Minions

A me non dispiace andare al cinema da solo, ci sono però film che, per un motivo o per l'altro, preferisco andare a vedere in gruppo. Per le animazioni il trucco standard è quello di offrirsi come baby sitter cinematografico disposto a farsi carico del pupo per qualche ora. Questa volta non è riuscito - la concorrenza è feroce in questo campo - e ho rischiato di perdermi la visione, che sono riuscito a recuperare solo in extremis, contando su una proiezione a tarda sera e la compagnia di persone dall'aspetto rispettabile.

Prequel di Cattivissimo me, che pare continuerà, dopo il secondo episodio che ha avuto pure un buon successo, con un Cattivissimo 3 atteso per il 2017. Si fa un gran passo indietro, si torna addirittura alla nascita della vita sulla Terra, quando i Minion c'erano già, anche se in forma di organismi unicellulari ma comunque rigorosamente gialli. Abbiamo modo di vederli all'opera al tempo dei dinosauri, e poi li vediamo creare disastri con gli umani, dalla preistoria a Napoleone. Segue una pausa di un secolo e mezzo, finchè tre minion, Stuart, Kevin e Bob, decidono di mettersi alla ricerca di un nuovo cattivo da seguire. La scelta cade su Scarlett Sterminator, che li recluta per rubare la corona della regina di Inghilterra. Un incidente di percorso porterà Bob a diventare, sia pur brevemente, re d'Inghilterra.

La storia non è che sia poi importante, serve più che altro dare una cornice alle gag dei minion. Il risultato è buono e ho riso parecchio, ma è inferiore a quello dei Cattivissimi. Forse perché quello che dovrebbe essere il personaggio principale, Scarlett, non è particolarmente interessante, e i minion, pur divertentissimi, non riescono a reggere la storia per tutto il tempo. Funzionano ottimamente come spalla, meno se messi al centro dello sviluppo. Nome omen, dopotutto.

Colonna sonora d'epoca molto piacevole che, fatto raro, include pure i Beatles.

Magic Mike XXL

Mi chiedevo se Steven Soderbergh avesse lasciato la regia del sequel di Magic Mike al fido Gregory Jacobs per fargli un piacere o se, viceversa, sia Soderbergh che ora deve un favore a Jacobs. Dopo la visione punterei sulla seconda. Trattasi infatti di puro prodotto commerciale il cui scopo principale è quello di spremere quanto possibile dall'inaspettato successo della prima puntata.

Dal progetto si sono sfilati ben tre tra i personaggi principali, l'impresario con pochi scrupoli Dallas (Matthew McConaughey), il nuovo stripper che avanza Adam (Alex Pettyfer) e la di lui sorella Brooke (Cody Horn). La sceneggiatura (Reid Carolin) ha risolto senza farsi troppi problemi queste sparizioni, mandando Dallas e Adam in tournée a Macao, e immaginando che Brooke abbia mollato Mike (Channing Tatum) a causa di bizze che sembrerebbero più degne del fratello che di lei.

La storia è poco più di un pretesto per tenere assieme i vari numeri di stripping maschile del muscoloso cast. E, metaforicamente parlando, sotto lo spogliarello non c'è niente. Il risultato è comunque guardabile, per quanto interessante dell'originale. C'è qualche scena divertente, e non mi è dispiaciuto vedere in azione per qualche minuto prima Andie MacDowell e poi Elizabeth Banks.

A chi si chiedesse come mai tra tutte le quattro ore non salti fuori nemmeno un Full Monthy, e ce lo si sarebbe potuto aspettare per fare una bella fine col botto in questo XXL piuttosto fiacco, bisogna ricordare come per le severissime leggi americane le pratiche mostrate sono lecite solo se gli spogliarellisti coprono il proprio membro, anche se sommariamente. Altrimenti lo spettacolo verrebbe catalogato come prostituzione, con tutte le conseguenze penali del caso.

Doctor Who 9.2: The witch's familiar

Tradizione vuole che le streghe (*) abbiano come assistente un animale dotato di poteri magici. Gli inglesi lo chiamano "familiar". La spiegazione del titolo è che Clara Oswald (Jenna Coleman) si trova in questo doppio episodio non solo a fare da companion (**) al Dodicesimo Dottore (Peter Capaldi) ma anche al Master in versione femminile, Missy (Michelle Gomez), che la tratta come un animaletto da compagnia.

Tanto la prima parte è stata frenetica quanto questa seconda parte procede con cautela nella direzione in cui tutti ci aspettiamo. Abbiamo subito la conferma ai nostri sospetti, Clara e Missy non sono morte, la sorpresa è che Missy ha rubato l'idea della loro uscita di scena al Dottore stesso, quando in una precedente avventura si era trovato in una contingenza simile. Missy lo ammette con gusto, e nota pure come il Dottore abbia ottenuto il risultato improvvisando, avendo a disposizione un brevissimo attimo per trovare una via di uscita ad una situazione che apparentemente non ne aveva. E ne approfitta per far notare a Clara come ora al Dottore sembra che manchi lo stimolo per andare avanti. Devono essere loro due, armate di un solo bastoncino appuntito, contro un intero pianeta che rigurgita Dalek, a darglielo.

Nel frattempo, il Dottore sta avendo una discussione quasi shakespeariana con Davros (Julian Bleach) che, dopo una serie di colpi di scena, porta al dilemma classico. Il Dottore potrebbe, per l'ennesima volta, distruggere l'intera razza dei Dalek. Riuscirà a trattenersi da compiere un genocidio? Altri colpi di scena, e finalmente è tempo per il colpo di genio finale del Dottore che, grazie alla sua possibilità di viaggiare nel tempo, e grazie quindi alla capacità della TARDIS di stare un passo avanti rispetto ai suoi nemici, riuscirà contemporaneamente a risolvere un suo grosso errore, e introdurre uno nel progetto dei Dalek.

(*) E anche gli stregoni, vedasi la coppia Jafar - Iago in Aladdin.
(**) Questo spiega il titolo della prima parte, The magician's apprentice.

Magic Mike

Mike (Channing Tatum) vorrebbe diventare un imprenditore, produrre e commercializzare pezzi unici di arredamento (*), però ha un problema, un bruttissimo indice di affidabilità al credito, cosa che negli Stati Uniti rende praticamente impossibile ottenere finanziamenti. In attesa di trovare una via di uscita a questo stallo, ha una serie di lavori alternativi che gli permettono di mantenere uno stile di vita piuttosto elevato, e pure di mettere da parte somme non irrilevanti. Tra le varie attività, quella più redditizia è quello dello stripper.

Come mai Tatum si sia appassionato (**) a questo progetto di Steven Soderbergh è presto detto. Da giovinetto faceva anche lui spogliarelli per femmine assatanate. Anzi, si può dire che sia stata quell'attività a permettergli di studiare recitazione e poi campare dignitosamente prima di far successo come attore. Non che si tratti di un film autobiografico, però gli deve essere piaciuta l'idea di raccontare una storia in quell'ambiente.

Storia che, a dire il vero, non è che sia poi un gran che. Mike è la stella del locale gestito da Dallas (Matthew McConaughey), conosce un ragazzetto, Adam (Alex Pettyfer), con cui fa amicizia, e finisce per introdurre alla nobile arte dello stripper. La sorella di Adam, Brooke (Cody Horn), è molto perplessa, sa quanto sia scarsamente affidabile Adam, e teme che quell'ambiente, così pericolosamente al limite della legalità, possa causargli grossi problemi. Mike sottovaluta la valutazione di Brooke, e nel contempo si prende una mezza cotta per lei, anche se avrebbe per le mani un'altra pollastrella, Joanna (Olivia Munn), che sessualmente lo attizza maggiormente. Alla fine sceglierà Brooke, ma solo perché Joanna lo molla. Sembrerebbe che sia troppo tardi, perché nel frattempo Adam si è messo nei pasticci, e questo fa imbizzarrire la sorella. Però si tratta di una commedia (***), e tutto finirà bene.

Più interessante quello che c'è al contorno. Certe scene sono veramente buffe, e la rappresentazione di quello strano ambiente ha un suo interesse.

(*) Che io non comprerei mai, ma ognuno ha diritto ai suoi gusti.
(**) Al punto di partecipare anche come produttore.
(***) Anche se in una versione piuttosto sodeberghiana del termine.

Moon 44 - Attacco alla fortezza

Non sono un fan di Roland Emmerich però, dopo aver visto questo suo film che risale a prima del suo periodo fortunato, che direi si può far partire col successivo Universal soldier (*), ho rivalutato i suoi ultimi titoli. Nel senso che questo è decisamente peggio. Anche a chi piaccia il genere fantascientifico-catastrofista in cui eccelle, sconsiglierei di andare a rimestare tra i suoi primi lavori.

In un futuro prossimo, altamente tecnologico ma oscuro e deprimente (vedi Blade runner) il potere è gestito da potenti multinazionali (vedi Alien) molto litigiose e gestite da incapaci. Al centro degli interessi economici c'è l'attività estrattiva su oggetti extrasolari che la sceneggiatura chiama "lune" anche se sembrano piuttosto pianetini o grossi asteroidi, vallo a capire. Lo sfascio morale della nostra società è tale che non ci si può fidare di nessuno, tantomeno del maggiore Lee (**) che è al comando della base (***). Lo capiscono tutti, tranne il suo capo che gli manda una specie di poliziotto aziendale sotto copertura, rivelandogli la sua vera natura. Il tipo, che devono avergli dato l'istruzione di recitare come se fosse Harrison Ford, deve scoprire chi è che ruba le astronavi da trasporto della compagnia, simulando goffamente incidenti. Però non gli dicono che la corporation avversaria sta mandando una nave da guerra per ammazzare tutti e rubare le loro risorse. Lo aiuterà un ragazzetto (****) che recita come se fosse Ralph Macchio.

Ci sono momenti dove viene mostrata violenza omosessuale, giustificata dalla presenza di galeotti che sono messi a guidare cosi strani che sembrano vagamente elicotteri, in abbinata con ragazzetti che fanno da navigatori (ma chissà perché, da remoto). Niente che possa portare ad un divieto ai minori per la pellicola, ma mi è sembrato stranamente fuori luogo per un film di genere come questo.

Le prime scene sono così brutte che fanno ridere. Purtroppo il resto è solo brutto, e piuttosto noioso. C'è un ritorno di fiamma di comicità involontaria nel finale, ma è davvero poca roba.

(*) Che non ho visto. Ma quello dopo ancora, Stargate, sì e non mi era piaciuto.
(**) Malcolm McDowell, unico del lotto a recitare in maniera accettabile, almeno a tratti. Inutile dire che è sprecato nella parte.
(***) Che non è certo una fortezza. Checchè ne dica il titolo italiano.
(****) Dean Devlin, che credo proprio in questi tempi ha fatto amicizia con Emmerich. I due diventeranno inseparabili.

Via dalla pazza folla

Thomas Hardy era convinto che anche la placida campagna inglese potesse essere teatro di tempeste sentimentali, da cui il titolo di questo suo romanzo che prende in giro l'idea che la pazza folla sia confinata alle grandi città.

Seguiamo così la storia di Bathsheba Everdene (Carey Mulligan) da quando è una semplice ragazzetta di belle speranze al suo diventare una affermata proprietaria terriera. Già il narrare che una donna facesse nell'Inghilterra vittoriana una tale carriera era decisamente rivoluzionario, aggiungiamoci pure che la bella Bathsheba si prende pure il lusso di rifiutare due pretendenti per gestire una fattoria senza aver di fianco un uomo, per avere un'idea di quanto potesse suonare sorprendente ai contemporanei questo racconto. Per noi, invece, potrebbero invece risultare poco chiari i motivi dei comportamenti dei protagonisti, legati come sono all'etichetta nel tempo. Nonostante questo, mi pare una storia che abbia anche oggi qualcosa di importante da dirci.

La spiantata Bathsheba incontra Gabriel Oak (Matthias Schoenaerts), piccolo imprenditore ovino di belle speranze. A lui basta vederla allontanarsi al galoppo per innamorarsi istantaneamente di lei, però ha un problema, non sa dirglielo. Lascia passare qualche tempo, nota che lei sembra ricambiare il suo interesse, e le fa una dichiarazione di una piattezza da far cadere le braccia. Bathsheba, che pure gli vuole bene, gli gira un bel due di picche. Gabriel intasca e se ne va sconsolato. Ma gli succede di peggio, perde il suo gregge, e deve abbandonare il paesello in cerca di fortuna.

Fortuna che invece arriva a Bathsheba, che eredita dallo zio quella che era una splendida tenuta di campagna, ora in decadenza. Nei fatti, lo stato di incuria è tale che una notte un incendio se la mangerebbe tutta in un boccone, se non fosse che proprio Gabriel, che passava da quelle parti in cerca di lavoro, interviene salvando la situazione. La situazione ora si è invertita, lui è spiantato e lei ha una ottima posizione. Impossibile per lui avanzare pretese in questa condizione, e lei, dopo essersi sincerata che lui non ne accampi, accetta graziosamente di assumerlo come pastore.

Più in là nel tempo, Bathsheba decide di giocare un tiro birbone a un suo vicino, William Boldwood (Michael Sheen in versione barbuta), considerato uno degli scapoli più appetibili della zona. William ha subito in gioventù un tracollo amoroso da cui non s'è più risollevato, s'era messo il cuore in pace, aveva puntato tutto sulla sua carriera di signorotto di campagna non degnando più di uno sguardo distratto le appartenenti al gentil sesso. Bathsheba lo manda in corto circuito spedendogli una valentina che vorrebbe essere scherzosa. Non è una buona idea farsi beffe dei sentimenti altrui. William si innamora di lei, di un amore che, forse proprio perché nemmeno lontanamente corrisposto, diventa una malattia.

Mentre Bathsheba tira in lungo non sapendo come dire un netto no a William giustificando nel contempo la sciagurata valentina, incappa nel sergente Francis "Frank" Troy (Tom Sturridge), il quale ha il cuore spezzato per un curioso errore della sua amata Fanny (Juno Temple). Frank circuisce in un lampo Bathsheba e i due si sposano. Il problema è che a Frank non importa niente di lei, forse in un qualche modo è solo un mezzo per vendicarsi del presunto abbandono di Fanny. Fatto è che il caso vuole che Frank incontri Fanny, e lei gli spieghi cosa è davvero successo. Difficile a questo punto pensare ad una via di uscita onorevole per tutti, quello che accade è però anche peggio, Fanny muore e Frank perde il lume della ragione.

Seguono altre tragedie, anche se il finale porta, almeno per qualche personaggio, un poco di felicità.

La storia ci viene narrata da Thomas Vinterberg, che ha avuto una nomination all'Oscar per suo precedente titolo Il sospetto, restando vicinissimo all'originale. Il risultato magari può sembrare poco moderno, però abbiamo modo di goderci una bella ricostruzione d'epoca grazie anche agli stupendi paesaggi inglesi fotografati con maestria da Charlotte Bruus Christensen - che fa da anni coppia fissa con Vinterberg.

Doctor Who 9.1: The magician's apprentice

Come preannunciato dallo scorso speciale di Natale, eccoci qua catapultati nella seconda stagione di Peter Capaldi come Dodicesimo Dottore, che continua ad avere Clara (Jenna Coleman) come companion, anche se è notizia recente che la Coleman lascia la produzione, e quindi dobbiamo prepararci a vederla uscire di scena. Sembra che l'idea di Steven Moffat per mantenere la suspence sul punto sia quella di far morire più volte Clara, così da farci restare in dubbio su ogni morte se sia vera o fittizia.

Nonostante sembri che in questa puntata ne accadano di tutti i colori, a ben vedere è quasi tutta apparenza. Anche perché si tratta della prima parte di episodio doppio, e qui si pongono solo le basi di quella che è la vera polpa della storia. In poche parole il punto è che il Dottore incontra di nuovo un suo arci-nemico, Davros, il creatore dei Dalek. Ma scopriamo che probabilmente è stata una scelta sbagliata del Dottore a trasformare la brillante mente di Davros in quella di un pazzo criminale. La seconda parte ci spiegherà se e come rimedierà a questo suo tragico errore. Io una idea me la sono fatta, ma ovviamente solo Moffat ha il potere di decidere quale sia quella giusta.

Gran girandola di personaggi e situazioni. Si parte subito con una notevole invenzione, la mina-mano, che sarebbe una mano occhiuta che spunta dal terreno, afferra la caviglia del malcapitato e lo trascina verso una presumibile e orribile fine nel sottosuolo. Vediamo poi Clara, che sembra essere tornata al suo lavoro di insegnante, illusione che dura poco, in quanto una bizzarra crisi planetaria la porta al cospetto di Kate Lethbridge-Stewart (Jemma Redgrave) che sta cercando di contattare il Dottore per conto della UNIT. Trovano invece Missy (Michelle Gomez), reincarnazione femminile del Maestro (*), misteriosamente sopravvissuta a quella carneficina che è stato il finale di stagione otto che, sorpresa delle sorprese, si mostra molto legata al Dottore e preoccupata per il suo destino.

Il Dottore, nel frattempo, si sta divertendo a creare paradossi temporali. Così Missy e Clara lo rintracciano nel medioevo inglese, dove partecipa ad un torneo cavalleresco arrivando su di un carrarmato suonando una chitarra elettrica. Scena poco utile all'interno della trama ma molto divertente. Il serpentino sgherro di Davros li rintraccia e li porta dal suo capo che, morente, vuole vendicarsi del Dottore sottoponendolo alla solita scelta impossibile che vorrebbe annichilirlo.

(*) Come veniva chiamato da noi, anche se sarebbe stato forse meglio mantenere l'originale Master.

12

Non è un semplice adattamento russo di La parola ai giurati. Vero è che ci ritroviamo tutto quanto c'era nell'originale, però Nikita Mikhalkov ci ha anche messo dentro dell'altro, con l'effetto collaterale di far raggiungere alla pellicola una durata superiore alle due ore e mezza. Curiosamente, e qui si vede la maestria del regista, l'ora in più non appesantisce l'azione, al contrario, la alleggerisce, alternando le scene in cui la giuria discute il destino dell'imputato a quelle in cui vediamo l'infanzia dello stesso.

Se nell'originale l'imputato era un italo-americano, e come tale si beccava la sua bella serie di pregiudizi, qui il ragazzetto è un ceceno che, per complicare le cose, è stato adottato da un militare russo ora in pensione. L'accusa rimane quella di parricidio, la differenza sembra essere che le testimonianze non sono semplicemente guidate dall'assunto che l'imputato sia colpevole a prescindere, ma dalla paura di una misteriosa organizzazione che avrebbe un interesse nella vicenda.

La parte di Henry Fonda è qui sostenuta da Sergei Makovetsky, mentre il suo antagonista, che per Lumet era Lee J.Cobb, è qui Sergey Garmash. Un colpo di scena nel finale viene riservato per il presidente della giuria, interpretato dallo stesso Mikhalkov. Bravissimi comunque tutti e dodici i giurati, che danno vita alla complicata discussione sul destino dell'imputato.

Medea

Conviene avere ben presente il mito di Medea e la continuazione che ne fece Euripide per non restare perplessi da quello che succede in questo film di Pier Paolo Pasolini. In particolare nella prima parte che, dopo la divertente introduzione che ci viene servita dal centauro (Laurent Terzieff) che ha allevato Giasone, affida tutto alla visualità e quasi niente alla parola. Più fruibile, anche se sempre non esattamente pensato per le masse, la seconda parte, forse perché PPP ha voluto sottolinearne la derivazione euripidea.

Per motivi complicati, il trono che competerebbe a Giasone è occupato da suo zio Pelia (Paul Jabara), e lui lo reclama solo dopo aver passato tutta l'infanzia con la sola compagnia di un simpatico, per quanto inaffidabile, centauro. Pelia non ha nessuna voglia di cedere il comando, così lo manda a compiere una missione insulsa, giusto per toglierselo dai piedi, il furto del vello d'oro, ovvero la pelle di un caprone considerato miracoloso. Il vello è custodito e adorato da una comunità barbara e dai costumi truculenti, di cui fa parte Medea (Maria Callas), figlia del re locale.

Giasone, con la compagnia di un manipolo di scioperati che si fanno chiamare argonauti, giunge da quelle parti. Medea si innamora istantaneamente di lui, ruba il vello con l'aiuto del fratello che poi fa a pezzi (letteralmente) in modo da rallentare l'inseguimento paterno. Dunque Pelia riceve il suo vello, ma dice che dopotutto ha cambiato idea, e preferisce tenersi il trono. Sembra che tutto finisca bene lo stesso, perché Giasone commenta che ha scoperto di non essere poi così interessato a quel piccolo regno. C'è di meglio al mondo. Ad esempio Medea, che sposa e con cui fa un paio di figli.

Seconda parte. Giasone e Medea sono andati a vivere a Corinto, e tutto andrebbe per il meglio, se non fosse che il re locale, Creonte (Massimo Girotti) vuole che sua figlia Glauce (Margareth Clémenti) sposi Giasone. A Giasone il cambio va bene, a Medea meno. Seguirà il finale da tragedia greca.

Non c'è pace tra gli ulivi

Farebbe la sua figura in un ciclo sul neorealismo, anche se Riso amaro, sempre di Giuseppe De Santis ma dell'anno prima, è un buon candidato a rubargli la scena. Interessante vederlo a ridosso de Il lupo della Sila per paragonare come un tema simile sia stato sviluppato da un autore (Duilio Coletti) esterno al neorealismo.

A Francesco Dominici (Raf Vallone), pastore ciociaro, sta andando tutto storto. Torna dalla guerra e scopre che alla famiglia è rimasto solo un agnello, il resto se lo è rubato Agostino Bonfiglio (Folco Lulli). Costui ha pure convinto i Silvestri a barattare le cambiali di cui si erano coperti con la loro figlia Lucia (Lucia Bosé), che è innamorata di Francesco. Il matrimonio tra i due è ormai imminente.

Francesco decide di riprendersi le pecore con la forza, anche, e forse soprattutto, come mezzo per convincere Lucia a tornare con lui. Il piano però fallisce miserabilmente. Agostino li insegue, trova la sorella di Francesco, Maria Grazia (Maria Grazia Francia), con alcune "sue" pecore, deduce che i perpetratori sono i Dominici e, già che c'è, violenta la giovinetta.

Il giorno dopo si reca di buon mattino dai Dominici con i carabinieri e fa arrestare Francesco nonostante questi ribadisca che si era solo ripreso quello che gli era stato rubato. Tutti quanti sanno che Francesco ha ragione, ma nessuno osa testimoniare a suo favore. La mazzata finale gli arriva da Lucia, che al processo nega di sapere alcunché della faccenda. Il poveretto è annichilito, al punto da dichiarare di essersi inventato tutto - per salvare Lucia da una accusa di falsa testimonianza - e se ne va mogio in galera.

Vengono celebrate le nozze tra Lucia e Agostino, ma Maria Grazia, che nel frattempo è diventata l'amante segreta di Agostino, rivela pubblicamente la sua condizione, così che Lucia ha buon gioco nell'evitare che il matrimonio venga consumato. Maria Grazia viene presa in casa Bonfiglio per volontà della madre di Agostino.

Questa ultima offesa all'onore della sua famiglia fa perdere a Francesco il lume della ragione, evade in compagnia di un ladruncolo napoletano (*) animato dal desiderio di farsi giustizia da solo. Per sua fortuna, gli altri pastori ne hanno fin sopra i capelli di Agostino, e lo aiuteranno a trovare una via per sbrogliare la complicata matassa.

De Santis mescola abilmente stili molto diversi, il neorealismo indugia sulla situazione dei pastori ciociari, ma l'azione a forti tinte è in puro stile melodrammatico di inizio secolo, al punto che certe pose dei protagonisti, in particolare di Vallone, viste oggi muovono più al riso che alla tensione emotiva. Lo sviluppo, poi, in certi momenti fa pensare ad un western casalingo, quasi a prefigurare la nascita dello spaghetti-western.

(*) Parte affidata a Dante Maggio, che appare anche ne Il lupo della Sila. In entrambi i film il suo ruolo ha la funzione di fornire un alleggerimento comico all'azione.

Bella addormentata

La vicenda di Eluana Englaro è stata così tragica e dolorosa che è difficile pensare di farne un film che la segua direttamente. Ma è anche una storia che dice molto del nostro Paese, e sarebbe stato un peccato non raccontarla sullo schermo. Marco Bellocchio è riuscito nell'impresa di raccontare quello che è successo all'inizio del 2009 lasciando i fatti storici sullo sfondo, e creando un credibile intreccio di fantasia in primo piano che ci dà il suo punto di vista, ma da una certa distanza.

Il film non ha riscosso un grosso successo, in parte per il tema trattato, è fatto ben noto che al pubblico italiano non piaccia andare a vedere un film in cui si parla di morte, ma credo anche per la posizione equilibrata mantenuta da Bellocchio. Un film esplicitamente pro o contro quello che è accaduto avrebbe fatto maggior rumore e probabilmente attratto più pubblico. Grazie al cielo Bellocchio ha una forza contrattuale da permettergli di fare i film che vuole, senza badare troppo alle regole del mercato.

Abbiamo dunque Uliano Beffardi (Toni Servillo), senatore di Forza Italia proveniente dal socialismo, che deve votare per disciplina di partito quella assurda legge, voluta dal governo di quel tempo, pensata ad hoc per impedire la terminazione delle pratiche di accanimento terapeutico a cui era soggetta Eluana Englaro. Uliano è in estrema difficoltà, perché nel passato recente lui stesso ha partecipato a qualcosa del genere nei confronti di sua moglie. Come rivelerà nel finale, lui, ateo, non avrebbe mai voluto che la moglie se ne andasse, mentre lei, profondamente religiosa, non ne poteva più di una vita che era diventata solo dolore. Uliano ha anche un altro problema. Sua figlia Maria (Alba Rohrwacher), anch'ella profondamente cattolica, non ha accettato la morte della madre, della quale ritiene il padre responsabile. Mentre Uliano va a Roma, Maria va a Udine, per fare veglie di preghiera.

Così, mentre Uliano prende la sua sofferta decisione su come comportarsi in aula, parlandone con colleghi di partito, tra cui un curioso psichiatra-senatore (Roberto Herlitzka), Maria incontra Roberto (Michele Riondino), che milita dalla parte opposta, o almeno accompagna il problematico fratello alle manifestazioni, e i due si innamorano. O forse la sola Maria si innamora, non è chiarissimo.

C'è poi Rossa (Maya Sansa), una tossica all'ultimo stadio, a cui non importa più niente di vivere, non riesce più a trovare piacere nemmeno nella droga, e vorrebbe semplicemente morire. Incappa però in un medico simpatetico, il dottor Pallido (Pier Giorgio Bellocchio), che forse si innamora di lei.

E abbiamo anche una famiglia disgregata, dove Rosa è una ragazza finita anche lei in coma vegetativo, la cui madre (Isabelle Huppert) ha abbandonato tutto per seguirla. Trascura così la sua carriera attrice (*), il marito (Gianmarco Tognazzi), il figlio.

Questa pluralità di punti di vista mi ha fatto riflettere sul come per un caso così delicato non abbia molto senso cercare di imporre una soluzione dogmatica dall'alto. Quello che può sembrare sensato in un caso, per un certo soggetto, può suonare assurdo in un altro contesto. E chiunque voglia imporre una regola fissa definitiva, lo può fare solo a patto di non guardare quella che è la complessità della realtà.

Una vera soluzione non so se ci possa essere. Però magari aiuterebbe meditare sulla scoperta che fa Maria nel finale. Non basta la ragione per capire gli altri, occorre usare anche il sentimento.

(*) Presumibilmente di teatro. Nel finale la vediamo recitare nel sonno la famosa scena dell'incubo di Lady Macbeth, quello della macchia di sangue che non si riesce a lavar via.

L'ora di religione - Il sorriso di mia madre

Ernesto Picciafuoco (Sergio Castellitto) si sta separando dalla moglie Irene (Jacqueline Lustig), il suo lavoro di illustratore di favole non sembra andare molto bene, come neppure quello di pittore. In più, il figlio, che fa la seconda elementare, ha problemi a capire il senso di quello che dice nella sua ora di religione, sia perché i genitori sono atei, sia perché l'insegnante ha un approccio alla materia che pare persino a me poco adatto a un bambino.

Ma tutto questo non è niente, visto che gli piomba in casa un prete che gli dice che la pratica di canonizzazione di sua madre è a buon punto. Il povero Ernesto non solo non sapeva nulla di tutto ciò, essendo stato tenuto all'oscuro dal resto della famiglia, e inoltre ha serissimi dubbi sulla santità di sua madre, che ritiene, al contrario, essere stata una pessima genitrice.

Al centro della trama per la santificazione è la sorella della defunta, Maria (Piera Degli Esposti), che pur essendo in bilico tra agnosticismo e ateismo, ritiene che una santa in famiglia potrebbe fare miracoli (in senso lato). Infatti i Picciafuoco vengono da un passato di prestigio ma sembrano diretti verso un futuro di trascurabilità, in quanto mancano di un appoggio rilevante.

Ernesto si chiede se deve mantenere la sua coerenza, o cederla per ottenere immediati vantaggi materiali.

Questo film di Marco Bellocchio è noto anche a chi non l'ha visto per il bestemmione che viene sparato proprio nel momento centrale del film, quando tutti quanti stanno cercando di convincere il fratello di Ernesto che ha commesso il matricidio a modificare la sua versione dei fatti in modo da renderla compatibile con la presunta santità della madre. Se è vero che una bestemmia in un film attira l'attenzione, bisogna ammettere che è pienamente giustificata dalla trama e non è per niente gratuita. Anzi, il bestemmiatore matricida finisce per fare una gran tenerezza, e si capisce il gran dolore che è dentro di lui.

L'udienza

Amedeo (Enzo Jannacci) vuole parlare al Papa (*). Ma il Papa è irraggiungibile ad un comune mortale come lui. Il commissario Aureliano Diaz (Ugo Tognazzi) si interessa a lui, facendo di tutto per ostacolarlo, anche se piuttosto goffamente, visto che lo affida alle cure di Aiche (Claudia Cardinale), prostituta di buon cuore che finisce per aiutarlo, usando come tramite il principe Donati (Vittorio Gassman) che a sua volta lo introduce a padre Amerin (Michel Piccoli), esponente dell'ala modernista, che pare veda un uso di Amedeo che possa portagli un qualche vantaggio in termini di potere.

Amedeo finisce così in una storia più grossa di lui, che però non gli porta a nulla, se non l'internamento temporaneo in un bizzarro monastero. Potrebbe comunque uscirne bene, se rinunciasse al Papa, e si pigliasse la papessa, nel senso di Aiche, che si è innamorata di lui ed è pure incinta. Notando i riferimenti a Il castello di Kafka si può ben immaginare come vada a finire.

Non è tra i migliori film di Marco Ferreri. La storia non è male, ma non è sviluppata benissimo, e tecnicamente la pellicola mi è sembrata tirata via. Penso intenzionalmente, magari come segno di ribellione al cinema borghese, ma a prezzo di abbassare la godibilità del risultato. Alcuni particolari surrealistici (**) mi hanno fatto pensare a Luis Buñuel, che nello stesso anno ha girato Il fascino discreto della borghesia con risultati decisamente più interessanti.

Jannacci naviga nel cast di gran livello con uno spaesamento che probabilmente era l'effetto voluto da Ferreri. Però non funziona un granché bene. Amedeo, nonostante citi successi musicali di Jannacci (***), non sembra proprio un personaggio delle sue canzoni.

(*) Ai tempi era Paolo VI, che appare nell'azione grazie a filmati di repertorio.
(**) La statua mostruosa nel monastero, il commissario che rompe le noci col manganello, l'auto che brucia placidamente senza che nessuno la degni di una occhiata, ...
(***) Come Per un basin: "Lei balla?", gli chiedono, e lui risponde "Soltanto foxtrot"

Chéri

Si riforma il tandem creativo Christopher Hampton, scrittura, e Stephen Frears, regia, che venti anni prima ha prodotto quel gioiellino di Le relazioni pericolose. Tra gli attori, la sola Michelle Pfeiffer è in entrambi i film. Questa volta la storia è ambientata nei primi anni del novecento, basata sul romanzo omonimo di Colette. Il risultato è inferiore, ma comunque piacevole, grazie anche alla bella ricostruzione d'epoca e alla colonna sonora del solito Alexandre Desplat.

Lea (Michelle Pfeiffer) è una cortigiana di gran successo, nonostante l'età sia vicina al pensionamento per quella professione. La morale d'epoca considerava sconveniente frequentare cortigiane in società, se queste non erano accompagnate da un facoltoso cliente. Per questo motivo si era creata una specie di buona società parallela, piuttosto ristretta, ma alla moda come quella canonica. Lea, dunque, frequenta da sempre la casa di Madame Peloux (Kathy Bates), altra cortigiana che ai suoi tempi aveva mietuto successi, e che ora si gode i frutti della sua passata attività. La Peloux è preoccupata per il figlio, detto Chéri (Rupert Friend), un ragazzotto che sta rapidamente tendendo al deboscio più assoluto, e lo affida alle cure della sua amica Lea. Ella inizialmente pensa di giocare un po' con l'inesperto giovinetto, ma alla fine se ne affeziona, e i due passano sei anni assieme.

Ormai egli è in età da marito, e la mamma gli procura una pollastrella, Edmée (Felicity Jones in uno dei suoi primi ruoli cinematografici significativi), figlia di un'altra cortigiana, più giovane di Chéri, e dotata di succulenta dote. Lea accetta la cosa senza batter ciglio, ma scopre in breve di aver fatto un errore, di essere realmente innamorata di Chéri e non sopportare la separazione. Lo stesso Chéri scopre che Edmée non lo soddisfa, non avendo con lei la stessa intesa che aveva con Lea.

Riuscirà la coppia a riformarsi? Lo scopriremo all'ultima scena.

Mo' better blues

Ovvero, la vita del trombettista (*) jazz Bleek Gilliam (Denzel Washington) secondo Spike Lee. Ci si focalizza sul momento in cui Bleek sta per fare il gran botto, anche se al momento il suo quintetto suona al Beneath the underdog, un locale non eccelso. Si studiano le relazione tra Bleek e i suoi colleghi, in particolare con Shadow Henderson (Wesley Snipes), sassofonista di talento; con le donne, ne ha due stabili, Clarke Bentancourt (Cynda Williams) e Indigo Downes (Joie Lee, sorella di Spike), e presumibilmente altre di passaggio; e con il suo manager incapace, Giant (lo stesso Lee).

Giant ha rimediato un contratto capestro con i gestori del Beneath the underdog, i fratelli Flatbush (interpretati dai fratelli Turturro, Moe è John), non riesce a rinegoziarlo nonostante il successo che Bleek e compagni stanno ottenendo, e questo complica le relazioni all'interno del quintetto, anche perché Shadow pensa di mettersi in proprio, e ha pure mire su Clarke, sessuali ma anche artistiche, visto che lei canta. Giant ha anche un problema di dipendenza dal gioco d'azzardo, e i suoi debiti porteranno alla catastrofe finale, che avrà le sembianze di un paio di brutti ceffi, uno dei quali è interpretato da Samuel L. Jackson.

Un veloce flashback iniziale ci mostra Bleek ancora bimbo costretto dalla mamma a studiare la tromba controvoglia, e questa potrebbe essere la chiave di lettura del film. Bleek è un genio della musica, ma non basta questo a farne un uomo felice. Avrebbe dovuto imparare a relazionarsi decentemente con uomini e donne. E questo lo si può imparare solo con l'esperienza, che gli è stata negata. Nel finale vediamo la stessa scena ripetuta alcuni decenni dopo, il figlio di Bleek sta a sua volta studiando la tromba, ma vorrebbe uscire a giocare con i suoi amici. Fortuna sua, il padre è abbastanza intelligente da aver imparato dalla sua vita, ed evita di rovinargli l'esistenza.

Eccellente la parte musicale, affidata al quartetto di Branford Marsalis.

(*) Inesistente ma liberamente ispirato dalle biografie di Miles Davis e Charlie Mingus.

Il mistero delle dodici sedie

Trattasi di una, probabilmente la più famosa, delle riduzioni cinematografiche di Le dodici sedie, romanzo russo di quasi un secolo fa, dall'umorismo venato da una vena tragica e malinconica, quale si addice allo spirito slavo. L'ultimo film di Carlo Mazzacurati, La sedia della felicità, è una riscrittura molto libera dello stesso testo. Mel Brooks, invece, si è mantenuto molto più vicino al modello originale, cambiando però il finale, decisamente troppo tragico per una commedia pensata per il mercato americano.

Siamo negli anni 20, in una Russia evidentemente fasulla, dove anche i nomi delle strade sono scritti in inglese. Ippolit Vorobyaninov (Ron Moody) è un nobile decaduto convertito in piccolo burocrate. La madre gli rivela sul letto di morte di aver nascosto, ai tempi della rivoluzione, i suoi gioielli in una sedia del loro salotto, ora di proprietà statale. Il recupero delle gioie sarebbe già complicato così ma la vegliarda, non contenta, complica ulteriormente le cose rivelando il segreto anche a Padre Fyodor (Dom DeLuise) che, accecato dal miraggio di ricchezza, si taglia la barba, abbandona gli abiti talari, e parte anche lui alla ricerca del tesoro.

Prima tappa di Ippolit, e pure di Fyodor, è la villa che era sua, nella speranza che le sedie siano ancora lì. L'incontro con un avventuriero, Ostap Bender (Frank Langella), fa sì che i due formino una strana coppia, mossa da un odio affettuoso, contrapposta al ex-prete. Particina per lo stesso Brooks, nei panni dell'ex-servo di Fyodor.

Come è facile immaginare, nessuno dei tre riuscirà a mettere le sue mani sul malloppo, ma forse finiranno per trovare qualcosa di più importante.