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Tutti gli uomini del presidente

Chi è quel pazzo che ha pensato di poter trasformare una noiosissima inchiesta giornalistica, in cui non esplode niente, non ci sono omicidi efferati, e praticamente nemmeno sesso, in un film di successo? Robert Redford. La cosa bella è che ci è pure riuscito, anche se ha ottenuto anche l'effetto collaterale di crearsi una ruggine con una buona fetta di repubblicani americani, visto che si tratta dello scandalo Watergate, quello che finì per costringere Richard Nixon alle dimissioni dal suo secondo mandato presidenziale.

E' stato proprio Redford a comprare i diritti cinematografici del libro scritto dai due giornalisti, Bob Woodward e Carl Bernstein, che quell'indagine hanno condotto nella realtà. Pare addirittura che li abbia spinti a scrivere il libro, avendo già in mente di interpretarne la trasposizione su pellicola quando i fatti stavano ancora svolgendosi.

Il compito impossibile di tradurre l'inchiesta in sceneggiatura è stato assegnato a William Goldman, non certo l'ultimo arrivato, ad esempio sono suoi Butch Cassidy e Il maratoneta, che deve aver penato non poco nell'opera. Fortuna che anche per la regia si è fatta un'ottima scelta, quell'Alan Pakula, che si era fatto conoscere con Una squillo per l'ispettore Klute e farà cose come La scelta di Sophie (secondo Oscar per Meryl Streep).

Se il ruolo di Woodward se l'era tenuto Redford, restava da scegliere a chi fare interpretare Bernstein, e anche qui si è giocato sul velluto, assegnando la parte a Dustin Hoffman.

La storia potrebbe risultare allo spettatore che non abbia conoscenza di quel che accadde in quei tempi, in particolare se non americano, piuttosto difficile da seguire, con tutto quel vorticare di personaggi a noi poco noti, o del tutto ignoti. C'è un trucco che permette di superare agevolmente il problema, ovvero non preoccuparsi troppo dei dettagli e lasciare che la vicenda scorra. Assistiamo così a quello che sembra un reato minore, l'intrusione notturna nella sede del comitato democratico per l'elezione del presidente, e seguiamo prima Woodword, poi anche Bernstein, entrambi giovani cronisti assegnati alla cronaca locale, indagare sugli sviluppi. Lentamente, passo dopo passo, l'affare cresce, fino a diventare materia molto delicata.

Filmicamente, è bello vedere come, grazie all'ottima sceneggiatura, regia e cast, si sia riusciti a creare tensione in scene dove domina la parola, spesso la gente è seduta, e magari al telefono. Dal punto di vista sociologico, possiamo notare come quello che per gli americani è stato reputato sufficiente per far saltare un presidente da noi non riuscirebbe a far decadere un sindaco. E sottolineo che Nixon, pur avendo una lunga serie di difetti, aveva una caratura politica non indifferente. E' anche interessante come documento sul lavoro di giornalista. Sia per notare come il Washington Post pubblichi notizie solo se confermate, sia per come queste venivano raccolte, consumando suole senza risparmio.

Io sono un autarchico

Filmino in superotto, recitazione approssimativa ripresa quasi esclusivamente da una camera fissa, sceneggiatura a tratti incomprensibile o semplicemente insopportabile. Eppure il risultato complessivo non è male. È il primo lungometraggio di Nanni Moretti e a vederlo oggi spiccano più i difetti che i tratti interessanti della pellicola, principalmente la presa in giro dall'interno di quello strano animale che è la media borghesia progressista italiana.

Nel gran parlarsi addosso dei personaggi, senza capire neanche bene di cosa stanno parlando, spicca un tale, registra teatrale, che nonostante i fallimenti precedenti vuole mettere in scena un ennesimo spettacolo di avanguardia, ottenendo risultati sconsolanti. Ma, come dire, almeno lui ci prova. Invece Michele (Moretti) protagonista del film, e attore secondario del pezzo teatrale, non ci prova neanche. Partecipa, ma con interesse scarso o nullo. Come lascia scorrere la sua vita, lasciando che il suo matrimonio vada a monte, e non riuscendo a dare un minimo spessore al suo rapporto con il figlio. Si pensa comunista ma, quando cerca di leggere Il capitale, si accorge di non capire un tubo di quello che c'è scritto, e gli viene il dubbio di aver sbagliato ideologia. Non riesce a produrre niente, ma se la prende con il cinema prodotto in Italia (in particolare ce l'ha con Lina Wertmüller e l'appena uscito Pasqualino Settebellezze - e quando gli dicono del suo successo negli USA gli viene la bava alla bocca), anche se poi ammette che ormai da anni vede solo film pornografici - non erotici, che disprezza, ma proprio pornografici.

Molte ingenuità, lentezze, scene non riuscite, bassa qualità complessiva (a tratti sembra un film sovietico), ma riscattata da invenzioni e battute fulminanti che verranno sviluppate meglio nel seguito della produzione morettiana. Alcune sono diventate quasi proverbiali, come la reazione "No! Il dibattito no!" alla fine del catastrofico spettacolino.

La pantera rosa sfida l'ispettore Clouseau

La traduzione letterale del titolo originale sarebbe La pantera rosa colpisce ancora, che è però il titolo italiano del precedente episodio.

Qui, finalmente, Blake Edwards decide di puntare tutto sul lato comico, riprendendo lo spirito di Uno sparo nel buio anche se la sceneggiatura (Blake-Waldman) non è alla stessa altezza, e affidandosi completamente alla contrapposizione tra l'ispettore capo Clouseau (Peter Sellers) e il suo ex capo Dreyfus (Herbert Lom), ora decisamente pazzo.

Dicevo che la sceneggiatura non è particolarmente solida, alcune scene sono praticamente slegate dalla storia principale che, di per sé, non è il massimo della plausibilità. Dreyfus, dopo tre anni, starebbe per uscire dal manicomio. Ma Clouseau, animato da buone intenzioni, lo va a trovare facendo esplodere nuovamente la sua follia. Sfumata la possibilità di riprendere il suo posto come ispettore capo, Dreyfus scappa e si dedica a quella che elegge missione della sua vita: eliminare Clouseau. Prova con una bomba (di quelle che esplodono, come spiega Clouseau al suo assistente), fallendo. Decide dunque di creare una organizzazione criminale, reclutando i più pericolosi delinquenti, rapisce un geniale inventore inglese e lo costringe a costruire un'arma finale, capace di far sparir nel nulla il palazzo dell'ONU a New York. Dunque minaccia il mondo intero: o eliminano Clouseau, o distruggerà il mondo. Orde di assassini vengono mandate all'Oktoberfest, dove l'ispettore capo si reca per seguire una labile traccia, ma muoiono tutti, tranne Omar Sharif (agente egiziano che elimina un finto Clouseau e se ne va felice) e la bella agente russa (Lesley-Anne Down) che si innamora di Closeau (per sbaglio, fra l'altro). Il vero Clouseau capisce che Dreyfus si nasconde in un castello della Baviera e va a regolare i conti con il suo arcinemico.

Fondamentalmente una presa in giro dei film di Bond. Dato questo canovaccio vengono aggiunte una miriade di digressioni comiche - il combattimento Cato-Clouseau che si conclude con la distruzione mediante bomba della casa; il pedinamento del maggiordomo dello scienziato rapito che di sera canta en travesti in un locale ambiguo (Victor Victoria arriverà nell'82); il consiglio di Stato nello studio ovale della Casa Bianca, riunito per seguire la partita di football del Michigan ... - che non sono strettamente necessarie alla trama, ma rendono il film indimenticabile.

Complotto di famiglia

Ultimo film di Alfred Hitchcock, come al solito ottima la regia, storia non particolarmente valida ma sviluppata in una sceneggiatura che riesce a far brillare gli aspetti che più gli interessavano. Cast che brilla per l'assenza di star, tra cui spicca Bruce Dern (2002 la seconda odissea).

Tipica alternanza di tensione e umorismo (molto british, ovviamente). Svariate battute a sfondo sessuale inaspettate da un regista che tradizionalmente lascia più spazio all'allusione che alla esplicitazione.

Colonna sonora non malaccio (di un ancor giovane John Williams che aveva appena lavorato a Lo squalo ma non ancora a Star Wars).

Buono il DVD che include un interessante documentario, edizione del Corriere della Sera.