Liberamente inspirato da Viaggio allucinante (1966) e dal suo spoof Salto nel buio (1987) di Joe Dante. Qui è il Dodicesimo Dottore (Peter Capaldi) che, accompagnato da Clara (Jenna Coleman) e tre umani appartenenti ad una disperata futura resistenza, viaggia nel corpo di un Dalek.
Sembra che il Dottore sia di malumore, e quando questo accade, lo abbiamo già visto nelle sue due precedenti incarnazioni, preferisce viaggiare da solo. Dal punto di vista di Clara sono passate due settimane dalla fine dell'episodio precedente, solo la TARDIS sa a quanto tempo per il Dottore sia passato. Clara viene richiamata in azione come badante del Dottore, in quanto questi ha finalmente preso atto di avere qualche piccolo problema quando si tratta di relazionarsi con gli altri, e si è reso conto che Clara riesce a dargli dei suggerimenti nella giusta direzione. Lei sarebbe in ben altro affaccendata, in particolare ha appena conosciuto un nuovo collega, tale Danny Pink (Samuel Anderson), professore di matematica con un passato nell'esercito, e sta armeggiando per approfondire la conoscenza. Ma quando il Dottore chiama è difficile non rispondere.
Il Dalek in cui l'allegra combriccola viaggia dopo essere stata opportunamente (e assurdamente, come rimarca anche il Dottore) rimpicciolita, è inesplicabilmente diventato "buono" ma sembra anche avere qualche problema di salute. Va ricordato che i Dalek sono organismi viventi "aumentati" dall'integrazione con memorie e circuiti logici meccanici. I nostri viaggiano nella parte meccanica, che però duplica il comportamento di quella organica al punto di prevedere anche qualcosa di simile ad anticorpi.
Va ricordato anche che Dalek e Dottore hanno una vicendevole antipatia che dura da tempo immemorabile. Questo specifico Dalek non ha memoria del Dottore, forse per quanto è successo nell'episodio Il manicomio dei Dalek, primo della stagione 7, che introduceva anche per la prima volta una variante di Clara, o forse perché i Dalek non avevano mai visto la dodicesima versione del Dottore. Fatto è che il Dottore fa fatica ad accettare che un Dalek possa essere "buono" e finirebbe per essere soddisfatto se tornasse alla sua "cattiveria". Se non ci fosse Clara a farlo ragionare (a suon di schiaffoni).
Il tema principale della puntata è il dubbio del Dottore sulla sua natura. Gli piacerebbe essere un buon uomo (buon Signore del Tempo sarebbe la dizione più corretta) ma persino lui non sa se e quanto il suo lato oscuro sia determinante nel suo carattere.
Nuova apparizione per Missy (Michelle Gomez), che accoglie un altro personaggio nel suo misterioso "paradiso".
Sherlock 2.3 - Le cascate di Reichenbach
Le cascate del Reichenbach sono note a praticamente chiunque conosca le avventure di Sherlock Holmes o si interessi di letteratura seriale, e in particolare della difficoltà che un autore incontri quando si voglia liberare di un personaggio che gli sia diventato troppo ingombrante.
Sir Arthur Conan Doyle aveva infatti scritto L'ultima avventura (The final problem) sperando di mettere una definitiva fine alle avventure di Holmes. Nel far questo gli aveva dato un fratello, Mycroft, e formidabile avversario, il Professor Moriarty, un vero genio del male che potesse tenergli testa, così potente da giustificare persino un sacrificio finale da parte del nostro eroe. Tutto inutile. Molti anni dopo Stephen King spiegò con Misery non deve morire quanto il pubblico possa affezionarsi al protagonista di una serie. Per fortuna di Conan Doyle in questo caso non si raggiunsero questi eccessi, ma in ogni caso la produzione di racconti riprese come se niente fosse successo su quelle fatali sponde.
Nel 2011 è uscito il secondo capitolo delle avventure holmesiane targate Guy Ritchie, che ricalcano proprio questa storia, la scommessa di Mark Gatiss e Steven Moffat (più Steve Thompson che ha effettivamente scritto questo episodio) è stata quella di spostare l'enfasi dal duello mortale tra Holmes (Benedict Cumberbatch) e Moriarty (Andrew Scott) alle motivazioni di questi due brutti soggetti. E da farci chiedere non tanto se Sherlock sia davvero morto o meno, ma come sia riuscito a creare l'illusione della sua morte.
Tra le sorprese dell'episodio abbiamo quella di sentire Holmes ammettere di avere ben tre amici, il buon dottor Watson (Martin Freeman), la stonatissima Mrs. Hudson (Una Stubbs), e anche l'ispettore Lestrade (Rupert Graves). E riuscirà persino a dire a Molly (Louise Brealey) che la ha sempre apprezzata per la sua affidabilità (anche se viene il dubbio che la stia semplicemente usando, come gli capita spesso di fare).
Non sorprende invece vederlo maltrattare un po' tutti quanti gli capitino a tiro, compresa Kitty (Katherine Parkinson), una giornalista non eccelsa che però non si sarebbe meritata un trattamento così rude.
Si impasticcia ancora di più la relazione tra fratelli, visto che Mycroft (Mark Gatiss) capirà di aver fatto un grave errore ma non avrà la forza di ammetterlo a Sherlock, e che questi, in difficoltà, non sarà capace di chiedergli aiuto.
La mia speranza è che, dopo la caduta, Reichenbach si possa rialzare acquistando una miglior consapevolezza di sé.
A proposito di Reichenbach. In questa versione l'azione non si sposta da Londra. Succede invece che Sherlock, subito all'inizio dell'episodio, riesca a recuperare un dipinto di Turner della serie che questi ha dedicato alle cascate del suddetto torrente svizzero e i giornalisti, chissà come, chissà perché, finisca per soprannominare l'investigatore proprio Reichenbach. Il titolo dell'episodio andrebbe quindi tradotto La caduta di Reichenbach, in quanto Sherlock cadrà in disgrazia con (quasi) tutti e farà anche un tuffo da una altezza considerevole, con un esito che sembrerebbe fatale.
Sir Arthur Conan Doyle aveva infatti scritto L'ultima avventura (The final problem) sperando di mettere una definitiva fine alle avventure di Holmes. Nel far questo gli aveva dato un fratello, Mycroft, e formidabile avversario, il Professor Moriarty, un vero genio del male che potesse tenergli testa, così potente da giustificare persino un sacrificio finale da parte del nostro eroe. Tutto inutile. Molti anni dopo Stephen King spiegò con Misery non deve morire quanto il pubblico possa affezionarsi al protagonista di una serie. Per fortuna di Conan Doyle in questo caso non si raggiunsero questi eccessi, ma in ogni caso la produzione di racconti riprese come se niente fosse successo su quelle fatali sponde.
Nel 2011 è uscito il secondo capitolo delle avventure holmesiane targate Guy Ritchie, che ricalcano proprio questa storia, la scommessa di Mark Gatiss e Steven Moffat (più Steve Thompson che ha effettivamente scritto questo episodio) è stata quella di spostare l'enfasi dal duello mortale tra Holmes (Benedict Cumberbatch) e Moriarty (Andrew Scott) alle motivazioni di questi due brutti soggetti. E da farci chiedere non tanto se Sherlock sia davvero morto o meno, ma come sia riuscito a creare l'illusione della sua morte.
Tra le sorprese dell'episodio abbiamo quella di sentire Holmes ammettere di avere ben tre amici, il buon dottor Watson (Martin Freeman), la stonatissima Mrs. Hudson (Una Stubbs), e anche l'ispettore Lestrade (Rupert Graves). E riuscirà persino a dire a Molly (Louise Brealey) che la ha sempre apprezzata per la sua affidabilità (anche se viene il dubbio che la stia semplicemente usando, come gli capita spesso di fare).
Non sorprende invece vederlo maltrattare un po' tutti quanti gli capitino a tiro, compresa Kitty (Katherine Parkinson), una giornalista non eccelsa che però non si sarebbe meritata un trattamento così rude.
Si impasticcia ancora di più la relazione tra fratelli, visto che Mycroft (Mark Gatiss) capirà di aver fatto un grave errore ma non avrà la forza di ammetterlo a Sherlock, e che questi, in difficoltà, non sarà capace di chiedergli aiuto.
La mia speranza è che, dopo la caduta, Reichenbach si possa rialzare acquistando una miglior consapevolezza di sé.
A proposito di Reichenbach. In questa versione l'azione non si sposta da Londra. Succede invece che Sherlock, subito all'inizio dell'episodio, riesca a recuperare un dipinto di Turner della serie che questi ha dedicato alle cascate del suddetto torrente svizzero e i giornalisti, chissà come, chissà perché, finisca per soprannominare l'investigatore proprio Reichenbach. Il titolo dell'episodio andrebbe quindi tradotto La caduta di Reichenbach, in quanto Sherlock cadrà in disgrazia con (quasi) tutti e farà anche un tuffo da una altezza considerevole, con un esito che sembrerebbe fatale.
Sherlock 2.2 - I mastini di Baskerville
Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) si annoia. Non trova casi che lo stimolino, e in queste condizioni, nonostante gli sforzi del dottor Watson (Martin Freeman) e della signora Hudson (Una Stubbs), quasi non riesce a resistere alla sua dipendenza da tabacco (anche se fa un accenno a qualcosa più forte del sette per cento, evidente citazione della soluzione al 7% di cocaina di cui faceva uso l'Holmes originale).
E' sul punto di scartare un ennesimo caso per scarsità di interesse quando il cliente definisce l'animale che lo tormenta "hound", ovvero cane da caccia (per noi, tradizionalmente, mastino). Un termine antiquato, raramente usato in questo modo ai nostri giorni, che colpisce l'animo investigativo del nostro, facendogli pensare che ci sia del marcio nel Devon.
L'indagine è simile a quella narrata da Conan Doyle ne Il mastino dei Baskerville, con una serie di varianti, anche significative. In particolare qui bisognerà fare i conti con una base militare in cui avvengono sperimentazioni un po' di tutti i tipi. Sherlock riuscirà a penetrarla prima fingendo di essere suo fratello Mycroft (Mark Gatiss, sua anche la sceneggiatura di questo episodio), e poi usando la sua influenza.
Watson contribuirà all'indagine con un paio di intuizioni, una delle quali si dimostrerà erronea e pure imbarazzante. Sherlock si mostrerà, come suo solito, incapace di tatto o sentimento. Anche se farà un tentativo (un po' vero, un po' falso) di comportarsi amichevolmente con Watson.
E' sul punto di scartare un ennesimo caso per scarsità di interesse quando il cliente definisce l'animale che lo tormenta "hound", ovvero cane da caccia (per noi, tradizionalmente, mastino). Un termine antiquato, raramente usato in questo modo ai nostri giorni, che colpisce l'animo investigativo del nostro, facendogli pensare che ci sia del marcio nel Devon.
L'indagine è simile a quella narrata da Conan Doyle ne Il mastino dei Baskerville, con una serie di varianti, anche significative. In particolare qui bisognerà fare i conti con una base militare in cui avvengono sperimentazioni un po' di tutti i tipi. Sherlock riuscirà a penetrarla prima fingendo di essere suo fratello Mycroft (Mark Gatiss, sua anche la sceneggiatura di questo episodio), e poi usando la sua influenza.
Watson contribuirà all'indagine con un paio di intuizioni, una delle quali si dimostrerà erronea e pure imbarazzante. Sherlock si mostrerà, come suo solito, incapace di tatto o sentimento. Anche se farà un tentativo (un po' vero, un po' falso) di comportarsi amichevolmente con Watson.
Sherlock 2.1 - Scandalo a Belgravia
Seconda stagione della versione BBC delle avventure di Sherlock Holmes riveduta e modernizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss. La prima è finita con un cliffhanger in cui Moriarty (Andrew Scott) era sul punto di far uccidere sia Holmes (Benedict Cumberbatch) che il dottor Watson (Martin Freeman) e nel contempo Holmes minacciava di ammazzare tutti quanti sparando su dell'esplosivo.
Sapendo quanto ad entrambe le parti non faccia piacere arretrare dalle proprie posizioni, il botto finale non è che sarebbe una ipotesi remota. Per fortuna della narrazione, Moriarty è interrotto da una telefonata che gli offre un qualche diversivo che lui reputa sufficiente per lasciare il campo in un sostanziale pareggio.
Laciato da parte Moriarty, i due si dedicano ad una lunga serie di casi minori generati anche dalla curiosità che viene creata dal blog in cui il dottore racconta i casi risolti (e anche no) da Holmes. Finché Mycroft Holmes (Gatiss) preleva a forza i due e li costringe ad occuparsi di un caso di rilevanza nazionale. Irene Adler (Lara Pulver), donna di grande fascino che usa seduzione e sesso per i propri scopi, ha in suo possesso materiale compromettente che potrebbe danneggiare una persona vicina alla corona. Da cosa nasce cosa, l'impiccio diventa sempre più impiccioso, e si finisce per tirare in ballo anche il terrorismo internazionale e pure il solito Moriarty.
Il caso è evidentemente basato su Uno scandalo in Boemia di Conan Doyle, ma lì la Adler vinceva (e sbeffeggiava) Holmes, mentre qui a vincere è Holmes, anche se ai punti.
Bella la varietà dei toni utilizzati, c'è qualche siparietto comico e si arriva nel finale pure a provare una certa commozione per l'incapacità affettiva di Holmes, cosa che, conoscendo il carattere, non mi sarei mai aspettato succedesse.
Sul lato sentimentale c'è anche da notare la situazione del buon dottore, a cui evidentemente piacciono le donne ma che non riesce a stabilire una relazione duratura con nessuna a causa della tensione omosessuale (per quanto da entrambi negata) con il compagno di casa.
Sapendo quanto ad entrambe le parti non faccia piacere arretrare dalle proprie posizioni, il botto finale non è che sarebbe una ipotesi remota. Per fortuna della narrazione, Moriarty è interrotto da una telefonata che gli offre un qualche diversivo che lui reputa sufficiente per lasciare il campo in un sostanziale pareggio.
Laciato da parte Moriarty, i due si dedicano ad una lunga serie di casi minori generati anche dalla curiosità che viene creata dal blog in cui il dottore racconta i casi risolti (e anche no) da Holmes. Finché Mycroft Holmes (Gatiss) preleva a forza i due e li costringe ad occuparsi di un caso di rilevanza nazionale. Irene Adler (Lara Pulver), donna di grande fascino che usa seduzione e sesso per i propri scopi, ha in suo possesso materiale compromettente che potrebbe danneggiare una persona vicina alla corona. Da cosa nasce cosa, l'impiccio diventa sempre più impiccioso, e si finisce per tirare in ballo anche il terrorismo internazionale e pure il solito Moriarty.
Il caso è evidentemente basato su Uno scandalo in Boemia di Conan Doyle, ma lì la Adler vinceva (e sbeffeggiava) Holmes, mentre qui a vincere è Holmes, anche se ai punti.
Bella la varietà dei toni utilizzati, c'è qualche siparietto comico e si arriva nel finale pure a provare una certa commozione per l'incapacità affettiva di Holmes, cosa che, conoscendo il carattere, non mi sarei mai aspettato succedesse.
Sul lato sentimentale c'è anche da notare la situazione del buon dottore, a cui evidentemente piacciono le donne ma che non riesce a stabilire una relazione duratura con nessuna a causa della tensione omosessuale (per quanto da entrambi negata) con il compagno di casa.
Analisi di un delitto
Il buon cast che la produzione è riuscita ad assicurarsi per questo film scritto e diretto dal (giustamente) poco noto Rowdy Herrington non basta a risollevarlo da una mediocrità che direi figlia di una sceneggiatura migliorabile. L'impostazione è da trama hitchcockiana con il protagonista che si trova con sua grande sorpresa in un inghippo di cui non capisce bene il senso se non che deve scappare e trovare da se il bandolo della matassa, se non vuole fare una brutta fine.
Un avvocato amorale (Cuba Gooding Jr - non particolarmente ispirato) decide improvvisamente che ne ha abbastanza di difendere ricconi evidentemente colpevoli, a partire dal suo cliente del momento (Eric Stoltz) e comunica al mondo il suo cambiamento in modo così poco appropriato che gli viene revocata la licenza.
Non sapendo più che fare della sua vita, decide di portare turisti in mare a pescare e pensa di scrivere un libro, senza avere bene una idea di cosa potrebbe mettere su quelle pagine. Per sua fortuna (?) gli capita di portare in giro un vegliardo che un giorno gli confida di aver scritto una storia su un serial killer di avvocati, gli lascia il malloppo in lettura e schiatta.
Mettendo rapidamente a tacere i suoi dubbi morali, il nostro copia, praticamente parola per parola, il romanzo e, spacciandolo come suo, lo sottopone ad una casa editrice, capitanata da una affascinante tipetta (Ashley Laurence), che in quattro e quattr'otto lo fa diventare un best seller.
La cosa migliore del romanzo è il titolo, che è anche il titolo originale del film, A murder of crows, che si può tradurre come Un assassino di corvi o anche Uno stormo di corvi, visto che il romanzo racconta di un omicida che odia gli avvocati, visti come corvi, sottolineando l'aspetto di quanto, almeno secondo l'assassino, agiscano di comune accordo, come animali gregari.
Ma qui arriva l'inghippo. Il romanzo non è opera di fantasia, ma la narrazione documentaristica di una serie di omicidi. Il libro viene recapitato al poliziotto (Tom Berenger) che ha seguito il primo caso narrato, a cui nasce il sospetto che l'ex-avvocato sia o conosca l'assassino. Una serie di circostanze, evidentemente preparate dal vero colpevole, fanno sì che la posizione del protagonista diventi sempre più scomoda. Al punto che si dovrà improvvisare investigatore del suo stesso caso.
Le indagini avranno punto chiave nella figura di un mite insegnante universitario (Mark Pellegrino) tramite cui si arriverà a capire l'intreccio. Anche se la chiusura della vicenda viene sbrigata in pochi minuti trascurando la complessità del problema in cui il protagonista si è andato a ficcare.
Un avvocato amorale (Cuba Gooding Jr - non particolarmente ispirato) decide improvvisamente che ne ha abbastanza di difendere ricconi evidentemente colpevoli, a partire dal suo cliente del momento (Eric Stoltz) e comunica al mondo il suo cambiamento in modo così poco appropriato che gli viene revocata la licenza.
Non sapendo più che fare della sua vita, decide di portare turisti in mare a pescare e pensa di scrivere un libro, senza avere bene una idea di cosa potrebbe mettere su quelle pagine. Per sua fortuna (?) gli capita di portare in giro un vegliardo che un giorno gli confida di aver scritto una storia su un serial killer di avvocati, gli lascia il malloppo in lettura e schiatta.
Mettendo rapidamente a tacere i suoi dubbi morali, il nostro copia, praticamente parola per parola, il romanzo e, spacciandolo come suo, lo sottopone ad una casa editrice, capitanata da una affascinante tipetta (Ashley Laurence), che in quattro e quattr'otto lo fa diventare un best seller.
La cosa migliore del romanzo è il titolo, che è anche il titolo originale del film, A murder of crows, che si può tradurre come Un assassino di corvi o anche Uno stormo di corvi, visto che il romanzo racconta di un omicida che odia gli avvocati, visti come corvi, sottolineando l'aspetto di quanto, almeno secondo l'assassino, agiscano di comune accordo, come animali gregari.
Ma qui arriva l'inghippo. Il romanzo non è opera di fantasia, ma la narrazione documentaristica di una serie di omicidi. Il libro viene recapitato al poliziotto (Tom Berenger) che ha seguito il primo caso narrato, a cui nasce il sospetto che l'ex-avvocato sia o conosca l'assassino. Una serie di circostanze, evidentemente preparate dal vero colpevole, fanno sì che la posizione del protagonista diventi sempre più scomoda. Al punto che si dovrà improvvisare investigatore del suo stesso caso.
Le indagini avranno punto chiave nella figura di un mite insegnante universitario (Mark Pellegrino) tramite cui si arriverà a capire l'intreccio. Anche se la chiusura della vicenda viene sbrigata in pochi minuti trascurando la complessità del problema in cui il protagonista si è andato a ficcare.
Alex & Emma
Rob Reiner è un bravo regista. Ha firmato cose come Stand by me, Harry ti presento Sally, Misery non deve morire. E poi ha fatto cose meno egregie. Questo film cade nel secondo gruppo.
A Boston un romanziere (Luke Wilson, fratello di Owen e Andrew) ha avuto successo col primo lavoro ma ha una profonda crisi creativa che gli impedisce di scrivere altro. Nel frattempo ha accumulato un cospicuo debito (causa gioco d'azzardo) con un paio di delinquenti cubani. Se non salda in un mese gli succederà qualcosa di brutto, ma il suo editore (lo stesso Reiner) non è disposto a sganciare altri soldi se non vede qualcosa di pubblicabile.
Per riuscire a rispettare la scadenza, il nostro chiama (con l'inganno) una stenografa (Kate Hudson) che inizialmente non vorrebbe prendere il lavoro ma che poi si dimostra indispensabile nel guidare la vena creativa dell'autore.
Mentre il romanzo prende corpo (una specie di versione americana ai tempi di Gatsby de Il giocatore di Fedor Dostoevskij, che tra l'altro è stato scritto in una situazione simile a quella narrata dalla sceneggiatura, ma è molto peggiore) i due piccioncini vincono l'inziale incomunicabilità e finiscono, ovviamente, per innamorarsi. La situazione nel "reale" viene duplicata nel romanzesco, con conseguente doppia interpretazione dei personaggi. Con la variante che la Hudson finisce per cambiare svariate volte nazionalità (inzia come svedese, poi diventa tedesca, quindi ispanica, e infine wasp americana) a seconda dei mutamenti della trama. A fare da terzo vertice del triangolo amoroso concorre Sophie Marceau, nel ruolo di una (possibile) ereditiera francofona di cui il protagonista romanzato è innamorato (e, poi scopriremo, anche quello filmico).
Da notare come i "cattivi" siano tutti non-americani (francesi, cubani, etc) e cerchino, in un modo o nell'altro, di disturbare il romanzetto amoroso tra i protagonisti.
La struttura della storia principale (il romanziere che scopre l'amore con chi gli scrive la storia) ricorda molto la sceneggiatura di Insieme a Parigi, film non propriamente memorabile del '64 ma che ha come protagonisti William Holden e, soprattutto, Audrey Hepburn.
A Boston un romanziere (Luke Wilson, fratello di Owen e Andrew) ha avuto successo col primo lavoro ma ha una profonda crisi creativa che gli impedisce di scrivere altro. Nel frattempo ha accumulato un cospicuo debito (causa gioco d'azzardo) con un paio di delinquenti cubani. Se non salda in un mese gli succederà qualcosa di brutto, ma il suo editore (lo stesso Reiner) non è disposto a sganciare altri soldi se non vede qualcosa di pubblicabile.
Per riuscire a rispettare la scadenza, il nostro chiama (con l'inganno) una stenografa (Kate Hudson) che inizialmente non vorrebbe prendere il lavoro ma che poi si dimostra indispensabile nel guidare la vena creativa dell'autore.
Mentre il romanzo prende corpo (una specie di versione americana ai tempi di Gatsby de Il giocatore di Fedor Dostoevskij, che tra l'altro è stato scritto in una situazione simile a quella narrata dalla sceneggiatura, ma è molto peggiore) i due piccioncini vincono l'inziale incomunicabilità e finiscono, ovviamente, per innamorarsi. La situazione nel "reale" viene duplicata nel romanzesco, con conseguente doppia interpretazione dei personaggi. Con la variante che la Hudson finisce per cambiare svariate volte nazionalità (inzia come svedese, poi diventa tedesca, quindi ispanica, e infine wasp americana) a seconda dei mutamenti della trama. A fare da terzo vertice del triangolo amoroso concorre Sophie Marceau, nel ruolo di una (possibile) ereditiera francofona di cui il protagonista romanzato è innamorato (e, poi scopriremo, anche quello filmico).
Da notare come i "cattivi" siano tutti non-americani (francesi, cubani, etc) e cerchino, in un modo o nell'altro, di disturbare il romanzetto amoroso tra i protagonisti.
La struttura della storia principale (il romanziere che scopre l'amore con chi gli scrive la storia) ricorda molto la sceneggiatura di Insieme a Parigi, film non propriamente memorabile del '64 ma che ha come protagonisti William Holden e, soprattutto, Audrey Hepburn.
Sherlock 1.3 - Il grande gioco
Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) si confronta nuovamente con suo fratello Mycroft (Mark Gatiss), in quanto il secondo vorrebbe che lui indagasse sulla morte di un agente dei servizi segreti inglesi, e la relativa sparizione di una chiavetta USB che scotta. Per motivi di competizione familare, Sherlock rifiuta nonostante John Watson (Martin Freeman), da buon militare, inorridisca al vedere un suddito della Regina che non risponda al richiamo del governo di Sua Maestà.
Nel tira e molla sul risolvere o meno questo caso, si inserisce Jim Moriarty (Andrew Scott) che si prende gioco di Sherlock sottoponendogli in rapida sequenza una serie di casi che il nostro dovrà risolvere pena l'esplosione di un ostaggio.
I due, Holmes e Moriarty, si intendono alla perfezione essendo entrambi socio e psicopatici e giocano allegramente con la vita degli altri. Notevole l'interpretazione di Scott che dà a Moriarty un giusto livello di follia.
Nel tira e molla sul risolvere o meno questo caso, si inserisce Jim Moriarty (Andrew Scott) che si prende gioco di Sherlock sottoponendogli in rapida sequenza una serie di casi che il nostro dovrà risolvere pena l'esplosione di un ostaggio.
I due, Holmes e Moriarty, si intendono alla perfezione essendo entrambi socio e psicopatici e giocano allegramente con la vita degli altri. Notevole l'interpretazione di Scott che dà a Moriarty un giusto livello di follia.
Doctor Who 8.1: Deep breath
Conviene davvero fare un bel respiro profondo (come da titolo) prima di tuffarsi nel primo episodio dell'ottava stagione "moderna" delle avventure del Dottore. Come già sappiamo il Dodicesimo Dottore ha le sembianze di Peter Capaldi, e la rigenerazione ha colpito duro, al punto che aveva chiesto a Clara Oswald (Jenna Coleman) se sapesse come si guida la TARDIS. Tante le domande che sono in sospeso, alcune troveranno una risposta e molte altre verranno generate dagli accadimenti qui narrati.
Mi trattengo il più possibile dallo spoilerare perché l'episodio non è ancora stato trasmesso in italiano da RAI4, e chissà quando lo sarà. Al momento per vederlo bisogna recarsi (più o meno metaforicamente) all'estero, e sapere una lingua straniera (l'inglese sarebbe meglio). Però, molto succintamente, quello che succede è questo:
Un dinosauro appare nella Londra vittoriana, così che è giustificato l'intervento del trio informalmente noto come Paternoster, capitanato da un rettilone antropomorfo, Madame Vastra (Neve McIntosh), la di lei moglie umana, Jenny (Catrin Stewart), e il distruttivo ma tutto sommato amichevole Sontaran chiamato Strax (Dan Starkey). A causare il viaggio nel tempo dell'animalone è stata la TARDIS che gli è finito in gola. Ne esce un oltremodo confuso Dodicesimo Dottore con una Clara che non è più sicura su cosa pensare del Dottore.
Succede poi che una vecchia storia, narrata nella seconda stagione nell'episodio Finestre nel tempo (o The girl in the fireplace) trovi una sua tempestosa conclusione, che ha come postilla l'introduzione di un misterioso personaggio che dice di chiamarsi Missy (Michelle Gomez) e afferma di essere in ottimi rapporti col Dottore.
Qualche considerazione aggiuntiva.
Il Dodicesimo Dottore non ha ancora capito bene perché sia diventato Capaldi, ma si ricorda di aver già visto quella faccia, infatti nell'episodio Le fiamme di Pompei (The fires of Pompeii) della quarta stagione il Decimo Dottore aveva incontrato un patrizio romano, tale Lucius Caecilius Iucundus, con quelle fattezze.
Clara in abiti vittoriani fa una figura scintillante.
Molto divertenti i battibecchi tra Clara e il Dottore, dove si rinfacciano a vicenda i rispettivi difetti.
La sceneggiatura di Steven Moffat scende nel profondo del personaggio del Dottore, illustrando bene quello che al Dottore stesso non è ancora ben chiaro - a noi ci viene chiarito con uno spiegone che passa quasi inosservato con Madame Vastra che fa la ramanzina a Clara (la quale a sua volta le tiene testa con gran cipiglio). Vengono illustrate molto bene anche le debolezze (che sono pure punti di forza) sia di Clara sia del Dottore, e di come questo faccia sì che la coppia funzioni così bene, in un suo modo. Estremamente toccante come Clara si fidi del Dottore, anche quando tutto farebbe pensare che sia inutile, e come il Dottore abbia bisogno di lei, anche se non glielo riesca a dire (dovrà ricorrere ad un paradosso temporale per riuscirci). Tra il buffo e il tenero l'abbraccio tra i due con il Dottore imbarazzatissimo che non sa bene come si possa abbracciare.
Il Dodicesimo Dottore ha una missione, ha deciso di abbandonare le pose seduttive delle sue precedenti vite, e si è preso un sembiante piuttosto attempato, in linea con la sua età effettiva (ha qualcosa come duemila anni, a questo punto). Potrei sembrare blasfemo, ma spero che l'Undicesimo Dottore abbia mentito (cosa che fa spesso) quando ha dichiarato di avere avuto il dono di una nuova serie di vite, e che questa tredicesima (considerando anche il Dottore Dimenticato John Hurt) sia la ultima. Questo spiegherebbe una certa sua tendenza melanconica, come pure darebbe uno spessore ancor più drammatico al duetto con il "cattivo" di questo episodio, in cui il Dottore si è visto riflesso.
Mi trattengo il più possibile dallo spoilerare perché l'episodio non è ancora stato trasmesso in italiano da RAI4, e chissà quando lo sarà. Al momento per vederlo bisogna recarsi (più o meno metaforicamente) all'estero, e sapere una lingua straniera (l'inglese sarebbe meglio). Però, molto succintamente, quello che succede è questo:
Un dinosauro appare nella Londra vittoriana, così che è giustificato l'intervento del trio informalmente noto come Paternoster, capitanato da un rettilone antropomorfo, Madame Vastra (Neve McIntosh), la di lei moglie umana, Jenny (Catrin Stewart), e il distruttivo ma tutto sommato amichevole Sontaran chiamato Strax (Dan Starkey). A causare il viaggio nel tempo dell'animalone è stata la TARDIS che gli è finito in gola. Ne esce un oltremodo confuso Dodicesimo Dottore con una Clara che non è più sicura su cosa pensare del Dottore.
Succede poi che una vecchia storia, narrata nella seconda stagione nell'episodio Finestre nel tempo (o The girl in the fireplace) trovi una sua tempestosa conclusione, che ha come postilla l'introduzione di un misterioso personaggio che dice di chiamarsi Missy (Michelle Gomez) e afferma di essere in ottimi rapporti col Dottore.
Qualche considerazione aggiuntiva.
Il Dodicesimo Dottore non ha ancora capito bene perché sia diventato Capaldi, ma si ricorda di aver già visto quella faccia, infatti nell'episodio Le fiamme di Pompei (The fires of Pompeii) della quarta stagione il Decimo Dottore aveva incontrato un patrizio romano, tale Lucius Caecilius Iucundus, con quelle fattezze.
Clara in abiti vittoriani fa una figura scintillante.
Molto divertenti i battibecchi tra Clara e il Dottore, dove si rinfacciano a vicenda i rispettivi difetti.
La sceneggiatura di Steven Moffat scende nel profondo del personaggio del Dottore, illustrando bene quello che al Dottore stesso non è ancora ben chiaro - a noi ci viene chiarito con uno spiegone che passa quasi inosservato con Madame Vastra che fa la ramanzina a Clara (la quale a sua volta le tiene testa con gran cipiglio). Vengono illustrate molto bene anche le debolezze (che sono pure punti di forza) sia di Clara sia del Dottore, e di come questo faccia sì che la coppia funzioni così bene, in un suo modo. Estremamente toccante come Clara si fidi del Dottore, anche quando tutto farebbe pensare che sia inutile, e come il Dottore abbia bisogno di lei, anche se non glielo riesca a dire (dovrà ricorrere ad un paradosso temporale per riuscirci). Tra il buffo e il tenero l'abbraccio tra i due con il Dottore imbarazzatissimo che non sa bene come si possa abbracciare.
Il Dodicesimo Dottore ha una missione, ha deciso di abbandonare le pose seduttive delle sue precedenti vite, e si è preso un sembiante piuttosto attempato, in linea con la sua età effettiva (ha qualcosa come duemila anni, a questo punto). Potrei sembrare blasfemo, ma spero che l'Undicesimo Dottore abbia mentito (cosa che fa spesso) quando ha dichiarato di avere avuto il dono di una nuova serie di vite, e che questa tredicesima (considerando anche il Dottore Dimenticato John Hurt) sia la ultima. Questo spiegherebbe una certa sua tendenza melanconica, come pure darebbe uno spessore ancor più drammatico al duetto con il "cattivo" di questo episodio, in cui il Dottore si è visto riflesso.
Sherlock 1.2 - Il banchiere cieco
Dopo la partenza fulminante di Uno studio in rosa che con piccole modifiche avrebbe potuto reggere una distribuzione cinematografica, da questo secondo episodio delle avventure di Sherlock Holmes reintepretate e trasposte ai nostri tempi da Mark Gatiss e Steven Moffat mi sarei aspettato di più. Televisimamente parlando è un buon prodotto, ma la parte iniziale m'è sembrata piatta, a tratti quasi noiosa e, tutto sommato, mi ha coinvolto molto meno della prima puntata.
Holmes (Benedict Cumberbatch) viene consultato da quello che fu un suo compagno di scuola e ora lavora per una banca d'affari. C'è stata una irruzione notturna nella loro sede, che ha avuto l'unico scopo di tracciare segni indecifrabili su di un muro. Scopriremo che si tratta di un messaggio da parte di un gruppo mafioso cinese nei confronti di un dipendente della banca. Ne conseguono alcuni ammazzamenti, e il recupero di un prezioso reperto rubato in Cina, importato illegalmente in UK per essere venduto sul mercato.
Nel frattempo Watson (Martin Freeman) trova lavoro come medico temporaneo e ci prova con Sarah (Zoe Telford), sua capa. La poveretta verrà coinvolta nel caso e rischierà pure di essere trapassata da un dardo scoccato da una gigantesca balestra.
Dietro tutta la faccenda intravvediamo lo zampino di Moriarty, che però non fa ancora la sua apparizione.
Non mi pare che la storia possa essere riconducibile ad un racconto originale di sir Conan Doyle, anche se molti elementi sono tipici delle avventure dello Sherlock originale e c'è una certa aria di casa con Il segno dei quattro, che è proprio il seguito di Uno studio in rosso.
Holmes (Benedict Cumberbatch) viene consultato da quello che fu un suo compagno di scuola e ora lavora per una banca d'affari. C'è stata una irruzione notturna nella loro sede, che ha avuto l'unico scopo di tracciare segni indecifrabili su di un muro. Scopriremo che si tratta di un messaggio da parte di un gruppo mafioso cinese nei confronti di un dipendente della banca. Ne conseguono alcuni ammazzamenti, e il recupero di un prezioso reperto rubato in Cina, importato illegalmente in UK per essere venduto sul mercato.
Nel frattempo Watson (Martin Freeman) trova lavoro come medico temporaneo e ci prova con Sarah (Zoe Telford), sua capa. La poveretta verrà coinvolta nel caso e rischierà pure di essere trapassata da un dardo scoccato da una gigantesca balestra.
Dietro tutta la faccenda intravvediamo lo zampino di Moriarty, che però non fa ancora la sua apparizione.
Non mi pare che la storia possa essere riconducibile ad un racconto originale di sir Conan Doyle, anche se molti elementi sono tipici delle avventure dello Sherlock originale e c'è una certa aria di casa con Il segno dei quattro, che è proprio il seguito di Uno studio in rosso.
Sherlock 1.1 - Uno studio in rosa
Il titolo è una evidente citazione del primo romanzo della serie originale delle avventure di Sherlock Holmes, Uno studio in rosso (A study in scarlet), che viene seguito con moltissime libertà in questa produzione BBC firmata da Steven Moffat e Mark Gatiss.
Lo spirito del racconto è tutto sommato mantenuto, però l'azione viene trasferita ai nostri giorni e di conseguenza storie, personaggi, atteggiamenti, modus operandi di guardie e ladri, sono tutti attualizzati. Il risultato, per me che sono un fan delle avventure originali, è più che eccellente. M'è piaciuto persino di più della versione cinematografica corrente, quella diretta da Guy Ritchie con Robert Downey Jr. e Jude Law nei ruoli principali. Meno effetti speciali (il budget è notevole per una produzione televisiva europea, ma non può competere con una serie cinematografica hollywoodiana) ma una sceneggiatura più solida.
Seguendo l'originale, anche qui si presentano i personaggi principali, Holmes (Benedict Cumberbatch) è una persona piuttosto incapace di intessere relazioni sociali ma da una impressionante capacità deduttiva, John Watson (Martin Freeman) è un medico militare che ha operato in Afghanistan (come l'originale, i tempi passano ma alcuni punti dolenti nello scacchiere geopolitico restano immutati) ed è stato congedato per le ferite subite. Il poliziotto che chiede aiuto a Holmes è sempre Lestrade (Rupert Graves), e si è scelto di renderlo più simpatico di quello che era nella versione di sir Arthur Conan Doyle.
I due si installano al 221/B di Baker Street, sotto l'ala della signora Hudson (Una Stubbs), e finiscono subito nel gorgo di una indagine che ricorda vagamente quella dello studio rosso.
Esistono due versioni di questo episodio. La prima dura un'ora, ha una trama più agile e non è stata trasmessa in televisione. La seconda è più lunga di mezz'ora, include alcune varianti minori nella storia, spiegando meglio alcuni particolari secondari, e introduce due personaggi che Conan Doyle aveva riservato ad un tempo successivo, Mycroft e Moriarty, il fratello e la nemesi di Sherlock.
Pare che l'idea fosse trasmettere la versione breve come pilot, valutare la risposta di pubblico e decidere se fare la serie o meno. Il risultato è stato di qualità così elevata che si è deciso di dare per passata la prova, concedere più tempo ad ogni puntata ed espandere la trama del pilot per farle raggiungere la durata di novanta minuti. Da notare che non si è mantenuto il girato e si è semplicemente rimontato il tutto aggiungendo nuovi elementi, ma si è rifatto tutto da capo.
Lo spirito del racconto è tutto sommato mantenuto, però l'azione viene trasferita ai nostri giorni e di conseguenza storie, personaggi, atteggiamenti, modus operandi di guardie e ladri, sono tutti attualizzati. Il risultato, per me che sono un fan delle avventure originali, è più che eccellente. M'è piaciuto persino di più della versione cinematografica corrente, quella diretta da Guy Ritchie con Robert Downey Jr. e Jude Law nei ruoli principali. Meno effetti speciali (il budget è notevole per una produzione televisiva europea, ma non può competere con una serie cinematografica hollywoodiana) ma una sceneggiatura più solida.
Seguendo l'originale, anche qui si presentano i personaggi principali, Holmes (Benedict Cumberbatch) è una persona piuttosto incapace di intessere relazioni sociali ma da una impressionante capacità deduttiva, John Watson (Martin Freeman) è un medico militare che ha operato in Afghanistan (come l'originale, i tempi passano ma alcuni punti dolenti nello scacchiere geopolitico restano immutati) ed è stato congedato per le ferite subite. Il poliziotto che chiede aiuto a Holmes è sempre Lestrade (Rupert Graves), e si è scelto di renderlo più simpatico di quello che era nella versione di sir Arthur Conan Doyle.
I due si installano al 221/B di Baker Street, sotto l'ala della signora Hudson (Una Stubbs), e finiscono subito nel gorgo di una indagine che ricorda vagamente quella dello studio rosso.
Esistono due versioni di questo episodio. La prima dura un'ora, ha una trama più agile e non è stata trasmessa in televisione. La seconda è più lunga di mezz'ora, include alcune varianti minori nella storia, spiegando meglio alcuni particolari secondari, e introduce due personaggi che Conan Doyle aveva riservato ad un tempo successivo, Mycroft e Moriarty, il fratello e la nemesi di Sherlock.
Pare che l'idea fosse trasmettere la versione breve come pilot, valutare la risposta di pubblico e decidere se fare la serie o meno. Il risultato è stato di qualità così elevata che si è deciso di dare per passata la prova, concedere più tempo ad ogni puntata ed espandere la trama del pilot per farle raggiungere la durata di novanta minuti. Da notare che non si è mantenuto il girato e si è semplicemente rimontato il tutto aggiungendo nuovi elementi, ma si è rifatto tutto da capo.
Il circo
Uno squattrinato vagabondo (Charlie Chaplin) inganna l'appetito girando tra i padiglioni di un circo. Viene coinvolto suo malgrado in un tentativo di borseggio che lo porta a sfuggire all'arresto con una rocambolesca fuga che passa, tra l'altro, da un labirinto di specchi e dalla pista del circo stesso.
Considerato buffo a sua insaputa dal pubblico, viene assunto dall'antipatico proprietario (una specie di Mangiafuoco) che maltratta tutti, compresa Merna (Merna Kennedy), sua figlia adottiva. Merna e il vagabondo fanno amicizia, una di quelle amicizie sbilanciate, in cui lui è innamorato di lei, ma a lei non viene nemmeno il sospetto dei sentimenti di lui.
E così al povero omarino toccherà una tra le prove più difficili a cui possa essere sottoposto un essere umano, rinunciare alla propria amata senza nemmeno farle sapere quanto questo gli pesi.
Scritto, prodotto, diretto, interpretato, e, nell'edizione fine anni sessanta, musicato (canta anche una canzone sui titoli di testa) da Charlie Chaplin.
Considerato buffo a sua insaputa dal pubblico, viene assunto dall'antipatico proprietario (una specie di Mangiafuoco) che maltratta tutti, compresa Merna (Merna Kennedy), sua figlia adottiva. Merna e il vagabondo fanno amicizia, una di quelle amicizie sbilanciate, in cui lui è innamorato di lei, ma a lei non viene nemmeno il sospetto dei sentimenti di lui.
E così al povero omarino toccherà una tra le prove più difficili a cui possa essere sottoposto un essere umano, rinunciare alla propria amata senza nemmeno farle sapere quanto questo gli pesi.
Scritto, prodotto, diretto, interpretato, e, nell'edizione fine anni sessanta, musicato (canta anche una canzone sui titoli di testa) da Charlie Chaplin.
Jakob il bugiardo
Siamo sul finire della seconda guerra mondiale nel ghetto ebraico di una città polacca. Jakob (Robin Williams), per una bizzarra circostanza, viene ritenuto dai suoi compagni di sventura in possesso di una radio, con la quale sarebbe informato degli sviluppi della guerra. In realtà il suo segreto è un altro, sta ospitando una bambina (Hannah Taylor Gordon) che è scampata ad un precedente viaggio della morte. Poco cambia per la sua precaria situazione, visto che entrambi i reati sono passibili di pena di morte.
Il presunto possesso della radio, però, gli crea un dilemma morale irrisolvibile. Negando l'esistenza della radio spegne l'ultima fiammella di speranza del ghetto, inventandosi notizie sui russi in avvicinamento crea false speranze e spinge alcuni a comportamenti pericolosi. Che fare? Alcuni, come Frankfurter (Alan Arkin), ritengono che il solo fatto di lasciare che una radio esista nel ghetto sia un pericolo inaccettabile, altri, come il dottor Kirschbaum (Armin Mueller-Stahl), pensano che un briciolo di speranza non possa che far bene.
A risolvere il problema ci pensano i nazisti, che caricano tutti quanti su di un treno.
Remake di un film tedesco orientale (con la particolarità che Mueller-Stahl ha recitato in entrambi) ad opera di una produzione franco-americana che mi pare abbia tolto il mordente originale senza aggiungere molto in cambio. Buon il cast che, oltre ai sopracitati, include anche Mark Margolis (habitué dei film di Aronofsky), Bob Balaban (il barbiere), Mathieu Kassovitz (il fondamentalista che vede nella radio uno strumento del demonio), Liev Schreiber (l'ex-pugile). Alla regia il padre di Mathieu, Peter Kassovitz, che ha pure partecipato alla scrittura della sceneggiatura.
La scena iniziale, con un foglio di giornale che viene inutilmente inseguito da Jakob mentre il vento glielo fa danzare dispettosamente attorno, ricorda troppo la piuma di Forrest Gump, e il finale fantastico, in cui le menzogne di Jakob si materializzano a salvare i suoi amici, ricorda quello di La vita è bella di Roberto Benigni, stessi occhi spalancati di stupore dei bambini.
Il presunto possesso della radio, però, gli crea un dilemma morale irrisolvibile. Negando l'esistenza della radio spegne l'ultima fiammella di speranza del ghetto, inventandosi notizie sui russi in avvicinamento crea false speranze e spinge alcuni a comportamenti pericolosi. Che fare? Alcuni, come Frankfurter (Alan Arkin), ritengono che il solo fatto di lasciare che una radio esista nel ghetto sia un pericolo inaccettabile, altri, come il dottor Kirschbaum (Armin Mueller-Stahl), pensano che un briciolo di speranza non possa che far bene.
A risolvere il problema ci pensano i nazisti, che caricano tutti quanti su di un treno.
Remake di un film tedesco orientale (con la particolarità che Mueller-Stahl ha recitato in entrambi) ad opera di una produzione franco-americana che mi pare abbia tolto il mordente originale senza aggiungere molto in cambio. Buon il cast che, oltre ai sopracitati, include anche Mark Margolis (habitué dei film di Aronofsky), Bob Balaban (il barbiere), Mathieu Kassovitz (il fondamentalista che vede nella radio uno strumento del demonio), Liev Schreiber (l'ex-pugile). Alla regia il padre di Mathieu, Peter Kassovitz, che ha pure partecipato alla scrittura della sceneggiatura.
La scena iniziale, con un foglio di giornale che viene inutilmente inseguito da Jakob mentre il vento glielo fa danzare dispettosamente attorno, ricorda troppo la piuma di Forrest Gump, e il finale fantastico, in cui le menzogne di Jakob si materializzano a salvare i suoi amici, ricorda quello di La vita è bella di Roberto Benigni, stessi occhi spalancati di stupore dei bambini.
Il monello
Lei (Edna Purviance), sedotta e abbandonata, esce da un ospedale che sembra quasi una galera con il figlio della colpa. Schiacciata da resposabilità di cui non riesce a farsi carico decide tra mille titubanze di abbandonare il frugoletto su un'automobile da ricconi, sperando così di assicurargli un futuro migliore. Non è la sola ad aver adocchiato la vettura, che viene rubata, così che l'infante finisce in un cantuccio in un quartiere disperato della città. Difficile dire se sia un bene o un male per il poppante ma, invece del riccone immaginato dalla madre, finisce nelle mani di un vagabondo (Charlie Chaplin) con qualche innocua e illusoria fissazione da nobile decaduto. Costui è infatti un pezzente tra i peggio messi ma ha anche un cuore grande così e, una volta messe a tacere le ragioni della testa che lo spingerebbero a passare il problema a qualcun altro, si dedica con tutta l'anima a quello che considera suo figlio (anche prima di sapere che sesso abbia).
Cinque anni dopo l'infante è diventato uno sfrontato monello (Jackie Coogan) che "lavora" col vagabondo nella loro premiata azienda per la rottura e sostituzione di vetri. Attività che viene interrotta da un solerte poliziotto, ma non prima che i due gli abbiano rispettivamente rotto un vetro di casa e sedotto la moglie.
La madre del piccolo, nel frattempo, è diventata una attrice di successo. Non è riuscita a cancellare la pena per il figlio che ha abbandonato, e cerca di lenirla (o la mantiene viva) facendo volontariato nelle peggio vie del borgo. E' così che lo incontra, senza poterlo riconoscere, e scatena involontariamente una sequenza di avvenimenti che portano il piccolo a fare a botte con un altro monello e questi a far intervenire il nerboruto fratello che vuole rivalersi sul vagabondo (ma finirà suonato). L'agitazione degli eventi finirà per essere troppa per il bimbo che cadrà malato. Il medico che interviene nota lo squallore della vita che i due conducono e offre come soluzione l'orfanotrofio. Ma questa famiglia, per quanto anomala, non vuole essere distrutta, e i due scappano, causando un'agitazione bastante a che Lei scopra che il piccolo è suo figlio.
Si è dunque ristabilito il legame madre-figlio che si era rotto all'inizio della storia. A farne le spese è il vagabondo, rimasto solo senza sapere cosa sia successo. Cerca il monello fino a cadere esausto sulla soglia di casa, per fare un sogno che vorrebbe essere consolatorio, in cui il suo quartieraccio si trasforma in un angolo di paradiso e tutto sembra andare per il meglio. Ma la sua pena è tale che nemmeno in un paradiso che lui stesso si è creato riesce a trovare pace.
A svegliare il poveretto sono i maltrattamenti di un poliziotto che lo ha riconosciuto. E' così demoralizzato che non fa nemmeno un tentativo di opporsi all'arresto. Abbiamo visto in precedenza come il vagabondo sia una specie di saponetta, capace di scivolare via di mano a tutto e tutti, ma ora non ne vede più il motivo, e si lascia passivamente portar via verso il suo destino. Grazie al cielo questa è una commedia, e c'è ancora tempo per un'ultima sorpresa, un finale in cui sembra di tornare nel sogno del vagabondo, dove persino il poliziotto ride e se gli mette le mani addosso è solo per dargli bonarie pacche di incoraggiamento.
Alcune scene sono un prodigio di concisione, in una manciata di secondi esprimono osservazioni che potrebbero essere espanse in sottotrame da una decina di minuti. Vedasi ad esempio quella dedicata al padre biologico del monello. Ha una foto di Lei sul caminetto, sembra guardarla con un certo rimpianto ma quando cade nel fuoco dedica solo un attimo alla decisione se salvarla per quanto bruciacchiata o mandarla nel centro della vampa. Per poi passare ad altro.
Primo lungometraggio scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin, visto nella versione di mezzo secolo dopo, con una editazione che riduce la parte della madre (che a tutti gli effetti è secondaria rispetto alla trama principale) e correda le immagini di una nuova colonna sonora, entrambe opera di Chaplin.
Cinque anni dopo l'infante è diventato uno sfrontato monello (Jackie Coogan) che "lavora" col vagabondo nella loro premiata azienda per la rottura e sostituzione di vetri. Attività che viene interrotta da un solerte poliziotto, ma non prima che i due gli abbiano rispettivamente rotto un vetro di casa e sedotto la moglie.
La madre del piccolo, nel frattempo, è diventata una attrice di successo. Non è riuscita a cancellare la pena per il figlio che ha abbandonato, e cerca di lenirla (o la mantiene viva) facendo volontariato nelle peggio vie del borgo. E' così che lo incontra, senza poterlo riconoscere, e scatena involontariamente una sequenza di avvenimenti che portano il piccolo a fare a botte con un altro monello e questi a far intervenire il nerboruto fratello che vuole rivalersi sul vagabondo (ma finirà suonato). L'agitazione degli eventi finirà per essere troppa per il bimbo che cadrà malato. Il medico che interviene nota lo squallore della vita che i due conducono e offre come soluzione l'orfanotrofio. Ma questa famiglia, per quanto anomala, non vuole essere distrutta, e i due scappano, causando un'agitazione bastante a che Lei scopra che il piccolo è suo figlio.
Si è dunque ristabilito il legame madre-figlio che si era rotto all'inizio della storia. A farne le spese è il vagabondo, rimasto solo senza sapere cosa sia successo. Cerca il monello fino a cadere esausto sulla soglia di casa, per fare un sogno che vorrebbe essere consolatorio, in cui il suo quartieraccio si trasforma in un angolo di paradiso e tutto sembra andare per il meglio. Ma la sua pena è tale che nemmeno in un paradiso che lui stesso si è creato riesce a trovare pace.
A svegliare il poveretto sono i maltrattamenti di un poliziotto che lo ha riconosciuto. E' così demoralizzato che non fa nemmeno un tentativo di opporsi all'arresto. Abbiamo visto in precedenza come il vagabondo sia una specie di saponetta, capace di scivolare via di mano a tutto e tutti, ma ora non ne vede più il motivo, e si lascia passivamente portar via verso il suo destino. Grazie al cielo questa è una commedia, e c'è ancora tempo per un'ultima sorpresa, un finale in cui sembra di tornare nel sogno del vagabondo, dove persino il poliziotto ride e se gli mette le mani addosso è solo per dargli bonarie pacche di incoraggiamento.
Alcune scene sono un prodigio di concisione, in una manciata di secondi esprimono osservazioni che potrebbero essere espanse in sottotrame da una decina di minuti. Vedasi ad esempio quella dedicata al padre biologico del monello. Ha una foto di Lei sul caminetto, sembra guardarla con un certo rimpianto ma quando cade nel fuoco dedica solo un attimo alla decisione se salvarla per quanto bruciacchiata o mandarla nel centro della vampa. Per poi passare ad altro.
Primo lungometraggio scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin, visto nella versione di mezzo secolo dopo, con una editazione che riduce la parte della madre (che a tutti gli effetti è secondaria rispetto alla trama principale) e correda le immagini di una nuova colonna sonora, entrambe opera di Chaplin.
Un giorno come tanti
La storia mi ha ricordato un po' Stand by me (Ricordo di un'estate) e un po' Atonement (Espiazione). Confronto di quelli che ammazzano, visto che tutti e tre sono basati su romanzi, ma quello di questo film deriva da Labor day di Joyce Maynard, mentre per gli altri due i nomi sono Stephen King e Ian McEwan. Niente meno.
Non credo di poter avanzare particolari critiche a Jason Reitman per la sceneggiatura, molto fedele al testo originale, o per la regia, che mi è sembrata all'altezza delle sue capacità, se non che mi pare che riesca ad usare meglio i toni lievi, al limite anche da commedia, anche quando si toccano temi di un certo spessore. Mentre qui la storia è stabilmente sul dramma, con svisamenti sul melodramma, semmai. Avrei preferito dunque una minore fedeltà al romanzo, a vantaggio dello spostamento della narrazione su un campo più favorevole al giovane Reitman.
Ora che ci penso, avrei anche un'altra rimostranza. Avrei preferito che si tagliassero scene dalla parte centrale e si aggiungesse piuttosto polpa al finale, che mi ha dato l'impressione di essere un po' tirato via.
Detto questo, il film è andato male negli USA, e da noi non ha visto nemmeno le sale cinematografiche. Dopo un balletto sulle possibili date di uscita, si è deciso infine di puntare direttamente al DVD. Non che mi stupisca, visto che già il precedente Young adult era stato accolto freddamente in USA e praticamente ignorato da noi. Mi resta solo da sperare che Men, Women & Children, il suo prossimo film pronto all'uscita, inverta il trend.
La storia è narrata dal punto di vista di un giovanotto (Tobey Maguire) che ricorda un fatto che avvenne quando era poco più che un bambino (Gattlin Griffith). La madre (Kate Winslet) ha una brutta depressione, di cui più avanti verrà spiegata l'origine, che ha spinto il marito (Clark Gregg), codardamente, ad abbandonarla. Madre e figlio incappano un giorno in un evaso (Josh Brolin) che chiede il loro aiuto per scappare dalla polizia. Tra i tre si crea uno strano legame che sin dall'inizio resta in bilico tra la minaccia e l'offerta di quello che tutti e tre stanno più o meno consciamente cercando, una famiglia, per quanto anomala che li aiuti a superare il loro passato.
La Winslet e Brolin sono ottimamente in parte e gestiscono molto credibilmente l'evoluzione della relazione. Bravo anche Griffith a rendere il carattere di un bambino che non capisce bene quello che sta accadendo e si trova a dover compiere scelte più grandi di lui. Poco più che una comparsata la partecipazione di Maguire.
Bella la colonna sonora di Rolfe Kent.
Non credo di poter avanzare particolari critiche a Jason Reitman per la sceneggiatura, molto fedele al testo originale, o per la regia, che mi è sembrata all'altezza delle sue capacità, se non che mi pare che riesca ad usare meglio i toni lievi, al limite anche da commedia, anche quando si toccano temi di un certo spessore. Mentre qui la storia è stabilmente sul dramma, con svisamenti sul melodramma, semmai. Avrei preferito dunque una minore fedeltà al romanzo, a vantaggio dello spostamento della narrazione su un campo più favorevole al giovane Reitman.
Ora che ci penso, avrei anche un'altra rimostranza. Avrei preferito che si tagliassero scene dalla parte centrale e si aggiungesse piuttosto polpa al finale, che mi ha dato l'impressione di essere un po' tirato via.
Detto questo, il film è andato male negli USA, e da noi non ha visto nemmeno le sale cinematografiche. Dopo un balletto sulle possibili date di uscita, si è deciso infine di puntare direttamente al DVD. Non che mi stupisca, visto che già il precedente Young adult era stato accolto freddamente in USA e praticamente ignorato da noi. Mi resta solo da sperare che Men, Women & Children, il suo prossimo film pronto all'uscita, inverta il trend.
La storia è narrata dal punto di vista di un giovanotto (Tobey Maguire) che ricorda un fatto che avvenne quando era poco più che un bambino (Gattlin Griffith). La madre (Kate Winslet) ha una brutta depressione, di cui più avanti verrà spiegata l'origine, che ha spinto il marito (Clark Gregg), codardamente, ad abbandonarla. Madre e figlio incappano un giorno in un evaso (Josh Brolin) che chiede il loro aiuto per scappare dalla polizia. Tra i tre si crea uno strano legame che sin dall'inizio resta in bilico tra la minaccia e l'offerta di quello che tutti e tre stanno più o meno consciamente cercando, una famiglia, per quanto anomala che li aiuti a superare il loro passato.
La Winslet e Brolin sono ottimamente in parte e gestiscono molto credibilmente l'evoluzione della relazione. Bravo anche Griffith a rendere il carattere di un bambino che non capisce bene quello che sta accadendo e si trova a dover compiere scelte più grandi di lui. Poco più che una comparsata la partecipazione di Maguire.
Bella la colonna sonora di Rolfe Kent.
Piovono polpette 2 - La rivincita degli avanzi
Inizia male (uno spiegone del primo episodio, per chi se lo fosse perso), procede noiosamente per una mezz'oretta (gli abitanti dell'isola infestata dal cibo piovuto dal cielo vengono trasferiti in California), si riprende con il ritorno sull'isola, migliora ulteriormente nel finale.
Un po' una minestra riscaldata, con l'introduzione di ingredienti che creano una sorpresa ma che, a ben vedere, lasciano una certa perplessità. Anche in termini di biglietti staccati ha ottenuto un risultato buono ma inferiore a Polpette 1. Ricapitolando, meglio che la Sony Pictures Animation non si adagi sugli allori ma pensi a nuove idee (e con questo non intendo un terzo film sui puffi).
Flint, geniale e pasticcione, viene assunto dal suo idolo, Chester V (che rassomiglia tanto a uno Steve Jobs ancor più schizzato), per lavorare come inventore nella sua futuristica azienda (evidentemente ispirata alle varie Google-Apple-etc) mentre lo stesso Chester si occupa della bonifica dell'isola, che però fallisce.
Flint e i suoi amici tornano dunque a casa per completare lo sporco lavoro, ma la trovano trasformata in una specie di Jurassic Park, dove però invece di dinosauri dominano incontrastati cibi trasformati in animali, tipo, un hamburger i cui semi di sesamo sono occhi, fragole parlanti, cetriolini famelici che ricordano un po' i minion di cattivissima memoria, un po' i tre stooges, personaggi che a noi dicono poco, ma che sono ancora molto popolari negli USA.
Dopo qualche tempo (ma noi lo avevamo intuito prima) si scopre che Chester è completamente pazzo, e che la sua immagine da benefattore dell'umanità è completamente falsa. Gli interessa una cosa sola, il profitto, ed è disposto a tutto per ottenerlo. Per fortuna di Flint il lieto fine è ineludibile.
Un po' una minestra riscaldata, con l'introduzione di ingredienti che creano una sorpresa ma che, a ben vedere, lasciano una certa perplessità. Anche in termini di biglietti staccati ha ottenuto un risultato buono ma inferiore a Polpette 1. Ricapitolando, meglio che la Sony Pictures Animation non si adagi sugli allori ma pensi a nuove idee (e con questo non intendo un terzo film sui puffi).
Flint, geniale e pasticcione, viene assunto dal suo idolo, Chester V (che rassomiglia tanto a uno Steve Jobs ancor più schizzato), per lavorare come inventore nella sua futuristica azienda (evidentemente ispirata alle varie Google-Apple-etc) mentre lo stesso Chester si occupa della bonifica dell'isola, che però fallisce.
Flint e i suoi amici tornano dunque a casa per completare lo sporco lavoro, ma la trovano trasformata in una specie di Jurassic Park, dove però invece di dinosauri dominano incontrastati cibi trasformati in animali, tipo, un hamburger i cui semi di sesamo sono occhi, fragole parlanti, cetriolini famelici che ricordano un po' i minion di cattivissima memoria, un po' i tre stooges, personaggi che a noi dicono poco, ma che sono ancora molto popolari negli USA.
Dopo qualche tempo (ma noi lo avevamo intuito prima) si scopre che Chester è completamente pazzo, e che la sua immagine da benefattore dell'umanità è completamente falsa. Gli interessa una cosa sola, il profitto, ed è disposto a tutto per ottenerlo. Per fortuna di Flint il lieto fine è ineludibile.
Frozen - Il regno di ghiaccio
In principio era La regina delle nevi, una tra le favole più popolari (almeno nei paesi nordici) scritte da Hans Christian Andersen. Storia che, a ben vedere, è abbastanza difficile ricondurre a canoni disneyani. L'idea del team creativo, targato Classico Disney e che ha il suo nucleo in Chris Buck e Jennifer Lee, è stata quella di tenere alcuni elementi chiave e stravolgere tutto il resto. Il risultato è più vicino a Ribelle dei cugini Pixar che ai precedenti titoli della serie, anzi, se la Ribelle sembrava avere un carattere più in linea con la tradizione mainstream disneyana, qui la storia ha elementi sorprendenti e di una sottigliezza che direi pixariana. I due titoli hanno anche in comune il fatto di centrare l'azione sui personaggi femminili, e lasciare ai maschi solo ruoli di contorno.
Al centro della storia ci sono due principesse sorelle. Elsa, la maggiore, è nata con il bizzarro dono di poter generare neve e ghiaccio a suo piacere. Un giorno, nel corso di un gioco, rischia di uccidere la sorella minore Anna. Un troll, in questa storia i troll sono amichevoli e sapienti, la salva e avverte i genitori sui pericoli di un potere così grande. La soluzione escogitata è quella di separare le due sorelle (che pure si vogliono un gran bene) e condannare l'intera famiglia all'isolamento. In effetti così si evitano danni, ma Anna, che ha perso la memoria di quello che è successo, non capisce perché Elsa ora la eviti, ed Elsa, terrorizzata da quello che ha fatto, non riesce ad accettare le sue capacità.
Passano gli anni, i genitori escono di scena, giunge il momento di incoronare Elsa come regina locale. Il giorno della cerimonia, primo giorno di socialità per le due sorelle da tempo immemorabile, Anna si innamora di principe e lo vuole sposare. Elsa giudica la scelta della sorella irresponsabile, si altera, causando una sciagura climatica e il terrore della popolazione. Spaventata di sé stessa, scappa in montagna, dove riesce finalmente a usare il suo dono senza fare danni ad alcuno, vede quanto possa fare cose belle, e accetta che la solitudine sia il prezzo che deve pagare per esprimersi come lei sa fare.
Il problema è che nell'andarsene ha surgelato tutto il suo regno, e solo lei (si decide) sarà capace di togliere la morsa di gelo. Anna parte per spiegarle la situazione, ma l'incontro tra sorelle finisce molto male, Elsa colpisce nuovamente la sorellina, e questa volta il saggio troll non può far nulla. Il colpo, ci spiega, è al cuore. E solo un atto di amore vero potrà sanarlo.
E qui c'è il vero colpo di scena. Anna non verrà salvata dal suo innamorato. Già, perché il troll non era stato chiaro, ma scopriremo che intendeva che l'atto d'amore lo deve fare chi ha il cuore stretto in una morsa di ghiaccio.
Beh, comunque è pur sempre una favola Disney, e tutto finirà bene. I buoni, compreso il bizzarro pupazzo di neve animato creato distrattamente da Elsa, avranno una vita lunga e felice.
Da notare il gran numero di canzoni cantate durante lo svolgimento dell'azione, che fanno del film un musical vero e proprio, nel solco della migliore tradizione Disney. In originale la resa è eccellente, in italiano un po' meno.
Al centro della storia ci sono due principesse sorelle. Elsa, la maggiore, è nata con il bizzarro dono di poter generare neve e ghiaccio a suo piacere. Un giorno, nel corso di un gioco, rischia di uccidere la sorella minore Anna. Un troll, in questa storia i troll sono amichevoli e sapienti, la salva e avverte i genitori sui pericoli di un potere così grande. La soluzione escogitata è quella di separare le due sorelle (che pure si vogliono un gran bene) e condannare l'intera famiglia all'isolamento. In effetti così si evitano danni, ma Anna, che ha perso la memoria di quello che è successo, non capisce perché Elsa ora la eviti, ed Elsa, terrorizzata da quello che ha fatto, non riesce ad accettare le sue capacità.
Passano gli anni, i genitori escono di scena, giunge il momento di incoronare Elsa come regina locale. Il giorno della cerimonia, primo giorno di socialità per le due sorelle da tempo immemorabile, Anna si innamora di principe e lo vuole sposare. Elsa giudica la scelta della sorella irresponsabile, si altera, causando una sciagura climatica e il terrore della popolazione. Spaventata di sé stessa, scappa in montagna, dove riesce finalmente a usare il suo dono senza fare danni ad alcuno, vede quanto possa fare cose belle, e accetta che la solitudine sia il prezzo che deve pagare per esprimersi come lei sa fare.
Il problema è che nell'andarsene ha surgelato tutto il suo regno, e solo lei (si decide) sarà capace di togliere la morsa di gelo. Anna parte per spiegarle la situazione, ma l'incontro tra sorelle finisce molto male, Elsa colpisce nuovamente la sorellina, e questa volta il saggio troll non può far nulla. Il colpo, ci spiega, è al cuore. E solo un atto di amore vero potrà sanarlo.
E qui c'è il vero colpo di scena. Anna non verrà salvata dal suo innamorato. Già, perché il troll non era stato chiaro, ma scopriremo che intendeva che l'atto d'amore lo deve fare chi ha il cuore stretto in una morsa di ghiaccio.
Beh, comunque è pur sempre una favola Disney, e tutto finirà bene. I buoni, compreso il bizzarro pupazzo di neve animato creato distrattamente da Elsa, avranno una vita lunga e felice.
Da notare il gran numero di canzoni cantate durante lo svolgimento dell'azione, che fanno del film un musical vero e proprio, nel solco della migliore tradizione Disney. In originale la resa è eccellente, in italiano un po' meno.
L'impostore (The imposter)
Documentario che, oltre a seguire la narrazione degli eventi come riportata dai protagonisti, ricostruisce anche gli stessi per mezzo di una efficace drammatizzazione. Ottima la regia di Bart Layton.
Nicholas, poco più che un bambino, scompare in Texas sul finire degli anni ottanta. Alcuni anni dopo la famiglia riceve una telefonata dalle autorità per avvertirli che è stato ritrovato in Spagna, ove si trova in stato di schock. Ci viene detto subito che non si tratta del vero Nick, si tratta invece di un francese, Frédéric Bourdin (che ci dà la sua versione dei fatti, mentre Adam O'Brian lo interpreta nella ricostruzione), che ha detto questa scemenza trascinato dagli eventi. Lui sarebbe stato felice se lo avessero lasciato in una casa di accoglienza per minori abbandonati (in realtà era già maggiorenne da un pezzo all'epoca, ma per motivi piuttosto dolorosi non accetta la cosa e vorrebbe avere la possibilità di vivere una nuova infanzia), ma le autorità hanno insisito a tal punto perché lui desse i proprio dati che se li è inventati così.
Con sua grande sopresa (e anche nostra) ci cascano tutti. Nonostante la differenza di età, colore di capelli e occhi, accento, e tutto quanto, gli viene rilasciato in un battibaleno un passaporto americano e viene "rimpatriato" dalla sua famiglia, che pure lo accolgono accettando senza nessuna perplessità gli incredibili cambiamenti di Nicholas.
Sembra che tutto vada per il meglio a Frédéric. Il suo sogno sembra realizzarsi ma la sua tendenza a mentire spudoratamente e di essere al centro dell'attenzione non si è placata, e la sua storia interessa i media americani. E questo porta alla sua rovina. O alla sua salvezza. Già, perché la famiglia che si è trovato sembra che nasconda qualcosa di mostruoso, molto più della sua tendenza ad inventarsi realtà alternative. Si farà un po' di galera, e verrà espulso dagli USA. E forse dovrà ringraziare il cielo per essersela cavata così bene.
Curiosa la figura dell'investigatore privato che, abbastanza casualmente, risolverà almeno parte dell'intricata matassa. Un misto di fiuto e imbecillità da lasciar basiti.
Nicholas, poco più che un bambino, scompare in Texas sul finire degli anni ottanta. Alcuni anni dopo la famiglia riceve una telefonata dalle autorità per avvertirli che è stato ritrovato in Spagna, ove si trova in stato di schock. Ci viene detto subito che non si tratta del vero Nick, si tratta invece di un francese, Frédéric Bourdin (che ci dà la sua versione dei fatti, mentre Adam O'Brian lo interpreta nella ricostruzione), che ha detto questa scemenza trascinato dagli eventi. Lui sarebbe stato felice se lo avessero lasciato in una casa di accoglienza per minori abbandonati (in realtà era già maggiorenne da un pezzo all'epoca, ma per motivi piuttosto dolorosi non accetta la cosa e vorrebbe avere la possibilità di vivere una nuova infanzia), ma le autorità hanno insisito a tal punto perché lui desse i proprio dati che se li è inventati così.
Con sua grande sopresa (e anche nostra) ci cascano tutti. Nonostante la differenza di età, colore di capelli e occhi, accento, e tutto quanto, gli viene rilasciato in un battibaleno un passaporto americano e viene "rimpatriato" dalla sua famiglia, che pure lo accolgono accettando senza nessuna perplessità gli incredibili cambiamenti di Nicholas.
Sembra che tutto vada per il meglio a Frédéric. Il suo sogno sembra realizzarsi ma la sua tendenza a mentire spudoratamente e di essere al centro dell'attenzione non si è placata, e la sua storia interessa i media americani. E questo porta alla sua rovina. O alla sua salvezza. Già, perché la famiglia che si è trovato sembra che nasconda qualcosa di mostruoso, molto più della sua tendenza ad inventarsi realtà alternative. Si farà un po' di galera, e verrà espulso dagli USA. E forse dovrà ringraziare il cielo per essersela cavata così bene.
Curiosa la figura dell'investigatore privato che, abbastanza casualmente, risolverà almeno parte dell'intricata matassa. Un misto di fiuto e imbecillità da lasciar basiti.
Torchwood: Miracle day Finale
Seconda fase dello spiegone. Nella precedente coppia di puntate ci hanno fatto capire che il giorno del miracolo aveva avuto una incubazione di decenni, nata dalla scoperta dell'immortalità di Jack Harkness (John Barrowman) da parte di tre loschi figuri. Costoro hanno immaginato che all'origine del (questionabile) dono del Capitano ci fosse il suo stesso sangue - nonostante che a Jack tutto ciò sembri impossibile. Si sono impossessati di una certa quantità del prezioso liquido e si sono chiesti come utilizzarlo.
In loro aiuto viene una bizzarra struttura geografica senziente che attraversa il mondo ed è (chissà come) in relazione con l'umanità. Buttando sangue harkenssiano agli estremi della Benedizione (così viene chiamato questo personaggio) si ottiene l'effetto che abbiamo visto all'inizio di stagione. Perché mai, e come abbiano fatto quei geni de "le famiglie" (così si fa chiamare questa organizzazione quasi-mafiosa) ad immaginarselo è un particolare che non mi riesco a spiegare.
Però abbiamo un'idea di come Torchwood possa tentare di ostacolare il diabolico piano.
9) The gathering - Il raduno
Dalla puntata precedente a questa passano un paio di mesi. Avevamo lasciato Jack più morto che vivo, ora è convalescente, tutto sommato in buona forma. Lui ed Esther (Alexa Havins) sono in Scozia, in attesa di tempi migliori. Gwen (Eve Myles) sta a Cardiff con la famiglia, quando si trova davanti Oswald (Bill Pullman) che nel frattempo ha scoperto qualcosa di interessante sui suoi ex datori di lavoro. Mettendo assieme vari pezzi del puzzle, Torchwood e accoliti capiscono che devono andare a Buenos Aires e a Shanghai per chiudere la partita. Rex (Mekhi Phifer) fa la sua parte per conto della CIA.
10) The blood line - La fine del miracolo
Gran spargimento di sangue, in vari sensi, ma alla fine Torchwood ha la meglio su Le famiglie. Almeno per il momento. Come bonus Rex sembra aver assorbito almeno parte del dono proprio di Jack.
In loro aiuto viene una bizzarra struttura geografica senziente che attraversa il mondo ed è (chissà come) in relazione con l'umanità. Buttando sangue harkenssiano agli estremi della Benedizione (così viene chiamato questo personaggio) si ottiene l'effetto che abbiamo visto all'inizio di stagione. Perché mai, e come abbiano fatto quei geni de "le famiglie" (così si fa chiamare questa organizzazione quasi-mafiosa) ad immaginarselo è un particolare che non mi riesco a spiegare.
Però abbiamo un'idea di come Torchwood possa tentare di ostacolare il diabolico piano.
9) The gathering - Il raduno
Dalla puntata precedente a questa passano un paio di mesi. Avevamo lasciato Jack più morto che vivo, ora è convalescente, tutto sommato in buona forma. Lui ed Esther (Alexa Havins) sono in Scozia, in attesa di tempi migliori. Gwen (Eve Myles) sta a Cardiff con la famiglia, quando si trova davanti Oswald (Bill Pullman) che nel frattempo ha scoperto qualcosa di interessante sui suoi ex datori di lavoro. Mettendo assieme vari pezzi del puzzle, Torchwood e accoliti capiscono che devono andare a Buenos Aires e a Shanghai per chiudere la partita. Rex (Mekhi Phifer) fa la sua parte per conto della CIA.
10) The blood line - La fine del miracolo
Gran spargimento di sangue, in vari sensi, ma alla fine Torchwood ha la meglio su Le famiglie. Almeno per il momento. Come bonus Rex sembra aver assorbito almeno parte del dono proprio di Jack.
Una notte in giallo
Ho visto il film sulla fiducia per Elizabeth Banks, e non me ne sono pentito. Si tratta di una commedia che parte su toni romantici ma si sviluppa come una corsa contro il tempo, un po' come Cellular. Scopo principale del racconto è far ridere lo spettatore e direi che è raggiunto, almeno per buona parte del tempo. E' vero che ci sono alcune fasi in cui l'azione latita ma, pensavo, sarà colpa dell'inesperienza dello sceneggiatore/regista Steven Brill, che avrei detto abbia bisogno di mettere a punto le sue doti comiche. Ammetto la mia sorpresa quando ho scoperto che Brill non è certo un giovincello (è del '62) ed è nel business da un ventennio. Ohibò.
La storia è tutta centrata su Meghan (la Banks) una anchor di un notiziario del pomeriggio per una televisione losangilina (vedasi Anchorman per dettagli) che spera di fare il gran salto verso uno dei maggiori network. Il giorno che deve avere la risposta le sue due più care amiche le preparano una serata di festeggiamenti in un bar-discoteca locale. C'è però uno di quegli uno-due che il destino ogni tanto riserva a noi poveri mortali, e Meghan, a distanza di poche ore, viene mollata dal fidanzato e rifiutata dal network.
Le amiche la convincono lo stesso ad uscire, le appioppano un appariscente e conturbante vestito giallo (che lei, donna in carriera che segue il sogno di rispettabilità dei network americani non si sognerebbe nemmeno di avere in guardaroba), e si danno al divertimento. Grazie anche ad una abbondante dose di alcolici la nostra eroina finirà la serata a casa di Gordon (James Marsden).
Svegliatasi nel primissimo mattino, Meghan scopre che in network ha cambiato idea, e che lei andare al più presto in sede per far vedere agli emissari della rete come lavora. Una serie di circostanze fa sì che si trovi senza soldi, telefono, auto, documenti, in un quartiere pessimo di Los Angeles ad un ora decisamente inattendibile.
A proposito, il titolo originale, Walk of shame, si riferisce per l'appunto a quando qualcuno è in giro di mattina vestito da sera, lasciando intendere che ha passato la notte con una conoscenza occasionale, non avendo modo di vestirsi adeguatamente.
L'episodio che mi ha divertito di più è l'incontro di Meghan con un piccola banda di spacciatori di droga, dei tipacci, ovviamente, ma che sono gli unici a trattarla decentemente, sia pure a modo loro.
La storia è tutta centrata su Meghan (la Banks) una anchor di un notiziario del pomeriggio per una televisione losangilina (vedasi Anchorman per dettagli) che spera di fare il gran salto verso uno dei maggiori network. Il giorno che deve avere la risposta le sue due più care amiche le preparano una serata di festeggiamenti in un bar-discoteca locale. C'è però uno di quegli uno-due che il destino ogni tanto riserva a noi poveri mortali, e Meghan, a distanza di poche ore, viene mollata dal fidanzato e rifiutata dal network.
Le amiche la convincono lo stesso ad uscire, le appioppano un appariscente e conturbante vestito giallo (che lei, donna in carriera che segue il sogno di rispettabilità dei network americani non si sognerebbe nemmeno di avere in guardaroba), e si danno al divertimento. Grazie anche ad una abbondante dose di alcolici la nostra eroina finirà la serata a casa di Gordon (James Marsden).
Svegliatasi nel primissimo mattino, Meghan scopre che in network ha cambiato idea, e che lei andare al più presto in sede per far vedere agli emissari della rete come lavora. Una serie di circostanze fa sì che si trovi senza soldi, telefono, auto, documenti, in un quartiere pessimo di Los Angeles ad un ora decisamente inattendibile.
A proposito, il titolo originale, Walk of shame, si riferisce per l'appunto a quando qualcuno è in giro di mattina vestito da sera, lasciando intendere che ha passato la notte con una conoscenza occasionale, non avendo modo di vestirsi adeguatamente.
L'episodio che mi ha divertito di più è l'incontro di Meghan con un piccola banda di spacciatori di droga, dei tipacci, ovviamente, ma che sono gli unici a trattarla decentemente, sia pure a modo loro.
American hustle - L'apparenza inganna
Il sottotitolo italiano non aiuta a capire il vero tema del film, casomai confonde le acque. Penso che l'intenzione fosse quella di far pensare al potenziale spettatore di trovarsi di fronte a qualcosa come The prestige, Inception o, più modestamente, Now you see me. Pessima idea, visto che, pur partendo da premesse tutto sommato paragonabili, si va in una direzione diversa.
Per quanto riguarda il titolo originale, conviene fare attenzione a non confondere "hustle", che in questo caso significa truffa ma che è spesso usato nel suo senso più neutro di muovere o muoversi con fretta e senza troppi riguardi, con "hustler", termine con cui si indica chi fa del sesso il proprio lavoro.
La sceneggiatura originale, scritta da Eric Warren Singer (quello di The international, con cui ha in effetti qualcosa in comune), era considerata di ottimo valore, ma non si trovava nessuno che la volesse convertire in film. Troppo complicato, si diceva. A prendersene briga è stato David O. Russell, che l'ha adattata ai suoi scopi e diretta, approfittando probabilmente del nuovo credito ottenuto dopo il successo di Silver linings playbook.
E' basata su una storia vera, e questo mi ha causato una certa perplessità, che non apprezzo le storie vere, soprattutto quanto vengono manipolate pesantemente per far passare quello che vuole il team creativo senza prendersene la responsabilità. Per fortuna non è questo il caso, e ci viene detto immediatamente che solo qualcosa di quello che stiamo per vedere è effettivamente accaduto.
Si narra di Irving Rosenfeld (Christian Bale), un truffatore da poco, che da piccolo rompeva i vetri così che il padre li potesse sostituire (vedi Il monello di Charlie Chaplin) e che ora (anni settanta) millanta di avere agganci nel mondo della finanza, si fa pagare le spese anticipate da disperati che necessitano un prestito, e poi dice che la inesistente pratica non è andata in porto. Conosce Sydney Prosser (Amy Adams), bella donna con un passato di cui non va fiera, e i due decidono di lavorare assieme. Gli affari vanno a meraviglia. Se non che un agente dell'FBI, Richie DiMaso (Bradley Cooper), li pizzica e propone un patto leonino perché Sydney non vada in galera. Irving dovrà servirgli quattro suoi colleghi.
Irving inizia ad imbastire una trappola, creando un falso sceicco arabo disposto ad investire molti soldi, ma un pollo tira in ballo il sindaco di un paesino del New Jersey, Carmine Polito (Jeremy Renner) che sta cercando di aprire un casinò nel suo paese per contrastare il tracollo economico, e Richie si ingolosisce. Il suo capo (Louis C.K.) non ne vorrebbe sapere, ma il di lui capo (Alessandro Nivola) si mostra entusiasta (un arresto del genere sarebbe un bel colpo per la sua possibile carriera politica) e lo spinge all'azione. L'affare diventa grosso, il falso sceicco arabo, interpretato da un agente di origine ispanica (Michael Peña), viene visto con sospetto da un boss della cosa nostra americana (Robert De Niro) che si è autoinvitato nell'affare e, un po' per chiamare il bluff, un po' per garantire la riuscita della cosa, consiglia di fargli dare la cittadinanza americana. Per fare questo occorre ungere le ruote del sistema, corrompendo deputati e senatori.
Come se tutto questo non bastasse, Carmine e Irving fanno amicizia, il che implica serate assieme con le rispettive mogli. Irving è sposato con Rosalyn (Jennifer Lawrence), una tipetta piuttosto bizzarra che minaccia più o meno involontariamente di far saltare tutto per seguire le sue priorità.
L'interesse della storia sta nel fatto che non esistono buoni e cattivi, non è un film in bianco e nero, ma con tante tonalità di grigio. Il vero sconfitto sarà infatti quello che pensava di essere dalla parte della ragione, e che tutti gli altri avessero torto.
E non ci sono veri vincitori, Irving e Sydney riusciranno a limitare i danni, uscirne non troppo male. Forse è questa l'unica vera vittoria a cui si può ambire.
Per quanto riguarda il titolo originale, conviene fare attenzione a non confondere "hustle", che in questo caso significa truffa ma che è spesso usato nel suo senso più neutro di muovere o muoversi con fretta e senza troppi riguardi, con "hustler", termine con cui si indica chi fa del sesso il proprio lavoro.
La sceneggiatura originale, scritta da Eric Warren Singer (quello di The international, con cui ha in effetti qualcosa in comune), era considerata di ottimo valore, ma non si trovava nessuno che la volesse convertire in film. Troppo complicato, si diceva. A prendersene briga è stato David O. Russell, che l'ha adattata ai suoi scopi e diretta, approfittando probabilmente del nuovo credito ottenuto dopo il successo di Silver linings playbook.
E' basata su una storia vera, e questo mi ha causato una certa perplessità, che non apprezzo le storie vere, soprattutto quanto vengono manipolate pesantemente per far passare quello che vuole il team creativo senza prendersene la responsabilità. Per fortuna non è questo il caso, e ci viene detto immediatamente che solo qualcosa di quello che stiamo per vedere è effettivamente accaduto.
Si narra di Irving Rosenfeld (Christian Bale), un truffatore da poco, che da piccolo rompeva i vetri così che il padre li potesse sostituire (vedi Il monello di Charlie Chaplin) e che ora (anni settanta) millanta di avere agganci nel mondo della finanza, si fa pagare le spese anticipate da disperati che necessitano un prestito, e poi dice che la inesistente pratica non è andata in porto. Conosce Sydney Prosser (Amy Adams), bella donna con un passato di cui non va fiera, e i due decidono di lavorare assieme. Gli affari vanno a meraviglia. Se non che un agente dell'FBI, Richie DiMaso (Bradley Cooper), li pizzica e propone un patto leonino perché Sydney non vada in galera. Irving dovrà servirgli quattro suoi colleghi.
Irving inizia ad imbastire una trappola, creando un falso sceicco arabo disposto ad investire molti soldi, ma un pollo tira in ballo il sindaco di un paesino del New Jersey, Carmine Polito (Jeremy Renner) che sta cercando di aprire un casinò nel suo paese per contrastare il tracollo economico, e Richie si ingolosisce. Il suo capo (Louis C.K.) non ne vorrebbe sapere, ma il di lui capo (Alessandro Nivola) si mostra entusiasta (un arresto del genere sarebbe un bel colpo per la sua possibile carriera politica) e lo spinge all'azione. L'affare diventa grosso, il falso sceicco arabo, interpretato da un agente di origine ispanica (Michael Peña), viene visto con sospetto da un boss della cosa nostra americana (Robert De Niro) che si è autoinvitato nell'affare e, un po' per chiamare il bluff, un po' per garantire la riuscita della cosa, consiglia di fargli dare la cittadinanza americana. Per fare questo occorre ungere le ruote del sistema, corrompendo deputati e senatori.
Come se tutto questo non bastasse, Carmine e Irving fanno amicizia, il che implica serate assieme con le rispettive mogli. Irving è sposato con Rosalyn (Jennifer Lawrence), una tipetta piuttosto bizzarra che minaccia più o meno involontariamente di far saltare tutto per seguire le sue priorità.
L'interesse della storia sta nel fatto che non esistono buoni e cattivi, non è un film in bianco e nero, ma con tante tonalità di grigio. Il vero sconfitto sarà infatti quello che pensava di essere dalla parte della ragione, e che tutti gli altri avessero torto.
E non ci sono veri vincitori, Irving e Sydney riusciranno a limitare i danni, uscirne non troppo male. Forse è questa l'unica vera vittoria a cui si può ambire.
Torchwood: Miracle day (7 e 8)
I nodi della stagione vengono al pettine, nella veste di una puntata-spiegone che introduce una serie di nuovi personaggi che ci sono stati tenuti nascosti per la precedente mezza dozzina di episodi, e nella successiva che introduce un elemento di tecnologia aliena che, novello deus ex machina, ha lo scopo di risolvere i problemi di sceneggiatura altrimenti non risolvibili.
7) Immortal sins - Peccati immortali
Le mie perplessità iniziali sul bavaglio messo alla sessualità dei personaggi, ed in particolare a quella vulcanica del Capitano Jack Harkness (John Barrowman) trovano qui una decisa confutazione. Neanche l'episodio 3 scherzava niente, ma qui c'è di che oltraggiare ogni spettatore sessuofobo, in particolare nella versione omofoba. Del resto anch'io, che non cado nelle succitate categorie, ho trovato eccessivo lo spazio dedicato ai ruzzolamenti del Capitano.
Con un gigantesco salto indietro si accenna ad una missione Torchwood tenuta nel 1927 dal Capitano, che arriva a New York passando da Roma (chissà perché) via nave, sbarca ad Ellis Island e si fa tutta la trafila di ammissione assieme ad una schiera di italiani. Tra questi spicca Angelo Colasanto (Daniele Favilli) nu bellu guaglione uso all'italica arte di arrangiarsi che incongruamente parla un ottimo inglese (che gli sarebbe stato insegnato da un docente illuminato). I due fanno comunella, diventano amanti, e finiscono per lavorare assieme al caso torchwoodiano. Il povero Angelo, però, già in difficoltà nell'accettare una relazione omosessuale a lungo termine (in qualche modo si era trovato una giustificazione a quelle estemporanee) perde il lume della ragione quando scopre che Jack ha la capacità di tornare in vita.
Se ne pente, ma ormai Jack è finito nelle mani di una piccola folla di italoamericani che non sanno bene se accusare Jack di essere il demonio o un bizzarro miracolo divino. Nel dubbio lo ammazzano ripetutamente e raccolgono il suo sangue sperando che abbia effetti taumaturgici.
Tre oscuri personaggi sono interessati alla vicenda, e sembra che pensino ad un modo per usare la particolarità di Jack ai loro fini.
Angelo aiuta Jack a scappare, Jack abbandona Angelo e pare si sia disinteressato dell'intera faccenda. Fino al momento corrente.
Nel presente dell'azione, una ricattata Gwen (Eve Myles) rapisce Jack e lo porta ad un incontro con una misteriosa tizia, Olivia (Nana Visitor). I due membri americani di Torchwood, Rex (Mekhi Phifer) ed Esther (Alexa Havins) scoprono l'inghippo e rovesciano il tavolo. Olivia che poi è la nipote di Angelo, invita tutti quanti ad andare comunque con lei da suo nonno.
Mi pare che Olivia si sia mossa in modo insensato. Sapeva già che Jack avrebbe accettato di andare spontaneamente da suo nonno, bastava invitarlo direttamente. E non è l'unica debolezza della sceneggiatura in questa confusa parte.
8) End of the road - Amore eterno
Angelo è vecchissimo e in coma. In pratica tenuto in vita dal desiderio di incontrare nuovamente Jack, che aveva continuato ad amare per tutta la sua vita, seguendolo a distanza, senza avere mai il coraggio di contattarlo. Jack gli dà un bacio e lui, inspiegabilmente muore. Nel frattempo nella casa di Angelo è piombata anche la CIA, e Torchwood viene reclutata a forza per spiegare l'impiccio. Gwen non ci sta, e viene rispedita in Europa. Jack sta al gioco dei suoi compatrioti, ma solo per aver modo di studiare un bizzarro manufatto alieno che era occultato sotto il letto di Angelo. Poi macchina con Rex ed Esther per scappare, la fuga riesce ma Jack viene ferito ed Esther, che guida l'auto, non sa più che pesci pigliare.
7) Immortal sins - Peccati immortali
Le mie perplessità iniziali sul bavaglio messo alla sessualità dei personaggi, ed in particolare a quella vulcanica del Capitano Jack Harkness (John Barrowman) trovano qui una decisa confutazione. Neanche l'episodio 3 scherzava niente, ma qui c'è di che oltraggiare ogni spettatore sessuofobo, in particolare nella versione omofoba. Del resto anch'io, che non cado nelle succitate categorie, ho trovato eccessivo lo spazio dedicato ai ruzzolamenti del Capitano.
Con un gigantesco salto indietro si accenna ad una missione Torchwood tenuta nel 1927 dal Capitano, che arriva a New York passando da Roma (chissà perché) via nave, sbarca ad Ellis Island e si fa tutta la trafila di ammissione assieme ad una schiera di italiani. Tra questi spicca Angelo Colasanto (Daniele Favilli) nu bellu guaglione uso all'italica arte di arrangiarsi che incongruamente parla un ottimo inglese (che gli sarebbe stato insegnato da un docente illuminato). I due fanno comunella, diventano amanti, e finiscono per lavorare assieme al caso torchwoodiano. Il povero Angelo, però, già in difficoltà nell'accettare una relazione omosessuale a lungo termine (in qualche modo si era trovato una giustificazione a quelle estemporanee) perde il lume della ragione quando scopre che Jack ha la capacità di tornare in vita.
Se ne pente, ma ormai Jack è finito nelle mani di una piccola folla di italoamericani che non sanno bene se accusare Jack di essere il demonio o un bizzarro miracolo divino. Nel dubbio lo ammazzano ripetutamente e raccolgono il suo sangue sperando che abbia effetti taumaturgici.
Tre oscuri personaggi sono interessati alla vicenda, e sembra che pensino ad un modo per usare la particolarità di Jack ai loro fini.
Angelo aiuta Jack a scappare, Jack abbandona Angelo e pare si sia disinteressato dell'intera faccenda. Fino al momento corrente.
Nel presente dell'azione, una ricattata Gwen (Eve Myles) rapisce Jack e lo porta ad un incontro con una misteriosa tizia, Olivia (Nana Visitor). I due membri americani di Torchwood, Rex (Mekhi Phifer) ed Esther (Alexa Havins) scoprono l'inghippo e rovesciano il tavolo. Olivia che poi è la nipote di Angelo, invita tutti quanti ad andare comunque con lei da suo nonno.
Mi pare che Olivia si sia mossa in modo insensato. Sapeva già che Jack avrebbe accettato di andare spontaneamente da suo nonno, bastava invitarlo direttamente. E non è l'unica debolezza della sceneggiatura in questa confusa parte.
8) End of the road - Amore eterno
Angelo è vecchissimo e in coma. In pratica tenuto in vita dal desiderio di incontrare nuovamente Jack, che aveva continuato ad amare per tutta la sua vita, seguendolo a distanza, senza avere mai il coraggio di contattarlo. Jack gli dà un bacio e lui, inspiegabilmente muore. Nel frattempo nella casa di Angelo è piombata anche la CIA, e Torchwood viene reclutata a forza per spiegare l'impiccio. Gwen non ci sta, e viene rispedita in Europa. Jack sta al gioco dei suoi compatrioti, ma solo per aver modo di studiare un bizzarro manufatto alieno che era occultato sotto il letto di Angelo. Poi macchina con Rex ed Esther per scappare, la fuga riesce ma Jack viene ferito ed Esther, che guida l'auto, non sa più che pesci pigliare.
World war Z
In origine era il romanzo epistolare di Max Brooks, figlio di Mel, che ebbe un successo tale da attirare le case di produzione hollywoodiane. Dopo una serrata battaglia a base di rilanci, a vincere fu il partito di Brad Pitt, sconfiggendo tra gli altri anche Leonardo di Caprio.
Originariamente Pitt avrebbe dovuto limitarsi alla produzione, ma difficoltà nello scritturare un protagonista lo spinsero a mettersi in gioco anche nella recitazione. E forse questo è un problema del film, non che il buon Brad non sia un bravo attore, ma ho come il sospetto che la sceneggiatura sia stata adattata per dargli tutto lo spazio possibile.
E non è solo quello il limite della sceneggiatura, che mantiene del racconto originale poco, in pratica solo l'idea iniziale, e la sviluppa seguendo logiche tutte sue. Poco spazio alla regia (Marc Forster) che sembra più che altro occupata a gestire l'imponente budget.
Gerry (Pitt), dipendente delle Nazioni Unite che ha deciso di lasciare l'usurante attività investigativa per dedicarsi alla famiglia, scopre improvvisamente che un contagio alla Contagion sta trasformando il mondo in un incubo zombie alla 28 giorni dopo, film di Danny Boyle. Anche questi zombie sono velocissimi, contrariamente alla tradizione che li vuole lenti, beh, come zombie. Anche in questo caso l'origine è virale, la differenza è che nella versione di Boyle gli infettati erano resi violenti e insensati dall'infezione, in questa il virus uccide l'ospite e poi ne prende il comando, usando spesso il corpo come arma, con lo scopo di infettare (quasi) tutti gli altri umani. Il che crea una serie di problemi logici (come diamine fa un virus a usare un corpo umano morto in questo modo?) sui quali è meglio sorvolare.
Gerry viene richiamato in servizio per trovare l'origine dell'infezione (vedi ancora Contagion), missione che lo porta prima in Corea del Sud, poi in Israele, infine nel Galles, nei dintorni di Cardiff, dove c'è un laboratorio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che potrebbe dare una soluzione al problema.
Per arrivare alla quale il buon Gerry dovrà affrontare una specie di videogioco alla Resident evil con vari trabocchetti.
Particolare curioso, tra i dottori dell'OMS che Gerry trova nell'istituto, c'è anche Peter Capaldi, identificato nei titoli di coda semplicemente come WHO Doctor (WHO = World Health Organization = OMS), prima che potesse diventare il dodicesimo Doctor Who. E vale la pena di notare che a Cardiff c'era la sede dell'Istituto di Torchwood, prima che venisse distrutto nella terza stagione della serie a causa di un ordine impartito da John Frobisher, personaggio interpretato dallo stesso Capaldi.
Tra i dottori dell'OMS spicca, soprattutto per noi, Pierfrancesco Favino, che ha modo di recitare per una manciata di minuti a fianco di Pitt. Spero che questo l'aiuti nella sua carriera internazionale.
Originariamente Pitt avrebbe dovuto limitarsi alla produzione, ma difficoltà nello scritturare un protagonista lo spinsero a mettersi in gioco anche nella recitazione. E forse questo è un problema del film, non che il buon Brad non sia un bravo attore, ma ho come il sospetto che la sceneggiatura sia stata adattata per dargli tutto lo spazio possibile.
E non è solo quello il limite della sceneggiatura, che mantiene del racconto originale poco, in pratica solo l'idea iniziale, e la sviluppa seguendo logiche tutte sue. Poco spazio alla regia (Marc Forster) che sembra più che altro occupata a gestire l'imponente budget.
Gerry (Pitt), dipendente delle Nazioni Unite che ha deciso di lasciare l'usurante attività investigativa per dedicarsi alla famiglia, scopre improvvisamente che un contagio alla Contagion sta trasformando il mondo in un incubo zombie alla 28 giorni dopo, film di Danny Boyle. Anche questi zombie sono velocissimi, contrariamente alla tradizione che li vuole lenti, beh, come zombie. Anche in questo caso l'origine è virale, la differenza è che nella versione di Boyle gli infettati erano resi violenti e insensati dall'infezione, in questa il virus uccide l'ospite e poi ne prende il comando, usando spesso il corpo come arma, con lo scopo di infettare (quasi) tutti gli altri umani. Il che crea una serie di problemi logici (come diamine fa un virus a usare un corpo umano morto in questo modo?) sui quali è meglio sorvolare.
Gerry viene richiamato in servizio per trovare l'origine dell'infezione (vedi ancora Contagion), missione che lo porta prima in Corea del Sud, poi in Israele, infine nel Galles, nei dintorni di Cardiff, dove c'è un laboratorio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che potrebbe dare una soluzione al problema.
Per arrivare alla quale il buon Gerry dovrà affrontare una specie di videogioco alla Resident evil con vari trabocchetti.
Particolare curioso, tra i dottori dell'OMS che Gerry trova nell'istituto, c'è anche Peter Capaldi, identificato nei titoli di coda semplicemente come WHO Doctor (WHO = World Health Organization = OMS), prima che potesse diventare il dodicesimo Doctor Who. E vale la pena di notare che a Cardiff c'era la sede dell'Istituto di Torchwood, prima che venisse distrutto nella terza stagione della serie a causa di un ordine impartito da John Frobisher, personaggio interpretato dallo stesso Capaldi.
Tra i dottori dell'OMS spicca, soprattutto per noi, Pierfrancesco Favino, che ha modo di recitare per una manciata di minuti a fianco di Pitt. Spero che questo l'aiuti nella sua carriera internazionale.
Io non ti conosco
Cortometraggio che rappresenta l'esordio alla scrittura (supportato da Francesco Bruni) e regia di Stefano Accorsi. Pur nella sua brevità, un quarto d'ora, riesce a tratteggiare bene un episodio di vita di una coppia. Qualche ingenuità nella regia, che a tratti mi ha fatto pensare alle prove tecniche di trasmissione per il suo indugiare su inquadrature il cui unico scopo mi è sembrato quello di permettere all'utente televisivo di calibrare il colore.
Lui (Stefano Accorsi) pensa di fare una sorpresa alla moglie (Vittoria Puccini) facendole recapitare un mazzo di fiori comprato da un bizzarro fiorista (Gianfelice Imparato). Le cose non vanno però come lui si aspettava, e una serie di indizi gli faranno capire una realtà che non si immaginava.
Lui (Stefano Accorsi) pensa di fare una sorpresa alla moglie (Vittoria Puccini) facendole recapitare un mazzo di fiori comprato da un bizzarro fiorista (Gianfelice Imparato). Le cose non vanno però come lui si aspettava, e una serie di indizi gli faranno capire una realtà che non si immaginava.
Torchwood: Miracle day (5 e 6)
Una delle caratteristiche delle precedenti stagioni di Torchwood è l'umorismo autoironico che lo permea, ereditato dalla serie originaria, Doctor Who. Nella quarta ha meno spazio. Solo alla quinta puntata mi sono finalmente fatto una bella risata, in una scena in cui il Capitano (John Barrowman) approfitta di un piano per infiltrarsi in una struttura governativa per costringere Rex (Mekhi Phifer) a tenergli il gioco mentre gioca a fare il gayissimo preoccupato per la salute del suo amato compagno (lo stesso Rex). Noto anche che questa stagione è più maschilista delle precedenti. Lo si vede già dal fatto che Gwen (Eve Myles) è lasciata in secondo piano, con Jack e Rex ad occupare i ruoli principali. Gli altri personaggi femminili, Esther (Alexa Havins) e la dottoressa Vera Juarez (Arlene Tur), sono più caratterizzati dai loro errori che dalle loro capacità. Sarà forse un tentativo di puntare alla platea classica dei racconti di azione in ambiente fantascientifico, che è tipicamente maschile.
5) The categories of life - Infiltrata
La vacanza della morte sta mettendo in ginocchio il sistema sanitario mondiale. La risposta planetaria è di creare una classificazione della vita, che viene divisa in categorie. Ad occhio distratto potrebbe anche sembrare una buona idea, ma questo vuol dire che è un burocrate a decidere chi debba essere considerato morto. I non-sani vengono convogliati in campi in cui non si capisce bene cosa succeda. Torchwood decide l'infiltrazione per scoprirne di più. Rex, Vera ed Esther entrano in un campo americano, Gwen torna a Cardiff, seguendo il padre che è stato pure lui internato. Scoprono tutti più o meno la stessa cosa. Si tratta di veri e propri campi di sterminio, gestiti da incompetenti e da personale che ritiene di fare il proprio dovere e non vuole sapere niente di più di quello che viene detto loro.
Il campo americano è gestito da un imbecille (Marc Vann) che non ha idea della mostruosità che sta commettendo, e capisce solo che gli è stato dato un posto di responsabilità che non vuole perdere, nonostante la sua evidente incapacità. Si sa che non è una buona idea provocare un idiota, ma Vera non dà retta a questa perla di saggezza, ne consegue una catastrofe.
Nel contempo, il Capitano cerca di usare quello che pensa di aver capito su Oswald (Bill Pullman) per convincerlo a lasciare la PhiCorp. Ma siamo sicuri che Jack sia un fine psicologo?
6) The middle men - Intermediari
Il titolo inglese funziona meglio, in quanto più ambiguo. Non si parla solo di intermediari in questo episodio ma anche, e forse soprattutto, di mediocrità. Vediamo infatti che il piano mostruoso che ha scatenato il Miracolo procede grazie alla mediocrità di tante, troppe persone che sono ben felici di parcheggiare il proprio cervello e lasciare che siano altri a prendere le decisioni.
Vediamo un pezzo grosso di PhiCorp (Ernie Hudson) che non riesce a capire cosa stia facendo la sua azienda, ma non se ne preoccupa poi più di tanto.
Il capo del campo dove sono entrati Rex, Vera ed Esther cade in una spirale negativa che sembra inarrestabile.
Gwen incontra svariati personaggi che ripetono il mantra "non è affar mio", riesce nonostante tutto a salvare il padre, ma si trova esposta ad un attacco da parte di chi sta dietro a tutto l'inghippo, e le viene chiesto di fare la talpa in Torchwood.
5) The categories of life - Infiltrata
La vacanza della morte sta mettendo in ginocchio il sistema sanitario mondiale. La risposta planetaria è di creare una classificazione della vita, che viene divisa in categorie. Ad occhio distratto potrebbe anche sembrare una buona idea, ma questo vuol dire che è un burocrate a decidere chi debba essere considerato morto. I non-sani vengono convogliati in campi in cui non si capisce bene cosa succeda. Torchwood decide l'infiltrazione per scoprirne di più. Rex, Vera ed Esther entrano in un campo americano, Gwen torna a Cardiff, seguendo il padre che è stato pure lui internato. Scoprono tutti più o meno la stessa cosa. Si tratta di veri e propri campi di sterminio, gestiti da incompetenti e da personale che ritiene di fare il proprio dovere e non vuole sapere niente di più di quello che viene detto loro.
Il campo americano è gestito da un imbecille (Marc Vann) che non ha idea della mostruosità che sta commettendo, e capisce solo che gli è stato dato un posto di responsabilità che non vuole perdere, nonostante la sua evidente incapacità. Si sa che non è una buona idea provocare un idiota, ma Vera non dà retta a questa perla di saggezza, ne consegue una catastrofe.
Nel contempo, il Capitano cerca di usare quello che pensa di aver capito su Oswald (Bill Pullman) per convincerlo a lasciare la PhiCorp. Ma siamo sicuri che Jack sia un fine psicologo?
6) The middle men - Intermediari
Il titolo inglese funziona meglio, in quanto più ambiguo. Non si parla solo di intermediari in questo episodio ma anche, e forse soprattutto, di mediocrità. Vediamo infatti che il piano mostruoso che ha scatenato il Miracolo procede grazie alla mediocrità di tante, troppe persone che sono ben felici di parcheggiare il proprio cervello e lasciare che siano altri a prendere le decisioni.
Vediamo un pezzo grosso di PhiCorp (Ernie Hudson) che non riesce a capire cosa stia facendo la sua azienda, ma non se ne preoccupa poi più di tanto.
Il capo del campo dove sono entrati Rex, Vera ed Esther cade in una spirale negativa che sembra inarrestabile.
Gwen incontra svariati personaggi che ripetono il mantra "non è affar mio", riesce nonostante tutto a salvare il padre, ma si trova esposta ad un attacco da parte di chi sta dietro a tutto l'inghippo, e le viene chiesto di fare la talpa in Torchwood.
C'è posta per te
Caposaldo della commedia romantica di fine secolo, ai tempi mi era risultato insopportabilmente zuccheroso e non ne avevo apprezzato nemmeno la struttura che mi era sembrata antiquata. Continuo a mantenere una serie di perplessità però, nonostante sia l'ennesima visione, devo ammettere che alcune battute mi hanno fatto ancora ridere.
Trattasi di lontano remake del molto superiore Scrivimi fermo posta di Ernst Lubitsch, a sua volta basato sulla pièce teatrale di Miklós László, la cui sceneggiatura è stata rivoltata come un calzino da Nora Ephron (anche regia), mantenendo quasi solo il meccanismo chiave che prevede che i due protagonisti, qui chiamati Joe Fox (Tom Hanks) e Kathleen Kelly (Meg Ryan), si detestino cordialmente nella vita reale mentre si trovino estremamente simpatici quando si scrivano (senza conoscere la loro vera identità).
In questa variante, Kathleen ha un negozietto di libri per l'infanzia nell'Upper West Side di New York, e Joe, per conto dell'azienda di famiglia, sta per aprire una specie di Barnes&Noble proprio dietro l'angolo del negozio di Kathleen, che per l'appunto si chiama The shop around the corner (che poi era il titolo originale del film di Lubitsch e il nome del negozio dove si svolgeva l'azione). Joe ha una passionaccia per Il padrino di Francis Ford Coppola che cita a ogni piè sospinto ("niente di personale, sono solo affari", "vai ai materassi", ...), e una situazione familiare molto complicata, visto che sia il padre sia il nonno sono molto attivi commercialmente e sessualmente, con conseguente girandola di matrigne e nonnastre che gli portano nuovi zii e fratelli.
L'ottima alchimia tra i due protagonisti (e in particolare splende la Ryan, ai tempi chiamata fidanzata d'America, come già lo era stata Doris Day) fa passare in sottordine il fatto che i due siano, all'inizio della storia, già in una relazione. Ne escono senza troppi drammi, nel caso di Kathleen vediamo che lei e il suo Frank (Greg Kinnear) scoprono di essere solo amici, mentre per Joe abbiamo solo il suggerimento che la sua Patricia (Parker Posey) gli sia diventata insopportabile, forse perché gli ricorda come era lui prima dell'inizio del film.
Trattasi di lontano remake del molto superiore Scrivimi fermo posta di Ernst Lubitsch, a sua volta basato sulla pièce teatrale di Miklós László, la cui sceneggiatura è stata rivoltata come un calzino da Nora Ephron (anche regia), mantenendo quasi solo il meccanismo chiave che prevede che i due protagonisti, qui chiamati Joe Fox (Tom Hanks) e Kathleen Kelly (Meg Ryan), si detestino cordialmente nella vita reale mentre si trovino estremamente simpatici quando si scrivano (senza conoscere la loro vera identità).
In questa variante, Kathleen ha un negozietto di libri per l'infanzia nell'Upper West Side di New York, e Joe, per conto dell'azienda di famiglia, sta per aprire una specie di Barnes&Noble proprio dietro l'angolo del negozio di Kathleen, che per l'appunto si chiama The shop around the corner (che poi era il titolo originale del film di Lubitsch e il nome del negozio dove si svolgeva l'azione). Joe ha una passionaccia per Il padrino di Francis Ford Coppola che cita a ogni piè sospinto ("niente di personale, sono solo affari", "vai ai materassi", ...), e una situazione familiare molto complicata, visto che sia il padre sia il nonno sono molto attivi commercialmente e sessualmente, con conseguente girandola di matrigne e nonnastre che gli portano nuovi zii e fratelli.
L'ottima alchimia tra i due protagonisti (e in particolare splende la Ryan, ai tempi chiamata fidanzata d'America, come già lo era stata Doris Day) fa passare in sottordine il fatto che i due siano, all'inizio della storia, già in una relazione. Ne escono senza troppi drammi, nel caso di Kathleen vediamo che lei e il suo Frank (Greg Kinnear) scoprono di essere solo amici, mentre per Joe abbiamo solo il suggerimento che la sua Patricia (Parker Posey) gli sia diventata insopportabile, forse perché gli ricorda come era lui prima dell'inizio del film.
Torchwood: Miracle day (3 e 4)
Continuo ad avere le mie perplessità sulla quarta stagione di Torchwood. Nel terzo episodio, che pure ha una curiosa doppia scena di sesso mostrata in montaggio (nel senso tecnico del termine) alternato, mi sono anche annoiato in più di un punto. Anche se, tutto sommato, la serie mostra di avere una sua personalità, anche se non è quella che avrei voluto, e, a parte i momenti di stanca, si lascia guardare.
3) Dead of night - Nel cuore della notte
In due transfughi dalla CIA, il non-morto Rex (Mekhi Phifer) ed Esther (Alexa Havins), diventano informalmente parte di Torchwood, accettando più o meno volentieri che il Capitano Jack Harkness (John Barrowman) prenda le decisioni.
Assume peso il personaggio di Oswald (Bill Pullman), che finisce per diventare una specie di santone che diffonde al popolo il verbo della PhiCorp, il gigante farmaceutico che sembra sia dietro al misterioso miracolo che ha messo in scacco la morte. Jack lo affronta, e crede di capire che la pedofilia omicida di Oswald fosse solo un paravento per nascondere il suo desiderio di morte.
4) Escape to L.A. - Fuga a Los Angeles
Il primo covo di Torchwood in America viene bruciato, e i nostri attraversano il continente per creare una nuova base a Los Angeles, seguendo una pista che li porta ad un centro elaborazione dati della PhiCorp.
Esther continua a comportarsi da incapace e, per sincerarsi di come stiano le sue nipoti (in balia della sorella che sembra non ci stia con la testa), si fa scoprire da un tale al soldo di chi vuole distruggere Torchwood. Costui mostrerà di essere uno psicopatico affetto dalla pericolosa consuetudine di fare spiegoni mortali. Al punto che, se non intervenisse Rex, ci avrebbe tolto il dubbio su chi abbia ordinato tutta questa faccenda.
Oswald ha una temibile avversaria nel suo indottrinamento delle masse, una politica simpatizzante del Tea Party, quella corrente becero-tradizionalista della destra repubblicana che realmente esiste e fa danni nel sistema politico americano. Fortunatamente gli sponsor di Oswald decidono di tenersi lui come propagandatore delle loro idee, e non vanno certo per il sottile per togliere di mezzo la competizione.
3) Dead of night - Nel cuore della notte
In due transfughi dalla CIA, il non-morto Rex (Mekhi Phifer) ed Esther (Alexa Havins), diventano informalmente parte di Torchwood, accettando più o meno volentieri che il Capitano Jack Harkness (John Barrowman) prenda le decisioni.
Assume peso il personaggio di Oswald (Bill Pullman), che finisce per diventare una specie di santone che diffonde al popolo il verbo della PhiCorp, il gigante farmaceutico che sembra sia dietro al misterioso miracolo che ha messo in scacco la morte. Jack lo affronta, e crede di capire che la pedofilia omicida di Oswald fosse solo un paravento per nascondere il suo desiderio di morte.
4) Escape to L.A. - Fuga a Los Angeles
Il primo covo di Torchwood in America viene bruciato, e i nostri attraversano il continente per creare una nuova base a Los Angeles, seguendo una pista che li porta ad un centro elaborazione dati della PhiCorp.
Esther continua a comportarsi da incapace e, per sincerarsi di come stiano le sue nipoti (in balia della sorella che sembra non ci stia con la testa), si fa scoprire da un tale al soldo di chi vuole distruggere Torchwood. Costui mostrerà di essere uno psicopatico affetto dalla pericolosa consuetudine di fare spiegoni mortali. Al punto che, se non intervenisse Rex, ci avrebbe tolto il dubbio su chi abbia ordinato tutta questa faccenda.
Oswald ha una temibile avversaria nel suo indottrinamento delle masse, una politica simpatizzante del Tea Party, quella corrente becero-tradizionalista della destra repubblicana che realmente esiste e fa danni nel sistema politico americano. Fortunatamente gli sponsor di Oswald decidono di tenersi lui come propagandatore delle loro idee, e non vanno certo per il sottile per togliere di mezzo la competizione.
I miserabili
Non è certamente la migliore versione cinematografica del romanzone di Victor Hugo, molto datata, plagata da una sceneggiatura approssimativa e una direzione distratta. Si salva per il cast di tutto rispetto e per la potenza della storia originale, che riesce a luccicare nonostante tutto. Consiglierei piuttosto la visione della versione del '98, che pure ha le sue debolezze.
I meno interessati potrebbero vederne almeno la prima parte, dove viene rapidamente raccontata la prima parte della vita di Jean Valjean (Jean Gabin), dal suo soggiorno penale, col primo incontro con Javert (Bernard Blier), il suo rilascio, l'incontro con un vescovo anomalo (Fernand Ledoux), la sua mutazione in industriale filantropo, l'incontro con Fantine (Danièle Delorme) e la di lei figlia, Cosette.
Anche se così ci si perderà così la partecipazione di Serge Reggiani, che interpreta Enjolras, piccolo ruolo come capo degli studenti rivoltosi sulle barricate.
I meno interessati potrebbero vederne almeno la prima parte, dove viene rapidamente raccontata la prima parte della vita di Jean Valjean (Jean Gabin), dal suo soggiorno penale, col primo incontro con Javert (Bernard Blier), il suo rilascio, l'incontro con un vescovo anomalo (Fernand Ledoux), la sua mutazione in industriale filantropo, l'incontro con Fantine (Danièle Delorme) e la di lei figlia, Cosette.
Anche se così ci si perderà così la partecipazione di Serge Reggiani, che interpreta Enjolras, piccolo ruolo come capo degli studenti rivoltosi sulle barricate.
Torchwood: Miracle day (1 e 2)
L'eccellente stagione precedente di Torchwood, I figli della Terra, si è rivelata catastrofica per l'Istituto. Ridotta in briciole la sede, messi fuori combattimento gli ultimi due superstiti, il Capitano Jack Harkness (John Barrowman) per una serie di giganteschi sensi di colpa, Gwen (Eve Myles) che, incinta, ha il suo daffare a rendersi invisibile ai numerosi nemici che il team s'è fatto nel tempo.
Un paio d'anni dopo, ci pensano gli americani a richiamare in azione quel che resta della squadra per una quarta stagione. Sia nella storia che nella produzione, nel senso che Starz, network americano, ci ha messo soldi in cambio dell'adattamento della sceneggiatura e del cast ai gusti del suo pubblico.
Le prime due puntate non mi hanno entusiasmato. Si è sacrificata buona parte della specificità europea (OK, inglese. Anzi, gallese), appiattendo il look and feel al mainstream americano. Si è sacrificata anche la sessualità sbarazzina, e a volte anche imbarazzante, che probabilmente è stata considerata eccessiva per quei bacchettoni degli spettatori d'oltreoceano, rimpiazzandola con una maggiore violenza con sparatorie e ammazzamenti più truculenti. A farne le spese è in particolare il personaggio di Gwen, che a tratti diventa una specie di Lara Croft.
1) The new world - Il nuovo mondo
Negli USA, Oswald (Bill Pullman), assassino pedofilo, subisce una pena di morte via iniezione letale, però non muore. Rex (Mekhi Phifer), agente CIA, sta parlando al telefono di Torchwood con Esther (Alexa Havins), una collega, quando viene coinvolto in un mortale incidente stradale, però non muore. E così via. Una bizzarra epidemia al contrario ha colpito la Terra, e nessuno muore più.
Inizialmente sembra una benedizione, ma rapidamente si capisce che è una dannazione che non si sa bene come gestire.
Nel marasma appare il Capitano, che tenta di nascondere le tracce di Torchwood che una forza sconosciuta sta invece cercando di fare emergere.
D'altro canto, il mezzo morto Rex decide che Torchwood è la chiave per risolvere il mistero della sconfitta della morte, e vola in Galles alla ricerca di Gwen. Due piccioni con una fava, trova anche il Capitano e, in barba a ogni legge, li arresta per un espatrio forzato negli USA.
2) Rendition - Esecuzione
In realtà il titolo originale, rendition, è proprio il termine specifico creato dagli americani per indicare quella procedura (il)legale che consiste nell'acchiappare qualcuno fuori dai loro confini, trasportarlo forzatamente in un loro territorio dove hanno la possibilità di effettuare un arresto vero e proprio.
Motivo del titolo è che la trama principale dell'episodio segue il viaggio di Jack e Gwen, scortati da Rex e Lyn (Dichen Lachman), una sua letale collega, dal Galles negli USA. Jack, diventato misteriosamente l'unico mortale sul pianeta Terra, rischia, per l'appunto, di morire avvelenato, e solo una complicata (e abbastanza buffa) ricerca per un antidoto lo può salvare.
In parallelo, seguiamo anche le vicenda di personaggi minori, tra cui Oswald, che teoricamente è una persona molto brutta ma che, confrontato con il sistema mediatico americano, finisce per essere rivalutato, e Esther, che capisce che i suoi stessi colleghi stanno lavorando per far sparire definitivamente Torchwood e tutti quelli che hanno qualcosa a che fare con l'Istituto, lei compresa.
Un paio d'anni dopo, ci pensano gli americani a richiamare in azione quel che resta della squadra per una quarta stagione. Sia nella storia che nella produzione, nel senso che Starz, network americano, ci ha messo soldi in cambio dell'adattamento della sceneggiatura e del cast ai gusti del suo pubblico.
Le prime due puntate non mi hanno entusiasmato. Si è sacrificata buona parte della specificità europea (OK, inglese. Anzi, gallese), appiattendo il look and feel al mainstream americano. Si è sacrificata anche la sessualità sbarazzina, e a volte anche imbarazzante, che probabilmente è stata considerata eccessiva per quei bacchettoni degli spettatori d'oltreoceano, rimpiazzandola con una maggiore violenza con sparatorie e ammazzamenti più truculenti. A farne le spese è in particolare il personaggio di Gwen, che a tratti diventa una specie di Lara Croft.
1) The new world - Il nuovo mondo
Negli USA, Oswald (Bill Pullman), assassino pedofilo, subisce una pena di morte via iniezione letale, però non muore. Rex (Mekhi Phifer), agente CIA, sta parlando al telefono di Torchwood con Esther (Alexa Havins), una collega, quando viene coinvolto in un mortale incidente stradale, però non muore. E così via. Una bizzarra epidemia al contrario ha colpito la Terra, e nessuno muore più.
Inizialmente sembra una benedizione, ma rapidamente si capisce che è una dannazione che non si sa bene come gestire.
Nel marasma appare il Capitano, che tenta di nascondere le tracce di Torchwood che una forza sconosciuta sta invece cercando di fare emergere.
D'altro canto, il mezzo morto Rex decide che Torchwood è la chiave per risolvere il mistero della sconfitta della morte, e vola in Galles alla ricerca di Gwen. Due piccioni con una fava, trova anche il Capitano e, in barba a ogni legge, li arresta per un espatrio forzato negli USA.
2) Rendition - Esecuzione
In realtà il titolo originale, rendition, è proprio il termine specifico creato dagli americani per indicare quella procedura (il)legale che consiste nell'acchiappare qualcuno fuori dai loro confini, trasportarlo forzatamente in un loro territorio dove hanno la possibilità di effettuare un arresto vero e proprio.
Motivo del titolo è che la trama principale dell'episodio segue il viaggio di Jack e Gwen, scortati da Rex e Lyn (Dichen Lachman), una sua letale collega, dal Galles negli USA. Jack, diventato misteriosamente l'unico mortale sul pianeta Terra, rischia, per l'appunto, di morire avvelenato, e solo una complicata (e abbastanza buffa) ricerca per un antidoto lo può salvare.
In parallelo, seguiamo anche le vicenda di personaggi minori, tra cui Oswald, che teoricamente è una persona molto brutta ma che, confrontato con il sistema mediatico americano, finisce per essere rivalutato, e Esther, che capisce che i suoi stessi colleghi stanno lavorando per far sparire definitivamente Torchwood e tutti quelli che hanno qualcosa a che fare con l'Istituto, lei compresa.
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