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La notte dei morti viventi

Stando a quanto dicono George A. Romero e John A. Russo (di entrambi la storia, del primo la regia), quando si sono imbarcati in questa avventura, l'unica cosa di cui erano certi era che volevano fare un film. Il bianco e nero è stato imposto dal budget minimale, come pure il ricorso ad attori sconosciuti e gli effetti speciali quasi inesistenti. Il genere horror è stato scelto perché ai tempi andava bene, e questo poteva convincere più gente a finanziare l'impresa. Il titolo della sceneggiatura, Monster flick, è quanto di meno definito si possa pensare.

Anche la scelta decisamente di rottura per i tempi di far sì che il protagonista fosse il debuttante Duane Jones, unico di colore in un cast estremamente bianco, è stata liquidata dai due con la dichiarazione che Jones era il più adatto che si fosse presentato per la parte.

Eppure questo titolo ha rifondato il genere, e nei decenni successivi chi ha voluto mettere uno zombie (*) nel film non ha potuto fare a meno di confrontarsi, volente o nolente, con questo titolo.

Un po' come in Io sono leggenda di Richard Matheson (**), una folla di ex-umani cinge d'assedio una casa. Qui però a resistere non è un solo uomo, e la sua non è nemmeno un'ultima difesa prima della sparizione della razza umana come la conosciamo. Sono in una mezza dozzina e, grazie ad una radio e poi una televisione, seguono le notizie della catastrofe, che pare sia causata da una sonda che torna da Venere portando una radiazione ad alta energia (?).

La necessità di tener sotto controllo i costi, spinge a far succedere poco, al punto che gran parte dell'azione consiste in Ben (Jones) che inchioda assi alle finestre, o in litigi tra gli umani che sostengono diverse strategie. Il resto del tempo li vediamo prendere decisioni sbagliate, fare errori, e alla fine morire orribilmente. Ancor più deprimente il contributo femminile. La protagonista, Barbra (Judith O'Dea), rimane scioccata subito all'inizio dalla scomparsa del fratello, e dice poco o niente per il resto della storia.

(*) Anche se nel film il termine zombie non è mai utilizzato.
(**) E Romero effettivamente cita il racconto di Matheson come sua fonte di ispirazione.

Wonderwall

Un quarto di secolo più tardi Noel Gallagher prenderà ispirazione da questo film per scrivere l'omonima canzone degli Oasis, che verrà cantata da Liam diventando uno dei titoli più noti del gruppo. Ecco, questo penso sia il merito principale di questa pellicola. Credo che ad attirare Noel sia stata la colonna sonora, scritta da George Harrison. Non tra le migliori cose del Beatle, per dirla tutta.

La regia di Joe Massot è pesantemente influenzata dalle atmosfere proprie della swinging London di quegli anni, ci si ritrova un che di comune, ad esempio, con Blow-up di Michelangelo Antonioni, visione decisamente più consigliata. Fra l'altro i due film condividono anche la presenza di Jane Birkin, qui in un ruolo più centrale.

Si narra di Oscar (Jack MacGowran), uno scienziato molto stereotipizzato, distratto e asociale, che scopre di avere come vicina di casa l'affascinante Penny (la Birkin). Ci sono infatti un paio di buchi nel muro che separa i due appartamenti, da cui passano luci e suoni che lo attirano e lo trasformano in un guardone. L'impatto di Penny e della sua vita multicolore su Oscar è distruttivo. Smette di andare al lavoro, non ha più altri interessi che studiare la vita dei vicini (Penny convive con un fotografo) e fantasticare una relazione con lei.

Capita però che il fotografo molli Penny, e lei la prenda molto male, tentando il suicidio. Oscar si troverebbe nella condizione di fare qualcosa, ma la sua attitudine a comportarsi da osservatore distaccato ha il sopravvento. Contribuisce quindi a salvare Penny, ma mantenendo le distanze.

Finale criptico in cui Oscar torna al lavoro che sembra di nuovo dargli soddisfazioni, o forse è andato completamente fuori di testa e continua a vedere Penny ovunque.

Per favore, non toccate le vecchiette

Prima regia di Mel Brooks, e uno tra i suoi titoli di maggior successo, al punto da reincarnarsi in uno dei musical di maggior successo della storia di Broadway, che a sua volta è diventato un film nel 2005 (non per la regia di Brooks) noto da noi con il titolo originale The producers.

Un impresario teatrale (Zero Mostel) ha un glorioso passato, ma è correntemente ridotto a circuire le vecchiette citate dal titolo italiano per finanziare produzioni dalla vita molto breve. Il commercialista gli manda un impiegatuccio (Gene Wilder al primo ruolo importante, l'anno prima era apparso nella Gangster story - Bonnie and Clyde di Arthur Penn, quello con Beatty e la Dunaway) che scova una magagna nei suoi libri e, senza averne l'intenzione, gli dà l'idea per una colossale truffa.

I due decidono di cercare il copione più orribile, affidarlo al regista più fuori di testa, scegliere il cast più improbabile, gonfiare enormemente le spese, e godersi il tracollo dell'impresa.

Acquistano dunque i diritti di Primavera per Hitler da un ex (?) nazista a cui è andato quasi completamente in pappa il cervello, lo affidano a Roger De Bris ("debris" in inglese significa detriti, rottami, quel che resta dopo la distruzione - evidente allusione all'incapacità artistica del soggetto), e prendono come protagonista Lorenzo St.Dubois, per gli amici LSD (e non per il suo nome).

Sembra che tutto vada per il meglio, ovvero il peggio, ma non hanno considerato quanto possa essere inesplicabile il successo di un'opera teatrare. O di una qualsiasi manifestazione culturale, o di una qualunque attività umana.

La strana coppia

Secondo episodio della lunga e felice collaborazione tra Jack Lemmon e Walter Matthau (Non per soldi ... ma per denaro è di due anni prima), qui alle prese con la trasposizione cinematografica di una tra le più fortunate commedie di Niel Simon. Purtroppo la regia (Gene Saks) non è eccezionale, e anche la sceneggiatura (sempre di Simon), a ben vedere, si limita a riproporre quasi alla lettera l'impostazione teatrale. In ogni caso si tratta di un ottima storia, ben raccontata e magistralmente interpretata sia da i due strepitosi interpreti principali, sia dal buon cast al contorno.

Si narra la storia del fallimento di due amici, Oscar (Matthau) ha divorziato da poco perché la moglie non riusciva a reggere più il suo carattere ruvido, lunatico, inaffidabile, scostante. Felix (Lemmon) viene mollato dalla moglie perché preciso all'impossibile, pieno di fissazioni, estremamente controllato e incapace di affrontare una qualunque circostanza senza vagliarla razionalmente. Oscar accoglie l'amico nel suo enorme appartamento nell'Upper West Side, dando vita così ad una breve ed impossibile convivenza tra due caratteri diametralmente opposti.

Il bello è che i due riescono ad imparare ognuno qualcosa dall'altro e nel finale intuiamo che probabilmente vivranno meglio.

Hollywood party

Tom e Frank Waldman: mentre altri erano affaccendati con una loro sceneggiatura nel realizzare quel disastro (ig)noto in Italia come L'infallibile ispettore Clouseau, Blake Edwards e Peter Sellers trasformavano un altro loro esile lavoro in un film indimenticabile.

La storia è riassumibile in poche righe: un attore indiano pasticcione (Hrundi V. Bakshi - Peter Sellers) catastrofizza un film, instillando istinti omicidi nel regista e attirandosi l'odio del viscido produttore esecutivo (Gavin MacLeod, che per punizione diventerà noto come capitano di Love Boat) che telefona al capo dello studio perché venga bandito da ogni futura produzione. Caso vuole che invece finisca sulla lista di invitati ad una cena di alto livello.

Ci si può immaginare il risultato ma conviene vederlo per crederci.

La pantera rosa è evidentemente dietro l'angolo, e viene anche riproposta nella colonna eccellente sonora di Henry Mancini con una canzone presente nel primo episodio, ma l'impostazione del film è completamente diversa. C'è più materia su cui pensare, per chi voglia farlo.

La buffa macchinetta che usa Hrundi, una Morgan a tre ruote, non può non far pensare a M. Houlot e lo svolgimento distruttivo della serata ricorda molto la cena di Play Time. Dunque Jacques Tati è tra i numi tutelari del film.

La cena interrotta, e il fatto che praticamente nessuno mangi (l'attenzione al cibo è così bassa che una scarpa di Hrundi può viaggiare inosservata su un vassoio di antipasti fino a raggiungere il suo proprietario) mi ha invece fatto pensare a Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel - che quattro anni dopo porta alle estreme conseguenze la velata (ma non troppo) critica di Edwards.

L'infallibile ispettore Closeau

Quell'anno Blake Edwards e Peter Sellers erano occupati a fare altro, ma Tom e Frank Waldman hanno comunque confezionato una sceneggiatura basata sul personaggio di Clouseau che è stata affidata ad altre mani. Il risultato è a dir poco terribile.

Nei panni di Clouseau c'è un quasi esordiente Alan Arkin, che avrà modo di riscattarsi in seguito (Comma 22, Soluzione sette per cento ...), ma qui piazza una interpretazione assolutamente dimenticabile. Delia Boccardo è all'inizio di carriera e mi pare che sia incolpevole nella catastrofe, come pure Frank Finlay (che come punizione verrà ricordato per il ruolo di protagonista ne La chiave di Brass).