La terza stagione inizia con un episodio speciale, tanto per la lunghezza (*) quanto per l'origine letteraria. Infatti l'omonimo romanzo (**) è il primo lavoro di Agatha Christie, scritto durante la prima guerra mondiale e pubblicato nel 1920. E' come se fosse un flashback, che ci spiega finalmente come mai il belga Hercule Poirot (David Suchet) è in Inghilterra, abbia un rapporto di amicizia e collaborazione con lo svagato capitano Hastings (Hugh Fraser), che qui è solo tenente, e anche la sua amicizia con l'ispettore capo (Philip Jackson). In pratica, con la sola assenza giustificata di Miss Lemon (Pauline Moran), i protagonisti sono già ben delineati qui per come li abbiamo già conosciuti nelle puntate precedenti.
La guerra infuria sul continente, ma Hastings è stato rimandato a casa, ufficialmente per una ferita che risulta essere di così lieve entità da farmi pensare che i suoi superiori abbiano deciso che quel tenente avrebbe dato un più significativo contributo alla vittoria stando lontano dai campi di battaglia e dedicandosi ad altro. A sua parziale discolpa possiamo dire che ha gli evidenti sintomi di uno stress post-traumatico, disturbo che ai tempi non era riconosciuto, e portava a volte alla fucilazione dei soldati che lo subivano, tacciati di codardia.
Per sua fortuna, Hastings, prima di partire per la guerra, si è creato una cerchia di facoltosi amici, e ora uno di questi, John Cavendish (David Rintoul), lo invita a fannulloneggiare nella sua villa di campagna, Styles Court, vicino all'inesistente paesino di Style St. Mary. Il realtà la magione non è di John, ma di sua madre, che è recentemente diventata Mrs. Inglethorp, avendo sposato quello che sembra un cacciatore di dote (Michael Cronin) una ventina di anni più giovane di lei, e che fa di tutto per rendersi antipatico a chi gli sta attorno.
Mrs. Inglethorp ha un caratterino ben poco accomodante abbinato a sospetti slanci di filantropia, uno di questi la ha portata a cedere in uso gratuito una sua proprietà ad un gruppetto di belgi in fuga dalla guerra. Uno di questi è proprio Poirot. Hastings lo aveva conosciuto in Belgio quando, probabilmente a causa della sua goffaggine, aveva corso il rischio di essere coinvolto in un omicidio. I due si riconoscono e riprendono la loro amicizia.
Nel frattempo Hastings mette gli occhi su una pollastrella locale, una graziosa vedovella a nome Mrs. Raikes (Penelope Beaumont), che però non lo calcola nemmeno, avendo ella una relazione con John, il quale a sua volta è sposato con Mary (Beatie Edney). Il nostro metterà gli occhi anche su Cynthia (Allie Byrne), una giovinetta miracolata dalla Inglethorp divenuta ospite fissa della famiglia, che però mira al fratello minore di John, Lawrence (Michael Cronin), che, forse per motivi di opportunità familiare, non ricambia. In più abbiamo anche una scorbutica dama di compagnia, Evie Howard (Joanna McCallum), che non sembra concupire né essere concupita da nessuno, ma nutrire solo un feroce odio per l'Inglethorp.
Succede dunque quello che tutti ci aspettiamo, la Inglethorp muore, avvelenata con una buona dose di stricnina. Il principale sospetto è ovviamente il vedovo, che sembra fare di tutto per attirare l'attenzione su di lui. Succede così che il primo intervento investigativo di Poirot sia finalizzato a non fare incriminare quello che appare a tutti (***) il naturale colpevole dell'omicidio. La seconda fase sarà quella di togliere dai guai John che, in quanto co-erede della Inglethorp, risulta essere il secondo principale indiziato. E infine l'investigatore belga potrà dare la soluzione al caso.
La Christie qui sviluppa una serie di temi interessanti. C'è infatti l'imbarazzo dei Cavendish al secondo matrimonio della loro madre con un uomo più giovane. Cosa ritenuta sconveniente, e di cui si cerca di parlare il meno possibile. C'è poi la relazione extraconiugale di John, che scatena l'ira della di lui madre non tanto per il tradimento degli affetti quanto per il giro di soldi che ne consegue (°). Anche la modalità con cui viene eseguito l'avvelenamento è verosimile e presuppone una notevole applicazione dell'assassino (e della scrittrice) alla materia.
Ci sono anche alcune debolezze. Ad esempio non riesco a capire perché mai l'assassino lasci sul luogo del misfatto un indizio così significativo, che pure aveva in mano e di cui era ben conscio della pericolosità. Poteva benissimo portarlo via e distruggerlo a suo piacimento.
Bella come al solito la produzione, con la consueta cura nella ricostruzione dell'epoca.
(*) Lunghezza doppia rispetto ai canonici cinquanta minuti.
(**) In inglese The mysterious affair at Styles.
(***) Lettori/spettatori compresi.
(°) La relazione con la vedova Raikes meriterebbe un miglior approfondimento. Non si capisce se lei mira a John per i soldi, se è solo sesso, o se si tratta di una semplice amicizia, tenuta nascosta per evitare le dicerie della gente. Qualunque sia il caso, a me pare che la povera Raikes sia la vera vittima della storia.
Visualizzazione post con etichetta 1990. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 1990. Mostra tutti i post
Ritorno al futuro parte III
Dopo la parentesi della parte due, si torna alla struttura della parte uno, in cui l'azione si svolge nel presente (1985) e nel passato, con la variazione che al passato relativamente prossimo (1955) si aggiunge il più remoto 1885. Per conto mio è meglio così, mi pare che alla base del racconto di Bob Gale e Robert Zemeckis ci sia la nostalgia per la loro infanzia, per i favolosi anni cinquanta, e anche il racconto del vecchio west è evidentemente filtrato dal cinema di quei tempi, e in particolare lo spaghetti-western di Sergio Leone (*), con le ripetute citazioni alla sua trilogia del dollaro, e in particolare a Per un pugno di dollari (**).
Alla fine dell'episodio 2, i protagonisti erano stati separati da un inatteso colpo di fulmine. Marty (Michael J. Fox) nel novecento, Doc (Christopher Lloyd) nell'ottocento, con la DeLorean inutilizzabile. Doc riesce a rimandare la macchina a Marty, spiegandogli come ripararla e invitandolo a tornarsene nel suo presente, lasciandolo lì, in quel tempo, che ci si trova bene. Il Doc anni 50 lo aiuta a rimettere in sesto il mezzo usando la tecnologia del tempo, ma Marty, avendo scoperto che il "suo" Doc corre un mortale pericolo nel far west, contravviene al suggerimento e va in suo soccorso.
A causare tutti i problemi è Mad dog Tannen (Thomas F. Wilson), un poco di buono da cui discenderà il Biff che tanto fastidio aveva dato ai McFly nei precedenti episodi. A complicare il tutto, Doc si innamorerà di una bella maestrina, Clara Clayton (Mary Steenburgen), che ha una passione per la scienza e pure per la fantascienza, creando una tensione tra ragione, che lo vorrebbe far tornare al suo tempo lasciando lì la sua bella, e sentimento.
(*) Che gli americani credono sia roba loro.
(**) Che a dire il vero è del decennio successivo, quando i due autori erano più grandicelli e potevano guardarli.
Alla fine dell'episodio 2, i protagonisti erano stati separati da un inatteso colpo di fulmine. Marty (Michael J. Fox) nel novecento, Doc (Christopher Lloyd) nell'ottocento, con la DeLorean inutilizzabile. Doc riesce a rimandare la macchina a Marty, spiegandogli come ripararla e invitandolo a tornarsene nel suo presente, lasciandolo lì, in quel tempo, che ci si trova bene. Il Doc anni 50 lo aiuta a rimettere in sesto il mezzo usando la tecnologia del tempo, ma Marty, avendo scoperto che il "suo" Doc corre un mortale pericolo nel far west, contravviene al suggerimento e va in suo soccorso.
A causare tutti i problemi è Mad dog Tannen (Thomas F. Wilson), un poco di buono da cui discenderà il Biff che tanto fastidio aveva dato ai McFly nei precedenti episodi. A complicare il tutto, Doc si innamorerà di una bella maestrina, Clara Clayton (Mary Steenburgen), che ha una passione per la scienza e pure per la fantascienza, creando una tensione tra ragione, che lo vorrebbe far tornare al suo tempo lasciando lì la sua bella, e sentimento.
(*) Che gli americani credono sia roba loro.
(**) Che a dire il vero è del decennio successivo, quando i due autori erano più grandicelli e potevano guardarli.
Moon 44 - Attacco alla fortezza
Non sono un fan di Roland Emmerich però, dopo aver visto questo suo film che risale a prima del suo periodo fortunato, che direi si può far partire col successivo Universal soldier (*), ho rivalutato i suoi ultimi titoli. Nel senso che questo è decisamente peggio. Anche a chi piaccia il genere fantascientifico-catastrofista in cui eccelle, sconsiglierei di andare a rimestare tra i suoi primi lavori.
In un futuro prossimo, altamente tecnologico ma oscuro e deprimente (vedi Blade runner) il potere è gestito da potenti multinazionali (vedi Alien) molto litigiose e gestite da incapaci. Al centro degli interessi economici c'è l'attività estrattiva su oggetti extrasolari che la sceneggiatura chiama "lune" anche se sembrano piuttosto pianetini o grossi asteroidi, vallo a capire. Lo sfascio morale della nostra società è tale che non ci si può fidare di nessuno, tantomeno del maggiore Lee (**) che è al comando della base (***). Lo capiscono tutti, tranne il suo capo che gli manda una specie di poliziotto aziendale sotto copertura, rivelandogli la sua vera natura. Il tipo, che devono avergli dato l'istruzione di recitare come se fosse Harrison Ford, deve scoprire chi è che ruba le astronavi da trasporto della compagnia, simulando goffamente incidenti. Però non gli dicono che la corporation avversaria sta mandando una nave da guerra per ammazzare tutti e rubare le loro risorse. Lo aiuterà un ragazzetto (****) che recita come se fosse Ralph Macchio.
Ci sono momenti dove viene mostrata violenza omosessuale, giustificata dalla presenza di galeotti che sono messi a guidare cosi strani che sembrano vagamente elicotteri, in abbinata con ragazzetti che fanno da navigatori (ma chissà perché, da remoto). Niente che possa portare ad un divieto ai minori per la pellicola, ma mi è sembrato stranamente fuori luogo per un film di genere come questo.
Le prime scene sono così brutte che fanno ridere. Purtroppo il resto è solo brutto, e piuttosto noioso. C'è un ritorno di fiamma di comicità involontaria nel finale, ma è davvero poca roba.
(*) Che non ho visto. Ma quello dopo ancora, Stargate, sì e non mi era piaciuto.
(**) Malcolm McDowell, unico del lotto a recitare in maniera accettabile, almeno a tratti. Inutile dire che è sprecato nella parte.
(***) Che non è certo una fortezza. Checchè ne dica il titolo italiano.
(****) Dean Devlin, che credo proprio in questi tempi ha fatto amicizia con Emmerich. I due diventeranno inseparabili.
In un futuro prossimo, altamente tecnologico ma oscuro e deprimente (vedi Blade runner) il potere è gestito da potenti multinazionali (vedi Alien) molto litigiose e gestite da incapaci. Al centro degli interessi economici c'è l'attività estrattiva su oggetti extrasolari che la sceneggiatura chiama "lune" anche se sembrano piuttosto pianetini o grossi asteroidi, vallo a capire. Lo sfascio morale della nostra società è tale che non ci si può fidare di nessuno, tantomeno del maggiore Lee (**) che è al comando della base (***). Lo capiscono tutti, tranne il suo capo che gli manda una specie di poliziotto aziendale sotto copertura, rivelandogli la sua vera natura. Il tipo, che devono avergli dato l'istruzione di recitare come se fosse Harrison Ford, deve scoprire chi è che ruba le astronavi da trasporto della compagnia, simulando goffamente incidenti. Però non gli dicono che la corporation avversaria sta mandando una nave da guerra per ammazzare tutti e rubare le loro risorse. Lo aiuterà un ragazzetto (****) che recita come se fosse Ralph Macchio.
Ci sono momenti dove viene mostrata violenza omosessuale, giustificata dalla presenza di galeotti che sono messi a guidare cosi strani che sembrano vagamente elicotteri, in abbinata con ragazzetti che fanno da navigatori (ma chissà perché, da remoto). Niente che possa portare ad un divieto ai minori per la pellicola, ma mi è sembrato stranamente fuori luogo per un film di genere come questo.
Le prime scene sono così brutte che fanno ridere. Purtroppo il resto è solo brutto, e piuttosto noioso. C'è un ritorno di fiamma di comicità involontaria nel finale, ma è davvero poca roba.
(*) Che non ho visto. Ma quello dopo ancora, Stargate, sì e non mi era piaciuto.
(**) Malcolm McDowell, unico del lotto a recitare in maniera accettabile, almeno a tratti. Inutile dire che è sprecato nella parte.
(***) Che non è certo una fortezza. Checchè ne dica il titolo italiano.
(****) Dean Devlin, che credo proprio in questi tempi ha fatto amicizia con Emmerich. I due diventeranno inseparabili.
Mo' better blues
Ovvero, la vita del trombettista (*) jazz Bleek Gilliam (Denzel Washington) secondo Spike Lee. Ci si focalizza sul momento in cui Bleek sta per fare il gran botto, anche se al momento il suo quintetto suona al Beneath the underdog, un locale non eccelso. Si studiano le relazione tra Bleek e i suoi colleghi, in particolare con Shadow Henderson (Wesley Snipes), sassofonista di talento; con le donne, ne ha due stabili, Clarke Bentancourt (Cynda Williams) e Indigo Downes (Joie Lee, sorella di Spike), e presumibilmente altre di passaggio; e con il suo manager incapace, Giant (lo stesso Lee).
Giant ha rimediato un contratto capestro con i gestori del Beneath the underdog, i fratelli Flatbush (interpretati dai fratelli Turturro, Moe è John), non riesce a rinegoziarlo nonostante il successo che Bleek e compagni stanno ottenendo, e questo complica le relazioni all'interno del quintetto, anche perché Shadow pensa di mettersi in proprio, e ha pure mire su Clarke, sessuali ma anche artistiche, visto che lei canta. Giant ha anche un problema di dipendenza dal gioco d'azzardo, e i suoi debiti porteranno alla catastrofe finale, che avrà le sembianze di un paio di brutti ceffi, uno dei quali è interpretato da Samuel L. Jackson.
Un veloce flashback iniziale ci mostra Bleek ancora bimbo costretto dalla mamma a studiare la tromba controvoglia, e questa potrebbe essere la chiave di lettura del film. Bleek è un genio della musica, ma non basta questo a farne un uomo felice. Avrebbe dovuto imparare a relazionarsi decentemente con uomini e donne. E questo lo si può imparare solo con l'esperienza, che gli è stata negata. Nel finale vediamo la stessa scena ripetuta alcuni decenni dopo, il figlio di Bleek sta a sua volta studiando la tromba, ma vorrebbe uscire a giocare con i suoi amici. Fortuna sua, il padre è abbastanza intelligente da aver imparato dalla sua vita, ed evita di rovinargli l'esistenza.
Eccellente la parte musicale, affidata al quartetto di Branford Marsalis.
(*) Inesistente ma liberamente ispirato dalle biografie di Miles Davis e Charlie Mingus.
Giant ha rimediato un contratto capestro con i gestori del Beneath the underdog, i fratelli Flatbush (interpretati dai fratelli Turturro, Moe è John), non riesce a rinegoziarlo nonostante il successo che Bleek e compagni stanno ottenendo, e questo complica le relazioni all'interno del quintetto, anche perché Shadow pensa di mettersi in proprio, e ha pure mire su Clarke, sessuali ma anche artistiche, visto che lei canta. Giant ha anche un problema di dipendenza dal gioco d'azzardo, e i suoi debiti porteranno alla catastrofe finale, che avrà le sembianze di un paio di brutti ceffi, uno dei quali è interpretato da Samuel L. Jackson.
Un veloce flashback iniziale ci mostra Bleek ancora bimbo costretto dalla mamma a studiare la tromba controvoglia, e questa potrebbe essere la chiave di lettura del film. Bleek è un genio della musica, ma non basta questo a farne un uomo felice. Avrebbe dovuto imparare a relazionarsi decentemente con uomini e donne. E questo lo si può imparare solo con l'esperienza, che gli è stata negata. Nel finale vediamo la stessa scena ripetuta alcuni decenni dopo, il figlio di Bleek sta a sua volta studiando la tromba, ma vorrebbe uscire a giocare con i suoi amici. Fortuna sua, il padre è abbastanza intelligente da aver imparato dalla sua vita, ed evita di rovinargli l'esistenza.
Eccellente la parte musicale, affidata al quartetto di Branford Marsalis.
(*) Inesistente ma liberamente ispirato dalle biografie di Miles Davis e Charlie Mingus.
Poirot 2.9: Il caso della stella d'occidente
Hercule Poirot (David Suchet) è stranamente in apprensione. Il mistero è presto svelato, la famosa attrice belga Marie Marvelle (Rosalind Bennett) gli ha chiesto udienza. Nemmeno il fatto che ella, da bizzosa stella del cinema, cambi idea all'ultimo momento e gli chieda di andare lui da lei, nell'albergo in cui alloggia a Londra, lo inquieta più di tanto.
Le sue perplessità aumentano quando la Marvelle spiega che suo marito ha fatto l'incauto acquisto di uno splendido diamante, la stella d'occidente del titolo, quando i due erano in America, e ora riceve lettere anonime da un cinese che vuole siano restituite le due stelle, d'oriente e occidente, che erano in origine gli occhi di un misterioso idolo cinese.
La stella d'oriente è legittima proprietà della famiglia Yardly, il cui corrente visconte (Alister Cameron) non pare per niente preoccupato dalla faccenda, che bolla come un evidente scherzo privo di senso, mentre lady Yardly (Caroline Goodall), sembra essere molto più sulle spine, non gradendo nemmeno che il Yardly voglia vendere la sua stella, per ripianare le difficoltà del casato.
Questo curioso curioso parallelismo sembra intersecarsi con un caso che l'ispettore capo Japp (Philip Jackson) ha per le mani. Un brutto ceffo molto danaroso, tale Henrik Van Braks (Struan Rodger), è noto a Scotland Yard per il suo hobby di comprare pietre preziose che scottano, e proprio in quei giorni è giunto a Londra.
I dettagli verranno chiariti dallo sviluppo, ma la direzione della storia è ben chiara. Il Van Braks non è l'unico malfattore della storia, ma comunque questa volta nessuno finirà in gattabuia.
Le sue perplessità aumentano quando la Marvelle spiega che suo marito ha fatto l'incauto acquisto di uno splendido diamante, la stella d'occidente del titolo, quando i due erano in America, e ora riceve lettere anonime da un cinese che vuole siano restituite le due stelle, d'oriente e occidente, che erano in origine gli occhi di un misterioso idolo cinese.
La stella d'oriente è legittima proprietà della famiglia Yardly, il cui corrente visconte (Alister Cameron) non pare per niente preoccupato dalla faccenda, che bolla come un evidente scherzo privo di senso, mentre lady Yardly (Caroline Goodall), sembra essere molto più sulle spine, non gradendo nemmeno che il Yardly voglia vendere la sua stella, per ripianare le difficoltà del casato.
Questo curioso curioso parallelismo sembra intersecarsi con un caso che l'ispettore capo Japp (Philip Jackson) ha per le mani. Un brutto ceffo molto danaroso, tale Henrik Van Braks (Struan Rodger), è noto a Scotland Yard per il suo hobby di comprare pietre preziose che scottano, e proprio in quei giorni è giunto a Londra.
I dettagli verranno chiariti dallo sviluppo, ma la direzione della storia è ben chiara. Il Van Braks non è l'unico malfattore della storia, ma comunque questa volta nessuno finirà in gattabuia.
Poirot 2.8: Il rapimento del primo ministro
Anche qui il racconto di Agatha Christie è fin troppo snello per le necessità della serie. Però si è deciso di mantenere l'impianto originale, anche se si è spostata l'ambientazione a metà degli anni trenta (*), come per gli altri episodi, e i "cattivi" da tedeschi sono diventati, chissà perché, da tedeschi a indipendentisti irlandesi. Il risultato è che la parte in cui Hastings (Hugh Fraser) si dedica ad un inseguimento automobilistico viene tirata per il lungo con l'unico possibile scopo di consumare i minuti che la storia non è riuscita ad utilizzare.
Succede dunque che il primo ministro inglese subisce un attentato mentre in macchina si stava recando da un incontro con il re a Charing Cross, dove lo aspettava un treno, tappa intermedia per un viaggio in Francia, ad una importante conferenza. Se la cava tutto sommato a buon mercato, con una ferita al volto che viene abbondantemente bendato.
Purtroppo è solo la prima parte del piano malefico infatti, giunto sul continente, c'è un nuovo attacco, e questa volta il primo ministro viene rapito.
Il governo inglese è in subbuglio e, su suggerimento di Japp (Philip Jackson), viene chiesto aiuto a Poirot (David Suchet). I metodi flemmatici dell'investigatore, che preferisce ragionare sui fatti piuttosto che dedicarsi all'azione, lasciano perplessi i committenti. Il risultato vendicherà il panciuto belga. Che, sia detto tra parentesi, ha messo su qualche chiletto dall'anno precedente, come mostra il siparietto comico di alleggerimento, in cui lo vediamo bisticciare con il suo sarto a proposito della sua taglia.
(*) La storia originale avveniva sul finire della prima guerra mondiale.
Succede dunque che il primo ministro inglese subisce un attentato mentre in macchina si stava recando da un incontro con il re a Charing Cross, dove lo aspettava un treno, tappa intermedia per un viaggio in Francia, ad una importante conferenza. Se la cava tutto sommato a buon mercato, con una ferita al volto che viene abbondantemente bendato.
Purtroppo è solo la prima parte del piano malefico infatti, giunto sul continente, c'è un nuovo attacco, e questa volta il primo ministro viene rapito.
Il governo inglese è in subbuglio e, su suggerimento di Japp (Philip Jackson), viene chiesto aiuto a Poirot (David Suchet). I metodi flemmatici dell'investigatore, che preferisce ragionare sui fatti piuttosto che dedicarsi all'azione, lasciano perplessi i committenti. Il risultato vendicherà il panciuto belga. Che, sia detto tra parentesi, ha messo su qualche chiletto dall'anno precedente, come mostra il siparietto comico di alleggerimento, in cui lo vediamo bisticciare con il suo sarto a proposito della sua taglia.
(*) La storia originale avveniva sul finire della prima guerra mondiale.
Poirot 2.7: L'appartamento a buon mercato
Il racconto di Agatha Christie era davvero troppo esilino per tirarci fuori un episodio. Così lo sceneggiatore (Russell Murray) ha avuto la direttiva di rimpolpare la storia aggiungendo un improbabile intrigo internazionale che avrebbe fatto sì che la mafia italo-americana complottasse con il governo italiano del tempo (*) per rubare i piani di un sommergibile americano, e il conseguente arrivo a Londra di un agente dell'FBI. In originale il complotto era di marca giapponese, la mafia veniva tirata in ballo solo per sbadataggine dalla spia, e il caso veniva risolto senza interventi da oltreoceano. Altri cambiamenti minori hanno lo scopo principale di dare più spazio agli attori principali, rendendo più visuale l'azione.
Simpatico l'inizio di episodio in cui si immagina che Poirot (David Suchet), Hastings (Hugh Fraser) e Japp (Philip Jackson) vadano al cinema per vedere La pattuglia dei senza paura (**), con Poirot che resta traumatizzato dal tasso di violenza della pellicola. Succede poi che una coppia (***), lontani amici di un amico del capitano, raccontino di essere riusciti a trovare uno strepitoso appartamento ad un prezzo ridicolmente basso. Poirot, che non ha casi interessanti per le mani, si appassiona al mistero e cerca di scoprire cosa ci sia sotto.
Nel frattempo, un agente dell'FBI (William Hootkins) giunge a portar scompiglio a Scotland Yard inseguendo Carla Romero (Jenifer Landor) una chanteuse (o magari sciantosa, vista la probabile origine italica) che arrotonda facendo la spia. Ovviamente i due casi finiscono per fondersi in un unica trama, in cui confluiscono pure un viscido, ma dopotutto nemmeno troppo antipatico, proprietario di night club, e un killer della mafia che sembra far di tutto per risultare sospetto.
(*) In questa versione televisiva siamo a metà degli anni trenta. E dunque l'Italia è quella fascista.
(**) Il titolo originale era G Men, film del 1935 con James Cagney nel ruolo principale.
(***) Lei è Samantha Bond, prima che diventasse nota come Miss Moneypenny nella versione dell'universo di James Bond con Pierce Brosnan.
Simpatico l'inizio di episodio in cui si immagina che Poirot (David Suchet), Hastings (Hugh Fraser) e Japp (Philip Jackson) vadano al cinema per vedere La pattuglia dei senza paura (**), con Poirot che resta traumatizzato dal tasso di violenza della pellicola. Succede poi che una coppia (***), lontani amici di un amico del capitano, raccontino di essere riusciti a trovare uno strepitoso appartamento ad un prezzo ridicolmente basso. Poirot, che non ha casi interessanti per le mani, si appassiona al mistero e cerca di scoprire cosa ci sia sotto.
Nel frattempo, un agente dell'FBI (William Hootkins) giunge a portar scompiglio a Scotland Yard inseguendo Carla Romero (Jenifer Landor) una chanteuse (o magari sciantosa, vista la probabile origine italica) che arrotonda facendo la spia. Ovviamente i due casi finiscono per fondersi in un unica trama, in cui confluiscono pure un viscido, ma dopotutto nemmeno troppo antipatico, proprietario di night club, e un killer della mafia che sembra far di tutto per risultare sospetto.
(*) In questa versione televisiva siamo a metà degli anni trenta. E dunque l'Italia è quella fascista.
(**) Il titolo originale era G Men, film del 1935 con James Cagney nel ruolo principale.
(***) Lei è Samantha Bond, prima che diventasse nota come Miss Moneypenny nella versione dell'universo di James Bond con Pierce Brosnan.
Poirot 2.6: Doppia colpa
Hercule Poirot (David Suchet) è depresso. Al punto che la vacanza fuori programma, in cui ha trascinato il capitano Hastings (Hugh Fraser), non sembra avere alcun effetto positivo su di lui. Peggio, gli passa sotto il naso lo strano caso di una mezza dozzina di miniature napoleoniche che sembrano essere sparite nel nulla, e lui non se ne mostra per niente interessato. Anzi, dice all'allibito Hastings che lui è ormai un ex-investigatore.
Ma non lo si compianga troppo, che scopriremo presto che il suo umor nero è dovuto ad una pestifera combinazione di vanità ferita e malfidenza nei confronti dei suoi amici. Risolta la crisi, tornerà ad essere il solito Poirot, riprenderà in mano le indagini, che inizialmente erano state seguite dal capitano, con esiti disastrosi, e li porterà a felice conclusione.
In questo caso le differenze con il racconto originale di Agatha Christie sono sostanziali. In particolare alla trama gialla, che non è invero molto interessante, la sceneggiatura di Clive Exton aggiunge il tentativo di indagine di Hastings, una conferenza sul mondo del crimine dell'ispettore Japp (Philip Jackson), e persino il mistero delle chiavi di casa scomparse che si trova a dover affrontare Miss Lemon (Pauline Moran).
Ma non lo si compianga troppo, che scopriremo presto che il suo umor nero è dovuto ad una pestifera combinazione di vanità ferita e malfidenza nei confronti dei suoi amici. Risolta la crisi, tornerà ad essere il solito Poirot, riprenderà in mano le indagini, che inizialmente erano state seguite dal capitano, con esiti disastrosi, e li porterà a felice conclusione.
In questo caso le differenze con il racconto originale di Agatha Christie sono sostanziali. In particolare alla trama gialla, che non è invero molto interessante, la sceneggiatura di Clive Exton aggiunge il tentativo di indagine di Hastings, una conferenza sul mondo del crimine dell'ispettore Japp (Philip Jackson), e persino il mistero delle chiavi di casa scomparse che si trova a dover affrontare Miss Lemon (Pauline Moran).
Poirot 2.5: La sparizione del signor Davenheim
Uno speculatore londinese, Matthew Davenheim (Kenneth Colley), ha dato appuntamento a casa sua a un suo degno pari, tal Gerald Lowen (Tony Mathews). La moglie (Mel Martin) è piuttosto contrariata, anche perché il suo consorte ha sempre detto tutto il male possibile di Lowen, ma prende la notizia con la flemma che si addice alla sua classe sociale.
Il Davenheim, però, dopo essersi preparato all'incontro leggendo documenti nel suo studio, lasciando in sottofondo l'Ouverture 1812 di Tchaikovsky, esce per andare in contro al suo ospite, e sparisce nella nebbia.
Hercule Poirot (David Suchet) e il capitano Hastings (Hugh Fraser) vengono a sapere del caso dall'ispettore Japp (Philip Jackson), dopo che i tre hanno passato un'allegra serata a teatro, dove un prestigiatore attacca all'investigatore belga la mania per la magia spicciola.
Il povero Japp si fa attirare nella trappola di sfidare Poirot a risolvere il caso, aggiungendo la clausola che questi dovrà arrivare alla soluzione senza uscire di casa. Il che cambia poco al succo dell'indagine, se non che Hastings dovrà correre a destra e a manca per raccogliere indizi per conto del suo sodale.
Lo stratagemma che Agatha Christie ha pensato per il malfattore di questo episodio non è particolarmente sorprendente, però è simpatico che usi lo stesso sistema del prestigiatore mostrato all'inizio del racconto per distogliere l'attenzione dal trucco.
Bella, come al solito, l'ambientazione d'epoca. In questo caso, visto che Lowen è un appassionato di auto da corsa, abbiamo anche modo di vedere vetture sportive anni trenta e il regista (Andrew Grieve) ha la possibilità di giocare con il passaggio tra filmati d'epoca in bianco e nero, e il colore del resto dell'azione.
Il Davenheim, però, dopo essersi preparato all'incontro leggendo documenti nel suo studio, lasciando in sottofondo l'Ouverture 1812 di Tchaikovsky, esce per andare in contro al suo ospite, e sparisce nella nebbia.
Hercule Poirot (David Suchet) e il capitano Hastings (Hugh Fraser) vengono a sapere del caso dall'ispettore Japp (Philip Jackson), dopo che i tre hanno passato un'allegra serata a teatro, dove un prestigiatore attacca all'investigatore belga la mania per la magia spicciola.
Il povero Japp si fa attirare nella trappola di sfidare Poirot a risolvere il caso, aggiungendo la clausola che questi dovrà arrivare alla soluzione senza uscire di casa. Il che cambia poco al succo dell'indagine, se non che Hastings dovrà correre a destra e a manca per raccogliere indizi per conto del suo sodale.
Lo stratagemma che Agatha Christie ha pensato per il malfattore di questo episodio non è particolarmente sorprendente, però è simpatico che usi lo stesso sistema del prestigiatore mostrato all'inizio del racconto per distogliere l'attenzione dal trucco.
Bella, come al solito, l'ambientazione d'epoca. In questo caso, visto che Lowen è un appassionato di auto da corsa, abbiamo anche modo di vedere vetture sportive anni trenta e il regista (Andrew Grieve) ha la possibilità di giocare con il passaggio tra filmati d'epoca in bianco e nero, e il colore del resto dell'azione.
Poirot 2.4: Accadde in Cornovaglia
Hercule Poirot (David Suchet) e il capitano Hastings (Hugh Fraser) sono nuovamente in Cornovaglia. Questa volta non in vacanza ma per seguire da vicino il caso della signora Pengelley (Amanda Walker). L'investigatore però sottovaluta il pericolo in cui si trova la sua cliente e arriva nel paesino quando ormai ella è già cadavere. Poirot è così amareggiato che indaga lo stesso, sia per rispetto alla memoria della defunta, sia per salvare dalla galera il vedovo Edward Pengelley (Jerome Willis), che tutte le circostanze sembrano indicare come il colpevole della prematura scomparsa di sua moglie.
Il Pengelley ha infatti, come sottolinea l'ispettore capo Japp (Philip Jackson), modo, opportunità e motivi per eliminare la signora. C'è infatti fondato sospetto che tradisca la moglie con la sua assistente nel suo lavoro di dentista, e la scomparsa della moglie non solo gli dà la possibilità di far emergere la sua nuova relazione, ma gli permette pure di incassare il gruzzoletto dell'eredità.
Sarebbe però troppo semplice così, e dunque Poirot punta ad una soluzione alternativa.
La trama gialla segue abbastanza fedelmente quella del racconto omonimo di Agatha Christie, con alcune piccole variazioni. Ad esempio Poirot promette di dare all'assassino 24 ore di vantaggio sulla polizia. Nella storia originale mantiene la sua promessa, in questa versione televisiva no.
Invenzione di sana pianta dello sceneggiatore è invece la passione che Hastings sfoggia in questo episodio per l'oriente, che include la cucina indiana, pratiche di meditazione, e pure la maldestra consultazione dell'I Ching.
Il Pengelley ha infatti, come sottolinea l'ispettore capo Japp (Philip Jackson), modo, opportunità e motivi per eliminare la signora. C'è infatti fondato sospetto che tradisca la moglie con la sua assistente nel suo lavoro di dentista, e la scomparsa della moglie non solo gli dà la possibilità di far emergere la sua nuova relazione, ma gli permette pure di incassare il gruzzoletto dell'eredità.
Sarebbe però troppo semplice così, e dunque Poirot punta ad una soluzione alternativa.
La trama gialla segue abbastanza fedelmente quella del racconto omonimo di Agatha Christie, con alcune piccole variazioni. Ad esempio Poirot promette di dare all'assassino 24 ore di vantaggio sulla polizia. Nella storia originale mantiene la sua promessa, in questa versione televisiva no.
Invenzione di sana pianta dello sceneggiatore è invece la passione che Hastings sfoggia in questo episodio per l'oriente, che include la cucina indiana, pratiche di meditazione, e pure la maldestra consultazione dell'I Ching.
Poirot 2.3: La miniera perduta
A questo racconto originale di Agatha Christie gli sceneggiatori hanno aggiunto una trama parallela in cui Hercule Poirot (David Suchet) e il capitano Hastings (Hugh Fraser) sono presi da un scontro all'ultimo sangue nel nobile gioco di Monopoli. Altra variazione è che Poirot scopre con orrore che il suo conto corrente, che lui ha come punto d'onore (*) di mantenere a quota 444.44 sterline, è in rosso di cinquanta sacchi.
Entrambi questi alleggerimenti comici si concluderanno positivamente per l'investigatore belga. Come pure l'indagine, che verte sull'omicidio di un cinese giunto a Londra per vendere una mappa che potrebbe essere di enorme valore. L'ispettore Japp (Philip Jackson) si fa distrarre da un sordido faccendiere che sembra fare il corriere della droga per arrotondare, mentre a noi ci viene servito su un piatto d'argento uno speculatore di borsa americano (Colin Stinton) su cui vertono fin troppi indizi per essere davvero lui il colpevole. Facendo attenzione a uno strano particolare si può immaginare con largo anticipo chi davvero sia il colpevole, anche se dobbiamo aspettare lo spiegone finale di Poirot perché ci vengano rivelati alcuni dettagli fondamentali che finiranno per inchiodare chi è dietro alla losca faccenda.
(*) O piuttosto, come fissazione che fa pensare ad un non so che di autistico.
Entrambi questi alleggerimenti comici si concluderanno positivamente per l'investigatore belga. Come pure l'indagine, che verte sull'omicidio di un cinese giunto a Londra per vendere una mappa che potrebbe essere di enorme valore. L'ispettore Japp (Philip Jackson) si fa distrarre da un sordido faccendiere che sembra fare il corriere della droga per arrotondare, mentre a noi ci viene servito su un piatto d'argento uno speculatore di borsa americano (Colin Stinton) su cui vertono fin troppi indizi per essere davvero lui il colpevole. Facendo attenzione a uno strano particolare si può immaginare con largo anticipo chi davvero sia il colpevole, anche se dobbiamo aspettare lo spiegone finale di Poirot perché ci vengano rivelati alcuni dettagli fondamentali che finiranno per inchiodare chi è dietro alla losca faccenda.
(*) O piuttosto, come fissazione che fa pensare ad un non so che di autistico.
Poirot 2.2: La dama velata
Lady Millicent (Frances Barber) si rivolge ad Hercule Poirot (David Suchet) per un delicato caso. La nobità del suo rango è tale che ci mette del tempo per decidersi a togliere il velo che ne offusca i lineamenti - da cui il titolo dell'episodio. Sembra una storia molto praticata, quand'era giovinetta la Millicent era appassionatamente innamorata di un ardimentoso esploratore, che è sparito nel corso di una sua avventura. Un perfido individuo, tal Lavington (Terence Harvey) è entrato in possesso di una focosa lettera della Millicent, e minaccia di consegnarla al conte che sta per sposarla, così da creare uno scandalo tale da rovinarle la reputazione. Ci sarà però un colpo di scena che cambierà le carte tavola, del quale preferisco non dir nulla.
Del resto la parte più divertente della storia non è tanto scoprire l'intrigo quanto seguire Poirot che decide di passare, in un certo senso, all'azione come malfattore. La sua idea è infatti quella di travestirsi da esperto svizzero di sistemi di sicurezza, entrare nell'appartamento di Lavington durante il giorno, approfittando dell'assenza dello stesso, opportunamente in viaggio di affari, per preparare il suo accesso nella notte assieme al fido capitan Hastings (Hugh Fraser).
Poirot scopre così che saper come combattere il crimine non corrisponde a saper commettere crimini. Infatti si dimostra essere un pessimo scassinatore, e finirà per passare pure una notte in gattabuia. Eviterà problemi più grossi grazie solo all'intervento dell'ispettore Japp (Philip Jackson). Anche se questo si prende la soddisfazione di punzecchiarlo.
Del resto la parte più divertente della storia non è tanto scoprire l'intrigo quanto seguire Poirot che decide di passare, in un certo senso, all'azione come malfattore. La sua idea è infatti quella di travestirsi da esperto svizzero di sistemi di sicurezza, entrare nell'appartamento di Lavington durante il giorno, approfittando dell'assenza dello stesso, opportunamente in viaggio di affari, per preparare il suo accesso nella notte assieme al fido capitan Hastings (Hugh Fraser).
Poirot scopre così che saper come combattere il crimine non corrisponde a saper commettere crimini. Infatti si dimostra essere un pessimo scassinatore, e finirà per passare pure una notte in gattabuia. Eviterà problemi più grossi grazie solo all'intervento dell'ispettore Japp (Philip Jackson). Anche se questo si prende la soddisfazione di punzecchiarlo.
Poirot 2.1: Il pericolo senza nome
Il racconto originale di Agatha Christie è così complicato che per portarlo sul piccolo schermo hanno dovuto renderlo in due episodi. La conversione è piuttosto fedele, persino più del solito, ne fa le spese solo un personaggio secondario, che in effetti è comunque assolutamente marginale e che avrebbe dato un tocco pulp abbastanza fuori luogo, visto che qui si tende più all'autoironia.
Oltre ad essere complicata, la trama è anche costellata di elementi improbabili, evidentemente messi lì dalla Christie per rendere torbide le acque della investigazione di Hercule Poirot (David Suchet). Il quale, se è vero che alla fine svelerà l'arcano, inizialmente prende un bel numero di cantonate. Io non mi sono impegnato più di tanto nel seguire l'involuta trama gialla, mi sono invece goduto la caratterizzazione comica del piccolo investigatore belga e la solita bella ricostruzione d'epoca.
Come spesso accade, Poirot è in vacanza. Questa volta in un bell'albergo in Cornovaglia con il fido capitano Hastings (Hugh Fraser). Fanno casualmente conoscenza di Magdala Buckley (Polly Walker), nota a tutti con il nomignolo di Nick, ereditiera spiantata che vive in una splendida magione su una punta nella costa. Sembra che qualcuno stia attentando alla sua vita, ma costui deve essere un incapace assoluto, e Nick non sembra dia molto peso alla cosa.
Interviene Poirot, ma le cose peggiorano. C'è un altro attacco e a morire non è Nick, ma la di lei cugina, Maggie Buckley. Segue poi un altro attento che questa volta sembra colpire il bersaglio annunciato. Alla fine a Poirot si accende una lampadina e uno spiegone finale mette a posto tutto quanto.
Interessante notare come praticamente tutti i personaggi siano di classe elevata ma pericolosamente a corto di pecunia. Sembra che sia cosa comune essere tenuti a galla da uno zio danaroso.
Oltre ad essere complicata, la trama è anche costellata di elementi improbabili, evidentemente messi lì dalla Christie per rendere torbide le acque della investigazione di Hercule Poirot (David Suchet). Il quale, se è vero che alla fine svelerà l'arcano, inizialmente prende un bel numero di cantonate. Io non mi sono impegnato più di tanto nel seguire l'involuta trama gialla, mi sono invece goduto la caratterizzazione comica del piccolo investigatore belga e la solita bella ricostruzione d'epoca.
Come spesso accade, Poirot è in vacanza. Questa volta in un bell'albergo in Cornovaglia con il fido capitano Hastings (Hugh Fraser). Fanno casualmente conoscenza di Magdala Buckley (Polly Walker), nota a tutti con il nomignolo di Nick, ereditiera spiantata che vive in una splendida magione su una punta nella costa. Sembra che qualcuno stia attentando alla sua vita, ma costui deve essere un incapace assoluto, e Nick non sembra dia molto peso alla cosa.
Interviene Poirot, ma le cose peggiorano. C'è un altro attacco e a morire non è Nick, ma la di lei cugina, Maggie Buckley. Segue poi un altro attento che questa volta sembra colpire il bersaglio annunciato. Alla fine a Poirot si accende una lampadina e uno spiegone finale mette a posto tutto quanto.
Interessante notare come praticamente tutti i personaggi siano di classe elevata ma pericolosamente a corto di pecunia. Sembra che sia cosa comune essere tenuti a galla da uno zio danaroso.
Cuore selvaggio
Il titolo originale, Wild at heart, suonerebbe in italiano qualcosa come selvaggio, nel senso di violento, barbaro, di natura. E questo spingerebbe ancor più ad un confronto con Assassini nati (ovvero Natural born killer), film di quattro anni dopo, che a me pare riuscito meglio. La regia di David Lynch, pur essendo come suo consueto ottima, a mio gusto eccede qui in barocchismi e stereotipi che vogliono evidentemente satirizzare il cinema, e forse ancor più le serie televisive, anni ottanta. Hanno dunque un loro senso, ma restano comunque indigeribili. Una maggior levità, o un ritmo più alto, come quello del sopra citato NBK, avrebbero aiutato a far passare più facilmente in messaggio.
Qui succede che due giovinetti, Sailor (Nicolas Cage) e Lula (Laura Dern), vedono il loro amore contrastato dalla madre di lei, Marietta (Diane Ladd), la quale cerca prima di far sesso con lui, e non si capisce se più per libidine o per crearsi uno schermo difensivo rispetto a qualcosa che Sailor potrebbe aver visto e che per lei è fonte di grosso imbarazzo. Poi, al diniego di lui, non si fa problemi a mandargli contro un gorilla animato di cattive intenzioni, che fa una brutta fine, mostrata in modalità splatter.
La giovane età di Sailor, sommata a numerosi attenuanti, tra cui quella di essere orfano di genitori alcolizzati, fanno sì che il nostro se la cavi con un paio di anni di galera, prima di uscire in libertà vigilata. Come esce, Lula gli corre in contro, e i due se ne fuggono verso ovest.
Marietta contatta separatamente un paio di suoi amanti, e li mette sulla pista dei fuggitivi. Il più normale dei due (Harry Dean Stanton) nulla può contro il suo rivale, Marcello Santos (J.E. Freeman) che saggiamente lascia il lavoro sporco ad un impresario di sicari liberi professionisti, che a sua volta scatena una masnada di psicopatici. Tra questi spiccano i due che arriveranno molto vicini a fermare Sailor, ovvero Bobby Peru (Willem Dafoe) e Perdita Durango (Isabella Rossellini). Questi però, nel momento topico, perdono la testa (*) e Sailor la scampa, anche se si becca un'altra condanna, questa volta per rapina.
Altri anni in galera, e la coppia si ricompone. Questa volta però il tempo, un figlio, e una serie di legnate che risvegliano il buon senso in Sailor, fa sì che i due siano più maturi. E chissà, forse ci sarà una specie di lieto fine.
(*) Non sto a specificare se in senso figurato o letterale.
Qui succede che due giovinetti, Sailor (Nicolas Cage) e Lula (Laura Dern), vedono il loro amore contrastato dalla madre di lei, Marietta (Diane Ladd), la quale cerca prima di far sesso con lui, e non si capisce se più per libidine o per crearsi uno schermo difensivo rispetto a qualcosa che Sailor potrebbe aver visto e che per lei è fonte di grosso imbarazzo. Poi, al diniego di lui, non si fa problemi a mandargli contro un gorilla animato di cattive intenzioni, che fa una brutta fine, mostrata in modalità splatter.
La giovane età di Sailor, sommata a numerosi attenuanti, tra cui quella di essere orfano di genitori alcolizzati, fanno sì che il nostro se la cavi con un paio di anni di galera, prima di uscire in libertà vigilata. Come esce, Lula gli corre in contro, e i due se ne fuggono verso ovest.
Marietta contatta separatamente un paio di suoi amanti, e li mette sulla pista dei fuggitivi. Il più normale dei due (Harry Dean Stanton) nulla può contro il suo rivale, Marcello Santos (J.E. Freeman) che saggiamente lascia il lavoro sporco ad un impresario di sicari liberi professionisti, che a sua volta scatena una masnada di psicopatici. Tra questi spiccano i due che arriveranno molto vicini a fermare Sailor, ovvero Bobby Peru (Willem Dafoe) e Perdita Durango (Isabella Rossellini). Questi però, nel momento topico, perdono la testa (*) e Sailor la scampa, anche se si becca un'altra condanna, questa volta per rapina.
Altri anni in galera, e la coppia si ricompone. Questa volta però il tempo, un figlio, e una serie di legnate che risvegliano il buon senso in Sailor, fa sì che i due siano più maturi. E chissà, forse ci sarà una specie di lieto fine.
(*) Non sto a specificare se in senso figurato o letterale.
Vincent & Theo
Nata come miniserie BBC in quattro puntate da cinquanta minuti l'una. Io ho optato per il formato più snello, il film dalla durata poco superiore alle due ore.
Come da titolo, non ci si focalizza sul solo Vincent Van Gogh (Tim Roth) ma piuttosto sulla relazione tra i due fratelli Van Gogh, evidenziando come la parte di Theo (Paul Rhys) sia stata tutt'altro che secondaria nella vicenda.
I due agiscono in perfetta simbiosi, Vincent, il creativo, si inventa pittore, Theo, il commerciale, lo presenta al pubblico. Avrebbe potuto essere una bella storia di successo se non fosse che la sensibilità comune non era ancora pronta per il salto in avanti di Van Gogh che superava l'impressionismo per prefigurare quel movimento che sarebbe diventato noto con il nome di espressionismo. Forse, se Vincent fosse stato meno radicale, e avesse in qualche modo mediato con il gusto comune, avrebbe reso più semplice la vita a se stesso e a suo fratello. Anche il brutto carattere dei due fratelli non ha certo aiutato, e qui bisognerebbe indagare sulla famiglia di origine, nel film si accenna appena ai burrascosi rapporti con Van Gogh senior, come pure le malattie che i due si erano attirati con la vita non semplice che hanno vissuto.
Nonostante il rimontaggio cinematografico sia stato fatto seguendo comunque le indicazioni di sceneggiatura (Julian Mitchell) e di regia (Robert Altman) originali, si sente comunque l'impostazione originale televisiva, che è per sua natura meno snella e più divulgativa di quanto tipicamente sia un prodotto pensato per il grande schermo. Il risultato è comunque buono, e certe scene, tipo quella in cui Vincent ascolta una discussione in un ritrovo parigino mentre giochicchia con i colori, o quella in cui cerca di dipingere in un campo di girasoli, finendo per soccombere allo scontro con loro, sono memorabili.
Curioso come Rhys sia stato chiamato in rapida successione prima ad interpretare il fratello di Vincent Van Gogh e poi quello di Charlie Chaplin.
Come da titolo, non ci si focalizza sul solo Vincent Van Gogh (Tim Roth) ma piuttosto sulla relazione tra i due fratelli Van Gogh, evidenziando come la parte di Theo (Paul Rhys) sia stata tutt'altro che secondaria nella vicenda.
I due agiscono in perfetta simbiosi, Vincent, il creativo, si inventa pittore, Theo, il commerciale, lo presenta al pubblico. Avrebbe potuto essere una bella storia di successo se non fosse che la sensibilità comune non era ancora pronta per il salto in avanti di Van Gogh che superava l'impressionismo per prefigurare quel movimento che sarebbe diventato noto con il nome di espressionismo. Forse, se Vincent fosse stato meno radicale, e avesse in qualche modo mediato con il gusto comune, avrebbe reso più semplice la vita a se stesso e a suo fratello. Anche il brutto carattere dei due fratelli non ha certo aiutato, e qui bisognerebbe indagare sulla famiglia di origine, nel film si accenna appena ai burrascosi rapporti con Van Gogh senior, come pure le malattie che i due si erano attirati con la vita non semplice che hanno vissuto.
Nonostante il rimontaggio cinematografico sia stato fatto seguendo comunque le indicazioni di sceneggiatura (Julian Mitchell) e di regia (Robert Altman) originali, si sente comunque l'impostazione originale televisiva, che è per sua natura meno snella e più divulgativa di quanto tipicamente sia un prodotto pensato per il grande schermo. Il risultato è comunque buono, e certe scene, tipo quella in cui Vincent ascolta una discussione in un ritrovo parigino mentre giochicchia con i colori, o quella in cui cerca di dipingere in un campo di girasoli, finendo per soccombere allo scontro con loro, sono memorabili.
Curioso come Rhys sia stato chiamato in rapida successione prima ad interpretare il fratello di Vincent Van Gogh e poi quello di Charlie Chaplin.
Sirene
La prematura dipartita di Bob Hoskins ha riportato in auge film che, pur non essendo capolavori, hanno il loro perché. Sirene (Mermaids) è uno di questi. Commedia ambientata a cavallo tra il 1963 e il 1964 che ha come protagonista Charlotte (Winona Riders, nello stesso anno di Edward mani di forbice) una ragazzetta che si appresta a diventare giovine donna. Da notarsi che viene data enfasi all'omicidio di JFK, avvenuto proprio in quel periodo, e mi pare lecito leggere in questo accostamento che il regista (Richard Benjamin) interpreti la sceneggiatura (di June Roberts) basata sul romanzo di Patty Dann come se la perdita dell'innocenza di Charlotte si specchi in quella dell'intero Paese.
La famiglia di Charlotte è tutta al femminile, la madre, chiamata sempre Mrs. Flax (Cher), ha avuto i suoi trascorsi. Il padre di Charlotte l'ha mollata (fregandosi pure la macchina), e da allora ha iniziato una peregrinazione per tutti gli USA passando da una storia sbagliata ad una catastrofica. Una di queste le ha lasciato il regalo di un'altra bella bimba, Kate (Christina Ricci, primo ruolo cinematografico), che, come il padre, ha una passione sfrenata per il nuoto.
Giunti nel Massachusetts, un simpatico negoziante (Hoskins) si innamora di quella folle famigliola così diversa e fa di tutto per farne parte. Per riuscirci dovrà vincere la riottosità di Cher, abituata ad applicare una tecnica piuttosto brutale per trovare una via d'uscita ad ogni suo problema: scappare.
La colonna sonora anni sessanta, molto efficace, include anche un pezzo di Django Reinhardt e uno di Marvin Gaye. Sui titoli di coda abbiamo anche modo di sentire la stessa Cher in azione dove canta The shoop shoop song (It's in his kiss), cover di un brano del periodo in questione, che ebbe un buon successo negli anni novanta in questa versione:
La famiglia di Charlotte è tutta al femminile, la madre, chiamata sempre Mrs. Flax (Cher), ha avuto i suoi trascorsi. Il padre di Charlotte l'ha mollata (fregandosi pure la macchina), e da allora ha iniziato una peregrinazione per tutti gli USA passando da una storia sbagliata ad una catastrofica. Una di queste le ha lasciato il regalo di un'altra bella bimba, Kate (Christina Ricci, primo ruolo cinematografico), che, come il padre, ha una passione sfrenata per il nuoto.
Giunti nel Massachusetts, un simpatico negoziante (Hoskins) si innamora di quella folle famigliola così diversa e fa di tutto per farne parte. Per riuscirci dovrà vincere la riottosità di Cher, abituata ad applicare una tecnica piuttosto brutale per trovare una via d'uscita ad ogni suo problema: scappare.
La colonna sonora anni sessanta, molto efficace, include anche un pezzo di Django Reinhardt e uno di Marvin Gaye. Sui titoli di coda abbiamo anche modo di sentire la stessa Cher in azione dove canta The shoop shoop song (It's in his kiss), cover di un brano del periodo in questione, che ebbe un buon successo negli anni novanta in questa versione:
Crocevia della morte
Visto che al titolo originale (Miller's crossing - il crocevia di Miller) è stata aggiunta in italiano la "morte", e visto che, ad esempio, ad Amore e guerra di Woody Allen, che ce l'aveva in originale, è stata tolta, possiamo forse dedurre che la distribuzione italiana ritenga che basti quella parola per indirizzare lo spettatore al cinema? O forse è solo l'ennesimo caso di titolo scelto a capocchia.
Occhio e croce questo dovrebbe essere il primo film dei fratelli Joel e Ethan Coen che io abbia visto. Ai tempi non erano ancora molto noti, soprattutto fuori dagli USA, Blood simple aveva avuto una distribuzione quasi simbolica, e Arizona junior ha fatto quasi l'80% del suo incasso in patria. Con questo titolo, invece, i Coen hanno sollevato più interesse in Europa che a casa loro.
La sceneggiatura ha un pesante (e non dichiarato) debito verso un paio di lavori di Dashiell Hammett, come se La chiave di vetro sia stato incrociato con Piombo e sangue, e il risultato sia stato riscritto per dargli una direzione diversa. Insomma, un lavoraccio. Al punto che i Coen a metà dell'opera si sono incagliati e per riprendere la rotta si sono presi una pausa in cui hanno scritto il loro film successivo (Barton Fink).
Siamo in una non specificata città americana che è nelle mani di una gang irlandese, a capo della quale c'è Leo (Albert Finney). La storia è narrata seguendo il punto di vista di Tom Reagan (Gabriel Byrne), che è una specie di consigliere di Leo, da cui pur mantiene una sua indipendenza. Tra i due c'è un evidente affetto, che viene alla prova dall'attrazione che entrambi hanno per Verna (Marcia Gay Harden), la quale punta a Leo perché interessata al suo potere, in particolare per proteggere quel poco di buono di suo fratello Bernie (John Turturro), ma mollerebbe volentieri tutto quanto per Tom, che però ha notevoli problemi ad esprimere i suoi sentimenti (al punto che lui stesso si chiede se ne abbia o meno).
Il personaggio di Tom è avvolto dal mistero. Sa tutto di tutti, ma nessuno sa molto di lui. Vuol far tutto secondo le regole, ma c'è sempre qualcosa che gli sfugge. E' ossessionato dal suo cappello (un bel fedora in perfetto stile) che sogna gli voli via, e in effetti spesso gli cade, lo raccoglie, ce lo fa danzare davanti agli occhi. Rimbrotta Leo perché non pensa alle conseguenze delle sue azioni, eppure si mette nei guai con un bookmaker sperperando soldi con scommesse azzardate e va a letto con l'amante del capo. Le occhiate finali che lancerà a Leo, fanno pensare che il suo legame con lui sia più che un maschio rapporto d'amicizia. E pure la sua confusa relazione con Verna fanno avanzare dubbi suoi suoi gusti sessuali, che non devono essere per niente chiari nemmeno a lui.
La già abbastanza complicata situazione è fatta detonare da Johnny Caspar (Jon Polito), piccolo delinquente italo-americano emergente, che si ritiene danneggiato da Bernie, e perciò lo vuole eliminare. Per Tom non sarebbe un problema, Leo, invece, preferisce ascoltare il cuore, che gli dice che Verna non sarebbe per niente contenta.
Ulteriore complicazione, il consigliere di Caspar, Eddie il danese (J.E. Freeman), è gay e sta con Mink (Steve Buscemi), il quale è molto amico anche di Bernie.
Roba da perderci la testa. E in effetti, in un modo o nell'altro, buona parte dei succitati finirà per perderla.
I Coen hanno cercato di trattare la materia senza dar troppo spazio alla loro naturale propensione per l'umorismo nero e per l'improbabile, che pure emergono di tanto in tanto.
Vedasi in particolare la scena (da antologia) in cui una squadra di Caspar tenta di eliminare Leo. Il boss irlandese è a letto a casa sua, e si sta sentendo Danny boy (tanto per rivoltolarsi negli stereotipi) al grammofono. In un battibaleno la scena cambia, casa in fiamme, mitragliatrici che crepitano come se avessero una dotazione illimitata di proiettili. Morte, fiamme, distruzione, da cui emerge un illeso Leo, che si rimette il sigaro in bocca e si gode il finale della canzone (che a questo punto dobbiamo dedurre sia nella sua mente e non su disco).
Oppure la scena in cui Leo butta fuori dal suo quartier generale Tom a pugni in faccia. Tom non reagisce, incassa il pugno, si rialza, ne prende un altro, rotola per le scale, si rialza ... finché finisce per scontrarsi con un donnone agghindato (siamo finiti nel bar illegale di Leo) che non apprezza, e si mette ad urlare e a prenderlo a borsettate.
Ruoli minimi per Frances McDormand, segretaria del sindaco, e Sam Raimi, poliziotto in borghese che pensa di essere molto figo ma finisce molto male.
Occhio e croce questo dovrebbe essere il primo film dei fratelli Joel e Ethan Coen che io abbia visto. Ai tempi non erano ancora molto noti, soprattutto fuori dagli USA, Blood simple aveva avuto una distribuzione quasi simbolica, e Arizona junior ha fatto quasi l'80% del suo incasso in patria. Con questo titolo, invece, i Coen hanno sollevato più interesse in Europa che a casa loro.
La sceneggiatura ha un pesante (e non dichiarato) debito verso un paio di lavori di Dashiell Hammett, come se La chiave di vetro sia stato incrociato con Piombo e sangue, e il risultato sia stato riscritto per dargli una direzione diversa. Insomma, un lavoraccio. Al punto che i Coen a metà dell'opera si sono incagliati e per riprendere la rotta si sono presi una pausa in cui hanno scritto il loro film successivo (Barton Fink).
Siamo in una non specificata città americana che è nelle mani di una gang irlandese, a capo della quale c'è Leo (Albert Finney). La storia è narrata seguendo il punto di vista di Tom Reagan (Gabriel Byrne), che è una specie di consigliere di Leo, da cui pur mantiene una sua indipendenza. Tra i due c'è un evidente affetto, che viene alla prova dall'attrazione che entrambi hanno per Verna (Marcia Gay Harden), la quale punta a Leo perché interessata al suo potere, in particolare per proteggere quel poco di buono di suo fratello Bernie (John Turturro), ma mollerebbe volentieri tutto quanto per Tom, che però ha notevoli problemi ad esprimere i suoi sentimenti (al punto che lui stesso si chiede se ne abbia o meno).
Il personaggio di Tom è avvolto dal mistero. Sa tutto di tutti, ma nessuno sa molto di lui. Vuol far tutto secondo le regole, ma c'è sempre qualcosa che gli sfugge. E' ossessionato dal suo cappello (un bel fedora in perfetto stile) che sogna gli voli via, e in effetti spesso gli cade, lo raccoglie, ce lo fa danzare davanti agli occhi. Rimbrotta Leo perché non pensa alle conseguenze delle sue azioni, eppure si mette nei guai con un bookmaker sperperando soldi con scommesse azzardate e va a letto con l'amante del capo. Le occhiate finali che lancerà a Leo, fanno pensare che il suo legame con lui sia più che un maschio rapporto d'amicizia. E pure la sua confusa relazione con Verna fanno avanzare dubbi suoi suoi gusti sessuali, che non devono essere per niente chiari nemmeno a lui.
La già abbastanza complicata situazione è fatta detonare da Johnny Caspar (Jon Polito), piccolo delinquente italo-americano emergente, che si ritiene danneggiato da Bernie, e perciò lo vuole eliminare. Per Tom non sarebbe un problema, Leo, invece, preferisce ascoltare il cuore, che gli dice che Verna non sarebbe per niente contenta.
Ulteriore complicazione, il consigliere di Caspar, Eddie il danese (J.E. Freeman), è gay e sta con Mink (Steve Buscemi), il quale è molto amico anche di Bernie.
Roba da perderci la testa. E in effetti, in un modo o nell'altro, buona parte dei succitati finirà per perderla.
I Coen hanno cercato di trattare la materia senza dar troppo spazio alla loro naturale propensione per l'umorismo nero e per l'improbabile, che pure emergono di tanto in tanto.
Vedasi in particolare la scena (da antologia) in cui una squadra di Caspar tenta di eliminare Leo. Il boss irlandese è a letto a casa sua, e si sta sentendo Danny boy (tanto per rivoltolarsi negli stereotipi) al grammofono. In un battibaleno la scena cambia, casa in fiamme, mitragliatrici che crepitano come se avessero una dotazione illimitata di proiettili. Morte, fiamme, distruzione, da cui emerge un illeso Leo, che si rimette il sigaro in bocca e si gode il finale della canzone (che a questo punto dobbiamo dedurre sia nella sua mente e non su disco).
Oppure la scena in cui Leo butta fuori dal suo quartier generale Tom a pugni in faccia. Tom non reagisce, incassa il pugno, si rialza, ne prende un altro, rotola per le scale, si rialza ... finché finisce per scontrarsi con un donnone agghindato (siamo finiti nel bar illegale di Leo) che non apprezza, e si mette ad urlare e a prenderlo a borsettate.
Ruoli minimi per Frances McDormand, segretaria del sindaco, e Sam Raimi, poliziotto in borghese che pensa di essere molto figo ma finisce molto male.
Misery non deve morire
Rob Reiner ha avuto il suo decennio d'oro negli anni ottanta, a partire da This is spinal tap (1984), invenzione del mockumentary, fino a Codice d'onore (1992), ben riuscito legal thriller militare. E in mezzo ci sono cosucce come Stand by me - Ricordo di un'estate (1986), Harry, ti presento Sally... (1989), e il qui presente Misery, che fa il paio con Stand by me, in quanto entrambi basati su lavori di Stephen King, anche se l'altro è una produzione più anomala per il terrorizzante autore americano, questa, invece, è più in linea con le sue spaventevoli abitudini di scrittura.
Più che a Stand by me, mi ha infatti fatto pensare a Shining. I due sembrano quasi una riscrittura dello stesso tema da due angolazioni diverse. Uno scrittore in crisi che in una nevosa località isolata si scontra con i suoi demoni. Altra cosa in comune, è che il problema deve essere risolto, in un modo o nell'altro, dai diretti interessati. Chi cerca di intromettersi fa una rapida brutta fine.
I due film sono anche molto diversi, grazie anche alle diverse regie. Stanley Kubrick è naturalmente su un altro pianeta, ma Reiner gioca amabilmente le sue carte, dando, per quanto possibile, un maggior calore all'azione, con qualche piccola pennellata leggera di umorismo.
Un altro film che mi è venuto in mente è Psycho di Alfred Hitchcock, un altro paragone di quelli da cui difficilmente si esce bene, a causa del personaggio della pazza, che ha uno sdoppiamento di personalità simile a quello di Norman Bates, e mettiamoci pure che ad interpretarla è stata chiamata Kathy Bates - eccellente lavoro, tra l'altro.
Lo scrittore è invece James Caan, ottimo anche lui, in un ruolo ben lontano dal suo stereotipo. Gran parte dell'azione è giocata dalla relazione tra questi due personaggi, ma c'è un piccolo spazio anche per l'agente dello scrittore, nientemeno che Lauren Bacall, ormai anzianotta, ma con il suo solito sguardo assassino (in senso buono).
Più che a Stand by me, mi ha infatti fatto pensare a Shining. I due sembrano quasi una riscrittura dello stesso tema da due angolazioni diverse. Uno scrittore in crisi che in una nevosa località isolata si scontra con i suoi demoni. Altra cosa in comune, è che il problema deve essere risolto, in un modo o nell'altro, dai diretti interessati. Chi cerca di intromettersi fa una rapida brutta fine.
I due film sono anche molto diversi, grazie anche alle diverse regie. Stanley Kubrick è naturalmente su un altro pianeta, ma Reiner gioca amabilmente le sue carte, dando, per quanto possibile, un maggior calore all'azione, con qualche piccola pennellata leggera di umorismo.
Un altro film che mi è venuto in mente è Psycho di Alfred Hitchcock, un altro paragone di quelli da cui difficilmente si esce bene, a causa del personaggio della pazza, che ha uno sdoppiamento di personalità simile a quello di Norman Bates, e mettiamoci pure che ad interpretarla è stata chiamata Kathy Bates - eccellente lavoro, tra l'altro.
Lo scrittore è invece James Caan, ottimo anche lui, in un ruolo ben lontano dal suo stereotipo. Gran parte dell'azione è giocata dalla relazione tra questi due personaggi, ma c'è un piccolo spazio anche per l'agente dello scrittore, nientemeno che Lauren Bacall, ormai anzianotta, ma con il suo solito sguardo assassino (in senso buono).
Tartarughe ninja alla riscossa
L'idea (tratta da una nota serie di fumetti) è sufficientemente assurda da sembrarmi interessante. Purtroppo regia (Steve Barron), sceneggiatura, cast, effetti speciali, colonna sonora, ambientazione e quant'altro, non sono all'altezza.
Il target è minorile, come illustra meglio il titolo originale, Teenage mutant ninja turtles, e questo spiega l'altrimenti inspiegabile assenza di sangue nella lunga serie di scontri che costellano lo sviluppo dell'azione, che ha una sola vittima conclamata, il supercattivo, anche se poi chi abbia il coraggio di proseguire con il secondo episodio scoprirebbe che pure lui si è salvato.
Numerose le storie che si intrecciano, la principale è forse quella delle tartarughe stesse, antropomorfe a causa di una mutazione causata da scorie atomiche abbandonate a New York (tema classico della fantascienza del dopoguerra, il mistero del nucleare, distruttivo e creativo assieme), che vengono guidate da un topone, anch'esso antropomorfo per lo stesso motivo, che da giovane era stato il topino-mascotte di un ninja così capace da finire per impregnare con la sua arte persino l'animaletto di compagnia.
Il topone addestra all'arte ninja le tartarughe, creando una relazione maestro-allievo come quella illustrata da The karate kid o Star wars. La squadra si scontrerà con una temibile organizzazione ninja trapiantata a New York, scoprendo che in realtà non stanno vivendo una avventura originale, ma completando una storia di molti anni prima (vedi nuovamente Star wars).
In parallelo, seguiamo anche la storia di due umani, lei giornalista investigativa (che non so perché ma avrei visto meglio se interpretata da Jessica Lange, invece che da Judith Hoag), lui disadattato muscoloso (Elias Koteas) che si inventa clone de Il giustiziere della notte, e mi sembra ispirato da Kurt Russell in Grosso guaio a Chinatown. La New York anni ottanta, mi ricorda quella fotografata da Sydney Pollack in Toosie, che fra l'altro viene citato quasi letteralmente (tra l'incredibile numero di citazioni che ho colto, e chissà quante altre me ne sono sfuggite) in uno scambio tra i due.
Terzo filone, il figlio minorenne del capo della giornalista, che entra nella organizzazione criminale, attratto come Pinocchio in un sotterraneo paese dei balocchi.
Tutte storie che si concluderanno ovviamente nel modo migliore.
Il target è minorile, come illustra meglio il titolo originale, Teenage mutant ninja turtles, e questo spiega l'altrimenti inspiegabile assenza di sangue nella lunga serie di scontri che costellano lo sviluppo dell'azione, che ha una sola vittima conclamata, il supercattivo, anche se poi chi abbia il coraggio di proseguire con il secondo episodio scoprirebbe che pure lui si è salvato.
Numerose le storie che si intrecciano, la principale è forse quella delle tartarughe stesse, antropomorfe a causa di una mutazione causata da scorie atomiche abbandonate a New York (tema classico della fantascienza del dopoguerra, il mistero del nucleare, distruttivo e creativo assieme), che vengono guidate da un topone, anch'esso antropomorfo per lo stesso motivo, che da giovane era stato il topino-mascotte di un ninja così capace da finire per impregnare con la sua arte persino l'animaletto di compagnia.
Il topone addestra all'arte ninja le tartarughe, creando una relazione maestro-allievo come quella illustrata da The karate kid o Star wars. La squadra si scontrerà con una temibile organizzazione ninja trapiantata a New York, scoprendo che in realtà non stanno vivendo una avventura originale, ma completando una storia di molti anni prima (vedi nuovamente Star wars).
In parallelo, seguiamo anche la storia di due umani, lei giornalista investigativa (che non so perché ma avrei visto meglio se interpretata da Jessica Lange, invece che da Judith Hoag), lui disadattato muscoloso (Elias Koteas) che si inventa clone de Il giustiziere della notte, e mi sembra ispirato da Kurt Russell in Grosso guaio a Chinatown. La New York anni ottanta, mi ricorda quella fotografata da Sydney Pollack in Toosie, che fra l'altro viene citato quasi letteralmente (tra l'incredibile numero di citazioni che ho colto, e chissà quante altre me ne sono sfuggite) in uno scambio tra i due.
Terzo filone, il figlio minorenne del capo della giornalista, che entra nella organizzazione criminale, attratto come Pinocchio in un sotterraneo paese dei balocchi.
Tutte storie che si concluderanno ovviamente nel modo migliore.
Ritorno al futuro parte III
Episodio conclusivo della serie, nonostante che il finale sia aperto come a minacciare un possibile episodio numero quattro. Meglio della parte due, ma peggio della uno.
Ambientato quasi completamente nel 1885, ha dalla sua la partecipazione dei ZZ Top e numerose citazioni dei film di Sergio Leone - non per nulla Fox si fa chiamare Clint Eastwood.
Ambientato quasi completamente nel 1885, ha dalla sua la partecipazione dei ZZ Top e numerose citazioni dei film di Sergio Leone - non per nulla Fox si fa chiamare Clint Eastwood.
Iscriviti a:
Post (Atom)