Le onde del destino

Come spesso accade nei film di Lars von Trier, non è semplicissimo raccontare quel che succede, e nemmeno quale sia il suo significato. Le allegorie si sprecano, e ognuno si può divertire ad interpretarle come più gli aggrada.

Come prima approssimazione si potrebbe dire che si parla di una travagliata storia d'amore che si svolge in Scozia nei primi anni settanta tra Bess (una eccellente Emily Watson al suo debutto cinematografico) e Jan (Stellan Skarsgård). I due formano una coppia alquanto bizzarra, dove lei sembra una bambina timorosa di tutto, anche a causa di un qualche problema mentale, e lui un orso che se la potrebbe mangiare in un sol boccone. Eppure si amano teneramente, sono proprio fatti uno per l'altra. Il problema è che lui lavora sulle piattaforme petrolifere, e dunque si possono vedere molto di rado.

Bess proprio non ce la fa ad andare avanti così, e finisce per chiedere a Dio di riportargli il suo Jan. Con Dio Bess ha un rapporto simile a quello di don Camillo, i due si fanno gran chiacchierate dove Dio cerca di spiegare a Bess come funzionano le cose. Solo che qui a fare entrambe le parti è la sola Bess, il che aggiunge un tocco ancor più inquietante al fatto. Insomma, Dio non è per niente contento di come Bess manifesti il suo amore per Jan, e decide di metterla alla prova. O almeno, questo è quello che deduce Bess. Infatti Jan torna a casa, ma in seguito ad un grave infortunio che lo lascia più morto che vivo.

Non si capisce bene come o perché, ma Jan, vedendosi ridotto all'ombra di sé, spinge Bess ad andare con altri uomini. Forse lo dice per amore di lei, convinto com'è di essere vicino alla morte, pensa che Bess si debba trovare qualcuno che la aiuti a superare il trauma (ci viene accennato che in occasione della morte del fratello, Bess aveva avuto una crisi nervosa). Forse è il Dio di Bess che parla tramite lui, come sembra quando Jan vaneggia a proposito di un autobus. Forse, come suggerisce la cognata di Bess, Dodo (Katrin Cartlidge, anche lei molto brava), Jan parla a caso, tra il colpo che ha preso e le massicce dosi di farmaci che assume costantemente. O forse, come lo stesso Jan dice in un momento di lucidità, qualcosa di brutto gli è entrato nel cervello.

Le cose peggiorano rapidamente, al punto che Bess deciderà di farsi massacrare da un marinaio (Udo Kier) dalle tendenze sadiche convinta che questo servirà a salvare la vita di Jan.

Aggiungiamo pure che le tecniche usate da Von Trier in questo film anticipano buona parte di quelli che saranno i dettami del Dogma 95, quindi una camera e a mano, montaggio ridotto all'essenziale, niente luci di scena, niente colonna sonora (se non nei brevi intermezzi che introducono i capitoli in cui è divisa la storia). Il risultato è che bisogna avere una certa predisposizione per affrontare le due ore e mezza abbondanti della pellicola.

Train de vie - Un treno per vivere

L'idea alla base della sceneggiatura (Radu Mihaileanu, come la regia) è folgorante. Avrebbe i tempi giusti per essere sviluppata in un cortometraggio. Purtroppo i corti hanno una distribuzione molto limitata, e il racconto è stato pompato ai canonici cento minuti per farne un normale lungometraggio. Il risultato è che il treno, che inizia e finisce la sua corsa brillantemente, ansima sulle salite, e di tanto in tanto fa venire voglia al passeggero di alzarsi e fare quattro passi.

La storia ci viene narrata in prima persona da Shlomo (Lionel Abelanski), lo scemo del villaggio di una comunità ebraica nell'est europeo ai tempi della seconda guerra mondiale. Succede che un giorno scopre che i nazisti stanno per arrivare, e si stanno portando dietro una nomea che non è per niente buona. Che fare, si chiede il consiglio dei saggi. Shlomo, che più avanti ci rivelerà che avrebbe voluto fare il rabbino ma il posto era occupato, ha la prima di una lunga serie di idee folli ma con una propria coerenza. Invece di aspettare che i nazisti carichino tutti quanti su di un treno per deportarli, dovrebbero farsi loro un finto treno per deportarsi in Palestina.

Tra le traversie dei nostri, abbiamo che Yossi (Michel Muller), figlio del rabbino, va in città per sbrigare delle faccende, ma lì incontra un parente comunista, che lo converte istantaneamente alla causa, della quale a dire il vero Yossi non è che abbia poi capito molto. Così nel treno si affronteranno tre partiti, gli ebrei-ebrei, gli ebrei-comunisti, e gli ebrei-nazisti (ovvero quelli che recitano il ruolo della scorta militare, ma che si sono immedesimati un po' troppo nella parte). Capiterà poi anche che il finto treno incontri un finto convoglio nazista che ha catturato una intera comunità rom, e i due gruppi si fonderanno in un unico variopinto convoglio zingaresco-ebraico. Altre vicende sono meno divertenti, tipo l'incontro con la resistenza o con i veri nazisti.

In ogni caso, lo scopo del viaggio in treno è quello di superare il fronte del combattimento tra nazisti e russi, così che ebrei e rom possano andare ognuno verso la propria Terra Promessa. Oppure no, come spiegherà un laconico finale che ci darà la chiave di lettura su quanto narrato prima.

Tra le cose migliori del film, la colonna sonora di Goran Bregović, che approfitta dell'occasione per fare un divertente mash-up tra musiche zingaresche e yiddish.

Caos

Il caos che aleggia su questo film non è quello che lo sceneggiatore-regista Tony Giglio suggerisce, ovvero la teoria matematica dei sistemi complessi caratterizzati da una forte sensibilità alle condizioni iniziali, ma semmai quello colloquiale, che il Grande Dizionario Italiano della Hoepli definisce come insieme disordinato di cose o di sentimenti.

Non è tutta colpa di Giglio, a ben vedere. Perché se lui ha completamente frainteso la teoria scientifica, il disastro produttivo che ha accompagnato la genesi di questo titolo ha certamente aiutato a confondere ancor di più le acque. Fallisce lo studio di produzione, chi ne raccoglie i cocci valuta che convenga comunque procedere con le riprese ma dimezza i giorni a disposizione, per starci dentro finanziariamente. La fretta, si sa, non è buona consigliera, ed il risultato è quello che è. Se ne sono accorti anche i distributori, che hanno preferito in genere passare la mano, così che sono stati ben pochi i cinema che hanno proiettato questa pellicola.

Un altro problema sta certamente nella sceneggiatura, che è contemporaneamente troppo complicata e piena di passaggi inspiegabili. Succede così che quasi tutti i personaggi vengono colpiti da una spiegonite acuta che li costringe ad illustrarci passaggi nascosti, e nonostante questo al termine della pellicola restano numerose domande senza risposta.

Mi sembra poi di aver notato una curiosa somiglianza con Il silenzio degli innocenti. Anche qui abbiamo una specie di Clarice Starling che si trova in mezzo ad un gioco di potere disegnato da altri, dove questi altri pensano di poterla (qui "poterlo") manipolare a loro piacimento, ma scopriranno che la giovane recluta ha qualità che non si aspettavano. La telefonata nel finale, qui usata anche per un ennesimo spiegone, stabilisce un ulteriore parallelo.

Un piccolo delinquente è in fuga con un ostaggio. La polizia interviene e ammazza entrambi. L'ostaggio era la figlia di un pezzo grosso, e i due poliziotti pistoleros vengono lasciati a casa. Uno di questi è Quentin Conners (Jason Statham), l'altro è Jason York e, chissà come mai, non lo vediamo nemmeno di sfuggita.

Alcuni mesi dopo, un gruppetto di malviventi guidati da Lorenz (Wesley Snipes) assalta una banca. Ci si barricano dentro e dicono di voler trattare solo con Conners. Costui viene rimesso in servizio, affiancato ad un novellino, Shane Dekker (Ryan Phillippe) e utilizzato come capro espiatorio per il conseguente fallimento.

Seguono le indagini, in cui Dekker si mostra essere più sveglio di quanto tutti gli davano credito. C'è un certo numero di colpi di scena, con le obbligatorie sparatorie, inseguimenti, e anche qualche esplosione. Alla fine si arriva ad una sorta di soluzione.

Le scene di azione non sono neanche male. Lo Statham con una pistola in mano fa sempre la sua parte.

Captain Phillips - Attacco in mare aperto

La pirateria somala è attiva da un quarto di secolo, ma credo che questo sia il primo film che ne parla. Il motivo è il solito. Come per ebola, che è nota dagli anni settanta, e se ne parla solo adesso che qualche occidentale è stato contagiato, quella del capitano Phillips è la prima nave americana che è stata abbordata da quei pirati.

La sceneggiatura (Billy Ray) è basata sul racconto autobiografico del capitano, e ne mantiene l'impronta autoassolutoria, aggiungendo un certo grado di comprensione anche per i pirati. Paul Greengrass è noto per la facilità con cui usa la camera a mano, con lo scopo di dare realismo e aggiungere tensione al girato. Temevo che in questo caso il risultato sarebbe stato deleterio, per fortuna anche lui si deve essere reso conto che l'effetto in mare aperto sarebbe stato nauseante.

Dunque il capitan Phillips (Tom Hanks) saluta la moglie (Catherine Keener, la salutiamo anche noi, che non la vedremo più per tutte le due ore seguenti) e vola a prendere possesso della Maersk Alabama, nave con cui dovrà costeggiare il Corno d'Africa. Non farà abbastanza caso alle segnalazioni di azioni di pirateria, e quindi finirà nei guai.

Seguiamo anche il punto di vista dei pirati, che vengono descritti come pescatori costretti dai signori della guerra a pirateggiare, accennando anche al problema della concorrenza sleale che i somali subiscono da flotte pescherecce meglio attrezzate (e che pare usino pure metodi illegali, quali la pesca a strascico). Un barchino, capitanato da Muse (Barkhad Abdi), riesce ad abbordare la nave, che però si rivela una preda troppo grossa per loro.

Il paternalismo della narrazione non è che mi abbia convinto, ma il piglio narrativo di Greengrass è tale che me ne sono accorto solo dopo la fine del film.

Doctor Who 8.10: In the forest of the night

La sceneggiatura di questo episodio è stata affidata a Frank Cottrell Boyce, che in nord Europa è noto in particolare come scrittore per minori. Vedasi Millions, che è diventato anche un film per la regia di Danny Boyle che da noi non s'è filato praticamente nessuno.

Credo che quello che FCB abbia cercato di fare qui sia stato mediare i toni favolistici classici con il tipico ambiente whoviano. Il risultato ha luci e ombre, e temo che qualcuno potrebbe avere da ridire sul fatto che si miri ad una età di riferimento più bassa di quella degli altri episodi della stagione.

A chi abbia studiato anche solo un pochino di letteratura inglese, come il sottoscritto, il titolo della puntata dovrebbe far suonare un campanello. Si tratta infatti del secondo verso di una tra le più famose poesie di William Blake, The tyger. E infatti nell'azione avremo anche una tigre, un incendio e, soprattutto, una foresta.

Succede infatti che nel giro di una notte il Pianeta Azzurro si trasforma nel Pianeta Verde. Tutta la Terra viene coperta da un denso strato di vegetazione. L'azione è così rapida e inspiegabile che lo stesso Dodicesimo Dottore (Peter Capaldi) non si capacita di essere in centro a Londra, proprio sotto la colonna di Nelson in Trafalgar Square, finché una ragazzina lo obbliga a vedere quello che ha sotto gli occhi.

La ragazzina in questione, che risponde all'arcano nome di Maebh (Abigail Eames), fa parte di un gruppetto di studenti della scuola dove Clara (Jenna Coleman) e Danny (Samuel Anderson) insegnano, e che i due hanno accompagnato ad una gita al museo. Sarà dunque questo il team che si troverà a dover capire cosa sta succedendo e perché.

Più passano le puntate di questa stagione, e più mi convinco che il Dottore abbia ragione. Che Clara si trovi un "vero" compagno è cosa buona e giusta, ma non Danny. Bello, bravo, ma con una strana tendenza ad irregimentare tutti quegli che gli stanno attorno. Pur avendo accusato il Dottore di comportarsi da ufficiale e di trattare gli altri come sottoposti, lo vediamo regolarmente assumere questo ruolo con i suoi studenti. O la sceneggiatura è poco precisa su questo punto, o Danny nasconde qualcosa nel suo carattere. Forse la tendenza alla menzogna recentemente nata in Clara, e che il Dottore ha visto con sospetto, temendo che Clara diventi meno Clara e più Dottore, perdendo così quello che la rende unica, non è altro che un suo inconscio meccanismo di difesa.

Divertentissimo invece il rapporto tra il Dottore e i ragazzini. Lui si comporta, come al solito, con la maggior ruvidezza possibile, "mi sono persa!" dice Maebh al primo incontro, "devi andare di là", risponde lui, indicando una direzione a caso. Ma lei non ci casca, e lui non può che cercare di aiutarla. Bello anche come il Dottore resti sorpreso dall'assenza di sorpresa dei ragazzini per il paradosso spaziale della TARDIS, al punto che è lui, questa volta, a ripetere il ritornello standard "E' più grande dentro che fuori!".

Anche questa volta appare Missy (Michelle Gomez) nel finale, per dirci quanto lei adori le sorprese. Sapendo che siamo il pre-finale, questo non può che preoccuparci.

X-Men: Giorni di un futuro passato

Un po' come in Terminator, nel futuro (in questo caso si parla del 2023) c'è una gigantesca guerra sul pianeta Terra, e una fazione ha la bella pensata di far fare a uno dei suoi un salto nel passato (1973) per raddrizzare le cose a proprio vantaggio.

Questo trucco ha fondamentalmente un punto debole, è assurdo. Vero che X-Men prende la fantascienza dal versante più leggero che si possa immaginare, e ne succedono tante e tali che non è che poi si può fare tanto i precisini sui dettagli dei viaggi nel tempo. Credo che sia quello che si deve essere detto anche Simon Kinberg, sceneggiatore e principale responsabile della storia, che ha deciso di lasciare da parte la logica, e anche di non andare troppo per il sottile con la continuità rispetto ai precedenti episodi della saga, avendo un diverso obiettivo principale, che sarebbe poi quello di rifondare una serie che sembrava aver perso la rotta. Tutto sommato il risultato mi pare venga portato a casa, anche se a patto di una eccessiva lunghezza e complicazione della trama. Succede anche che vi siano fior personaggi interpretati da attori anche notevoli costretti in ruoli assolutamente marginali. Vedasi ad esempio Katherine/Kitty (Ellen Page), che passa quasi tutto il suo tempo a disposizione tenendo le mani sulle tempie di Logan/Wolverine (Hugh Jackman).

Le due ore passano rapidamente, anche grazie alla regia, nuovamente affidata a Bryan Singer, che già aveva diretto i primi due capitoli. Cose interessanti ce ne sono parecchie, forse anche troppe. Il solo rapporto tra Charles Xavier/Professor X (James McAvoy e Patrick Stewart) e Erik Lehnsherr/Magneto (Michael Fassbender e Ian McKellen) sarebbe bastato a riempire il film. Nel passato i due, inizialmente amici, litigano a causa di Raven Darkhölme (Jennifer Lawrence), che entrambi vogliono manipolare a proprio modo. Lei sceglie una via tutta sua, si fa chiamare Mystique, finendo per trovare una sua sintesi non propriamente ottimale tra le due visioni del mondo che le sono state prospettate.

The thick of it - Stagione 3, episodi 7 e 8

Gran finale con un doppio episodio che porta (finalmente) il governo alle elezioni. La prima avvisaglia dell'incombente catastrofe è la breve, e prima da tempo immemorabile, vacanza di Malcolm Tucker (Peter Capaldi). Come suo sostituto viene preso Steve Fleming (David Haig), antico rivale che Malcom aveva contribuito ad eliminare ancor prima dell'inizio della prima stagione. Costui riesce a far sì che il ministero retto da Nicola Murray (Rebecca Front) faccia ancor più disastri del solito, di cui Malcom, tornato dalle vacanze, non intende farsi carico.

La situazione politica è però così delicata che nemmeno Malcom si può più considerare intoccabile, e infatti Steve riesce ad usare le conseguenze del suo proprio errore per causare le dimissioni del suo avversario.

Breve periodo di smarrimento per Malcom, che pensa pure di dedicarsi ad altro, e sarebbe sul punto di accettare un'offerta della BBC, se non fosse una specie di suicidio mediatico. Per sua fortuna, le sue dimissioni non hanno stabilizzato la maggioranza, al contrario, le varie fazioni, ora che non c'è più il suo ferreo controllo, stanno affilando le armi per lo scontro finale. Julius Nicholson (Alex Macqueen), che pure ha contribuito alla sua cacciata, lo richiama al potere, sia pure in un ruolo esterno, affidandogli in pratica le stesse mansioni di prima.

Anche l'opposizione si prepara per le elezioni, e viene richiamato Cal Richards (Tom Hollander) a rimpiazzare, anche se teoricamente fornisce solo supporto esterno, lo spin doctor. I suoi modi sono brutali almeno quanto quelli di Malcom, al punto che è noto come "the fucker", e il ministro ombra Peter Mannion (Roger Allam) dopo pochi minuti si rende conto di quanto gli fosse andata relativamente bene, fino a questo punto.

The thick of it - Stagione 3, episodi 5 e 6

5. Confronto radiofonico tra il ministro Nicola Murray (Rebecca Front) e il suo omologo oppositore Peter Mannion (Roger Allam). Il risultato sembra un mesto pareggio per manifesta incapacità di entrambi. Avviene nel giorno del compleanno di Malcolm Tucker (Peter Capaldi) che lo (non-)festeggia ascoltando la radio e poi andando alla BBC dove incontrerà lo spin doctor dell'opposizione con il quale avrà una bell'incontro di lotta nel fango, sia pure in senso figurato. Anche questo destinato al pareggio data l'enorme quantità di porcherie che tirano fuori.

6. Sembrerebbe una giornata a danno limitato, al centro della quale ci dovrebbe essere la presentazione di una fumosa iniziativa del ministero alla quale nessuno è interessato. Però la Murray fa un paio di dichiarazioni piuttosto ambigue che vengono interpretate come una sua candidatura alla leadership del partito e un suo appoggio solo temporaneo al primo ministro. Questo non avrebbe nessuna rilevanza se non fosse che in effetti il governo è sull'orlo del collasso e basta un niente a far partire la crisi.

The thick of it - Stagione 3, episodi 3 e 4

Al centro del terzo episodio c'è il convegno del partito governativo. Come sempre, il punto di vista è quello del piccolo ministero maltrattato da tutti retto da una spaesata Nicola Murray (Rebecca Front). Per dare un minimo appeal al suo discorso, Glenn (James Smith) le ha procurato un caso patetico, Julie (Melanie Hill). Però anche il primo ministro teme che il suo intervento non susciti abbastanza interesse mediatico, e così Malcolm Tucker (Peter Capaldi) soffia Julie ai nostri. Segue una serie di piccolo disastri con Glenn che si prende un pugno, Julie che twitta cose che dovrebbero restar segrete, blogger che guadagnano e perdono visibilità nel giro di secondi.

Nel quarto episodio torna alla ribalta il ministero ombra. Le acque del governo corrente sono sempre più tempestose e Terri (Joanna Scanlan), che è dipendente statale e quindi non teme di perdere il posto col cambio di bandiera, vedrebbe di buon occhio se Nicola venisse sostituita dal suo avversario, Peter Mannion (Roger Allam). Questo giorno è per l'appunto prevista una visita della delegazione dell'opposizione al ministero. A questo si sovrappone il problema che Nicola sta avendo con la figlia che, su imposizione di Malcom, è stata mandata ad una scuola statale dove lei non conosce nessuno. In uno dei rari momenti della serie, alcuni personaggi mostrano di essere, dopotutto, degli esseri umani propriamente detti. Anche se questo non sembra di essere di grande aiuto all'ambiente.

The thick of it - Stagione 3, episodi 1 e 2

Chris Langham, che per le prime due stagioni ha interpretato Hugh Abbot, lo sconclusionato ministro di un trascurabile ministero del governo di Sua Maestà britannica, ha dovuto saltare i due special del 2007 e nemmeno nel 2009 può essere della partita.

Quindi che nel primo episodio della terza serie c'è una brutale sostituzione, e al suo posto viene nominata in fretta e furia Nicola Murray (Rebecca Front), a cui si giunge dopo che una lunga serie di candidati si è defilata da una posizione che garantisce solo grane e non promette nessun vantaggio reale.

Lo spin doctor Malcolm Tucker (Peter Capaldi), che ammette di non aver effettuato su di lei un check approfondito in quanto non si sarebbe mai aspettato che un personaggio di così bassa caratura arrivasse a quel posto (naturalmente glielo dice in faccia), scopre alcuni problemini di immagine in Nicky, la quale ha un marito che lavora in una azienda che ha commesse governative (che sarebbe poi quello che noi chiamiamo conflitto di interesse, senza dargli un gran peso), una figlia scapestrata, e una figlia che sta per andare all'equivalente del nostro liceo, e che lei vorrebbe mandare ad una scuola privata (il che sarebbe visto come segno di sfiducia nei confronti delle scuole statali, anche qui noi non riusciamo a vedere dove sia il problema). In più, è claustrofobica, dovendo così evitare gli ascensori.

Non avendo fatto in tempo a crearsi un suo gruppo di lavoro, si piglia quello del suo predecessore, con Glenn e Ollie (Chris Addison) che continuano a cercare di farsi le scarpe a vicenda.

Una settimana dopo, secondo episodio, la stampa è già scatenata contro il nuovo ministro, e si inizia già a spargere la voce che potrebbe saltare presto. Malcom la tranquillizza dicendole che, nonostante tutti i suoi punti deboli, il primo ministro non la può sostituire così presto, sarebbe accusato di avere sbagliato ad assegnarle l'incarico.

Succede però che si scopre un gigantesco disastro, mesi di registrazioni nel sistema informatico relative ai nuovi immigrati sono andati persi. Al che Malcom dice che forse per lei il primo ministro potrebbe fare una eccezione.

Si troverà un capro espiatorio e tutti gli altri tireranno un bel sospiro di sollievo.

Doctor Who 8.9: Flatline

Secondo episodio consecutivo firmato da Jamie Mathieson, che lo consacra come uno tra i più interessanti sceneggiatori della serie. Alla regia Douglas Mackinnon, giunto ormai alla settima collaborazione whoviana.

Qui ci possiamo dimenticare di Poirot, e la componente horror è maggiormente enfatizzata, un paio di volte i miei capelli sono entrati entrati nella fase pre-rizzatura. La storia si svolge ai nostri giorni, a Bristol. Il Dodicesimo Dottore (Peter Capaldi), che pensava di aver guidato la TARDIS nell'appartamento londinese di Clara (Jenna Coleman), scopre che non si tratta di una delle bizze che ogni tanto prendono la TARDIS, ma sta capitando qualcosa di inatteso, tra l'altro la stessa TARDIS si sta rimpicciolendo in modo preoccupante, anche se solo all'esterno.

Sia per evitare pericoli a Clara, sia per cercare di raccogliere informazioni su quello che sta accadendo, il Dottore resta nella sempre più angusta TARDIS, mentre la companion, a cui cede cacciavite elettronico e carta psichica e fornisce di una sonda per restare in contatto audio-video, gira i dintorni. Allo scopo di prendere in giro il Dottore, Clara posa come Dottore, si piglia pure un suo companion, un giovane writer che si fa chiamare Rigsy (Joivan Wade), e che evidentemente richiama la figura di Banksy.

Si scopre che a creare l'anomalia è una razza aliena, a cui il Dottore darà nome di Boneless, di cui nulla si sapeva prima. Costoro infatti vivono in un universo parallelo caratterizzato dall'essere bidimensionale, e che quindi non era nemmeno stato ipotizzato dai Time Lord, noti ficcanaso spaziali. Costoro non hanno una gran voglia di interagire con i tridimensionali, ma sembrano essere piuttosto cattivelli, causando la prematura di partita di un buon numero di umani nel tentativo di studiare come possano esistere esseri senzienti in tre dimensioni.

Tra gli altri personaggi compare pure un dipendente comunale, tal Fenton, interpretato da Christopher Fairbank, che ha la caratteristica di non soggiacere ai poteri della carta psichica. Non è il primo che ha questo potere, ma in genere costoro capivano l'inghippo grazie ad una loro superiore finezza mentale. In questo caso il Dottore propende per l'ipotesi che l'intelligenza di Fenton sia fuori scala nella direzione opposta.

La coppia Clara - Rigsy riesce ad escogitare un modo per bloccare i Boneless e permettere al Dottore di salvare per l'ennesima volta gli umani. Ma il Dottore non ne è soddisfatto. Si è reso conto che sta in qualche modo trasformando Clara in un altro Dottore, e questo non gli piace per niente, perché sa bene che il Dottore vive per fare scelte che nessun umano vorrebbe né dovrebbe fare.

Nel finale appare nuovamente Missy (Michelle Gomez), presumibilmente sempre dalla sua misteriosa Nethersphere, però questa volta sembra avere una venatura poco affidabile, emanando una aurea di pericolo. Si dice infatti soddisfatta di Clara, che sostiene di aver scelto bene.

The thick of it specials: Spinners and losers

Si riparte esattamente dalla fine del precedente special, il mai nominato primo ministro (che molto ricorda Tony Blair) ha dato le dimissioni, e l'indefinito partito di governo (una specie di Labor) vive una frenetica giornata per decidere chi sarà il suo successore. Il capo della fronda interna (detta dei "nutters") fa la conta dei voti e valuta chi far salire sul carro dei vincenti.

Noi seguiamo la vicenda sempre dal punto di vista del piccolo insulso ministero, retto pro-tempore da Ben Swain (Justin Edwards) che, in quanto "nutter", confida in una promozione. Tradimenti, finte e controfinte, soffiate alla stampa per gettar discredito su competitori, insulti, depressioni, si susseguono in un ora di pellicola che non lascia un minuto per tirare il fiato. Al centro delle trame c'è il solito Malcolm Tucker (Peter Capaldi) che inizialmente sembra tagliato fuori dalle danze ma riesce a manovrare fino al finale dove si scopre che manterrà il suo ruolo di spin doctor anche con il nuovo primo ministro.

A questo episodio segue una postilla, l'Opposition extra, dove in un quarto d'ora ci viene fatta vedere la stessa storia dal punto di vista dell'opposizione, seguendo in particolare il ministro-ombra dello stesso ministero (il bravo Peter Mannion), il suo staff e il suo spin doctor.

Tutto può cambiare

Tutto può cambiare, in particolare cambiano i titoli dei film quando arrivano da noi. In questo caso si parte da Begin again, che vorrebbe dire Ricominciare. Forse il distributore ha pensato che, trattandosi di film che ha a che fare con la musica, lo spettatore avrebbe potuto pensare ad una qualche correlazione con Adriano Pappalardo e Ricominciamo, sua smashing hit del 1979. Oppure ad un remake di Ricomincio da capo.

In ogni caso si è deciso per una versione che, almeno a me, sembra una strizzatina d'occhi verso Tutto può succedere. In effetti tra i due film c'è qualcosa in comune. Qui c'è Adam Levine in un ruolo da comprimario, mentre là lo si sentiva in quanto cantante dei Maroon 5, presenti con Sunday morning nella colonna sonora.

Più forti i legami con altri titoli, ad esempio con il recente Chef, visto che si racconta (anche) la storia di un tale che ha divorziato dalla moglie ma non se ne è staccato, i due hanno in comune un figlio (qui figlia) che finirà per riavvicinarli. O anche A proposito di Davis dei fratelli Coen, dove si parla di musica con una angolazione simile, anche se in periodi storici diversi.

La storia comincia quando Gretta (per gli anglofoni suona "Greta", Keira Knightley) viene trascinata da un amico sul palco di un locale newyorkese per cantare e suonare con la sua chitarra una canzonetta triste molto indy (una specie di A fine frenzy più intimista, o una Ani DiFranco non politicizzata, per intendersi) che ottiene una accoglienza molto fredda dal pubblico. A parte un tale (Mark Ruffalo) che la guarda come se gli fosse apparsa la meraviglia delle meraviglie.

Flash back. Torniamo al mattino per seguire la giornata del tale di cui sopra, Dan. Costui, che è messo molto male, vive in un buco, ha evidenti problemi di alcolismo, anche se deve avere un passato notevole. Gira infatti con una Jaguar d'annata (una Mark X, credo) e riceve per posta una serie di provini di aspiranti musicisti. Divertente la scena in cui li sente in macchina e li stronca uno dopo l'altro. Scopriamo che ha una figlia, Violet (Hailee Steinfeld), e una ex moglie (Catherine Keener), entrambe con una pessima opinione di lui. Inoltre la sua carriera di produttore musicale è in declino da anni, e questo è il giorno della sua fine.

Avendo concluso che ha toccato il fondo, aiuta il tempo a passare consumando alcolici vari e camminando senza meta per New York finché, ormai è sera, finisce nel club in questione proprio mentre Gretta sta per cominciare a cantare. Sarà l'intossicazione alcolica, sarà l'abitudine di tutta una vita, o che il testo della canzone racconta qualcosa che lui capisce molto bene, ma Dan sente la canzone completa di arrangiamenti, come la produrrebbe lui. E noi con lui, magia del cinema:

Dunque propone a Gretta di produrle un disco. Lei si nega, e non solo perché è una cantautrice pura e dura, c'è sotto qualcos'altro che scopriamo per mezzo di un altro ...

Flash back. Gretta arriva a New York con Dave Kohl (Levine), entrambi inglesi, lui è stato messo sotto contratto da una label americana come The Next Big Thing nel pop che più commerciale di così non si può. Ufficialmente lui è il musicista, lei è solo la fidanzata. In realtà sono partner non solo affettivi, ma anche artistici. La vita da star cambia rapidamente Dave e in breve finirà per distaccarsi da Gretta.

Lei nel frattempo ha incontrato un vecchio amico, Steve (James Corden, io questa faccia l'ho già vista, mi dicevo, poi m'è venuto in mente, è apparso in un paio di episodi di Doctor Who, avendo anche l'onore di avere una bizzarra fusione mentale col Dottore), musicista spiantato che spera in una buona occasione oltre oceano. Così che, quando viene scaricata da Dave, Gretta ha un punto di appoggio. Steve la porterà con lei al club e la inviterà a salire sul palco. Completando il cerchio.

Giorno dopo. Gretta si convince a dare a Dan una chance, i due vanno dalla ex-label di Dan ma non hanno un demo da presentare, e l'ex-socio di Dan insiste perché le cose vengano fatte secondo le regole.

Fare una demo è una operazione lunga, noiosa e, soprattutto, costosa. I due decidono di fare qualcosa di assurdo, realizzare un intero CD per conto loro, raccattando musicisti disperati (New York è piena di ottimi strumentisti che sono costretti a campare aspettando la grande occasione) offrendo loro una percentuale sui possibili futuri guadagni, e mettersi a registrare in giro per la città, fregandosene dei rumori di fondo, che anzi finiranno per dare un tocco inconsueto alla registrazione, e cercando di evitare la polizia che non apprezza esibizioni non autorizzate.

Nel contempo i due cercheranno anche di dare anche una sistemata alle loro vite personali, le cose si mescoleranno considerando che Violet suona la chitarra elettrica, e finirà per essere coinvolta nella realizzazione del disco.

Si vede che John Carney, sceneggiatura e regia, ha un notevole background musicale, e che ama quel mondo. E' decisamente raro vedere un film dove la musica venga trattata con lo stesso rispetto che le viene qui riservato. Ottima la scelta di Mark Ruffalo nel ruolo principale.

The thick of it specials: Rise of the nutters

Nonostante il successo delle prime due stagioni, una serie di problemi ha impedito la realizzazione della terza stagione in tempi ragionevoli. Così nel 2007 Armando Iannucci ha avuto l'OK della BBC per due episodi speciali da un'ora l'uno. Anche per non farsi sfuggire la ghiotta circostanza dell'uscita di scena di Tony Blair, con la presa del potere di Gordon Brown.

Realtà che viene mimata dagli accadimenti di questo episodio, dove i "nutters" del titolo sono i sostenitori della fronda interna al partito al governo (non espressamente citato, ma è evidentemente il Labour). Non so bene da dove abbiano preso il nome gli sceneggiatori, ma ad un italiano dovrebbe venire automatica l'associazione alla congiura dei Pazzi contro Lorenzo il Magnifico.

Al centro dell'azione c'è sempre lo stesso ministero inesistente e marginale, che però manca del ministro Hugh Abbot (Chris Langham), in quanto in Australia al momento dei fatti (in realtà Langham è rimasto coinvolto in una brutta vicenda personale che lo ha costretto ad abbandonare l'attività per molti anni - evidentemente, al momento della realizzazione degli speciali, si sperava che il problema potesse essere superato). A sostituirlo viene chiamato Ben Swain (Justin Edwards) che, incredibilmente, riesce ad essere anche peggio del ministro titolare. In particolare fa una figura terribile in una intervista televisiva.

Novità della serie, seguiamo anche cosa succede dalle parti dell'opposizione, e ci vengono dati squarci sull'attività del relativo ministro-ombra. Cambiano alcuni dettagli, ma fondamentalmente si tratta anche lui di un povero disgraziato costretto a fare cose che non vuole fare dal suo spin doctor che però è meno violento e sboccato di quello governativo.

Punto chiave della storia è che l'innominato primo ministro è sul punto di dare le dimissioni e che Malcolm Tucker (Peter Capaldi) sta facendo di tutto per tirare più in là possibile la data. A un certo punto pare che il nostro piccolo ministero sia al centro di tutte le strategie, ne segue una gran battaglia in cui ne capitano di tutti i colori, con la solita dose di finte, tradimenti, e doppi giochi.

La signora di Shanghai

Che qualcosa sia andato storto lo si intuisce subito, dai titoli di testa in cui si legge che Orson Wells interpreta il ruolo del protagonista, ha curato la sceneggiatura e la produzione ma non la regia, di cui nulla si dice. Ci vuole poco ad immaginare cosa sia successo. Wells deve aver presentato la sua pizza alla Columbia, e questi si devono essere messi le mani nei capelli. A proposito, la protagonista è Rita Hayworth, nota per i suoi lunghi capelli rossi (anche se non originali), che qui appare in un inedito taglio corto e biondo. Lo studio avrà allora messo mano alla pellicola, cercando di "salvare" il salvabile. Unica possibile difesa di Wells, togliere la firma.

C'è da dire che la colpa non doveva essere stata tutta del perfido studio. Andandosi a rintracciare il racconto originale (If I die before I wake di Sherwood King) si trova una storia noir in linea con la tradizione del periodo, piuttosto pulp, che ha un suo interesse ma che non si vede cosa abbia a che fare con l'idea di cinema di Wells. Il quale poi l'ha modificata inserendoci tra l'altro una lunga parte centrale che non si capisce bene che utilità abbia nell'economia del racconto se non quella di permettere all'intera troupe di farsi una bella vacanza a sbafo nei mari del Sud.

Leggo che lo stesso Wells accredita nelle sue memorie l'ipotesi che il romanzo originale sia stato preso praticamente a caso e adattato alla meno peggio. Da notare che lo stesso titolo scelto per il film è praticamente privo di senso. Elsa (la Hayworth) sarebbe infatti una nobildonna bielorussa fuggita dalla rivoluzione, che avrebbe riparato per qualche tempo in Cina, facendo anche tappa a Shanghai, che viene citata solo una volta e che non ha alcuna importanza nella trama, prima di raggiungere gli USA, dove ha sposato un importante avvocato penalista, tale Arthur Bannister (Everett Sloane).

La storia è narrata seguendo il punto di vista di Michael O'Hara (Wells), un marinaio/avventuriero irlandese che ha pure servito il governo spagnolo contro Franco, sperimentando le galere di quel Paese (ma anche tutto questo non ha grande rilevanza nel film). Costui incontra fortunosamente Elsa nel Central Park di New York, e perde per lei la testa. Non conclude in quanto, avendo una sua moralità, è contrario a cornificare il di lei marito. Il marito invece, nonostante le sue rimostranze, lo assume per una crociera privata che porterà la brigata sull'altra costa. Lungo il viaggio Michael conosce il socio di Bannister, che gli propone un complicato e assurdo piano che include un finto omicidio e un altrettanto finta confessione. Il tutto suona così fasullo che non si capisce come Michael faccia a cascarci, e anche lui del resto, grazie al voice-over, continua a ripetere che non lo sa nemmeno lui.

Come ci potevamo aspettare, Michael finisce in un grosso guaio, al punto che finirà processato per un omicidio che non ha commesso e difeso da colui che potrebbe essere stato il vero assassino. Ne esce in modo rocambolesco, ma solo per finire in un'attrazione da fiera con specchi distorti, scivoli e diavolerie assortite dove si consumerà la resa dei conti con relativo scioglimento dell'intricata matassa.

Le linee guida del noir sono più o meno rispettate, con una dark lady di tutto rispetto (la Hayworth) al centro di un impiccio confuso, e un tale (Wells) che se ne innamora nonostante questo entri in conflitto con la sua morale e ostacoli la soluzione di un mistero. Però Wells non interpreta un investigatore, e non ha nemmeno in mano nessuna buona carta da giocare. In pratica viene trascinato in una storia che non capisce, se non per intuizione, fino al finale rivelatore. Contrari al genere anche i ripetuti accenni comici. Freddissima la relazione tra i due protagonisti, che si spiega leggendo come fossero sull'orlo del divorzio, che venne firmato poco dopo la conclusione delle riprese.

Nonostante il caos della sceneggiatura, il risultato è sorprendentemente affascinante. La scena del picnic, in cui Michael racconta una storia di squali cannibali che mostra come abbia intuito in che situazione si sia ficcato, ma non riesca ad uscirne, è un pezzo di bravura per Wells-attore. Il finale con la sparatoria tra gli specchi è una delle scene cardine del cinema, che basta da sola a far riconoscere che la regia del film sia di Wells, senza bisogno di alcuna firma.

The thick of it - Stagione 2

Ben poche le differenze con la prima stagione di questa serie ideata da Armando Iannucci, sia nella forma sia nella sostanza. Altre tre puntate di mezz'ora l'una girate come se si trattasse di immagini rubate, o comunque prese di nascosto.

Al centro dell'azione c'è sempre Hugh Abbot (Chris Langham), ministro di un ministero così secondario che nell'ultima puntata cambia pure nome, così che possano confluire in esso alcune attività marginali scartate da ministeri più influenti in quanto seccature che non danno vantaggi in termini di immagine.

Suo contraltare il terribile Malcolm Tucker (Peter Capaldi), spin doctor governativo, che maltratta rudemente chiunque gli passi a tiro per fare in modo che la linea del Primo Ministro sia rispettata. Anche quando non si capisce bene quale sia questa linea.

Incapacità personali, piccole tragedie, battute fulminanti, si susseguono senza posa.

The thick of it - Stagione 1

Serie creata da Armando Iannucci, che ha diretto in stile simil documentaristico i tre episodi di questa prima stagione. Praticamente sconosciuta in Italia, molto apprezzata nel Regno Unito, è praticamente una riscrittura di House of cards (che a sua volta è stato alla base del recente remake americano con lo stesso titolo) adattandolo dagli anni novanta dei conservatori thatcheriani agli ultimi anni del laburismo blairiano.

Al centro dell'azione c'è un ministero di fantasia, così poco determinato che lo stesso ministro ad un certo punto si chiederà quale diamine sia la sua funzione.

Nel primo episodio il ministro in carica è Cliff Lawton, ma subito all'inizio scopriamo che è sotto pressione da parte dei media. Così lo spin doctor Malcolm Tucker (Peter Capaldi), dopo averlo rassicurato che il primo ministro è con lui, gli dice che l'unica via di uscita onorevole è che lui dia le dimissioni di sua iniziativa, invece di venire costretto a darle in seguito.

Al suo posto viene messo Hugh Abbot (Chris Langham), di cui seguiamo le tragicomiche avventure sempre in bilico tra il successo, rappresentato da una qualche menzione onorevole sulla stampa, e la catastrofe, ovvero le dimissioni.

In the loop

Il film deriva dalla serie televisiva BBC The thick of it, nata nel 2005 e che ha avuto la sua quarta (al momento ultima) stagione nel 2012. Sembra che sia destinata a continuare, ma il protagonista, un bravissimo Peter Capaldi, è correntemente impegnato con l'ottava stagione moderna di Doctor Who, e mica può monopolizzare gli schermi inglesi.

Il tema è lo stesso di House of cards, ma il tono è molto meno drammatico e molto più satirico. Non c'è nemmeno un accenno a quale partito appartengano i politici i vari personaggi (si dà quasi per scontato che i britannici siano laburisti, ma gli americani potrebbero essere indifferentemente repubblicani o democratici), e questo indica meglio come il bersaglio non sia una particolare schieramento, ma l'intero concetto di democrazia parlamentare occidentale. Da noi non è arrivata né la serie televisiva né il film. Si riescono agevolmente a trovare in DVD, ma non ho visto nessuna versione italiana. Ed è un peccato, anche perché il regista è Armando Iannucci, scozzese di nascita ma di evidente origine italica, meriterebbe di essere più conosciuto anche nel paese dei suoi avi.

In medio oriente soffiano venti di guerra, la linea del governo britannico è "vedremo". Simon (Tom Hollander), ministro che ha notevoli difficoltà a dire cose sensate ma che brama ad una maggiore visibilità, si lascia sfuggire in una intervista radiofonica un commento casuale che viene interpretato come se fosse di impronta pacifista. Malcolm (Capaldi), responsabile dei rapporti con i media per il governo, gli fa notare che non sta seguendo la linea stabilita.

Il dettaglio è che Malcom è uno sboccatissimo (per gli standard inglesi) can che abbaia e morde, e si mangerebbe vivo Simon, se non fosse che non saprebbe come giustificare la sua scomparsa alla stampa.

Capita però che la posizione da colomba di Simon viene notata oltreoceano, e lo scialbo ministro inglese viene sballottato tra le due sponde dell'oceano, conteso tra la fazione pro e contro la guerra, che finiranno per manovrarlo come un pupazzo, per poi farlo fuori.

Numerosi personaggi minori infarciscono l'azione di sottotrame minori. Tra i più riusciti c'è un generale americano contrario alla guerra (James Gandolfini), che minaccia le dimissioni, ma poi preferisce adattarsi all'andazzo, e un bizzarro omarino (Steve Coogan) residente nel collegio elettorale di Simon, ossessionato da un muro di proprietà governativa sul confine del suo terreno.

Colonna sonora firmata da Adem Ilhan, infarcita da musica classica d'epoca (tanto Bach, e un Debussy che finirà per avere una parte rilevante nella storia), con in più un interessante brano originale sui titoli di coda.

Doctor Who 8.8: Mummy on the Orient Express

La sceneggiatura è di Jamie Mathieson, che ha iniziato la sua carriera con Frequently Asked Questions about Time Travel. Partendo così, lo sbarco nella famiglia del Dottore era naturale, e avviene in grande stile, con questo riuscito episodio e con il successivo, Flatline, che sembra anch'esso interessante, a vedere i primi trailer resi disponibili.

Una compagnia di viaggi-vacanze interstellari mette a disposizione dei suoi facoltosi clienti una replica del Orient Express. Il Dodicesimo Dottore (Peter Capaldi) decide di farci un giro, come ultimo viaggio con Clara Oswald (Jenna Coleman) che gli ha detto senza tanti giri di parole di averne fin sopra i capelli dei suoi modi poco ortodossi (8.7 Kill the Moon).

I due si trovano così coinvolti in una storia che sembra una trasposizione in ambiente horror-fantascientifico di un racconto di Agatha Christie, dove l'Orient Express si incrocia con i dieci piccoli indiani. Abbiamo infatti che una mummia, visibile solo ad un predestinato alla volta, uccide uno ad uno i passeggeri finché non si riesce a scoprire il suo mistero. O muoiono tutti i partecipanti all'allegro viaggio.

Sul versante di un tema comune all'intera stagione, questa sembrava essere una puntata della svolta, in cui il Dottore si sarebbe scelto un nuovo companion, o magari avrebbe deciso di restare da solo per qualche tempo. E in effetti vengono esplorate un po' tutte le possibilità. Un tal Perkins (Frank Skinner), capo ingegnere del treno/astronave, supporta il Dottore nell'indagine, e si mostra capace sia di dare buoni suggerimenti sia di tenere a bada il bizzoso carattere del Signore del Tempo. E ad un certo punto assistiamo pure ad un contraddittorio in cui entrambe le voci sono del Dottore, che sdoppia la sua personalità per meglio analizzare il caso.

Tocco musicalmente bizzarro, Dottore e Clara entrano nell'Orient Express mentre Foxes (all'anagrafe Louisa Rose Allen) esegue una versione rivista nel testo per includere elementi da viaggio nello spazio e in un arrangiamento swinging di Don't stop me now dei Queen:

Pocahontas

Negli anni novanta sono usciti alcuni tra i titoli Walt Disney di maggior successo, cose come Aladdin o Mulan, e poi ci sono anche storie meno fortunate, come Bianca e Bernie o, per l'appunto Pocahontas. Almeno per il mio gusto.

Sono rimasto sorpreso nello scoprire che un personaggio secondario, Thomas, era doppiato in originale da nientemeno che Christian Bale. Il trucco è che ai tempi il giovane Bale era ancora un mezzo sconosciuto, nonostante avesse già recitato ne L'impero del sole di Steven Spielberg e Enrico V di Kenneth Branagh (ma ai tempi era un ragazzino). Diventerà noto al grande pubblico solo cinque anni dopo, con American psycho.

La sceneggiatura ha anche un suo interesse, al punto che è stata utilizzata (non ufficialmente) per quel remake extraterrestre diretto da James Cameron noto come Avatar. Però ha anche una serie di debolezze non indifferenti, ad esempio nella caratterizzazione dei personaggi.

Nel seicento una nave inglese parte per l'America, destinazione le coste della Virginia (un paio di centinaia di chilometri più a sud di New York), al comando di un tal Ratcliffe che mira a trovare (molto) oro per poterlo usare a suo proprio vantaggio. Come difesa dagli indiani si porta John Smith, un avventuriero capace di trattare i rischi più inconsueti. La voce inglese è quella di Mel Gibson, alla prima non esaltante esperienza di doppiaggio. Molto meglio farà in Galline in fuga.

In Virginia (ma ancora non sanno che si chiamerà così) vive la tribù di Pocahontas, indiana (nel senso di nativa americana) dallo spirito ribelle. Lei e John, si incontreranno e cercheranno di superare le differenze culturali per formare una coppia. Alcuni impicci glielo impediranno, e ognuno se ne andrà per conto suo. Finale sorprendente, in particolare se pensiamo allo stile Disney.

Gigolò per caso

Non sappiamo molto del passato di Fioravante (John Turturro, sue anche sceneggiatura e regia), se non che ha avuto una madre che probabilmente è stata una presenza ingombrante nella sua vita. Deve aver passato tutta la sua vita a New York, e ne ha assorbito l'anima cosmopolita, al punto da avere un retaggio italiano piuttosto confuso, così che mescola parole italiane, spagnole, portoghesi (e nel finale anche francesi) tutte come se fossero tutte contemporaneamente sue ed estranee. Lo vediamo cucinare usando ingredienti kosher, ma ammetterà di non sapere se abbia ascendenza ebrea.

Vive da solo, e sembra avere un solo amico, Murray Schwartz (Woody Allen), proprietario di un piccolo negozio di libri che, proprio all'inizio del racconto, chiude dopo tre generazioni di meritorio servizio. Fioravante sta aiutando Murray a sgomberare i locali, quando questi gli dice che la sua dermatologa, con cui ha una lunga relazione malato (forse immaginario) paziente che sembra essere diventata più d'amicizia che professionale, gli ha chiesto se non conoscesse qualcuno che si prestasse a fare una apparizione come guest star nella sua relazione extra-matrimoniale con una amica. In un lampo di imbecillità, Murray ha l'ispirazione di introdurre al lavoro più vecchio del mondo il suo amico Fioravante.

Fioravante non è per niente d'accordo, non ritiene che sia un ruolo che gli appartiene, non ha più l'età per queste cose, e non è certo un George Clooney. Usando bizzarre argomentazioni, che dimostrano più che altro quanto l'amicizia fra i due sia forte, Murray riesce a convincere Fioravante a fare una prova. Credo che a spingere Fioravante in questa assurda storia non sia né l'idea di far sesso né i soldi che ne derivano (ne cede a Murray una fetta esagerata senza sollevare alcun problema) quanto una moderata depressione che lo spinge ad accettare più o meno tutto quello che gli capita.

Nel qual caso non è certo male, visto che la dottoressa Parker è niente meno che Sharon Stone, che continua ad essere in splendida forma. I due hanno un primo appuntamento e, in attesa di organizzare il terzetto (con Sofía Vergara), Murray si dà da fare per procacciare altre clienti al suo protetto.

Non che Murray sia poi una cattiva persona. Vero che ha spinto un suo amico alla prostituzione per suo interesse economico, ma non c'è solo quello. In un qualche modo sembra che lo faccia pensando di aiutare Fioravante a superare la sua cupezza. Credo sia per questo che gli porta Avigal (Vanessa Paradis), giovane vedova di un rabbino di una fazione ortodossa. Costei vive in un mondo simile a quello narrato ne La sposa promessa, dove riti e costumi vecchi di secoli caricano di obblighi gli appartenenti alla comunità. Tra i due succede molto poco, visto che anche il semplice contatto fisico è qualcosa che dà ad Avigal una gran tensione emotiva.

Mettiamoci pure sopra che Dovi (Liev Schreiber), una specie di poliziotto di quartiere di quella comunità ebraica, è innamorato di Avigal e non vuole farsela scappare, al costo di far intervenire il consiglio rabbinico in una specie di processo contro Murray (che dopotutto è ebreo, anche se non segue nulla della religione, e pure convive con una donna di colore e la di lei numerosa prole) in quanto traviatore di Avigal.

Nonostante la donna di Murray minacci l'intervento di Michael Corleone se dovesse succedere qualcosa al suo Murray, non c'è nessuna escalation drammatica. Sembra anzi che siamo destinati ad un finale deprimente. Fioravante rinuncia alla sua carriera di gigolò, al suo amore per Avigal, e sta salutando un ultima volta il suo unico amico per andarsene chissà dove. Ma forse quel demonio di Murray riuscirà a coinvolgerlo in un'altra delle sue insensate imprese.

Il film ha ottenuto un risultato molto modesto. Un problema credo sia la regia di Turturro, che non riesce a tenere alta l'attenzione per storia per tutto il tempo necessario. La storia in sé, poi, sembra fatta apposta per attirarsi gli strali un po' di tutti quanti. Il ritratto della comunità ortodossa ebraica potrebbe risultare offensivo ad alcuni, come pure l'idea della prostituzione maschile.

Edge of tomorrow - Senza domani

A giudicare dal budget non indifferente, si direbbe che in Warner si aspettassero parecchio da questo film. Forse l'idea era quella di seguire il filone dei film d'azione che chiedono però anche di tener acceso il cervello, come l'Inception di Nolan, per intendersi. In questo caso il problema starebbe non tanto nella regia (Doug Liman non è certo un Chris Nolan, ma nel suo campo se la cava egregiamente) quanto nella sceneggiatura che, probabilmente su indicazione della produzione, non è riuscita ad osare abbastanza. Già la scelta del protagonista (Tom Cruise), indica l'intenzione di far finire la storia nel migliore dei modi possibili, senza stare tanto a badare a quanto fili il ragionamento.

Il risultato economico (fonte mojo) non credo abbia fatto fare salti di gioia a nessuno. Mantenendo il confronto con Inception, un budget di un 10% superiore ha portato ad un misero incasso casalingo nell'ordine di un terzo. A salvare la baracca ci ha pensato il resto del mondo.

A chiunque abbia visto Ricomicio da capo, noto informalmente come Il giorno della marmotta, sulla falsa riga del titolo originale Groundhog day, non sfuggiranno le origini comuni delle due storie, che poi fanno tre, se ci ricordiamo anche di Source code diretto da Duncan Jones, e sarebbe facile a questo punto fare anche quattro, viene praticamente da sé, ma direi che basta così. Quello che c'è di originale, e funziona bene, è la commistione con la logica da videogioco. In pratica lo spettatore è invitato a seguire il punto di vista di Bill Cage (Cruise), a cui viene assegnata una Missione Impossibile che riuscirà a completare solo dopo essere morto una infinità di volte e aver ricominciato sempre dall'inizio.

Lo scenario è quello degli Umani che combattono contro Alieni non ben definiti, e dunque non ci distacchiamo molto da Oblivion. Solo che qui all'origine c'è un racconto (Hiroshi Sakurazaka) che ha una solidità ben maggiore. Da quello che ne ho letto, meglio sarebbe stato se la sceneggiatura fosse stata più aderente alla fonte, che è ben più ricca, complessa, e meno consolatoria di quanto risulti il film.

Il punto di partenza è che gli alieni, che ricordano visivamente le sentinelle di Matrix, hanno invaso l'Europa. Siamo in un momento che ricorda il D-Day della seconda guerra mondiale, viene anche mostrata la cartina della situazione corrente che è curiosamente simile a quella dell'Europa nel 1944. C'è persino l'Italia divisa in due. La differenza che è i nazisti (pardon, gli alieni) qui sono in attacco e non in difesa.

Cage è quello che si potrebbe definire un imboscato. Ricorda molto il personaggio interpretato da Tony Curtis in Operazione sottoveste, ma è meno astuto. Si scontra infatti frontalmente col generale Brigham (Brendan Gleeson), che ha il controllo completo sull'operazione (lo spettatore uso ai film di guerra si chiederà come mai non sia americano, la risposta è ovvia, deve essere interpretato da un attore abbastanza noto, ma risultare un po' carogna). Costui non ci sta a pensare due volte, lo arresta e lo manda a combattere in prima linea.

L'attacco a sorpresa del giorno dopo non coglie per niente di sorpresa gli alieni che, in una sequenza alla Salvate il soldato Ryan, massacrano gli umani sulla spiaggia con un gusto che fa ricordare l'Aliens di Cameron. Tra gli altri a rimetterci le penne è pure Cage. Fine del film. Anzi no, perché succede un qualcosa che fa sì che Cage venga tornato indietro di un giorno e abbia una seconda possibilità, poi una terza, quarta, eccetera.

A furia di ripetere, Cage si adatta alla vita militare, finisce pure per prendersi una cottarella per Rita Vrataski (Emily Blunt), al punto da manovrare sul campo di battaglia per cercare di salvarle la vita. Lei è una soldatessa alla Milla Jovovich in Resident evil ed è amichevolmente soprannominata dai commilitoni Full Metal Bitch (che conoscano l'opera di Stanley Kubrick?), ma finisce per accettare le attenzioni di lui, perché anche lei ha avuto per breve tempo la stessa bizzarra anomalia temporale, e pensa di potere riuscire a sfruttarla per vincere la guerra. Grazie anche all'aiuto del dottor Carter (Noah Taylor) che fornisce le basi pseudo scientifiche al team.

Il resto è da normale amministrazione. Gli alieni sono astuti, ma i nostri di più. Tutto sembra perduto, ma il lieto fine non manca.

Da notare come l'assenza di dettaglio su alcune parti fondamentali sia ben chiara agli sceneggiatori, ma non sia percepita come problema. Ad esempio Cage un giorno decide di starsene a Londra invece di farsi ammazzare come al solito in Francia, si unisce perciò ad una chiacchierata con pensionati che discutono su cosa mai vogliano gli alieni da noi. Lui taglia il discorso dicendo che è inutile, qualunque cosa sia, ci ammazzano e basta. Il che magari è anche vero, ma non è un granché di spiegazione.

Smetto quando voglio

Il tema è quello della catastrofe culturale che è avvenuta nel Bel Paese, e della relativa scarsezza di prospettive per chi si incaponisca a voler operare in campi che non sono di moda dalle nostre parti. Non è il primo film del filone, vedasi ad esempio Tutta la vita davanti e Tutti i santi giorni di Virzì, secondo me più riusciti. Quello che ci aggiunge è un taglio "caper", e lo dico all'inglese perché si dice che Sydney Sibilia (regia e sceneggiatura assieme a Valerio Attanasio) abbia preso ispirazione da film americani alla Ocean's eleven o inglesi, e qui il riferimento che sorge spontaneo è quello al primo Guy Ritchie, in particolare la scena della rapina alla farmacia sembra presa di peso da Lock & Stock - Pazzi scatenati. Anche se a dire il vero a me mi è venuto da pensare più a I soliti ignoti e La banda degli onesti.

Pietro (Edoardo Leo) avrebbe buone idee da sviluppare nel campo della neurobiologia. Peccato che il professore che lo segue in università non capisca quello che sta facendo, tutto preso com'è nel gestire (malamente, tra l'altro) i suoi agganci politici. Perso anche il misero assegno di ricercatore, gli viene l'idea di sintetizzare e spacciare una "smart drug", ovvero modificare leggermente la molecola di una droga censita nel registro come illegale per farla diventare, almeno tecnicamente, meno rischiosa ai fini giuridici.

Mette assieme una improbabile banda di gente che ha fior di lauree ma poche chance di trovare un lavoro decente, e si mettono ad operare con successo nel campo. Con troppo successo, visto che finiranno per pestare i piedi al Murena (Neri Marcorè), piccolo delinquente anche lui, per loro fortuna, non affiliato a nessuna mafia, che però basta a far saltare il banco. A questo punto il problema sarà quello di trovare una exit strategy che non sia troppo dolorosa.

Buona la sceneggiatura, in particolare nel tratteggiare i personaggi minori. Si nota però fin troppo che questa sia la prima regia di Sibilia, forse anche a causa di un budget che deve essere stato davvero basso.

Secondo me è interessante il confronto tra questo titolo e La banda degli onesti. Anche in quel film un gruppetto di personaggi anomali si dedicavano ad una attività illegale senza averne la predisposizione mentale. Ma la loro onestà aveva la meglio, e finivano per non farne nulla. Qui invece ai protagonisti si adattano subito all'ambiente che frequentano sperperando in abiti, prostitute, catene d'oro, un attico con vista sul Cupolone.

Star Trek VI: Rotta verso l'ignoto

Praxis, luna del pianeta natale dei Klingon utilizzata come centro industriale, esplode catastroficamente, causando tali danni da costringere il combattivo popolo a cercare una trattativa con la Federazione. Il capitano Kirk (William Shatner) noto per il suo odio nei loro confronti viene scelto per scortare il cancelliere klingon al luogo dove si terranno i negoziati.

Succede però che l'astronave klingon venga attaccata, apparentemente proprio dall'Enterprise, e parte dell'equipaggio, incluso lo stesso cancelliere, vengano uccisi. Kirk e McCoy (DeForest Kelley), saliti a bordo per rendersi conto di cosa sia successo e portare il loro aiuto, vengono arrestati. In un battibaleno si organizza un processo, in cui l'accusa è tenuta da Chang (Christopher Plummer), generale klingon con una passionaccia per Shakespeare, e i due vengono condannati ai lavori forzati su Rura Penthe, un terribile postaccio gelido che è però ricco di dilitio.

Spock (Leonard Nimoy) usa la logica di cui è dotato in abbondanza per risolvere il mistero, scoprendo così un gigantesco complotto che unisce quei klingon, vulcaniani, romulani e terresti che preferiscono la guerra. Non basta una astronave della federazione per risolvere l'inghippo, ma fortunatamente Sulu (George Takei) non è sull'Enterprise, bensì al comando dell'Excelsior, e così può portare il suo contributo aggiuntivo.

Difficile non leggere in trasparenza una metafora sul mondo post guerra fredda, dove i klingon rappresentano i sovietici.

Ultimo episodio con il cast classico di Star Trek. Nel finale sentiamo Uhura ricevere un messaggio in cui l'Enterprise è invitata ha rientrare alla base per procedere al suo decommissionamento. Al che Spock risponde che, se fosse umano, li manderebbe all'inferno.

Star Trek V: L'ultima frontiera

In un pianeta sabbioso quasi quanto Dune, dove la popolazione campa malamente, quasi come dopo una catastrofe alla Mad Max, Sybok (Laurence Luckinbill), vulcaniano anomalo, fa proseliti alla sua particolare religione, ricordando ancora Dune, il che porta ad un golpe con relativo arresto dei notabili locali, ognuno dei quali rappresenta una delle principali razze che si spartiscono quel brandello di galassia nell'universo di Star Trek.

La Federazione non può fare a meno di intervenire, ovviamente mandando la nuova Enterprise, nonostante che, per un evidente periodo di crisi industriale sul pianeta Terra, funzioni malamente. Una astronave klingon segue furtivamente, con l'obiettivo di vendicarsi del capitano Kirk (William Shatner che ha pure scritto la storia originale e firmato la regia).

Sybok ha una capacità tutta sua a portare gente alla sua causa, e così riesce agevolmente ad impossessarsi dell'Enterprise per guidarla verso la sua meta, che sarebbe poi quello che lui ritiene essere una specie di paradiso terrestre. Si scoprirà però una verità alternativa, che un po' ricorda quella del mago di Oz.

Ci sono alcuni dettagli che potrebbero lasciare perplesso il Trekkie più attento, in particolare il personaggio di Sybok è davvero molto anomalo per essere un puro vulcaniano, ed è strano scoprire solo adesso che Spock (Leonard Nimoy) ha un fratello, sia pure solo da parte di padre.

Il vero problema di questo episodio è però la sua noiosità. Vi sono alcuni minuti che risvegliano l'attenzione, ma per il resto del tempo si veleggia pericolosamente vicini allo sbadiglio.

Doctor Who 8.7: Kill the Moon

Al centro di questo episodio c'è il dilemma se la Luna vada uccisa o se si debba sperare che non sia lei ad ucciderci. Già, perché qui si sostiene (sceneggiatura di Peter Harness) l'improbabile ipotesi che la luna sia un uovo di una ignota specie di drago spaziale dal lunghissimo tempo di incubazione.

Un passo indietro. Courtney Woods (Ellis George), la sfrontata studentessa di Clara (Jenna Coleman) che ha assunto un ruolo importante già nel precedente The caretaker, è scontenta di come è stata trattata dal Dottore (Peter Capaldi) - non sapendo che il Dottore, soprattutto da quando è diventato Dodicesimo, tratta tutti con gran scortesia.

Su suggerimento di Clara cerca di rabbonirla, ma anche in questo il Dottore è eccessivo, e invece di qualche parola buona decide che il modo adatto è portare alunna e docente sulla Luna. Come spesso accade, la TARDIS aggiusta la richesta a proprio gusto, e li fa sbarcare su di uno Space Shuttle che sta per atterrare brutalmente sulla Luna nel 2049.

Scopriamo così che i programmi spaziali sono stati cancellati da tempo, a parte una spedizione lunare messicana che cercava metalli rari, ma invece ha trovato dei brutti parassiti (simili a giganteschi ragni) che se li è mangiati. Dopo alcuni anni, si è messa assieme una spedizione di soccorso (capitanata da Hermione Norris) che ha lo scopo di indagare come mai la massa lunare sia cresciuta a dismisura, con conseguenti catastrofi terrestri, e far scoppiare una serie di testate nucleari se non vengono fuori idee migliori.

Clara chiede consiglio al Dottore, ma questi dice che non tocca a lui, devono essere i terrestri a prendere una decisione. Clara allora indice un referendum planetario ma, visto che la votazione prende una piega che non la convince, fa comunque di testa sua.

Il che ha un suo senso, perché ci sono scelte che non vanno prese per voto universale.

Fatto sta che che Clara è così furibonda con il Dottore per essere stata lasciata sola in un momento così delicato che lo manda a quel paese.

Era solo questione di tempo, in effetti. La frattura tra i due è apparsa subito all'inizio della stagione, e si è trascinata anche troppo a lungo. Mi vien quasi da pensare che il comportamento del Dottore non sia dovuto solo al suo pessimo carattere, ma sia anche un modo per spingere Clara a completare il distacco.

Star Trek IV: Rotta verso la Terra

Probabilmente il migliore della serie "classica", quella che vede a capo della ciurma il capitano/ammiraglio Kirk (William Shatner). Difetti, a dire il vero, ce ne sono parecchi, e un po' a tutti i livelli. Però è un film guardabile anche da non-trekkie, anche se è consigliata la vicinanza di un fan della saga che possa spiegare almeno alcuni dettagli che potrebbero risultare oscuri a chi non sia addentro ai fatti.

Merito principale del risultato credo sia ascrivere a Leonard Nimoy, che è riuscito finalmente ad avere abbastanza voce in capitolo per far valere i suoi diritti da regista (si sa che questi sono film dove a contare è la produzione, e bisogna battagliare per farsi sentire).

La storia è nettamente spaccata in due. Una parte ambientata nel presente storico, tre secoli in avanti, una nel presente della realizzazione del film. Da notare che la sceneggiatura è stata scritta da Harve Bennett (col supporto di Nimoy) e Nicholas Meyer che si sono effettivamente divisi la storia secondo il loro gusto. Bennett ha lavorato sulla parte centrale contemporanea, Meyer su quella propriamente trekkiana.

I nostri sono su Vulcano. Spock (Nimoy) ha recuperato la sua forma fisica e mentale, e il resto della ciurma vuole tornare a casa, nonostante le pesanti accuse che gravano sulle loro teste dopo quello che hanno combinato in ST3. Rinominano l'astronave klingon che hanno rubato HMS Bounty, e via, verso la Terra. Si accorgono però che è arrivata prima la solita sonda aliena che minaccia di distruggere il pianeta. In questo caso la civiltà che l'ha mandata è così avanzata che manco si accorgono dei danni che stanno facendo, è solo che la sonda assorbe tutta l'energia di quello che le capita a tiro. Inspiegabilmente, questi misteriosi alieni vogliono scambiare quattro chiacchiere con le balene terrestri, che però nel frattempo sono state relegate nell'albo degli animali estinti dalla caccia umana. L'unico modo per salvare la Terra, si decide, è fare un salto indietro nel tempo, procurarsi un paio di balene, tornare al presente e lasciare che queste si intendano con gli alieni.

Ci saranno un sacco di difficoltà e contrattempi, ma alla fine la (assurda) manovra riesce, con gran gioia di tutti. Al punto che l'equipaggio ribelle otterrà un perdono generalizzato, con l'unica eccezione di Kirk che verrà degradato da ammiraglio (grado che comunque non gli si attagliava) a capitano. Inoltre tutti quanti vengono assegnati ad una nuova astronave, la NCC-1701-A, anche lei chiamata Enterprise, e che non è altro che una versione migliorata della vecchia NCC 1701.

La parte più divertente è quella centrale, in cui i nostri devono adattarsi, per quanto possibile, ai barbari usi e costumi del fine ventesimo secolo occidentale. Giunti a San Francisco, conosceranno tra l'altro una biologa specializzata in balene (Catherine Hicks) che approfitterà della situazione per farsi trasportare tre secoli più in avanti. Tra l'altro, Kirk ci prova con lei, ma sembra che resti a bocca asciutta.

A questo film appartiene una tra le scene più note della saga, relativa all'interazione uomo-macchina. Succede infatti che Scotty (James Doohan) debba interagire con un Mac anni ottanta. Prima tenta la logica interazione vocale, che non funziona. Il dottor McCoy (DeForest Kelley) gli fa notare la presenza del mouse, e lui lo scambia per un microfono, non avendo idea di che senso abbia quella primitiva periferica. Alla fine dovrà cavarsela usando la tastiera.

Curioso notare come il titolo con cui venne presentato in Italia questo episodio mancava del riferimento a Star Trek. Precisa scelta dei produttori, che avevano notato come l'appeal trekkiano fosse inizialmente limitato agli USA, e avevano pensato perciò di nascondere il fatto che si trattasse dell'episodio di una saga nei mercati considerati meno ricettivi.

Star Trek III: Alla ricerca di Spock

In pratica si tratta di una postilla al precedente capitolo al fine di mettere a posto alcune cosettine. Sparisce misteriosamente Carol Marcus, antica fiamma dell'ammiraglio Kirk (William Shatner) che non viene nemmeno citata. Il loro figlio David (Merritt Butrick) si prende tutto il merito del progetto Genesis, che si rivela però essere fallimentare, cosicchè il ragazzotto finisce per assumersene tutte le responsabilità e poi uscire dalla saga (invero Butrick apparirà in un episodio della serie televisiva nella variante Next Generation ma per interpretare un personaggio che nulla ha a che fare con David). Non credo che oggi, a distanza di trent'anni dall'uscita del film, nessuno abbia dubbi sul fatto che la ricerca del titolo sia fruttuosa e positiva. Nonostante Spock (Leonard Nimoy) fosse morto alla fine di ST2, la fortunata concomitanza di pratiche vulcaniane per il trasferimento mentale ed inattesi effetti collaterali del progetto Genesis faranno in modo che tutto vada per il meglio.

Il lato tragico, per i trekker, sta nella distruzione della vecchia NCC 1701 Enterprise. Già era stata declassata a nave scuola, qui è considerata obsoleta dalla flotta e, usata illegalmente dai soliti noti che simpaticamente la rinominano informalmente Kobayashi Maru, viene alla fine fatta esplodere per far sì che non cada in mani klingoniane.

La regia di Leonard Nimoy sembra mirare ad una sorta di mediazione tra i toni altisonanti di ST1 e quelli più televisivi e familiari di ST2. Formula che a tratti funziona, a tratti non mi ha convinto. In ogni caso anche questo episodio mi pare per il solo uso e consumo di chi abbia precedentemente visto, e abbia gradito, le serie televisive.

Star Trek II: L'ira di Khan

Abbandonati i sogni di grandezza del primo episodio, la saga continua con una confezione che ricorda più quella della serie televisiva. Il che risulta estremamente datata, sembra di vedere un film più vecchio di dieci anni, ma almeno è più in linea con le aspettative dei trekker.

Il metraggio è sempre imponente, ma scendiamo sotto le due ore, e meno tempo è concesso agli effetti visivi per il puro gusto di mostrare la NCC 1701 o panorami spaziali, e più allo sviluppo della storia. Che, in effetti, è piuttosto complessa.

Il tema indicato dal titolo è quello più appariscente ma, tutto sommato, il meno importante. Khan (Ricardo Montalban) è una specie di superuomo che l'equipaggio della Enterprise aveva incontrato nella prima stagione televisiva (Spazio profondo - Space seed). Costui, assieme ad altri umani "aumentati", era stato ibernato e sparato nello spazio un paio di secoli prima. Dopo un incontro-scontro col capitano Kirk (William Shatner) e la solita comitiva di viaggiatori galattici, vengono esiliati su di un pianeta disabitato.

Vengono qui ritrovati da Chekov (Walter Koenig) che, non si sa come mai, è passato ad un'altra nave, la Valiant, che sta cercando un pianeta adatto su cui provare il progetto del solito scienziato pazzo (ma buono), che in questo caso è una donna, Carol (Bibi Besch) che in passato ha avuto una relazione con Kirk, da cui ha avuto un figlio (Merritt Butrick), senza che il padre ne sappia nulla.

Khan è molto incavolato, visto che quello che sembrava un buon pianeta su cui venire abbandonati s'è trasformato rapidamente in una specie di inferno. Di tutto ciò lui dà la colpa a Kirk e, a ben vedere, è difficile dargli torto. Anche se la sua reazione è decisamente sopra le righe, prevedendo la morte di Kirk.

Altro punto chiave è come affrontare una situazione che non ha una via di uscita positiva. Noto anche come il test della Kobayashi Maru. Fino a questo punto la soluzione di Kirk era stata quella di non accettare una risposta negativa, arrivando pure ad imbrogliare (all'accademia) pur di ottenere il risultato voluto. Qui scoprirà che alle volte non è possibile seguire quella strategia.

Questa situazione limite è nientemeno che la morte di Spock (Leonard Nimoy), che è un colpo di scena oltraggioso per tutti i fan della serie. E infatti il terzo film della serie si intitola Alla ricerca di Spock (e sarà pure diretto da Nimoy).

Star trek

Noto anche come Star trek - il film, o anche come Star trek 1, essendo il primo episodio per il grande schermo della saga. Nonostante l'ingente budget messo a disposizione, il risultato non è dei migliori, per tutta una serie di problemi di produzione. Meglio sarebbe vedersi la riedizione "director cut" (che poi sarebbe Robert Wise) che, a quanto ho letto, risolverebbe alcune debolezze del prodotto.

C'è però un peccato originale che è difficile risolvere in questo modo. Il progetto del film è nato in fretta e furia in seguito al successo di Guerre stellari e Incontri ravvicinati del terzo tipo, modificando in corso d'opera la produzione di quella che sarebbe dovuta essere una nuova stagione televisiva, e usando come base per la sceneggiatura un episodio della seconda stagione (La sfida - Changeling). Questo potrebbe spiegare come mai scenografia ed effetti visuali siano pietosi nella prima parte mentre poi diventano guardabili ancora oggi, e perché si ha l'impressione che almeno una delle due ore abbondanti della pellicola potrebbe essere tranquillamente tagliata.

L'Enterprise è tornata a casa, pianeta Terra, per essere riadattata e migliorata. Il capitano Kirk (William Shatner) è stato promosso ammiraglio e ha abbandonato il comando, a vantaggio di un tal capitan Decker (Stephen Collins) del quale evidentemente non ci importa nulla, ed è quindi un ottimo candidato all'annichilazione. Mr.Spock ha lasciato il suo posto per seguire un percorso vulcaniano che lo dovrebbe liberare degli ultimi residui di umanità, visti come deleteri. E pure il dottor "Bones" McCoy (DeForest Kelley) se ne è andato, colto da crisi mistica. Il resto dei personaggi chiave, Uhura (Nichelle Nichols), Checov (Walter Koenig), Scotty (James Doohan), Sulu (George Takei), sono invece restati al loro posto.

Improvvisa arriva una crisi che minaccia la distruzione di gran parte del genere umano. Una misteriosa entità, di cui scopriremo il nome dopo un'ora, V'ger, e solo nel finale avremo modo di vedere direttamente e scoprire che l'apostrofo elide un "oya", ammazza tutti quelli che incontra ed è diretta verso la Terra, alla ricerca del Creatore.

Kirk approfitta dell'occasione per riprendere il comando dell'Enterprise, facendo girare le scatole a Decker, costringe McCoy a reimbarcarsi, spiegandogli che ha bisogno di lui più come consigliere che come medico di bordo e, commettendo una serie di errori marchiani a causa della sua lunga assenza dal ponte di comando, parte per affrontare la minaccia. Anche Spock si unisce all'allegra banda, avendo "sentito" che è quello che deve fare.

Scoperta la vera essenza del pericolo, capito cosa davvero V'ger vuole, sacrificati un paio di umani per il bene comune, i superstiti vanno a fare un picnic nello spazio profondo a spese del contribuente.

Tra le scene tagliate (e recuperate nell'edizione moderna) pare che ci siano delle parti che danno maggior spazio allo sviluppo dei personaggi, che invece qui viene sacrificato per dare maggior spazio agli effetti visuali. Che a ben vedere sono anche notevoli (tranne all'inizio), anche perché sono affidati a Douglas Trumbull.