Storia di un fratello minore (Elio Germano) che ha la sventura di avere come fratello maggiore un personaggio che può essere interpretato con verosimiglianza da Riccardo Scamarcio.
Come se non bastasse, la madre (Angela Finocchiaro) preferisce il maggiore, rendendolo ancora più insicuro. Il padre (Massimo Popolizio) è tutto sommato assente.
Cerca allora un appoggio nella fede, andando in seminario ma restando deluso da una religione non totalizzante come vorrebbe lui (Ascanio Celestini ha una particina come prete). Esce, vorrebbe andare al liceo ma, oltre al fratello maggiore che già ci va, anche la sorella (Alba Rohrwacher, particina minuscola) fa una scuola senza sbocchi lavorativi, "tanto poi lei si sposa e trova qualcuno che la mantiene".
Conosce un fascistone (Luca Zingaretti) che lo introduce al mito di Mussolini. L'amico fascista finisce in galera e lui diventa l'amante della di lui moglie (Anna Bonaiuto) e si prende una cotta per la fidanzata del fratello (Diane Fleri).
Molla i neri e si avvicina ai rossi, ma non trova nemmeno lì solidità che vorrebbe. L'amico cornificato fascista esce di galera e, mentre lo mena, si fa venire un infarto che lo lascia secco.
Lui si spaventa e passa in latitanza - anche se nessuno lo cerca. Resta a galleggiare nel nulla, finché, in un modo drammatico, l'ingombrante fratello scompare di scena e lui può finalmente cominciare a vivere una vita realmente sua.
Ottimo film, solida sceneggiatura, basata su Il fasciocomunista di Pennacchi ma da cui si distingue con decisione in molti punti, scritta (anche) da Daniele Luchetti che ha curato anche la regia. Ottima anche la prova del cast. Molti i premi e, in generale, buona accoglienza da parte di critica e pubblico.
David a Elio Germano (e nomination agli European Award), molto bravo nel rendere un personaggio complesso; altri David al montaggio, alla sceneggiatura, al suono e all'ottima Anna Finocchiaro.
Deacons for defense
Per la versione italiana gli hanno appiccicato anche un sottotitolo: lotta per la libertà.
Si tratta di un film per la televisione che ha il suo punto forte nella presenza di Forest Whitaker come protagonista.
Si tratta, ahimé, di una storia "vera", come si intendono al cinema, ovvero basata su un contesto storico abbastanza realistico sul quale viene ambientata una vicenda di fantasia.
I "Deacons for defense" (decani per la difesa) sono effettivamente esistiti, e si trattava di una organizzazione armata che si contrapponeva al Ku Klux Klan ai tempi dei duri scontri razziali negli anni '60.
La vicenda effettivamente narrata si prende alcune libertà, facendo finta che il personaggio intepretato da Whitaker abbia inventato i Deacons in seguito ad una presa di coscienza nei confronti della questione razziale, dopo aver passato tutta la vita a fare il "buon negro". Si parte da una situazione di segregazione, si segue la lotta nel paesino di Bogalusa (dove davvero i Deacons furono attivi) che porterà alla sconfitta del KKK locale.
Regia di Bill Duke, esperto regista di serie televisive, non particolarmente entusiasmante. Bianco e nero che diventa colore per far pensare al passaggio da materiare di archivio a fiction; rallenty a sottolineare - in genere non ho capito perché - alcune scene.
Un qualche interesse dal punto di vista storico ma, tutto sommato, non una delle pellicole più interessanti che ho visto. E il DVD è pure molto spartano.
Si tratta di un film per la televisione che ha il suo punto forte nella presenza di Forest Whitaker come protagonista.
Si tratta, ahimé, di una storia "vera", come si intendono al cinema, ovvero basata su un contesto storico abbastanza realistico sul quale viene ambientata una vicenda di fantasia.
I "Deacons for defense" (decani per la difesa) sono effettivamente esistiti, e si trattava di una organizzazione armata che si contrapponeva al Ku Klux Klan ai tempi dei duri scontri razziali negli anni '60.
La vicenda effettivamente narrata si prende alcune libertà, facendo finta che il personaggio intepretato da Whitaker abbia inventato i Deacons in seguito ad una presa di coscienza nei confronti della questione razziale, dopo aver passato tutta la vita a fare il "buon negro". Si parte da una situazione di segregazione, si segue la lotta nel paesino di Bogalusa (dove davvero i Deacons furono attivi) che porterà alla sconfitta del KKK locale.
Regia di Bill Duke, esperto regista di serie televisive, non particolarmente entusiasmante. Bianco e nero che diventa colore per far pensare al passaggio da materiare di archivio a fiction; rallenty a sottolineare - in genere non ho capito perché - alcune scene.
Un qualche interesse dal punto di vista storico ma, tutto sommato, non una delle pellicole più interessanti che ho visto. E il DVD è pure molto spartano.
Il papà di Giovanna
Melodramma dai toni sfumati scritto e diretto da Pupi Avati. Non un capolavoro, ma con aspetti interessanti. Storia ambientata attorno alla seconda guerra mondiale, come spesso accade nelle storie di Avati. Un padre (Silvio Orlando) si dedica ossessivamente a Giovanna (Alba Rohrwacher), figlia - brutto anatroccolo, trascurando la moglie (Francesca Neri), che del resto sembra non essersi mai veramente innamorata di suo marito ed è invece vagamente attratta, ricambiata, dall'amico di famiglia (Ezio Greggio).
Lo sfasamento tra le aspettative paterne e la realtà dei fatti, portano Giovanna a sbarellare. Il padre capisce di aver compiuto un grave errore e dedica il resto della sua vita a cercare di rimediare.
Buona la prova degli attori, anche se mi pare che la regia sia stata incostante. Scene ben girate si alternano ad altre tirate un po' via.
Silvio Orlando ha ottenuto la coppa Volpi, tutto sommato meritatamente, David a Alba Rohrwacher, molto brava a rendere un personaggio decisamente difficile, nastro d'argento a Francesca Neri, che ha alcuni bei momenti. Meno convincente mi pare il nastro d'argento a Ezio Greggio. Altri premi e nomination hanno rallegrato il cast.
La colonna sonora segue bene lo svolgimento dell'azione.
Nel DVD c'è un making of e alcune scene tagliate.
Lo sfasamento tra le aspettative paterne e la realtà dei fatti, portano Giovanna a sbarellare. Il padre capisce di aver compiuto un grave errore e dedica il resto della sua vita a cercare di rimediare.
Buona la prova degli attori, anche se mi pare che la regia sia stata incostante. Scene ben girate si alternano ad altre tirate un po' via.
Silvio Orlando ha ottenuto la coppa Volpi, tutto sommato meritatamente, David a Alba Rohrwacher, molto brava a rendere un personaggio decisamente difficile, nastro d'argento a Francesca Neri, che ha alcuni bei momenti. Meno convincente mi pare il nastro d'argento a Ezio Greggio. Altri premi e nomination hanno rallegrato il cast.
La colonna sonora segue bene lo svolgimento dell'azione.
Nel DVD c'è un making of e alcune scene tagliate.
Bobby
Film relativamente a basso costo - dati gli standard americani e il cast coinvolto - che vale la pena di vedere anche solo per l'approccio molto particolare con cui affronta l'argomento.
Si parla di Robert Francis Kennedy, noto semplicemente come Bobby, e del suo ultimo giorno di vita. Lo si fa, però, praticamente senza quasi mai mostrarlo direttamente, se non in filmati di repertorio. La trama segue infatti gli avvenimenti di quel giorno dal punto di vista di un gruppo di persone che, per un motivo o per l'altro, gli saranno vicini nel momento fatale.
Grazie al cielo si tratta di storie inventate, gli agganci con la realtà sono minimi. Lo scopo non è quello di documentare cosa è davvero successo quel giorno, ma darci una sensazione dei fatti. Si tratta di un film sulle emozioni, dunque.
Le varie storie che si intersecano (alla Robert Altman) servono per farci entrare nella storia, starà poi a noi reagire emotivamente al finale. Il fatto che le storie che abbiamo seguito per un paio d'ore sono solo strumentali alla scena principale, è confermato dal fatto che dopo l'attentato, in pratica, si passa ai titoli di coda. Il film non ha più niente da aggiungere, sta alla nostra sensibilità elaborare la situazione e tirare le conseguenze.
Emilio Estevez, che ha scritto e diretto il film, dice che si tratta dell'opera dalla sua vita. E in effetti un opera del genere giunge inaspettata nel suo curriculum. Personalmente lo conoscevo per Il giallo del bidone giallo - una simpatica commediola senza molte pretese del 1990 - e per poco altro. E' figlio di Martin Sheen (presente in Bobby) e dunque fratello di Charlie Sheen.
Stupefacente il cast che è riuscito a raccogliere. Difficile riuscire a credere che in un film solo si trovino, oltre a Sheen senior, personaggi come Harry Belafonte, Anthony Hopkins (che è stato anche produttore esecutivo), William H. Macy, Elijah Wood, Sharon Stone, Demi Moore e Laurence Fishburne.
A nessuno di loro è dato lo spazio che meriterebbero, naturalmente vien da dire, dato che il vero protagonista è Bobby, che brilla per la sua assenza.
Buona la colonna sonora, in cui è inclusa anche una canzone appositamente scritta da Bryan Adams e interpretata in modo eccezionale da Aretha Franklin, "Never Gonna Break My Faith".
Buono il Making of del film compreso nel DVD.
Si parla di Robert Francis Kennedy, noto semplicemente come Bobby, e del suo ultimo giorno di vita. Lo si fa, però, praticamente senza quasi mai mostrarlo direttamente, se non in filmati di repertorio. La trama segue infatti gli avvenimenti di quel giorno dal punto di vista di un gruppo di persone che, per un motivo o per l'altro, gli saranno vicini nel momento fatale.
Grazie al cielo si tratta di storie inventate, gli agganci con la realtà sono minimi. Lo scopo non è quello di documentare cosa è davvero successo quel giorno, ma darci una sensazione dei fatti. Si tratta di un film sulle emozioni, dunque.
Le varie storie che si intersecano (alla Robert Altman) servono per farci entrare nella storia, starà poi a noi reagire emotivamente al finale. Il fatto che le storie che abbiamo seguito per un paio d'ore sono solo strumentali alla scena principale, è confermato dal fatto che dopo l'attentato, in pratica, si passa ai titoli di coda. Il film non ha più niente da aggiungere, sta alla nostra sensibilità elaborare la situazione e tirare le conseguenze.
Emilio Estevez, che ha scritto e diretto il film, dice che si tratta dell'opera dalla sua vita. E in effetti un opera del genere giunge inaspettata nel suo curriculum. Personalmente lo conoscevo per Il giallo del bidone giallo - una simpatica commediola senza molte pretese del 1990 - e per poco altro. E' figlio di Martin Sheen (presente in Bobby) e dunque fratello di Charlie Sheen.
Stupefacente il cast che è riuscito a raccogliere. Difficile riuscire a credere che in un film solo si trovino, oltre a Sheen senior, personaggi come Harry Belafonte, Anthony Hopkins (che è stato anche produttore esecutivo), William H. Macy, Elijah Wood, Sharon Stone, Demi Moore e Laurence Fishburne.
A nessuno di loro è dato lo spazio che meriterebbero, naturalmente vien da dire, dato che il vero protagonista è Bobby, che brilla per la sua assenza.
Buona la colonna sonora, in cui è inclusa anche una canzone appositamente scritta da Bryan Adams e interpretata in modo eccezionale da Aretha Franklin, "Never Gonna Break My Faith".
Buono il Making of del film compreso nel DVD.
Il maledetto United
The Damned United, un film dannatamente inglese, buono, ma che avrebbe potuto essere anche molto meglio. L'idea del film era nata a Stephen Frears leggendo il libro omonimo di David Peace (edito in Italia dal Saggiatore), una biografia di Brian Clough, allenatore di calcio molto noto in Gran Bretagna, centrata sui 44 giorni in cui è stato allenatore del Leeds United, il maledetto del titolo.
Il problema del film è che Frears s'è allontanato dal progetto prima che si cominciasse a girare, causando la non semplice ricerca di un sostituto dell'ultima ora. Non è facile sostituire Frears in assoluto, figuriamoci in queste condizioni. La scelta è caduta su Tom Hooper, regista fino a quel momento prettamente televisivo. E' appena uscito un suo altro lavoro su grande schermo, The King's speech, che, dal poco che ho visto, sembra decisamente interessante. In questo caso, l'incolpevole Hooper si è trovato a saltare su di un treno in corsa di cui sapeva ben poco. Ha fatto del suo meglio, ma c'è qualcosa che manca, che lascia insoddisfatti. Verrebbe voglia di smontare tutto e rifarlo da capo. Il problema è che si tratta di una vaga inquietudine difficilmente definibile, deve essere più o meno la sensazione che ha spinto Frears a mollare la regia. La storia c'è, ed è anche interessante, ma non tutte le tessere del mosaico vanno al loro posto.
La sceneggiatura è di Peter Morgan, coinvolto nel progetto da Frears, con il quale aveva fatto l'ottimo lavoro di The Queen (La regina), e che sta vivendo un'ottima stagione sia come scrittore teatrale che di sceneggiature cinematografiche. Ha messo insieme le due attività nel caso di Frost/Nixon. Ha anche scritto la sceneggiatura de L'ultimo re di Scozia, lavoro non eccezionale ma molto noto.
Il protagonista, l'allenatore Clough, è interpretato da Michael Sheen, che è stato un convincente Blair in The Queen e Frost in Frost/Nixon.
Un team affiatato, dunque. Un vero peccato che Frears non sia riuscito a sbrogliare la matassa.
Il nocciolo della storia è che Clough è un allenatore capace, ambizioso, che tende ad avere uscite estemporanee. E che odia il Leeds United e il loro modo di giocare. Colmo dei colmi, gli viene offerta proprio la panchina di quella squadra, dato che il suo arcirivale, Don Revie (interpretato da Colm Meaney) viene chiamato ad allenare la nazionale.
Il suo collaboratore Peter Taylor (Timothy Spall, noto caratterista inglese, Wormtail in Harry Potter) cerca di dissuaderlo dall'accettare, ma senza successo - i due litigano e prendono direzioni opposte.
Come si può intuire, c'è molta carne al fuoco: il mondo calcistico inglese, e quello del calcio in generale; la difficoltà di fare la scelta "giusta", e come fare a dire che una scelta è giusta o no; il valore dell'amicizia, eccetera eccetera.
Credo che sia il problema che si incontra quando si vuole fare un film partendo dalla realtà. La vita reale è molto complessa, un film non lo può essere più di tanto, perché deve dare qualcosa di soddisfacente al pubblico in poco tempo. Risuscire a trovare il bilanciamento corretto non è semplice, alla coppia Frears - Morgan questo è riuscito ottimamente in The Queen. Qui il risultato, pur sempre di buon livello, è un gradino sotto.
Il problema del film è che Frears s'è allontanato dal progetto prima che si cominciasse a girare, causando la non semplice ricerca di un sostituto dell'ultima ora. Non è facile sostituire Frears in assoluto, figuriamoci in queste condizioni. La scelta è caduta su Tom Hooper, regista fino a quel momento prettamente televisivo. E' appena uscito un suo altro lavoro su grande schermo, The King's speech, che, dal poco che ho visto, sembra decisamente interessante. In questo caso, l'incolpevole Hooper si è trovato a saltare su di un treno in corsa di cui sapeva ben poco. Ha fatto del suo meglio, ma c'è qualcosa che manca, che lascia insoddisfatti. Verrebbe voglia di smontare tutto e rifarlo da capo. Il problema è che si tratta di una vaga inquietudine difficilmente definibile, deve essere più o meno la sensazione che ha spinto Frears a mollare la regia. La storia c'è, ed è anche interessante, ma non tutte le tessere del mosaico vanno al loro posto.
La sceneggiatura è di Peter Morgan, coinvolto nel progetto da Frears, con il quale aveva fatto l'ottimo lavoro di The Queen (La regina), e che sta vivendo un'ottima stagione sia come scrittore teatrale che di sceneggiature cinematografiche. Ha messo insieme le due attività nel caso di Frost/Nixon. Ha anche scritto la sceneggiatura de L'ultimo re di Scozia, lavoro non eccezionale ma molto noto.
Il protagonista, l'allenatore Clough, è interpretato da Michael Sheen, che è stato un convincente Blair in The Queen e Frost in Frost/Nixon.
Un team affiatato, dunque. Un vero peccato che Frears non sia riuscito a sbrogliare la matassa.
Il nocciolo della storia è che Clough è un allenatore capace, ambizioso, che tende ad avere uscite estemporanee. E che odia il Leeds United e il loro modo di giocare. Colmo dei colmi, gli viene offerta proprio la panchina di quella squadra, dato che il suo arcirivale, Don Revie (interpretato da Colm Meaney) viene chiamato ad allenare la nazionale.
Il suo collaboratore Peter Taylor (Timothy Spall, noto caratterista inglese, Wormtail in Harry Potter) cerca di dissuaderlo dall'accettare, ma senza successo - i due litigano e prendono direzioni opposte.
Come si può intuire, c'è molta carne al fuoco: il mondo calcistico inglese, e quello del calcio in generale; la difficoltà di fare la scelta "giusta", e come fare a dire che una scelta è giusta o no; il valore dell'amicizia, eccetera eccetera.
Credo che sia il problema che si incontra quando si vuole fare un film partendo dalla realtà. La vita reale è molto complessa, un film non lo può essere più di tanto, perché deve dare qualcosa di soddisfacente al pubblico in poco tempo. Risuscire a trovare il bilanciamento corretto non è semplice, alla coppia Frears - Morgan questo è riuscito ottimamente in The Queen. Qui il risultato, pur sempre di buon livello, è un gradino sotto.
Ballistic: Ecks vs. Sever
Film di azione, con evidenti rimandi ai fumetti del genere, per la dimensionalità dei caratteri, e ai videogiochi, per l'insensatezza dell'azione (ma supportata bene dalla colonna sonora). Direi che è solo per gli amanti del genere, ma visti i risultati catastrofici al botteghino, forse neanche quelli.
Produzione da 70 milioni di dollari che se ne sono andati gran parte in spari, esplosioni, incidenti e disastri vari.
Cast non disprezzabile, Antonio Bandera e Lucy Liu protagonisti, ma evidentemente il regista, il tailandese Wych Kaosayananda, era più preso dalla gestione degli esplosivi che da quella degli attori. Beh, anche gli scontri diretti (stile wire fu) hanno la loro parte.
Direi di vedere prima Matrix e Desperado (ancora con Banderas protagonista) e passare a questo film solo se non si trova altro di meglio - per i propri gusti, si intende.
Non male i contenuti extra nel dvd.
Produzione da 70 milioni di dollari che se ne sono andati gran parte in spari, esplosioni, incidenti e disastri vari.
Cast non disprezzabile, Antonio Bandera e Lucy Liu protagonisti, ma evidentemente il regista, il tailandese Wych Kaosayananda, era più preso dalla gestione degli esplosivi che da quella degli attori. Beh, anche gli scontri diretti (stile wire fu) hanno la loro parte.
Direi di vedere prima Matrix e Desperado (ancora con Banderas protagonista) e passare a questo film solo se non si trova altro di meglio - per i propri gusti, si intende.
Non male i contenuti extra nel dvd.
Chiedi alla polvere
Sceneggiatura e regia non particolarmente brillante (Robert Towne, poche regie, molte sceneggiature, tra cui Chinatown e un paio di Mission Impossible) ma basata su un romanzo molto solido (Ask the dust di John Fante) che riesce a mandare dei brillii tali da salvare il film.
Da notare anche un cast molto soldo, con Colin Farrell nel ruolo di Arturo Bandini (protagonista ed alter ego di John Fante), Salma Hayek (Camilla) e Donald Sutherland in una particina secondaria.
Storia ambientata a Los Angeles negli anni '30, dove Arturo (italoamericano quando non era molto alla modo esserlo) in cerca di successo incontra invece Camilla, cameriera messicana (e quindi considerata persino un gradino più in basso di Arturo). Entrambi hanno un pessimo carattere e tensioni che li portano altrove, nonostante che si capisca da un miglio che sarebbero destinati a stare assieme.
Vivono una breve ma intensa storia da amore, con finale tragico. Nel libro, a dire il vero, finisce anche peggio.
Finalmente un DVD con qualche bonus degno di menzione, tra cui le interviste ai due protagonisti, al regista, e a un paio di comprimari.
Viene anche passato un corto, che nulla ha a che fare con Chiedi alla polvere. Si tratta di Dediche d'amore, scritto e diretto da Alessandro Merluzzi nel 2005. Una commedia lampo in cui il protagonista è alle prese con un regalo da fare alla sua amata. Molto premiato in tutto il mondo, come si può leggere su pacio.it.
Da notare anche un cast molto soldo, con Colin Farrell nel ruolo di Arturo Bandini (protagonista ed alter ego di John Fante), Salma Hayek (Camilla) e Donald Sutherland in una particina secondaria.
Storia ambientata a Los Angeles negli anni '30, dove Arturo (italoamericano quando non era molto alla modo esserlo) in cerca di successo incontra invece Camilla, cameriera messicana (e quindi considerata persino un gradino più in basso di Arturo). Entrambi hanno un pessimo carattere e tensioni che li portano altrove, nonostante che si capisca da un miglio che sarebbero destinati a stare assieme.
Vivono una breve ma intensa storia da amore, con finale tragico. Nel libro, a dire il vero, finisce anche peggio.
Finalmente un DVD con qualche bonus degno di menzione, tra cui le interviste ai due protagonisti, al regista, e a un paio di comprimari.
Viene anche passato un corto, che nulla ha a che fare con Chiedi alla polvere. Si tratta di Dediche d'amore, scritto e diretto da Alessandro Merluzzi nel 2005. Una commedia lampo in cui il protagonista è alle prese con un regalo da fare alla sua amata. Molto premiato in tutto il mondo, come si può leggere su pacio.it.
Oltre il giardino
Il titolo italiano sottolinea l'evento chiave del film, quando Chance (Peter Sellers) lascia quello che è stato il suo universo per tutta la sua vita - il suo amato giardino - per affrontare il mondo. Ma dato che questo cambiamento di prospettive, che avrebbe sconvolto la maggior parte dei possibili soggetti, non ha praticamente alcun impatto su Chance, risulta più appropriato il criptico titolo inglese "Being there", Essere lì.
Ottima regia di Hal Ashby (Harold & Maude) per un film completamente diverso dalla normale produzione di Peter Sellers, si ride poco o niente, due decessi per anzianità scandiscono inizio e fine dell'azione; il protagonista ha l'età mentale di un bimbo, una acuta teledipendenza, e un certo interesse per il giardinaggio. Ma quello che lo salva è una purezza d'animo decisamente inattesa anche una trentina di anni fa. Sellers se la cava molto bene e, come si vede sui titoli di coda, il suo grosso problema nel corso delle riprese era quello di restare serio nel dire le stralunate battute del suo personaggio.
Bravi anche gli altri attori, in particolare Shirley MacLaine e Melvyn Douglas (oscar per questo ruolo, a Sellers "solo" una nomination ma s'è rifatto con un golden globe e altri premi minori).
Ottima regia di Hal Ashby (Harold & Maude) per un film completamente diverso dalla normale produzione di Peter Sellers, si ride poco o niente, due decessi per anzianità scandiscono inizio e fine dell'azione; il protagonista ha l'età mentale di un bimbo, una acuta teledipendenza, e un certo interesse per il giardinaggio. Ma quello che lo salva è una purezza d'animo decisamente inattesa anche una trentina di anni fa. Sellers se la cava molto bene e, come si vede sui titoli di coda, il suo grosso problema nel corso delle riprese era quello di restare serio nel dire le stralunate battute del suo personaggio.
Bravi anche gli altri attori, in particolare Shirley MacLaine e Melvyn Douglas (oscar per questo ruolo, a Sellers "solo" una nomination ma s'è rifatto con un golden globe e altri premi minori).
Lord of war
Film di denuncia sul traffico d'armi, tutto sommato ben scritto e diretto da Andrew Niccol (più noto per Gattaca e per la sceneggiatura di The Truman Show).
Non sono propriamente un fan di Nicolas Cage, ma qui funziona bene. Meglio di Ethan Hawke (già con Niccol in Gattaca), che è nei panni del suo avversario e a volte mi pare poco credibile, e Jared Leto, forse giustificato da un ruolo non eccezionale (in una battuta del film Cage gli dice che beh, qualcuno deve pur prendersi quella parte).
Cage è nei panni di un ucraino trasferitosi negli USA con genitori e fratello ancora ai tempi dell'Unione Sovietica, spacciandosi per ebrei. Scoprono ben presto di essere passati da una situazione miserevole ad una paragonabile. Sono infatti a Little Odessa, ovvero Brighton Beach - Brooklyn, New York, ai tempi zona molto poco raccomandabile come racconta bene un'altro film, titolato per l'appunto Little Odessa del 1994, con protagonista un convincente Tim Roth.
Per uscire da quella situazione decide di diventare mercante di armi. Abbiamo così modo di seguire tutto il suo percorso che lo porta a diventare uno dei personaggi più importanti nel suo mondo.
Il tema non è dei più leggeri ma, nonostante gli inevitabili ammazzamenti e tragedie varie, Niccol riesce a tenere il racconto in bilico tra azione e umorismo nero.
Non sono propriamente un fan di Nicolas Cage, ma qui funziona bene. Meglio di Ethan Hawke (già con Niccol in Gattaca), che è nei panni del suo avversario e a volte mi pare poco credibile, e Jared Leto, forse giustificato da un ruolo non eccezionale (in una battuta del film Cage gli dice che beh, qualcuno deve pur prendersi quella parte).
Cage è nei panni di un ucraino trasferitosi negli USA con genitori e fratello ancora ai tempi dell'Unione Sovietica, spacciandosi per ebrei. Scoprono ben presto di essere passati da una situazione miserevole ad una paragonabile. Sono infatti a Little Odessa, ovvero Brighton Beach - Brooklyn, New York, ai tempi zona molto poco raccomandabile come racconta bene un'altro film, titolato per l'appunto Little Odessa del 1994, con protagonista un convincente Tim Roth.
Per uscire da quella situazione decide di diventare mercante di armi. Abbiamo così modo di seguire tutto il suo percorso che lo porta a diventare uno dei personaggi più importanti nel suo mondo.
Il tema non è dei più leggeri ma, nonostante gli inevitabili ammazzamenti e tragedie varie, Niccol riesce a tenere il racconto in bilico tra azione e umorismo nero.
La fiamma del peccato
Il titolo originale non è melodrammatico come quello scelto (chissà da chi) per il mercato italiano, ma molto asciutto, come del resto è il film: Double Indemnity. Doppia indennità, che sarebbe poi una clausola assicurativa che raddoppia il premio in caso di morte particolarmente improbabile.
Ottima regia di Billy Wilder, che ha curato la sceneggiatura, assieme a Raymond Chandler, basata sul romanzo breve di James M. Cain che in italiano si intitola La morte paga doppio - più noto per Il postino suona sempre due volte (utilizzato come base anche da Visconti per Ossessione). Con un tal pool di cervelli dietro non ci si può aspettare che un risultato eccellente, e infatti abbiamo a che fare con uno dei prototipi del film noir. La donna fatale (Barbara Stanwyck), l'inghippo orchestrato in combinazione con il ganzo che si crede superastuto (Fred MacMurray), le cose che sembrano andare come previsto, ma poi tutto va a ramengo, anche grazie all'intervento di chi ne sa una più del diavolo (Edward G. Robinson - il migliore dei tre, a mio parere).
Ma non ci si può aspettare da Billy Wilder la mera enunciazione di uno schema classico. Infatti lo sovverte, dicendoci sin dall'inizio che il piano è fallito, e lasciando che sia l'assassino a raccontarci in flash back tutta la vicenda. Ricorda niente? Ma certo, Il viale del tramonto, sempre di Wilder, sei anni dopo, con la vicenda raccontataci addirittura dal morto.
E non è questo il solo aspetto bizzarro della vicenda. I protagonisti sembrano guidati nella vicenda più da una pulsione autodistruttiva che da un vero interesse per quelli che sono normalmente i temi classici del genere (soldi e sesso). I due si vedono, si capiscono, e organizzano la trama che li porterà alla distruzione, ma anche quando sembra che tutto vada per il meglio, entrambi agiscono come se non fossero poi particolarmente interessati ai presunti obiettivi dichiarati.
Addirittura sembra che la vera coppia del film sia quella rappresentata da Robinson e MacMurray, con il primo che vorrebbe che il secondo seguisse le sue orme e dimostra una fiducia in lui evidentemente mal riposta. D'altra parte il secondo dimostra di nutrire per lui una profonda stima, ma di essere trascinato da chissà che verso la propria distruzione.
Ottima regia di Billy Wilder, che ha curato la sceneggiatura, assieme a Raymond Chandler, basata sul romanzo breve di James M. Cain che in italiano si intitola La morte paga doppio - più noto per Il postino suona sempre due volte (utilizzato come base anche da Visconti per Ossessione). Con un tal pool di cervelli dietro non ci si può aspettare che un risultato eccellente, e infatti abbiamo a che fare con uno dei prototipi del film noir. La donna fatale (Barbara Stanwyck), l'inghippo orchestrato in combinazione con il ganzo che si crede superastuto (Fred MacMurray), le cose che sembrano andare come previsto, ma poi tutto va a ramengo, anche grazie all'intervento di chi ne sa una più del diavolo (Edward G. Robinson - il migliore dei tre, a mio parere).
Ma non ci si può aspettare da Billy Wilder la mera enunciazione di uno schema classico. Infatti lo sovverte, dicendoci sin dall'inizio che il piano è fallito, e lasciando che sia l'assassino a raccontarci in flash back tutta la vicenda. Ricorda niente? Ma certo, Il viale del tramonto, sempre di Wilder, sei anni dopo, con la vicenda raccontataci addirittura dal morto.
E non è questo il solo aspetto bizzarro della vicenda. I protagonisti sembrano guidati nella vicenda più da una pulsione autodistruttiva che da un vero interesse per quelli che sono normalmente i temi classici del genere (soldi e sesso). I due si vedono, si capiscono, e organizzano la trama che li porterà alla distruzione, ma anche quando sembra che tutto vada per il meglio, entrambi agiscono come se non fossero poi particolarmente interessati ai presunti obiettivi dichiarati.
Addirittura sembra che la vera coppia del film sia quella rappresentata da Robinson e MacMurray, con il primo che vorrebbe che il secondo seguisse le sue orme e dimostra una fiducia in lui evidentemente mal riposta. D'altra parte il secondo dimostra di nutrire per lui una profonda stima, ma di essere trascinato da chissà che verso la propria distruzione.
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