Spirit - Cavallo selvaggio

Strana animazione Dreamworks di cui non ho capito lo scopo. La prima impressione che ho avuto è che si volesse de-disneyzzare il concetto di animale, rendendolo, per quanto possibile (*), meno umano di quanto siamo abituati. Questo implica che i cavalli, che sono i protagonisti della storia, non parlano ma, sorprendentemente, si esprimono solo a nitriti.

Per quanto mi riguarda sarebbe stata una buona idea. Anzi, avrei preferito che si estremizzasse il gioco, togliendo la voce della coscenza, ovvero del cavallo protagonista, a cui nel finale verrà dato il nome di Spirit, e le canzonette che di tanto in tanto ribadiscono l'azione in musica (**). Il problema è che le azioni antropomorfe di Spirit vanno ben oltre ad ogni possibile plausibilità per un cavallo. Credo che la sceneggiatura (John Fusco) sia stata pensata come buddy movie fra umani e poi brutalmente adattata sostituendo uno dei due poli con un cavallo.

Abbiamo dunque che Spirit è un possente giovane cavallo col difetto della troppa curiosità. A causa di ciò finisce per essere catturato e ridotto in schiavitù (***). Il spirito ribelle, però, lo spinge a far comunella con un giovane Lakota. I due riusciranno a scappare, ma il secondo vorrebbe tenere il cavallo con se, ma quando si rende conto che ciò non è possibile, lo lascia andare. Succedono altre peripezie, ma alla fine tutto va per il meglio.

Buona l'animazione, in particolare se consideriamo che è roba di quindici anni fa, un eternità in questo mondo. Buona la colonna sonora, del solito Hans Zimmer. Indigesta la caratterizzazione di Spirit e dei comprimari, troppo scontata e in bianco e nero.

(*) Dopotutto è un film di fantasia destinato principalmente ad un pubblico molto giovane, non un documentario.
(**) In originale scritte e interpretate da Bryan Adams, in italiano sono state rielaborate e cantate da Zucchero.
(***) Un po' mi ha fatto pensare alla prima parte della miniserie Radici (1977), dove sono narrate le peripezie di Kunta Kinte.

Sherlock 4.0: L'abominevole sposa

Quando mancano pochi giorni al primo episodio della quarta stagione, finisco di rinfrescarmi le idee rivedendo lo speciale che tira le fila della terza stagione e dà alcune indicazioni che dovrebbero prepararci all'azione.

Ricapitolando, Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) è sul punto di essere esiliato, destinato ad una missione quasi-suicida, in seguito al suo poco convenzionale modo di risovere il caso che gli si era parato davanti ne L'ultimo giuramento. Il suo aereo si è appena levato in volo, quando Jim Moriarty (Andrew Scott) appare sugli schermi di tutto il regno. La cosa fa scalpore, sia perché craccare così platealmente le telecomunicazioni britanniche non è da tutti, sia perché Jim è molto morto dai tempi de Le cascate di Reichenbach, due anni prima nella sequenza temporale sherlockiana.

Lo sconcerto nel governo britannico è tale che si decide nel giro di pochi secondi di accorciare ai minimi termini l'esilio del più turbolento Holmes. Ma anche Sherlock è sconcertato, al punto da usare estremi rimedi per trovare una spiegazione che lo convinca al mistero del ritorno di Moriarty dall'oltretomba. Per far ciò sente che è necessario che lui riesca a risolvere l'antico caso di Emilia Ricoletti (Natasha O'Keeffe) che scosse la vita londinese di fine ottocento.

Emilia era infelicemente sposata ad un bruto, così si sparò in bocca facendosi saltare le cervella, e poi uccise il marito a schioppettate. Proprio così, prima si è suicidata, poi ha ucciso il di lei vedovo. C'è un evidente parallelismo tra il caso della Ricoletti e quello di Moriarty, ma non si capisce bene perché sia così importante per Sherlock sviscerare i dettagli del primo. Credo che ne sapremo di più nel finale di stagione.

Nel finale si accenna per (almeno) la terza volta a Barbarossa (Redbeard) che sappiamo essere considerato sia da Milverton sia da Mycroft (Mark Gatiss) come un punto debole di Sherlock. Forse il punto debole per eccellenza. Sappiamo che era il suo cane quando lui era un bambino, e che è stato abbattuto. Nulla di più.

Nel subconscio di Sherlock succedono molte strane cose. Vediamo un gran senso di colpa per come ha trattato alcune donne, Molly Hooper (Louise Brealey) e Janine (Yasmine Akram), e vediamo che si sente pressato dal dottor Watson (Martin Freeman) a dargli una spiegazione sulla sua incapacità nel gestire relazioni romantiche. Vediamo anche quanto sia forte la competizione con Mycroft, il fratello più intelligente, e l'attrazione-repulsione nei confronti di Moriarty.

Di sicuro non resteremo a corto di sorprendenti sviluppi.

Il club di Jane Austen

Film che in qualche modo fanno riferimento a Jane Austen ne escono di continuo. Vedasi l'ortodosso Orgoglio e pregiudizio (2005)di Joe Wright o la riscrittura sbarazzina di From Prada to nada (2011). Qui invece si parte da un romanzo (Karen Joy Fowler) che usa l'opera omnia della Austen come base di un racconto corale con lo scopo di mostrare quanto di austeniano ci sia un po' in tutte le coppie romantiche (*).

Credo che il problema principale sia da addebitarsi a Robin Swicord, la quale, pur avendo una buona esperienza di sceneggiature, era qui alla sua prima regia. Magari avrebbe dovuto affrontare un compito meno complicato. I troppi personaggi hanno poco tempo a disposizione, e non riuscono ad emergere nella complessità che, immagino, avevano su carta.

Jocelyn (Maria Bello) è in un momento difficile della sua vita, il suo compagno di vita del momento è morto, e il fatto che sia un cane non rende il suo lutto meno drammatico. Le sue amiche, la pluridivorziata Bernadette (Kathy Baker) e la strenuamente monogamica Sylvia (Amy Brenneman), stanno cercando di inventarsi qualcosa per starle più vicino quando una nuova tegola si abbatte su di loro. Daniel (Jimmy Smits), dopo vent'anni di matrimonio, pensa che sia una buona idea separarsi da Sylvia per esplorare una alternativa.

L'incontro fortuito tra la petulante Bernadette e Prudie (Emily Blunt), scatena l'idea di creare un gruppo di lettura dedicato ai Jane Austen. I libri da leggere sono sei, i lettori al momento sono quattro, vengono reclutati a forza altri due elementi che sembrano molto stonati. Allegra (Maggie Grace), che ha il solo torto di essere figlia di Sylvia, e Grigg (Hugh Dancy) che si è preso una cotta a prima vista per Jocelyn.

Il resto del film procede tra letture, paralleli tra l'opera della Austen e l'attualità dei personaggi, incomprensioni tra i sei, fino ad un immancabile lieto fine di gruppo.

(*) O almeno, così credo di aver capito.

Doctor Who 10.0 Speciale di Natale: The return of Doctor Mysterio

Puntata anomala della serie, anche considerando che si tratta dello speciale natalizio di una serie che fa delle anomalie uno dei suoi tratti distintivi. Più che essere una storia del Dottore (Peter Capaldi), è quella di Grant Gordon (Justin Chatwin), un giovanotto newyorkese cresciuto a pane e fumetti di supereroi che ha avuto la (s)fortuna di incontrare, quand'era ancora un bimbo, il Dottore.

Lo strano incontro, avvenuto una notte di Natale, lo ha trasformato in un supereroe, The Ghost, una specie di incrocio tra Superman e Spider-man, ma addirittura più timido e imbranato di Clark Kent e Peter Parker quando non veste gli abiti da lavoro.

Sono passati più di due dozzine di anni da quella fatidica notte, che per il Dottore è stata contemporaneamente una sola notte e ventiquattro anni, come spiegato nello speciale natalizio dell'anno scorso, e chi ne abbia seguito lo svolgimento, capirà che il suo umore non sia dei migliori. A fargli da companion è l'improbabile Nardole (Matt Lucas), nell'attesa che spunti un sostituto (*) della insostituibile "impossible girl" Clara. La parte principale femminile nella puntata è affidata a Charity Wakefield che interpreta Lucy Fletcher, giornalista investigativa ambita da Grant.

La minaccia alla Terra è piuttosto fiacca, i cattivi sono una new entry, che hanno forma di cervello e che amano sostituirsi ad altre specie per conquistare i loro pianeti.

(*) Basta vedere qualche trailer della stagione per sapere che si tratta di una sostituta, e che arriverà presto.

Sherlock 3.3: L'ultimo giuramento

Come da manuale, la puntata è dedicata al confronto tra Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) e il cattivo di stagione, Charles Augustus Magnussen (Lars Mikkelsen), di fino ad ora sapevamo solo che era dietro al rapimento di John Watson (Martin Freeman) e fatti successivi narrati ne La cassa vuota.

Per maggiori dettagli vedasi quello che avevo scritto in occasione della mia prima visione, qui aggiungo che è sorprendente quanti errori faccia Holmes in questa puntata. Inatteso nello schema di una serie di questo tipo, ma realistico e interessante. Lavorando di induzione, è naturale che Sherlock non ci azzecchi sempre. Spesso due o più diverse opzioni possono giustificare le sue osservazioni, e non sarebbe umano se operasse sempre la scelta corretta. Anche se nei momenti essenziali riesce sempre a calcolare almeno un passo in più degli altri.

Il difetto fondamentale di Sherlock è quello di maltrattare indegnamente chi gli sta vicino. Watson ha avuto modo di spiegargli che così non si fa, in maniera brutale ma efficace all'inizio di stagione. Qui si premurano di dargli un supplemento di spiegazioni Molly Hooper (Louise Brealey), anche se, tecnicamente, lo prende a schiaffoni forse quando avrebbe meno motivi per farlo, e Janine (Yasmine Akram). Ha anche modo di venir maltrattato da Mary Watson née Morstan (Amanda Abbington), con toni un po' sopra le righe, a dire il vero, al punto che non si capisce bene quanto è precisa lei e osso duro lui, in un gioco di responsabilità a cui è difficile dare un senso definito.

Come nella precedente puntata, vediamo Sherlock, in un momento fondamentale, fare i conti con le persone che per lui sono davvero importanti, che scopriamo essere, oltre a John, Molly, Lestrade (Rupert Graves), Mycroft (Mark Gatiss) ma soprattutto Jim Moriarty (Andrew Scott).

Bello il finale, che sembra chiudere la serie brutalmente, ma che la riprende per i capelli e ci offre un cliffhanger per la prossima stagione.

Sherlock 3.2: Il segno dei tre

Nella terza stagione non vale la regola dell'episodio centrale meno forte. Ho avuto qualche limitata perplessità su Il banchiere cieco (prima stagione) e su I mastini di Baskerville (seconda stagione), ma non qui.

In questo caso la parte del leone la fa il matrimonio tra John Hamish (*) Watson (Martin Freeman) e Mary Elizabeth Morstan (Amanda Abbington). Delle rare somiglianze con Il segno dei quattro di Conan Doyle ho parlato quando ho commentato la mia prima visione di questa puntata, ora mi limito a sottolineare come anche questa volta si sia mantenuto lo schema di accennare al supercattivo del momento nel primo episodio dell'annata, e dedicare allo scontro tra questi (**) e Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) il finale di stagione.

Succede così che in questa puntata Sherlock non ha un avversario al suo livello con cui combattere, ma passa il tempo a combattere con i suoi demoni, che sono poi il suo complesso di inferiorità nei confronti del fratello Mycroft (Mark Gatiss), l'attrazione irrisolta per Irene Adler (Lara Pulver), l'invidia per l'umanità del dottor Watson, la sua quasi totale incapacità di relazionarsi con gli umani.

(*) Il middle name del buon dottore ha un ruolo importante nello sviluppo.
(**) Jim Moriarty (Andrew Scott) nelle due precedenti stagioni.

Sherlock 3.1: La cassa vuota

Poco da aggiungere a quanto avevo scritto dopo la mia prima visione di questo episodio. Come vuole il canone (*), Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) ritorna a Londra, pescato dal fratello Mycroft (Mark Gatiss) da qualche parte nell'Europa orientale mentre si dilettava a distruggere elementi della rete di Moriarty. Mycroft si dedica di persona all'impresa, per lui enormemente spiacevole, diventando un operativo e mischiandosi con umani, perché gli è giunto un allarme molto preoccupante. Un attentato di enormi proporzioni sta per avvenire nella capitale, e Sherlock sembra essere l'unico che possa impedire la catastrofe. O forse, più semplicemente, Mycroft s'è stufato di sapere il fratellino in "vacanza" e lo vuole di nuovo tenere sotto più stretta sorveglianza.

Si bisticcia molto in questa puntata. I due fratelli Holmes, si beccano a più non posso, rinfacciandosi di tutto. Ma soprattutto Sherlock e il dottor John Watson (Martin Freeman) hanno molto da dirsi, con John che non ha mandato giù di essere lasciato all'oscuro della finta morte del consulting detective per due lunghi anni.

Rapida introduzione di Mary Morstan (Amanda Abbington), che sarà tra breve la signora Watson. La simpatia immediata e reciproca tra Mary e Sherlock dovrebbe farci sollevare un sopracciglio. Anche la povera Molly Hooper (Louise Brealey) sembrerebbe aver trovato un compagno che non sia un sociopatico, ma la silenziosa reazione di Sherlock alla sua vista potrebbe farci temere in qualche risvolto negativo.

(*) Ma non avrebbe voluto Conan Doyle, che avrebbe volentieri lasciato il suo eroe a mollo nel Reichenbach.

Sherlock 3.0: Many happy returns

Come regalo di Natale ai pazienti fan della serie, la BBC ha prodotto questo breve episodio per il web (*) che ha immediatamente preceduto l'arrivo della terza stagione sugli schermi televisivi. L'ispettore Lestrade (Rupert Graves) beve una birra assieme ad Anderson (Jonathan Aris) che dopo la presunta morte di Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) ha sbarellato, perso il suo lavoro, e adesso vive cercando di convincere il mondo che il consulting detective è vivo e risolve astrusi casi. Lestrade è spiaciuto per il precario equilibrio mentale dell'ex collega ma non può far molto. Passa poi da John Watson (Martin Freeman), con cui scambia quattro chiacchiere.

(*) Ora incluso tra i contenuti speciali della terza stagione in DVD è comunque ancora visibile sul canale BBC di YouTube:

Sherlock 2.3: Le cascate di Reichenbach

Lo spettatore più attento avrà notato come nella precedente puntata Jim Moriarty (Andrew Scott) appaia in due brevi sequenze. In una come idea fissa di Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch), nell'altra come antagonista del suo fratellone Mycroft (Mark Gatiss). Qui si tirano le conclusioni di questa partita a tre.

Sherlock e Jim sono il ritratto speculare della stessa personalità. Il consulting detective tiene a bada la sua noia nei confronti di un mondo per lui risulta troppo spesso scontato lavorando per gli "angeli", il consulting criminal lavora sul campo avverso. L'incontro li ha fatti sbarellare, Sherlock vede Jim anche dove non c'è, Jim ha trasformato Sherlock nella sua ossessione. Si può capire quando Jim abbia fatto bene i suoi compiti notando come riesca ad identificare correttamente chi siano tre amici del suo arcinemico. Se a Watson (Martin Freeman) ci arriverebbe chiunque, la signora Hudson (Una Stubbs) è un bersaglio più complicato, come pure l'ispettore Lestrade (Rupert Graves), così spesso maltrattato dal nostro. Sherlock, ovviamente, va anche oltre, riuscendo a calcolare le decisioni di Jim fino all'ultima.

Tra Sherlock e Jim c'è in mezzo Mycroft, che ha scelto di mettere la sua intelligenza al servizio dello Stato, e non capisce perché il suo dotato fratellino non voglia fare lo stesso. Il lavoro che si è scelto Mycroft ha il vantaggio di tenere impegnata costantemente la sua mente, ma ha lo svantaggio di fargli perdere il senso della misura, ancor peggio di come lo perde solitamente Sherlock.

Il titolo può risultare criptico ai meno assidui lettori di Conan Doyle, ma ne ho già parlato abbastanza nel post dedicato alla mia prima visione di questo episodio.

Sherlock 2.2: I mastini di Baskerville

Anche per la seconda stagione vale la maledizione dell'episodio di mezzo, che mi soddisfa meno degli altri. Ho controllato, e non si tratta di uno sghiribizzo del momento, pure alla prima visione ho avuto la stessa sensazione.

Come è facile intuire, questa volta l'avventura è basata su Il mastino dei Baskerville, con gli opportuni stravolgimenti che, incredibilmente, mantengono la sostanza della storia di Conan Doyle.

Come vuole il canone, gran parte dello svolgimento avviene nella campagna, lontano da Londra. Ma qui il dottor Watson (Martin Freeman) non opera, se non brevemente, disgiuntamente da Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch). Baskerville, al centro della narrativa, diventa un segretissimo centro di ricerca militare. E il cattivo, invece di affondare nelle paludi farà una diversa tragica fine, seppur in un certo senso paragonabile a quella originale.

Nell'episodio precedente si evidenziava come la focalizzazione di Sherlock sul lato intellettuale a scapito di quello affettivo avesse i suoi aspetti negativi. Qui, oltre a reiterare il punto, si ha modo di vedere quanto il consulting detective possa essere sorpreso dallo scoprire che non sempre ci si può fidare dei propri sensi.

Sherlock 2.1: Scandalo a Belgravia

Belgravia è quel quartiere londinese che confina con Buckingham Palace. In Uno scandalo in Boemia, Conan Doyle presentava Irene Adler, bella e estremamente intelligente avventuriera che minacciava un regnante mitteleuropeo riuscendo a farla franca, nonostante questi fosse ricorso ai servigi di Sherlock Holmes.

In questa versione riveduta e aggiornata dei fatti, Irene Adler (Lara Pulver) usa il sesso come arma letale, e in particolare si presenta come dominatrice in rapporti sadomaso, ottenendo un gran successo nell'alta società inglese. La Adler è in qualche modo legata a Jim Moriarty (Andrew Scott) ed è sua la telefonata al "consulting criminal" (*) proprio nel momento topico del termine della puntata precedente a risolvere uno stallo che avrebbe potuto portare ad un efferato termine anticipato della serie.

Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) e il dottor Watson (Martin Freeman), che non sanno chi fosse dall'altra parte dell'apparecchio, scopriranno l'esistenza della bella e letale Irene solo più avanti. Nel frattempo si dedicano ad un gran numero di casi, con lo scopo principale di alleviare la noia che pervade la vita holmesiana, al quale tutto appare così triviale.

Scopriamo infine che il diabolico piano di Moriarty è quello di usare foto che ritraggono una giovane donna molto vicina alla regina per attrarre Sherlock verso Irene. L'idea di Jim sarebbe quella di rovinare Mycroft Holmes (Mark Gatiss), facendo in modo che sia proprio il suo fratellino ribelle a causarne la catastrofe. Il problema è che Jim, Sherlock, Irene, Mycroft, hanno tutti menti affilatissime, ma hanno scarsissime capacità nel gestire i loro lati affettivi. Succederanno quindi cose che nessuno di loro sarebbe stato capace di immaginare.

Sconsigliata la visione in italiano. Ho sentito i primi secondi per sbaglio e ho rabbrividito. Sherlock nella nostra bella lingua ha la voce di un ragazzino saccente, Jim Moriarty quella di un imbecille. In inglese, Scott fa rizzare i capelli, in italiano fa venir voglia di prenderlo a scappellotti. La mia prima visione è stata direttamente in inglese e ai tempi mi ero risparmiato ai tempi questo shock.

(*) Tradotto malamente in italiano, perdendo il parallelo con lo sherlockiano ruolo di consulting detective.

Sherlock 1.0: Uno studio in rosa

Il pilota di una serie televisiva in genere ha un doppio scopo, convincere la produzione della validità del prodotto, e quindi far sganciare il capitale necessario per produrre un'intera stagione, e poi convincere gli spettatori che valga la pena seguire la stagione stessa. A volte la produzione non resta particolarmente convinta dal pilota, e questo viene mandato in onda per valutare la risposta del pubblico prima di impegnarsi nell'intera stagione.

Qui siamo di fronte ad un caso molto peculiare. La BBC aveva sganciato il necessario (*) per la produzione di questo pilota, chiedendo che durasse un ora. Visto il risultato, hanno deciso che non era necessario attendere il responso del pubblico e hanno dato l'ok per la produzione dell'intera stagione, chiedendo però che le puntate durassero mezz'ora di più.

Difficile modificare questo episodio per gonfiarlo a novanta minuti senza rischiare di fare una mezza porcheria. E allora si è deciso di aggiustare la sceneggiatura e di rigirare tutto quanto cambiando quel che c'era da cambiare.

Il pilota originale così non è mai stato trasmesso, e lo si può vedere adesso come bonus allegato alla prima stagione in DVD. Vale la pena di guardarselo? Sì, ma solo per i fan della serie, direi.

Gran parte dell'azione è contenuta, con cambiamenti minimi (**), nel primo episodio come è conosciuto al mondo. Le aggiunte riguardano la partecipazione di Mycroft Holmes e gli accenni a Moriarty. La seconda circostanza concorre anche a rendere il caso del serial killer slegato da quanto avverrà nei successivi episodi.

Un difetto di questa prima versione è nello spiegone che illustra i punti oscuri del caso. Nella versione lunga, sparisce e i particolari vengono portati alla nostra conoscenza nel corso dello svolgimento dei fatti. In compenso, ci sono anche alcuni particolari, poi rimossi, che sono simpatici da vedere. Come nel finale, quando si esplicita sia che l'ispettore Lestrade (Rupert Graves) ha capito come sono andate le cose, anche se evita di dirlo per non creare inutili problemi, sia che Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) ha, tra i suoi innumerevoli difetti, anche la gran vanità di volere un pubblico a cui mostrare le sue capacità, e la difficoltà di sottrarsi ad una sfida che metta alla prova le sue capacità intellettive.

(*) Una cosetta come un milioncino, facendo i conti in Euro.
(**) Scopriamo ad esempio che il ristorantino take-away sotto all'appartamento della signora Hudson (Una Stubbs) aveva in questa versione il suo nome.

Sherlock 1.3: Il grande gioco

Misteriosamente da me sottovalutato alla prima visione, è cresciuto per conto suo nella mia considerazione col passare del tempo, e adesso, rivedendolo, me lo sono goduto appieno.

Pur avendo a disposizione anche il doppiaggio italiano, ho preferito passare immediatamente a quello originale. La voce italiana di Holmes, almeno a mio gusto, non si può proprio sentire.

Interessante il prologo, che poco o nulla ha a che fare con lo sviluppo della puntata, ma riesce a trasformare in commedia una chiacchierata tra Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) e un delinquente bielorusso.

La sceneggiatura (Mark Gatiss) è un diligente collage di elementi provenienti da numerosi racconti di Conan Doyle, con l'aggiunta di particolari spuri, come il gigantesco killer slavo (John Lebar) noto con il nome d'arte di Golem, fra tutti emerge L'avventura dei progetti Bruce-Partington incrociata però ad un pericoloso gioco al massacro condotto da Jim Moriarty, che mostra di essere una specie di alter ego di Sherlock, però dedito al male.

Holmes, sotto lo sguardo sbigottito del buon Lestrade (Rupert Graves) e quello preoccupato del dottor Watson (Martin Freeman), risolve un numero impressionante di casi, per giungere ad un finale esplosivo in una piscina. Luogo topico per Moriarty, che, come abbiamo scoperto un'ora prima, ha forse fatto la sua irrevocabile scelta di campo proprio lì, venti anni prima.

Sherlock 1.2: Il banchiere cieco

Il dottor Watson (Martin Freeman) ha qualche problema ad adattarsi all'amicizia con Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch), così disinteressato alle piccolezze della vita di tutti i giorni, e con una vita parallela che include assassini mascherati della quale non sembra voler rendere edotto, se proprio non sia necessario, il suo companion.

Il caso di questa puntata verte su una banda cinese dedita al traffico di opere d'arte. Qualcuno ha tradito, e loro, che non vanno per il sottile, ammazzano prima di chiedere.

Brillano per la loro assenza Lestrade, qui sostituito da un insipido Dimmock, e il fratellone di Sherlock. Watson, dopo aver fallito miserabilmente l'approccio con una bella fanciulla nell'episodio precedente, sembra aver maggior successo con Sarah (Zoe Telford), che sarebbe poi la sua capa in un lavoro temporaneo che ha trovato.

Confermo le mie perplessità che avevo avuto alla prima visione, sembra un episodio scritto con la mano sinistra. Anche se il risultato è comunque superiore a quello di serie simili, anche al loro meglio.

Sherlock 1.1: Uno studio in rosa

Come ogni buon pilota di una serie, ha lo scopo di mostrare chi sono i personaggi principali, in che ambiente si muovono, e cosa ci si può aspettare dagli altri episodi. Il titolo stesso è un indizio non trascurabile, essendo una evidente reinterpretazione del primo romanzo di sir Arthur Conan Doyle (*) dedicato alle avventure di Sherlock Holmes.

Si parte spiegandoci che John Watson (Martin Freeman) è, come vuole la tradizione, un medico militare che è appena tornato in patria dopo aver combattuto in Afghanistan. La differenza sostanziale è che siamo ai nostri giorni. Il dottore sembra soffrire di un disturbo post-traumatico da stress in seguito all'esperienza, e non sembra che il supporto psicologico che ha gli possa giovare molto. Per sua fortuna incontra un vecchio amico, che lo introduce ad un pazzo scatenato (**), Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch), cosa che cambierà radicalmente la vita di entrambi.

I due vanno a vivere al 221/B di Baker Street, come affittuari della dolcemente svitata signora Hudson (Una Stubbs), il che, essendo cambiati i tempi, crea spesso l'equivoco che i due siano una coppia romantica, cosa che non fa nè caldo nè freddo a Sherlock ma che crea qualche dispiacere al buon dottore.

Facciamo la conoscenza dell'investigatore Lestrade (Rupert Graves) di Scotland Yard che, contrariamente all'originale, tiene in gran considerazione Holmes, e non vuole semplicemente sfruttare le sue capacità induttive come faceva l'originale. Entrano subito nell'intrigo anche il fratello maggiore di Sherlock, Mycroft, e il supercattivo Moriarty.

Il caso ha una certa somiglianza con quello originale, ma è stato frullato e adattato al punto tale che lo spoiler risulta limitato e l'episodio mantiene comunque un'alta godibilità anche dal punto dello sviluppo giallo.

Rispetto alla mia prima visione, questa volta mi sono goduto di più gli sviluppi sul versante umoristico, perché conosco meglio i personaggi, e perché questa volta l'ho visto in italiano. In negativo, la voce originale di Cumberbatch è estremamente più interessante di quella del doppiatore italiano, profonda e con un non so che di minaccioso che meglio si addice al personaggio. In italiano sembra più di avere a che fare con un teenager petulante.

(*) Uno studio in rosso. In originale A study in scarlet diventa A study in pink.
(**) Che più avanti nella narrazione ci terrà a specificare di non essere uno psicopatico bensì un sociopatico altamente funzionale.

Rapunzel - L'intreccio della torre

Nel mondo della grafica computerizzata gli anni passano rapidi e impietosi. In un lustro la percezione dell'animazione di questo classico Disney (*) mi è passata da un buon livello di soddisfazione ad un odierno velato malcontento in certi passaggi in cui non ho potuto fare a meno di sollevare un sopracciglio, notando una non ben riuscita integrazione tra diversi elementi presentati sullo schermo.

La storia è basata sulla favola raccolta dai fratelli Grimm, da noi nota come Raperonzolo o Prezzemolina, che però è stata pesantemente adattata anche per farla rientrare nei canoni disneyani del tempo andato, con una netta contrapposizione tra i buoni e i cattivi, anche se questo vale solo per i personaggi principali, mentre al contorno si agitano parecchi personaggi che passano dalle schiere del male a quelle del bene.

La super cattiva della storia è Madre Gothel, una strega che assomiglia stranamente a Susan Sarandon (**), non sembra avere grandi capacità magiche ma conosce il modo di sfruttare la magia di un certo raro fiore. Per motivi che non sto a raccontare, questi poteri passano ad una bimbetta, Rapunzel, per l'appunto, che diventa perciò necessaria alla Gothel.

Segue intricata storia (***) in cui Rapunzel cerca di tornare dai suoi veri genitori, anche se per quasi tutto il tempo lei è convinta di essere figlia di Gothel, l'avventuriero Flynn Rider cerca di riprendersi una corona rubata ai genitori di Rapunzel, ma per far questo deve aiutare la stessa Rapunzel a fare un viaggio, un cavallo sapiente, Maximus, cerca di assicurare Flynn Rider alla giustizia, eccetera.

(*) Cinquantesimo della lista. Un periodo di fiacca, preceduto com'è da La principessa e il ranocchio (2009) e seguito da Winnie the Pooh (2011).
(**) Forse l'idea era farla doppiare da lei? Forse è un omaggio a qualche suo ruolo del passato? Forse stava antipatica a qualche disegnatore?
(***) Tangled è per l'appunto il titolo originale.

L'era glaciale

Ventimila anni fa, in un bizzarro universo alternativo al nostro, si forma una ancor più bizzarra comitiva di animali che finiranno, contro tutte le loro aspettative, per diventare amiconi. Uno stonatissimo bradipo, Sid, cerca disperatamente di convincere un mammut solitario, Manny, a sopportare la sua presenza, in modo da evitare la giusta rappresaglia di due bestioni (*) a cui ha rovinato la colazione.

Nel frattempo, una gang di tigri dai denti a sciabola attacca un accampamento di umani come episodio della guerra tra le due specie per il predominio sul territorio. Curiosamente, invece della distruzione del nemico, le tigri vogliono "solo" rapire il figlio del capo tribù (**) per poi ucciderlo in un secondo tempo. Il convoluto piano fallisce per il sacrificio della madre del piccolo, e così Diego, il secondo in comando tra le tigri, deve sbattersi per recuperarlo, al fine di mantenere il suo grado nel gruppo.

Il bimbo però finisce nelle poco affidabili mani di Sid, e Manny, forse per antipatia nei confronti delle tigri, decide alla fine di supportarlo nella missione di riportarlo alla sua tribù. Diego cerca di agire di astuzia, imbastendo un doppio gioco che lo porta ad avvicinarsi sempre più agli altri due, così che alla fine ripudierà i suoi simili.

Intermezzo slapstick fornito da Scrat, un proto scoiattolo con una attrazione fatale per le ghiande.

Il grande successo della pellicola ha causato una lunga serie di sequel. Non ho avuto il coraggio di vedere l'ultimo dei quali, In rotta di collisione (2016), anche perché il quarto capitolo, Continenti alla deriva (2012), mi sembrava aver già fatto il salto dello squalo.

(*) Qualcosa di simile a dei rinoceronti.
(**) Che sembra essere l'unico ad avere una donna e un figlio.

Ritorno alla vita

Inesplicabile titolo italiano che adatta un curioso Every thing will be fine (*) che forse ha lo scopo di rassicurare lo spettatore, che per gran parte del tempo si deve misurare con una storia (Bjørn Olaf Johannessen) che non si è ben sicuri dove stia andando a parare.

Si narra di uno scrittore, tal Tomas Eldan (James Franco), che sembra essere sin dall'inizio piuttosto depresso e con notevoli difficoltà nell'interagire con altre persone. Risolverà (forse) i suoi problemi proprio nelle ultime battute, e quindi noi ci dobbiamo preparare a sorbire le peripezie di una persona che usa come mezzo espressivo principale la scrittura. La regia (Wim Wenders) è molto intensa, e l'uso del 3D, in particolare nel finale, dove viene usato per darci un idea di quello che può essere il cambiamento del modo di vedere di chi riesce a liberarsi di un qualcosa che lo divora da dentro, è di una maestria che pochi possono vantare.

La meccanica dello svolgimento dei fatti mi ha inizialmente creato un collegamento a Rabbit hole (2010) ma le somiglianze sono superficiali. Più avanti nella visione ho pensato a
Molto forte, incredibilmente vicino (2011) di di Stephen Daldry, e qui direi che il double bill ci starebbe meglio. Anche se non so chi se la sentirebbe di affrontarlo.

Inizialmente Tomas sta con Sara (Rachel McAdams), lui è estremamente chiuso, lei, probabilmente per reazione, estremamente petulante, al punto da essere la inconsapevole scintilla che causerà una catastrofe. Questa porterà al definitivo allontanamento, ma dopo uno snervante tira e molla, della coppia, e un irrisolto avvicinamento di Tomas a Kate (Charlotte Gainsbourg) e al di lei figlio, Christopher. Passano gli anni, Tomas mantiene il suo difficile carattere, forse causato da una pesante situazione familiare, ne abbiamo qualche cenno per mezzo di quello che sentiamo dire dal padre di Tomas (Patrick Bauchau), nonostante questo riesce a costruirsi un nuovo rapporto con la bella Ann (Marie-Josée Croze) che porta in dote una simpatica figlia (Julia Sarah Stone).

Ma anche con questa nuova famiglia, le cose per Tomas non sembrano andare bene. Ann resta molto perplessa nel vedere come Tomas non riesca ad empatizzare con gli altri in una situazione drammatica, e Tomas non capisce il suo sconcerto, anche perché lui si è comportato in modo esemplare, forse anche salvando una vita. Vediamo ancora come Tomas non riesca proprio a capire quanto male abbia fatto a Sara, che reincontra molti anni dopo la loro rottura, e gli schiaffi (**) che lei gli appioppa lo colgono così di sorpresa da risultare quasi un siparietto comico.

Fortuna vuole che nel frattempo Christopher è cresciuto, e ha una scontrosa e difficile interazione con Tomas. Sembrerebbe quasi che questo episodio spinga la storia nella direzione della tragedia ma, poi, chissà come mai, va tutto bene.

(*) Andrà tutto bene. Ma Every thing dovrebbe essere Everything. Perché diamine spezzarlo in due?
(**) Invero meritati.