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L'arma segreta

Nei titoli di testa si afferma che la sceneggiatura sia basata sul racconto L'avventura degli omini danzanti, ma non è vero. Si è preso solo un buffo sistema di criptazione dei messaggi e si è ignorato praticamente tutto il resto. Immagino che l'attribuzione abbia lo scopo di alleggerire la coscienza degli autori, che hanno scaricato così parte delle responsabilità su Conan Doyle.

La storia inizia a Zurigo. Una Zurigo ben poco realistica in cui tutti parlano inglese o francese e nessuno svizzero-tedesco. Vediamo Sherlock Holmes (Basil Rathbone) sotto le mentite spoglie di un vecchietto che vende libri d'epoca che parla in inglese con un improbabile accento tedesco a due spie tedesche, che ci non trovano niente da ridire. Una scena che mi ha fatto ribaltare dalle risate perché, dopo i primi momenti di sconcerto, ho riconosciuto il passaggio de La pantera rosa sfida l'ispettore Clouseau in cui l'ispettore si traveste da medico di campagna per riuscire ad entrare nel castello dove si nasconde l'ex ispettore capo Dreyfus ormai completamente impazzito. Peter Sellers e Blake Edwards si sono evidentemente ispirati a questa scena, e ne hanno fatto uno spoof così potente che regge anche senza conoscere l'originale.

Holmes è in Svizzera perché il dottor Tobel l'ha contattato, temendo che i tedeschi lo vogliano rapire. Avendo inventato un sistema di puntamento per bombardieri, costui è molto appetibile da ambo le parti in lotta. Con un sotterfugio, Holmes lo carica su un aereo e, non sottilizzando sul piano di volo che deve essere stato una specie di incubo per il pilota, arriviamo a Londra.

Tobel non si fida di nessuno, divide la sua invenzione in quattro parti, prende quattro scienziati svizzeri di sua conoscenza che vivono a Londra, e affida a ognuno di loro una parte. Incredibilmente, nonostante i bombardamenti tedeschi, pare che Londra pulluli di scienziati svizzeri, per cui nessuno sa chi possano essere. Perciò Tobel scrive i loro nomi e indirizzi su un foglietto che dovrà essere recapitato a Holmes nel caso gli capiti qualcosa.

Che ovviamente capiterà, visto che il professor Moriarty, pur essendo precipitato sotto i nostri occhi dalla Torre di Londra ne Le avventure di Sherlock Holmes è inspiegabilmente vivo e in buona forma. O meglio, ha cambiato i connotati, e ora assomiglia stranamente al dottor Mortimer che abbiamo incontrato in Sherlock Holmes e il cane dei Baskervilles, dato che entrambi i personaggi sono intrepretati da Lionel Atwill. "Ma non era morto?" si chiedono un po' tutti. La risposta, molto stringata è "No, non è morto".

Sarà ovviamente Holmes a scoprire che il suo arcinemico è ancora vivo, e lo farà travestendosi da marinaio, assumendo la personalità di un sodale di Moriarty che ha un debito insoluto nei suoi confronti. Non sono sicuro come per il caso sopra citato, ma forse questo travestimento holmesiano ne ha ispirato un altro di Clouseau, in La vendetta della pantera rosa. Dove l'ispettore impersona un lupo di mare con una gamba di legno e un pappagallo gonfiabile sulla spalla.

Comunque, il fatto è che Moriarty ora è diventato un collaborazionista germanico, sembra che riesca nel suo perfido intento, e persino ad uccidere il suo rivale, ma ovviamente le cose andranno ben diversamente. Questa volta non lo vediamo morire, sentiamo però il suo urlo mentre cade da una grande altezza. Nel finale nessuno dice che sia misteriosamente riuscito a scamparla, e quindi dovremmo concludere che sia la fine della sua carriera di genio del male. Sbagliando, certamente.

La voce del terrore

Nel '39 sono stati distribuiti i primi due film delle avventure holmesiane con Basil Rathbone nei panni di Sherlock Holmes e Nigel Bruce in quelli del dottor Watson. Passano tre anni ed esce questo terzo episodio. Sorpresa delle sorprese, l'ambientazione fa un salto di mezzo secolo e diventa contemporanea. La spiegazione che si dà nei titoli di testa è che Holmes è così tosto che anche il tempo gli fa un baffo.

I veri motivi sono più prosaici. In primo luogo è scoppiata la seconda guerra mondiale, e qualche genio della Fox ha deciso che non valesse più la pena di puntare su storie del secolo precedente. Viene dunque cancellata l'intera serie. Ne approfittano alla Universal, acquisiscono i diritti, scritturano Rathbone e Bruce, e rimettono in pista la serie. Però anche loro credono che sia meglio mettere un dettaglio cronachistico nella vicenda, con conseguente viaggio nel tempo del duo investigativo.

Col cambio di stagione cambia anche l'impostazione della sceneggiatura. Siamo decisamente nell'area dei B-movie, e il taglio investigativo mi sembra che attinga atmosfere più vicine al genere hard-boiled. E c'è pure uno smaccato uso propagandistico dell'intreccio. Ma questo è pegno che penso gran parte dei film di quell'epoca abbiano finito per pagare.

Ci sono almeno un paio di fonti della storia. Una è il racconto breve Il suo ultimo saluto, che verrà usato anche nel recente Sherlock della BBC, L'ultimo giuramento, l'altro è l'effettivo uso da parte tedesca di speaker nativi inglesi nei suoi programmi di propaganda nel corso della guerra.

Capita dunque che la radio tedesca trasmetta un programma in cui si annunciano atti di sabotaggio in territorio britannico che puntualmente si verificano. Holmes viene convocato per aiutare a scoprire come i tedeschi riescano a mantenere una rete dietro le linee e come queste possano comunicare così facilmente con la base.

Ci penserà Kitty (Evelyn Ankers, nome noto nel genere horror di quel periodo) a fare il lavoro sporco.

Memorabile nella sua bruttezza il finale, con un folle spiegone a due tra Holmes e il cattivo che tirano le fila della storia introducendo elementi estremamente improbabili se non completamente assurdi.

L'assassino abita al 21

Ottimo debutto alla regia per Henri-Georges Clouzot. Se si considera poi che il film è stato girato in piena seconda guerra mondiale nella Francia occupata non si può che restare basiti per il risultato ottenuto.

La storia deriva da un romanzo di Stanislas-André Steeman che lo stesso ha contribuito a trasformare in sceneggiatura subendo però le sostanziali modifiche imposte da Clouzot. In particolare ha imposto come protagonisti l'ispettore Wenceslas Vorobechik (Pierre Fresnay), che tutti chiamano semplicemente Wens, e la cantante Mila Malou (Suzy Delair), che già avevano operato con successo ne L'ultimo dei sei, precedente sceneggiatura di Clouzot, anche questa basata su uno scritto di Steeman.

La struttura originale del racconto, che penso sia da ricondurre allo Steeman, è quella tipica del romanzo investigativo inglese. Il protagonista è infatti un astuto detective dalle affilate capacità deduttive che non disdegna agire sotto falsa identità, quando pensa che questo gli possa dare un vantaggio strategico. Il crimine, poi, è eseguito in modo da far sì che lo spettatore si ponga la classica domanda: chi è l'assassino? Segue un percorso di ricerca che condurrà allo spiegone finale.

Clouzot agisce sulla ben congegnata storia aggiungendo svariati elementi comici. Il principale dei quali è che l'ispettore ha un formidabile avversario, la sua donna. Che, animata da grande affetto nei suoi confronti (e dalla speranza di ottenere visibilità sulla carta stampata, così che questo l'aiuti a trovare una parte sul palcoscenico), ne compie di tutti i colori ostacolando la sua indagine.

Clouzot si mostra anche abile nell'usare la colonna sonora (Maurice Yvain) e la fotografia (Armand Thirard), entrambe decisamente interessanti.

Vogliamo vivere!

Una commedia sofisticata uscita nel bel mezzo della seconda guerra mondiale che ha come obiettivi i nazisti e gli attori. Anche se il rimando a Il grande dittatore di Chaplin è inevitabile, qui siamo nei territori della commedia pura, come ci si può aspettare dalla regia Ernst Lubitsch, un vero maestro del genere. Al punto che volendo massacrare il titolo originale (To be or not to be) proporrei Vogliamo ridere! piuttosto che quello scelto dalla distribuzione italiana, forse influenzata dal neorealismo italiano (che non ha nulla a che fare con questa pellicola). Lo accosterei anche a Non tradirmi con me, e ne farei una serie sul tradimento femminile.

Siamo infatti in una finta Varsavia e seguiamo una compagnia teatrale dove i ruoli principali sono presi da i coniugi Tura, lei (Carole Lombard, al suo ultimo film, poveretta) bellissima e idolatrata dal pubblico, lui (Jack Benny) narcisista all'ennesima potenza. Siamo nei giorni che precedono l'attacco a sorpresa tedesco, e loro vorrebbero recitare una commedia anti-nazista, in risposta provocazioni anti-polacche. La censura però li blocca, e loro procedono con le recite dell'Amleto.

Nel contempo, un tenentino dell'aviazione (Robert Stack) ci prova con la prima donna, la quale reputa astuto invitarlo nel suo camerino quando il marito è più impegnato, nel monologo Essere o non essere. Nel seguito dell'azione l'affascinante signora Tura avrà modo di far girare la testa ad almeno un professore polacco doppiogiochista, un generale tedesco, e probabilmente anche ad un militare inglese (come spesso fa Lubitsch, è un solo accenno che ognuno può interpretare come vuole).

Il marito, invece, è più occupato a recitare, più fuori dal palco che nel palco, a dire il vero, impegnandosi in una girandola di travestimenti e situazioni complesse da far girare la testa, condite da battute fulminanti e scene disegnate con un ritmo impeccabile.

L'ho visto in originale, e mi chiedo come abbiano reso alcune battute in italiano. Ad esempio, c'è un attore della compagnia che tende a strafare, in italiano lo chiameremmo gigione, in inglese invece è ham, prosciutto. Un collega gli dice "quello che sei, io non lo mangerei", indovinello dalla doppia soluzione, visto che ci dice anche che chi parla è un ebreo osservante. Utile ricordarselo quando più avanti quello stesso attore declama la famosa scena di Shylock (dal mercante di Venezia) a un falso Hitler (troppo complicato per spiegarlo qui) ma sempre evitando ogni accenno all'ebraismo.