpesella.
Questo il trailer, che dà un buon riassunto della vicenda:
Come spesso accade nei film di questo genere, la storia è un dettaglio tutto sommato secondario. Quello che importa sono i danni che vengono inflitti all'ambiente circostante, e qui, bisogna dire, si raggiunge un livello molto alto, viene infatti distrutto gran parte del mondo. La dovizia di particolari mostrata è notevole, e ognuno ha modo di deliziarsi vedendo cadere a pezzi un qualche angolo del pianeta a lui particolarmente noto. Per gli italiani questo potrebbe essere il cupolone di San Pietro, che schiaccerà Papa e primo ministro.
L'idea è quella che i Maya ci avrebbero azzeccato e che in effetti il mondo, come noi lo conosciamo, sia davvero destinato a finire nel 2012. In questa ricostruzione il motivo sarebbe da imputarsi al riscaldamento del nucleo della Terra a causa della radiazione solare (ma, come si diceva, tutto ciò è secondario).
I governi dei Paesi ricchi costruiscono alcune gigantesche arche per salvare una minima parte della popolazione mondiale, nascondendo l'informazione al resto di noi poveri disgraziati (così ci mettiamo dentro anche un'ipotesi di complotto universale). Ad essere salvati saranno i ricchi, i potenti, e coloro che sono considerati necessari alla ricostruzione del pianeta.
Tra le lodevoli eccezioni ci sono il presidente degli Stati Uniti, che all'ultimo momento decide che sia meglio restare con i disgraziati a cui non è stato concesso un biglietto per la salvezza; il Papa che preferisce stare a fare una bella messa finale; il primo ministro italiano, che però non si capisce bene perché preferisca andare a farsi schiacciare da San Pietro; e un bieco miliardario russo, che all'ultimo momento scopre di non essere così scontento di restare fuori dal salvataggio, se al suo posto ce la fanno i suoi figli.
Il personaggio interpretato da Cusack entra di straforo nella vicenda. Si tratta infatti di un tizio dalla vita complicata che per puro caso riesce a trovare le informazioni giuste (un complottologo catastrofista gli dice del disastro in arrivo e gli fornisce la mappa per trovare dove sono le arche) e i mezzi (fa anche l'autista del miliardario russo di cui sopra che ha pagato il biglietto) per raggiungere salvezza. Dopo molte peripezie e drammi vari riesce a rimettere insieme a sua famigliola (aveva divorziato) e salvare la pellaccia.
Si è piazzato al 15° posto nelle classifiche americane per incassi del 2009, e addirittura al 5° a livello planetario. Ma il risultato è ancora migliore di quello che sembra, visto che il film è stato lanciato a metà novembre, e quindi la sua vita cinematografica s'è svolta a cavallo tra il 2009 e il 2010.
Mosca a New York
Difficile sostenere che si tratti di un capolavoro, ma è comunque un buon film. Gran parte del peso è posto sulle spalle di Robin Williams che, pur essendo al tempo relativamente ancora giovane, regge bene al compito; cosa che è stata confermata dall'unica nomination strappata per il Golden Globe al ruolo di protagonista in una commedia (premio vinto in quell'occasione da Dudley Moore per Micki e Maude - della serie non è che le giurie dei premi siano poi sempre molto affidabili).
Come si capisce dal titolo, in originale "Moscow on the Hudson", si tratta della storia di un moscovita - interpretato da Robin Williams - che defeziona dall'Unione Sovietica per affrontare la vita newyorkese. Ci sono alti e bassi, la nostalgia per la famiglia, gli amici, la vita precedente abbandonata, i nuovi incontri, nuovi amici, nuove occasioni. Capitano una serie di disavventure, ma il lieto fine arriva a concludere la storia.
Nonostante che Robin Williams non sia esattamente russo a me, che russo non sono, è risultato credibile nel suo ruolo. Da notare che anche il principale ruolo femminile, Maria Conchita Alonso (nata a Cuba, cresciuta in Venezuela) interpreti un personaggio che nell'originale dice di essere abruzzese, anche lei in modo tutto sommato accettabile.
La regia e la sceneggiatura sono di Paul Mazursky.
Qui il trailer, in inglese:
La storia inizia su un autobus newyorkese, dove un tale, probabilmente francese, chiede a Williams delle indicazioni. Lui gliele dà, e poi parte un lungo flash back sugli ultimi suoi giorni a Mosca. Scopriamo così che suonava il sassofono in un circo, e abbiamo uno spaccato sulla vita sovietica di quei tempi. Si può capire quanto la rappresentazione sia stata percepita come realistica (lunghe code per comprare carta igienica o scarpe) considerando il fatto che il film, ai tempi, era nella lista di quelli che non potevano essere visti in Unione Sovietica.
Il suo circo va in tournée a New York, e il KGB gli chiede di tenere sott'occhio il clown, suo amico, in quanto cova, nemmeno troppo nascostamente, il desiderio di defezionare. Giunto il momento di prendere una decisione, il clown non riesce "a spiccare il volo" e si appresta a riprendere l'autobus che li porterà all'aeroporto. Inaspettatamente Williams decide che sarà lui a lasciare tutto per rifarsi lì una nuova vita.
Il film merita di essere visto in originale, dato che un punto importante del film è come New York sia un gran rimescolamento di gente proveniente da tutto il mondo, e le parlate dei vari personaggi aiutano a rendere la confusione relativa.
Una parte molto interessante è quella dove ci viene mostrata la naturalizzazione del personaggio interpretato dalla Alonso, sia per la gioia che si vede nei neo-americani per l'obiettivo che hanno raggiunto, sia per quello che può sembrare un incomprensibile atteggiamento della neo-americana che scarica il sassofonista russo, in quanto non gli sembra più adeguato per il suo nuovo status. Ora sono americana, questo è il succo del ragionamento, non posso certo mischiarmi con un immigrato.
Per fortuna fa parte del lieto fine il fatto che la Alonso superi il bizzarro sentimento di superiorità che le ha dato la cittadinanza americana e torni da Williams.
E' un film vecchiotto ma ancora valido sotto molti aspetti. I cambiamenti principali dei quali ottiene tener conto è che URSS non esiste più, e quindi un russo difficilmente può far richiesta per asilo politico; e inoltre dopo l'undici settembre non è così facile, nemmeno per un italiana, ottenere la sponsorizzazione ad un visto per vivere negli USA. Nel film la Alonso sfrutta uno zio che lavora nelle pompe funebri, oggi credo che questo sarebbe impossibile.
Non è stato un successo eclatante, ma comunque negli USA il film ha ottenuto un non disprezzabile 42° posto nell'anno d'uscita. La fonte è il solito mojo.
Si potrebbe fare un parallelo tra questa pellicola e The Terminal di Spielberg che narra, a suo modo, una storia che ha qualche cosa in comune con questa. Francamente tra i due film io farei risultare vincitore questo.
Come si capisce dal titolo, in originale "Moscow on the Hudson", si tratta della storia di un moscovita - interpretato da Robin Williams - che defeziona dall'Unione Sovietica per affrontare la vita newyorkese. Ci sono alti e bassi, la nostalgia per la famiglia, gli amici, la vita precedente abbandonata, i nuovi incontri, nuovi amici, nuove occasioni. Capitano una serie di disavventure, ma il lieto fine arriva a concludere la storia.
Nonostante che Robin Williams non sia esattamente russo a me, che russo non sono, è risultato credibile nel suo ruolo. Da notare che anche il principale ruolo femminile, Maria Conchita Alonso (nata a Cuba, cresciuta in Venezuela) interpreti un personaggio che nell'originale dice di essere abruzzese, anche lei in modo tutto sommato accettabile.
La regia e la sceneggiatura sono di Paul Mazursky.
Qui il trailer, in inglese:
La storia inizia su un autobus newyorkese, dove un tale, probabilmente francese, chiede a Williams delle indicazioni. Lui gliele dà, e poi parte un lungo flash back sugli ultimi suoi giorni a Mosca. Scopriamo così che suonava il sassofono in un circo, e abbiamo uno spaccato sulla vita sovietica di quei tempi. Si può capire quanto la rappresentazione sia stata percepita come realistica (lunghe code per comprare carta igienica o scarpe) considerando il fatto che il film, ai tempi, era nella lista di quelli che non potevano essere visti in Unione Sovietica.
Il suo circo va in tournée a New York, e il KGB gli chiede di tenere sott'occhio il clown, suo amico, in quanto cova, nemmeno troppo nascostamente, il desiderio di defezionare. Giunto il momento di prendere una decisione, il clown non riesce "a spiccare il volo" e si appresta a riprendere l'autobus che li porterà all'aeroporto. Inaspettatamente Williams decide che sarà lui a lasciare tutto per rifarsi lì una nuova vita.
Il film merita di essere visto in originale, dato che un punto importante del film è come New York sia un gran rimescolamento di gente proveniente da tutto il mondo, e le parlate dei vari personaggi aiutano a rendere la confusione relativa.
Una parte molto interessante è quella dove ci viene mostrata la naturalizzazione del personaggio interpretato dalla Alonso, sia per la gioia che si vede nei neo-americani per l'obiettivo che hanno raggiunto, sia per quello che può sembrare un incomprensibile atteggiamento della neo-americana che scarica il sassofonista russo, in quanto non gli sembra più adeguato per il suo nuovo status. Ora sono americana, questo è il succo del ragionamento, non posso certo mischiarmi con un immigrato.
Per fortuna fa parte del lieto fine il fatto che la Alonso superi il bizzarro sentimento di superiorità che le ha dato la cittadinanza americana e torni da Williams.
E' un film vecchiotto ma ancora valido sotto molti aspetti. I cambiamenti principali dei quali ottiene tener conto è che URSS non esiste più, e quindi un russo difficilmente può far richiesta per asilo politico; e inoltre dopo l'undici settembre non è così facile, nemmeno per un italiana, ottenere la sponsorizzazione ad un visto per vivere negli USA. Nel film la Alonso sfrutta uno zio che lavora nelle pompe funebri, oggi credo che questo sarebbe impossibile.
Non è stato un successo eclatante, ma comunque negli USA il film ha ottenuto un non disprezzabile 42° posto nell'anno d'uscita. La fonte è il solito mojo.
Si potrebbe fare un parallelo tra questa pellicola e The Terminal di Spielberg che narra, a suo modo, una storia che ha qualche cosa in comune con questa. Francamente tra i due film io farei risultare vincitore questo.
Jersey Girl
Si tratta fondamentalmente di una commedia che sarebbe forse catalogabile come chick-flick, se non fosse per il fatto che la regia e la sceneggiatura sono di Kevin Smith. Proprio quel Kevin Smith che è più noto per film come Clerks (di cui Clerks 2 è un buon seguito) e Dogma.
Dunque, pur essendo essendo una storia piuttosto classica, ci si può aspettare che venga interpretata in un modo abbastanza non convenzionale. E direi che le aspettative non restano deluse.
Il trailer dà un'idea abbastanza ragionevole del film:
Uno dei temi trattati è il contrasto tra New York, la grande città, e il New Jersey, la provincia. Un po' come Il ragazzo di campagna interpretato da Renato Pozzetto nel 1984, a ben vedere. Anche se qui si usano registri diversi.
Il cast rispecchia appieno l'ambientazione. Ben Affleck è il protagonista. Un PR musicale al top della carriera che, trovatosi in una situazione oggettivamente difficile, sbarella e si brucia ogni possibilità (gli dicono che avrebbero più probabilità di trovar lavoro quelli che hanno curato l'immagine di Adolf Hitler). Jennifer Lopez è la moglie (una particina, in realtà, sparisce di scena quasi subito). Jason Biggs (noto per la saga dell'American Pie) è il collega (anche questa una parte minore). George Carlin, a noi praticamente sconosciuto ma negli US piuttosto noto come comico radiofonico-televisivo, è il padre che vive in un paesino nel New Jersey e che fa lega con un paio di colleghi, tra cui Mike Starr, un comprimario a cui spesso sono assegnate parti da mafioso italoamericano, con un lungo curriculum (tra cui: Scemo e + scemo, Ed Wood, Goodfellas, Crocevia della morte). Liv Tyler (era Arven nel Signore degli anelli) è una tipa un po' svitata con cui (forse) l'ex PR raggiungerà un nuovo equilibrio.
Inoltre ci sono un paio di cameo di tutto rispetto: Matt Damon nella parte di un PR che si fa beffe di Affleck, e Will Smith nella parte di sé stesso.
I fatti stanno più o meno così:
Affleck conosce JLo, entrambi newyorkesi in carriera, passione furibonda. La porta nel New Jersey e le presenta il padre, che di mestiere fa l'operaio comunale. Decidono di sposarsi e, contemporaneamente, concepiscono la Jersey Girl del titolo. Fino a qui tutto bene, piccoli screzi tra i futuri genitori per i soliti motivi, lei sconvolta da come il pancione impatta sulla sua vita sociale, lui che non riesce a calibrare bene il suo ruolo di futuro padre con il lavoro. Il fatto è che la nascita della bambina coincide con la morte della madre.
Affleck si butta sul lavoro ma la cosa ha effetti disastrosi sia sulla famiglia, trascura completamente la figlia, sia sul lavoro, che affronta in maniera troppo aggressiva. In seguito ad un ritardo di Will Smith ad un evento organizzato da Affleck, questi si trova a dover affrontare una platea di giornalisti furibondi, e risponde in modo così rude da perdere il lavoro e ogni possibilità di restare nel giro.
Torna allora al paese, si dedica alla figlia e si mette a lavorare con il padre.
Sei anni dopo lo ritroviamo ancora nella stessa situazione. Va ad un colloquio solo per scoprire che i due che l'hanno convocato volevano scoprire se lui era davvero quello che sei anni prima aveva fatto quel macello. Tutto questo era il prologo, la storia vera e propria parte adesso. Lui vorrebbe ancora tornare a NY, alla sua vecchia vita, ma la figlia non sente nessuna attrazione per la città, e vorrebbe stare nel suo paesino nel NJ. E Affleck alla fine dovrà decidere se puntare sulla sua carriera, e presumibilmente trascurare la figlia e un possibile nuovo amore, o meno. Sarà una chiacchierara con Will Smith a fargli prendere la decisione.
Non mi non sembra che sia stato un gran successo. Forse il pubblico è rimasto sorpreso dal tipo di film (siamo nell'area della commedia romantica per famiglie) quando il regista lascia prevedere ben altre cose. Peccato, perché non è malaccio.
Altre informazioni sul sito ufficiale del film, in inglese.
Dunque, pur essendo essendo una storia piuttosto classica, ci si può aspettare che venga interpretata in un modo abbastanza non convenzionale. E direi che le aspettative non restano deluse.
Il trailer dà un'idea abbastanza ragionevole del film:
Uno dei temi trattati è il contrasto tra New York, la grande città, e il New Jersey, la provincia. Un po' come Il ragazzo di campagna interpretato da Renato Pozzetto nel 1984, a ben vedere. Anche se qui si usano registri diversi.
Il cast rispecchia appieno l'ambientazione. Ben Affleck è il protagonista. Un PR musicale al top della carriera che, trovatosi in una situazione oggettivamente difficile, sbarella e si brucia ogni possibilità (gli dicono che avrebbero più probabilità di trovar lavoro quelli che hanno curato l'immagine di Adolf Hitler). Jennifer Lopez è la moglie (una particina, in realtà, sparisce di scena quasi subito). Jason Biggs (noto per la saga dell'American Pie) è il collega (anche questa una parte minore). George Carlin, a noi praticamente sconosciuto ma negli US piuttosto noto come comico radiofonico-televisivo, è il padre che vive in un paesino nel New Jersey e che fa lega con un paio di colleghi, tra cui Mike Starr, un comprimario a cui spesso sono assegnate parti da mafioso italoamericano, con un lungo curriculum (tra cui: Scemo e + scemo, Ed Wood, Goodfellas, Crocevia della morte). Liv Tyler (era Arven nel Signore degli anelli) è una tipa un po' svitata con cui (forse) l'ex PR raggiungerà un nuovo equilibrio.
Inoltre ci sono un paio di cameo di tutto rispetto: Matt Damon nella parte di un PR che si fa beffe di Affleck, e Will Smith nella parte di sé stesso.
I fatti stanno più o meno così:
Affleck conosce JLo, entrambi newyorkesi in carriera, passione furibonda. La porta nel New Jersey e le presenta il padre, che di mestiere fa l'operaio comunale. Decidono di sposarsi e, contemporaneamente, concepiscono la Jersey Girl del titolo. Fino a qui tutto bene, piccoli screzi tra i futuri genitori per i soliti motivi, lei sconvolta da come il pancione impatta sulla sua vita sociale, lui che non riesce a calibrare bene il suo ruolo di futuro padre con il lavoro. Il fatto è che la nascita della bambina coincide con la morte della madre.
Affleck si butta sul lavoro ma la cosa ha effetti disastrosi sia sulla famiglia, trascura completamente la figlia, sia sul lavoro, che affronta in maniera troppo aggressiva. In seguito ad un ritardo di Will Smith ad un evento organizzato da Affleck, questi si trova a dover affrontare una platea di giornalisti furibondi, e risponde in modo così rude da perdere il lavoro e ogni possibilità di restare nel giro.
Torna allora al paese, si dedica alla figlia e si mette a lavorare con il padre.
Sei anni dopo lo ritroviamo ancora nella stessa situazione. Va ad un colloquio solo per scoprire che i due che l'hanno convocato volevano scoprire se lui era davvero quello che sei anni prima aveva fatto quel macello. Tutto questo era il prologo, la storia vera e propria parte adesso. Lui vorrebbe ancora tornare a NY, alla sua vecchia vita, ma la figlia non sente nessuna attrazione per la città, e vorrebbe stare nel suo paesino nel NJ. E Affleck alla fine dovrà decidere se puntare sulla sua carriera, e presumibilmente trascurare la figlia e un possibile nuovo amore, o meno. Sarà una chiacchierara con Will Smith a fargli prendere la decisione.
Non mi non sembra che sia stato un gran successo. Forse il pubblico è rimasto sorpreso dal tipo di film (siamo nell'area della commedia romantica per famiglie) quando il regista lascia prevedere ben altre cose. Peccato, perché non è malaccio.
Altre informazioni sul sito ufficiale del film, in inglese.
Nel paese delle creature selvagge
Negli Stati Uniti il racconto per bambini da cui il film è ispirato, "Where the Wild Things Are" è popolarissimo. E' la tipica storia da raccontare ai bambini per farli addormentare. Non è altrettanto famoso fuori dai confini nazionali, e questo spiega come mai il relativo successo del film sia centrato negli USA.
A dire il vero, la versione cinematografica ha ben poco a cui spartire con il racconto, se non una certa atmosfera. Anche perché sarebbe stato obiettivamente praticamente impossibile tirar fuori un lungometraggio da un racconto così breve.
Tradotta in parole la storia narrata è davvero minimale. Un ragazzino inquieto, probabilmente a causa del divorzio dei genitori, vive una giornata invernale un po' troppo solitaria e deprimente. A sera si comporta male, per attirare l'attenzione materna, che a lui sembra troppo distratta, finendo per morderla. Corre fuori di casa, in una bizzarra tutina, e si immagina di andare in una landa misteriosa dove abitano buffe creature selvagge. Vive con loro strane avventure e alla fine torna a casa dalla madre che lo aspetta.
Il trailer dà una buona immagine di quello che accade, anche se fa pensare ad un film più movimentato di quel che in realtà sia:
In teoria si dovrebbe trattare di un film per bambini, ma credo che risulti più interessante per chi abbia un ricordo della sua infanzia - magari mediato dalla lettura del racconto originale - sia esso vicino o lontano. Anche se, chissà, ai bambini potrebbe piacere la storia-non storia delle creature selvagge, che ha un andamento un po' da Teletubbies.
Come dichiara anche Maurice Sendak, l'autore del racconto originale, il film è da considerarsi soprattutto un'opera di Spike Jonze, che ha curato la regia e la sceneggiatura (affiancato da Dave Eggers). Sì, si tratta proprio dello Spike Jonze noto per essere una delle "menti" di Jackass.
A livello mondiale, secondo mojo, il film ha avuto nel 2009 un risultato mediocre, se si considera l'investimento non indifferente, classificandosi al sessantesimo posto. Come si diceva, negli USA è andato meglio, e viene indicato al 41° posto. Probabilmente penseranno di rifarsi con il DVD.
Tra i grossi nomi che hanno creduto in questa operazione ci sono Tom Hanks, che è tra i produttori, e Forest Whitaker che dà la sua voce a uno delle creature selvagge (Ira - non uno tra i più ciarlieri).
A dire il vero, la versione cinematografica ha ben poco a cui spartire con il racconto, se non una certa atmosfera. Anche perché sarebbe stato obiettivamente praticamente impossibile tirar fuori un lungometraggio da un racconto così breve.
Tradotta in parole la storia narrata è davvero minimale. Un ragazzino inquieto, probabilmente a causa del divorzio dei genitori, vive una giornata invernale un po' troppo solitaria e deprimente. A sera si comporta male, per attirare l'attenzione materna, che a lui sembra troppo distratta, finendo per morderla. Corre fuori di casa, in una bizzarra tutina, e si immagina di andare in una landa misteriosa dove abitano buffe creature selvagge. Vive con loro strane avventure e alla fine torna a casa dalla madre che lo aspetta.
Il trailer dà una buona immagine di quello che accade, anche se fa pensare ad un film più movimentato di quel che in realtà sia:
In teoria si dovrebbe trattare di un film per bambini, ma credo che risulti più interessante per chi abbia un ricordo della sua infanzia - magari mediato dalla lettura del racconto originale - sia esso vicino o lontano. Anche se, chissà, ai bambini potrebbe piacere la storia-non storia delle creature selvagge, che ha un andamento un po' da Teletubbies.
Come dichiara anche Maurice Sendak, l'autore del racconto originale, il film è da considerarsi soprattutto un'opera di Spike Jonze, che ha curato la regia e la sceneggiatura (affiancato da Dave Eggers). Sì, si tratta proprio dello Spike Jonze noto per essere una delle "menti" di Jackass.
A livello mondiale, secondo mojo, il film ha avuto nel 2009 un risultato mediocre, se si considera l'investimento non indifferente, classificandosi al sessantesimo posto. Come si diceva, negli USA è andato meglio, e viene indicato al 41° posto. Probabilmente penseranno di rifarsi con il DVD.
Tra i grossi nomi che hanno creduto in questa operazione ci sono Tom Hanks, che è tra i produttori, e Forest Whitaker che dà la sua voce a uno delle creature selvagge (Ira - non uno tra i più ciarlieri).
Iron Man
Nel suo genere non è male. Si tratta di un film della Marvel che, ormai da anni, ha scoperto quanto redditizio possa essere portare sullo schermo i personaggi dei suoi fumetti.
Io non ho mai frequentato molto i supereroi della Marvel, e non conoscevo Iron Man nemmeno di nome. Perciò niente confronto tra l'originale su carta e la versione con attori in carne e ossa.
Come ci si può aspettare dalle premesse, la caratterizzazione dei personaggi non brilla per profondità. In compenso la storia ha un buon ritmo e, pur essendo sempre in bilico tra l'assurdo e il ridicolo, regge bene.
A mio parere la parte peggiore del film è nel finale, con lo scontro tra Iron Man e il suo doppio cattivo. Mi ha ricordato da una parte i cartoni giapponesi tipo Goldrake, Jeeg e simili, dall'altra Godzilla. Noto che non deve aver impressionato neanche i responsabili commerciali, visto che la faccenda non viene nemmeno accennata nel trailer:
Invece m'è piaciuta la vena umoristica che pervade l'intero film. Tony Stark non si prende mai troppo sul serio, spesso fa scemenze e prende legnate spaventose senza che questo lo sconvolga più di tanto. Buona la recitazione di Robert Downey Jr., che riesce a dare una certa credibilità al suo carattere.
Poco da dire sulla regia, a mio avviso schiacciata dagli effetti speciali. Favreu o un altro poco sarebbe cambiato.
Sorprendente il casting dei comprimari, con Terrence Howard a fare nel ruolo dell'amico (poco sfruttato), Jeff Bridges pelato e barbuto come arcicattivo doppiogiochista (poco credibile - mi aspettavo che da un momento all'altro dicesse "Ehi, dude, prenditela comoda" e tirasse fuori uno spino) e Gwyneth Paltrow come la segretaria tuttofare.
La storia, in sé, è un dettaglio abbastanza secondario. Tony Stark è bello, ricco, fascinoso, palestrato, intelligente, ha successo con le donne, gli piace la bella vita, è comproprietario di una azienda di armamenti e gli piace pure il suo lavoro. I genitori non ci sono più, vive in una fantastica villa e fa quello che gli pare.
Quadro idilliaco ma alquanto noioso. Per fortuna gli capita una sorta di incidente (di cui capiremo meglio alla fine del film la natura) e in seguito a ciò gli viene il dubbio che produrre armi non sia la cosa più astuta da fare. Un po' per forza, un po' perché è fatto così, concepisce una bizzarra armatura corazzata con incluso motore a razzo che, commercializzata, potrebbe cambiare il mercato degli armamenti. Ma decide di tenersela e di diventare un peculiare supereroe: Iron Man, per l'appunto.
Per far questo dovrà in un qualche modo crescere, e dal bambinone che era prima passare ad uno stadio adulto. Perciò dovrà rescindere il legame con la memoria del padre e iniziare a pensare di smetterla di fare il playboy e mettersi con una sola donna.
Colonna sonora quasi metallara e molti soldi spesi in effetti speciali, esplosioni e quant'altro possa sovraccaricare vista e udito completano in quadro.
In un modo o nell'altro, è stato un successo planetario, per mojo è all'ottavo posto per gli incassi del 2008, addirittura al secondo negli USA. Anche la critica è stata tutto sommato gentile con questo film. I premi sono stati un po' scarsi, ma è riuscito a guadagnarsi un paio di nomination agli oscar.
Io non ho mai frequentato molto i supereroi della Marvel, e non conoscevo Iron Man nemmeno di nome. Perciò niente confronto tra l'originale su carta e la versione con attori in carne e ossa.
Come ci si può aspettare dalle premesse, la caratterizzazione dei personaggi non brilla per profondità. In compenso la storia ha un buon ritmo e, pur essendo sempre in bilico tra l'assurdo e il ridicolo, regge bene.
A mio parere la parte peggiore del film è nel finale, con lo scontro tra Iron Man e il suo doppio cattivo. Mi ha ricordato da una parte i cartoni giapponesi tipo Goldrake, Jeeg e simili, dall'altra Godzilla. Noto che non deve aver impressionato neanche i responsabili commerciali, visto che la faccenda non viene nemmeno accennata nel trailer:
Invece m'è piaciuta la vena umoristica che pervade l'intero film. Tony Stark non si prende mai troppo sul serio, spesso fa scemenze e prende legnate spaventose senza che questo lo sconvolga più di tanto. Buona la recitazione di Robert Downey Jr., che riesce a dare una certa credibilità al suo carattere.
Poco da dire sulla regia, a mio avviso schiacciata dagli effetti speciali. Favreu o un altro poco sarebbe cambiato.
Sorprendente il casting dei comprimari, con Terrence Howard a fare nel ruolo dell'amico (poco sfruttato), Jeff Bridges pelato e barbuto come arcicattivo doppiogiochista (poco credibile - mi aspettavo che da un momento all'altro dicesse "Ehi, dude, prenditela comoda" e tirasse fuori uno spino) e Gwyneth Paltrow come la segretaria tuttofare.
La storia, in sé, è un dettaglio abbastanza secondario. Tony Stark è bello, ricco, fascinoso, palestrato, intelligente, ha successo con le donne, gli piace la bella vita, è comproprietario di una azienda di armamenti e gli piace pure il suo lavoro. I genitori non ci sono più, vive in una fantastica villa e fa quello che gli pare.
Quadro idilliaco ma alquanto noioso. Per fortuna gli capita una sorta di incidente (di cui capiremo meglio alla fine del film la natura) e in seguito a ciò gli viene il dubbio che produrre armi non sia la cosa più astuta da fare. Un po' per forza, un po' perché è fatto così, concepisce una bizzarra armatura corazzata con incluso motore a razzo che, commercializzata, potrebbe cambiare il mercato degli armamenti. Ma decide di tenersela e di diventare un peculiare supereroe: Iron Man, per l'appunto.
Per far questo dovrà in un qualche modo crescere, e dal bambinone che era prima passare ad uno stadio adulto. Perciò dovrà rescindere il legame con la memoria del padre e iniziare a pensare di smetterla di fare il playboy e mettersi con una sola donna.
Colonna sonora quasi metallara e molti soldi spesi in effetti speciali, esplosioni e quant'altro possa sovraccaricare vista e udito completano in quadro.
In un modo o nell'altro, è stato un successo planetario, per mojo è all'ottavo posto per gli incassi del 2008, addirittura al secondo negli USA. Anche la critica è stata tutto sommato gentile con questo film. I premi sono stati un po' scarsi, ma è riuscito a guadagnarsi un paio di nomination agli oscar.
Casino Royale
Casino Royale è il primo romanzo di Ian Fleming su James Bond ma è la prima volta che viene utilizzato dalla produzione "ufficiale" bondiana. I suoi diritti cinematografici hanno infatti seguito una storia diversa da quelli di tutti gli altri romanzi della serie, comprati in blocco da Cubby Broccoli.
Ne esiste una versione televisiva anni '50, che non ho mai visto, e una estremamente pasticciata del '67, di cui teoricamente posseggo il DVD che però è andato disperso nel corso di un qualche trasloco. Non è comunque una grossa perdita perché, nonostante il cast stellare (o forse proprio a causa delle personalità troppo marcate presenti sul set), la realizzazione è un disastro. Detto per inciso, credo che il nome della band italiana derivi proprio da questo film:
Nella versione del 2006 rappresenta il primo episodio serie "ufficiale" di James Bond, in cui la parte principale è interpretata da Daniel Craig, in sostituzione di un Pierce Brosnan non particolarmente amato dai bondiani.
Il trailer, contrariamente a quanto accede di solito, mi pare dia una buona idea di cosa uno si possa aspettare da questo film:
Ho sentito giudizi disparati su Craig nel ruolo di Bond. Alcuni rimpiangono lo stile molto più distaccato, come dire, british, dei predecessori. Altri ritengono che questa interpretazione molto più muscolare sia più filologicamente corretta. Tutto sommato direi che se la cava piuttosto bene, dato il compito non semplicissimo di dare una nuova vita ad un personaggio che di vite ne ha già avute parecchie.
Improbabile la locazione del Casino Royale che sarebbe ufficialmente posto in Montenegro (cosa che dal punto di vista della sceneggiatura funziona bene) ma che è stato girato altrove. Bei posti, piacevoli colline, belle strade che fanno venire la voglia di essere percorse, ma evidentemente non montenegrine. Chissà come mai, forse problemi di sicurezza per la troupe. Non è che il Montenegro sia proprio il posto più tranquillo del mondo.
Come spesso accade nei film di Bond, i luoghi in cui ha luogo la scena sono davvero belli. In questo caso, oltre al falso Montenegro, si passa anche dal lago di Como, a Venezia e alle Bahamas. Davvero niente male.
Da notare la presenza di Giancarlo Giannini, nel ruolo dell'agente inglese dislocato in Montenegro. Non è che abbia modo di far valere molto le sue capacità, ma è comunque una simpatica faccia nota.
Il film è stato un ottimo successo commerciale, indicato da mojo al quarto posto mondiale nel 2006 per gli incassi, e anche a livello di critica è andato abbastanza bene, con svariati premi e nomination. Mi pare che il più prestigioso sia quello della bafta nel 2006 per la colonna sonora. Tra le svariate nomination ottenute dalla pellicola nella stessa occasione, c'è quella a Craig come miglior attore e quella al film nel suo complesso. Da notare che per questi premi in entrambi i casi a uscire vincitore sia stato L'ultimo re di Scozia, film non esaltante, ma con un ottimo Forest Whitaker negli scomodi panni di Idi Amin.
Credo che il film possa risultare piacevole all'appassionato del genere, nonostante alcune lungaggini che, soprattutto nella seconda parte, appesantiscono l'azione.
Ne esiste una versione televisiva anni '50, che non ho mai visto, e una estremamente pasticciata del '67, di cui teoricamente posseggo il DVD che però è andato disperso nel corso di un qualche trasloco. Non è comunque una grossa perdita perché, nonostante il cast stellare (o forse proprio a causa delle personalità troppo marcate presenti sul set), la realizzazione è un disastro. Detto per inciso, credo che il nome della band italiana derivi proprio da questo film:
Nella versione del 2006 rappresenta il primo episodio serie "ufficiale" di James Bond, in cui la parte principale è interpretata da Daniel Craig, in sostituzione di un Pierce Brosnan non particolarmente amato dai bondiani.
Il trailer, contrariamente a quanto accede di solito, mi pare dia una buona idea di cosa uno si possa aspettare da questo film:
Ho sentito giudizi disparati su Craig nel ruolo di Bond. Alcuni rimpiangono lo stile molto più distaccato, come dire, british, dei predecessori. Altri ritengono che questa interpretazione molto più muscolare sia più filologicamente corretta. Tutto sommato direi che se la cava piuttosto bene, dato il compito non semplicissimo di dare una nuova vita ad un personaggio che di vite ne ha già avute parecchie.
Improbabile la locazione del Casino Royale che sarebbe ufficialmente posto in Montenegro (cosa che dal punto di vista della sceneggiatura funziona bene) ma che è stato girato altrove. Bei posti, piacevoli colline, belle strade che fanno venire la voglia di essere percorse, ma evidentemente non montenegrine. Chissà come mai, forse problemi di sicurezza per la troupe. Non è che il Montenegro sia proprio il posto più tranquillo del mondo.
Come spesso accade nei film di Bond, i luoghi in cui ha luogo la scena sono davvero belli. In questo caso, oltre al falso Montenegro, si passa anche dal lago di Como, a Venezia e alle Bahamas. Davvero niente male.
Da notare la presenza di Giancarlo Giannini, nel ruolo dell'agente inglese dislocato in Montenegro. Non è che abbia modo di far valere molto le sue capacità, ma è comunque una simpatica faccia nota.
Il film è stato un ottimo successo commerciale, indicato da mojo al quarto posto mondiale nel 2006 per gli incassi, e anche a livello di critica è andato abbastanza bene, con svariati premi e nomination. Mi pare che il più prestigioso sia quello della bafta nel 2006 per la colonna sonora. Tra le svariate nomination ottenute dalla pellicola nella stessa occasione, c'è quella a Craig come miglior attore e quella al film nel suo complesso. Da notare che per questi premi in entrambi i casi a uscire vincitore sia stato L'ultimo re di Scozia, film non esaltante, ma con un ottimo Forest Whitaker negli scomodi panni di Idi Amin.
Credo che il film possa risultare piacevole all'appassionato del genere, nonostante alcune lungaggini che, soprattutto nella seconda parte, appesantiscono l'azione.
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