Poirot 4.3: Poirot non sbaglia

Cattiva idea, a mio modesto avviso, schierare questo adattamento del romanzo di Agatha Christie (*) subito dopo Delitto in cielo, con il quale condivide lo svolgimento a sorpresa, in cui solo nel lunghissimo spiegone finale ci viene presentato un particolare che rende comprensibile l'azione dell'omicida, e la presenza di un personaggio fondamentale che appare per gran parte del tempo sotto mentite spoglie.

La trama è qui molto più complicata, c'è un continuo entrare e uscire di scena di personaggi che agiscono senza che si abbia modo di approfondire il senso della loro presenza. La produzione si deve essere resa conto che se avessero mantenuto l'impostazione originaria, ci sarebbe stata una rivolta tra gli spettatori, e così ha lasciato che la sceneggiatura (Clive Exton) rivoluzionasse la struttura del racconto, aggiungendo un introduzione spuria che fa da gigantesco spoiler rendendo chiaro quello che altrimenti sarebbe impossibile da capire. Ci sono anche alcuni ritocchi, come la scomparsa di un personaggio secondario, il che semplifica la vicenda con gli effetti collaterali di alleggerire il tema politico, togliere spessore al personaggio interpretato da Sara Stewart e rendere meno antipatico quello di Christopher Eccleston.

Tutto sembra ruotare attorno al dentista di Poirot (David Suchet) che inopinatamente si suicida poco dopo aver lavorato sul suo spaventato cliente. O meglio, a Japp (Philip Jackson) sembra che sia un chiaro caso di suicidio, Poirot è meno convinto. Anche Japp inizia a dubitarne quando scopre che l'ultimo cliente (Kevork Malikyan) ad aver visto vivo il dentista muore anch'esso, e poi un'altra cliente scompare misteriosamente senza lasciar tracce.

Un importante banchiere, che ha pure un rilevante peso politico, potrebbe essere il vero bersaglio di questa moria, e questo mette in una luce sinistra un tipaccio (Eccleston) che fa il filo all'impiegata del dentista e che trova incongruamente lavoro come giardiniere del banchiere. Altre cose strane succedono a rendere apparentemente insensato tutto quanto, senonché alla fine si scopre che ...

(*) One, two, buckle my shoe, 1940. Il titolo riprende una filastrocca usata dai bambini per giocare a campana, o meglio ad una sua versione inglese. Simpatica l'idea di reiterarla nella colonna sonora, arrangiandola in svariati modi, alcuni dei quali degni di un film horror.

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