Il grande Gatsby

Per gli anglofoni The great Gatsby di Scott Fitzgerald è un po' quello che per noi sono i Promessi sposi di Manzoni. Magari qualcuno non l'ha letto, ma praticamente tutti conoscono la storia, almeno in linea generale.

Non capisco bene dunque come mai Baz Luhrmann abbia deciso di farne un film di un paio d'ore che in pratica segue pedissequamente lo sviluppo originale aggiungendo solo una cornice, di cui non sono riuscito a capire bene il senso, e tagliando tutto quanto non riusciva ad entrare nel tempo necessariamente limitato. Stessa perplessità che avevo avuto vedendo la precedente versione (1974) sceneggiata da Francis Ford Coppola e interpretata da Robert Redford e Mia Farrow, peraltro.

A mio parere, meglio sarebbe stato farne una miniserie televisiva, se si voleva pensare a chi non legge più, o agire con maggior decisione sul materiale originale, stravolgendolo se necessario, per tirarne fuori qualcosa di più personale.

Come da romanzo, il narratore è Nick (Tobey Maguire), un anonimo impiegato bempensante, arrivato dal midwest a New York per seguire il miraggio dei guadagni di Wall Street (siamo nei turbinosi anni venti del secolo scorso). Il caso, che gli fa trovare una modesta abitazione proprio attaccata alla megagalattica villa di Jay Gatsby (Leonardo DiCaprio), e i natali, che lo hanno reso lontano parente di Daisy (Carey Mulligan), lo mettono al centro degli eventi.

Succede infatti che Gatsby è perdutamente innnamorato di Daisy, con la quale ha avuto una breve relazione cinque anni prima, che non ha potuto sposare per una serie di sfavorevoli eventi (tra cui una guerra mondiale) ma che possono essere sintetizzati così: lui era povero, lei voleva una vita da ricchi. Potenza dell'amore, ai tempi dei fatti narrati Gatsby è diventato ricco da far paura. C'è solo un piccolo particolare che complica la vicenda, nel frattempo Daisy si è sposata con Tom (Joel Edgerton). Seguono vari fatti che portano ad un epilogo dalle parti della tragedia.

Luhrmann fa sì che Nick scriva i fatti in forma di romanzo seguendo l'indicazione del suo medico curante, visto che la storia lo avrebbe così sconvolto da portarlo in una casa di cura. Abbiamo quindi il bel risultato che Nick sarebbe una specie di alter ego di Scott Fitzgerald e che il suo racconto sarebbe poco attendibile, a causa della sua corrente condizione mentale.

Lo stile narrativo è molto luhrmanniano, ma non mi pare che il risultato sia all'altezza di Moulin rouge! Qui, in più occasioni, mi è sembrato tendere al manierismo di sé stesso. Il rimescolare musiche d'epoca con brani moderni credo voglia alludere ad una critica sul nostro non aver imparato un tubo dal tracollo di Wall Street del '29, visto che abbiamo finito per ricreare le condizioni per nuovi tracolli fotocopia di quello.
Il sovraccarico di informazioni visuali e sonore con cui il povero spettatore viene bombardato soprattutto nella prima parte direi che è un mezzo per farci capire come si doveva sentire Nick, arrivato dal placido entroterra per finire in una gabbia di matti assetati di saturazione di segnali più o meno insensati.
La recitazione affettata, distaccata, ben poco realistica, mi pare diretta ad indicare come più che gli attori siano gli stessi personaggi a recitare le loro vite, Daisy e Tom perché fondamentalmente vuoti dentro, incapaci di provare reali sentimenti, Gatsby forzato a recitare per cercare di raggiungere quella luce verde che gli sembrava così a portata di mano, ma che era così irraggiungibile. A questo proposito, in alcune scene non ho potuto fare a meno di notare quanto DiCaprio sembrasse interpretare Redford che interpretava Gatsby.

4 commenti:

  1. Una grande bella recensione, con una chiusura perfetat che racchiude tutte le pecche del personaggio interpretato da Di Caprio...
    Non esiste il vero Fitzgerald in nessuno dei due film questo è vero, manca di atmosfera giusta, ma parteggio spudoratamente per il primo dovendo scegliere la celluloide!
    Un bacio amico caro!

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    1. Non esagerare, Nella cara, che poi mi monto la testa :D Penso anch'io sia meglio leggersi il libro, e preferisco anch'io la versione anni settanta. Ma non è che mi sia poi dispiaciuta questa rilettura. Eccessiva, non ne ho colto bene il senso, ma comunque un suo interesse ce l'ha.

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  2. Romanzo incredibilmente bello. Devo eterna riconoscenza alla prof Marongiu che me lo fece leggere (al liceo) insistendo perché comprassimo il testo bilingue.
    Che dire del film? Ha le sue pagine migliori all'inizio (la grande festa, le scorribande a NYC) mentre il finale è tirato via.
    Bellissimi i costumi, giustamente oscarizzati

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    1. Mi associo alla lodi alla professoressa Marongiu, anche se purtroppo non l'ho conosciuta.
      A me è la prima parte è sembrata troppo finta ed eccessiva, e il sovraccarico sensoriale mi ha stremato. Credo che tutto ciò fosse esattamente quello che Luhrmann volesse, per farci capire il punto di vista di Nick. Manca però un riscontro nel finale di questo spettacolare inizio, come giustamente noti tu. E allora, che senso ha?

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