La parola ai giurati

Strano il percorso che ha avuto questo film. Nato come riadattamento di un film per la televisione, affidato per la regia a Sidney Lumet, che fino a quel momento aveva lavorato solo per il piccolo schermo, ha ottenuto un immediato successo di critica ma è stato un imprevisto flop al botteghino, dovuto probabilmente all'avvento del colore che è avvenuto proprio in quel periodo.

Di conseguenza, tre nomination all'oscar che non si sono concretizzate in alcun premio; una sfilza di altri premi, tra cui il prestigioso orso d'oro berlinese; il BAFTA a Henry Fonda, come miglior attore non inglese; una menzione speciale a Locarno per Lumet; e anche il nastro d'argento per il regista del miglior film non italiano.

Il tempo ha dato poi ragione ai meriti del film, ed è correntemente considerato, soprattutto negli USA, come uno dei migliori prodotti della storia del cinema.

Il titolo originale "12 Angry Men" si riferisce ai giurati, anche se non mi è ben chiaro perché dovrebbero essere tutti e dodici arrabbiati. Ci sono state numerose versioni seguenti, sia per il cinema (nota soprattutto la versione di Nikita Mikhalkov del 2007) sia per il teatro (recente in Italia la messa in scena curata e interpretata da Alessandro Gassman).

Si tratta di un film giudiziario che inizia dove in genere finiscono gli altri, ovvero alla fine del processo. Infatti quello che ci si vuole mostrare è quanto possa essere rischioso il sistema giudiziale americano, in cui il destino dell'imputato è appeso alla decisione di dodici persone che possono essere del tutto disinteressati su quello che stanno facendo. D'altro canto, ci dice anche che è tutto sommato un buon metodo, perché basta un giurato che non decida di seguire la strada più semplice per dare una speranza all'imputato.

Passiamo tutto il tempo in camera consiglio con i dodici giurati, seguendo l'evoluzione dei pareri. Inizialmente sono praticamente tutti convinti della colpevolezza dell'imputato - avrebbe ucciso il proprio padre. Anche l'unico che vota contro, lo fa non perché sia convinto della sua innocenza, ma perché gli pare che la sua colpevolezza non sia stata provata con sufficiente certezza.

Gli indizi vengono soppesati, valutati, analizzati, e alla fine tutti quanti votano per l'innocenza.

Il punto della sceneggiatura è come solo alcuni giurati fossero inizialmente colpevolisti per motivi reali, mentre gli altri basavano il loro giudizio su pregiudizi razziali, spirito di vendetta, o semplice disinteresse nella vicenda.

Oltre all'interpretazione di Henry Fonda, è da notare anche il lavoro di Lee J.Cobb, nel ruolo non semplice del giurato carogna, colpevolista a prescindere, che solo alla fine capisce di aver voluto la condanna del ragazzetto incriminato per una sorta di vendetta contro il proprio figlio che lo ha deluso.

Ottima la regia di Lumet, che riesce a gestire al meglio una situazione tendenzialmente anticinematografica: dodici persone chiuse in una stanza a discutere di un fatto di cui non abbiamo modo di veder niente.

Non si dice mai esplicitamente da cosa fossero motivati i pregiudizi nei giurati ma chi conosca un po' la società americana non dovrebbe far fatica a capire da alcuni accenni (l'uso del coltello, ad esempio) che si parla della comunità italoamericana. E infatti il ragazzo accusato di omicidio, che appare brevemente all'inizio del film, è interpretato da John Savoca.

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