Il club delle promesse

Simpatica commedia francese, basata su un romanzo dell'irlandese Marian Keyes (nel filone un po' alla Bridget Jones, per intendersi). Sceneggiato e diretto da Marie-Anne Chazel, più nota come attrice, che non sfrutta appieno le possibilità della storia.

La vicenda inizia narrata in prima persona da uno dei tre protagonisti, ma poi finisce per seguire ora un ramo ora un altro della storia. Tre bretoni lasciano la loro isoletta per cercar fortuna a Parigi. Yann (Pierre Palmade) è gay e si butta nel mondo della moda e su una disponibilità sessuale che da giovane non si sarebbe mai aspettato; le due ragazze, invece, hanno notevoli problemi nel relazionarsi con gli uomini: Kathy (Giovanna Mezzogiorno, che finisce per essere la star del film, e che, dal basso del mio francese, mi pare se la cavi abbastanza bene) semplicemente li evita, Tara (Nathalie Corré) è attratta da chi la maltratta, e trova rifugio nel cibo. Yann, complice un tumore, si rompe le scatole di vedere le amiche infelici e praticamente le obbliga a fare quel che è giusto per loro.

La voce della luna

Ultimo lavoro di Federico Fellini, pervaso da un tragico pessimismo. Protagonista è Ivo (Roberto Benigni) che è attratto dai pozzi, da cui sente uscire voci che non capisce cosa dicano. Nel proseguio del film si capisce che è stato in manicomio e questo spiega l'andamento un po' dissennato del racconto. Ivo incontra altri personaggi marginali, chi più chi meno con qualche problema mentale, ed in particolare il prefetto Gonnella (Paolo Villaggio) che pensa di essere vittima di un complotto universale ed è evidentemente angosciato dalla sua vecchiaia.

Un po' meno spazio viene dato ad altri temi tipici di Fellini, il sesso e il difficile rapporto tra uomini e donne, la religione e il potere visti come lontani dal senso comune, il ricordo della gioventù.

Tra i pochi spunti comici, il pranzo di matrimonio in una trattoria con dipinta alle pareti la squadra del Milan al gran completo, il cui presidente appare sulla porta della cucina, aperta dai camerieri con gran calcioni.

Il film si chiude con un colloquio tra Ivo e la luna che vorrebbe essere poetico e di speranza, solo che a questa, sul finire, scappa un accento ciociaro e si interrompe per annunciare la pubblicità. A Ivo non resta che guardare perplesso un pozzo e chiedere un po' di silenzio, che forse potrebbe aiutarci a capire meglio le cose.

La colonna sonora di Nicola Piovani non sfigura.

Nel DVD è presente il trailer originale, molto bello, che utilizza disegni di Milo Manara.

Complotto di famiglia

Ultimo film di Alfred Hitchcock, come al solito ottima la regia, storia non particolarmente valida ma sviluppata in una sceneggiatura che riesce a far brillare gli aspetti che più gli interessavano. Cast che brilla per l'assenza di star, tra cui spicca Bruce Dern (2002 la seconda odissea).

Tipica alternanza di tensione e umorismo (molto british, ovviamente). Svariate battute a sfondo sessuale inaspettate da un regista che tradizionalmente lascia più spazio all'allusione che alla esplicitazione.

Colonna sonora non malaccio (di un ancor giovane John Williams che aveva appena lavorato a Lo squalo ma non ancora a Star Wars).

Buono il DVD che include un interessante documentario, edizione del Corriere della Sera.

Planet 51

Tecnicamente ineccepible (regia e cast quasi completamente spagnolo), buona anche la storia, anche nella prima parte m'è sembrata un po' fiacca, credo che il problema sia nella produzione che penso abbia voluto spingere nella direzione del pubblico più giovane (lato positivo: è uno dei film con l'inglese più comprensibile che ho visto da molto tempo) e americano - per ridurre i rischi del notevole investimento, immagino.

La storia, scritta da Joe Stillman (Shrek), è una sorta di ET al contrario. Un terrestre (con la voce di The Rock - Dwayne Johnson) sbarca su un pianeta abitato da pacifici ometti verdi con le antenne che vivono in una storta di ambientazione nei tardi anni 50 della provincia americana, distorto da un immaginario fantascientifico dello stesso periodo.

Un ragazzetto cerca di salvare il terrestre, che viene inseguito dai militari guidati da un generale non cattivo ma sciocco (Gary Oldman) che viene convinto da uno scienziato pazzo (John Cleese) della pericolosa minaccia. Una parte importante la ha anche un robottino (che ricorda Wall-e - e questa è solo un'altra delle innumerevoli citazioni) e la (potenziale) fidanzata del ragazzetto alieno (Jessica Biel).

A uscirne peggio di tutti sono i militari, dipinti mediamente come una manica di sciocchi. Due tra di loro subiscono l'asportazione del cervello da parte dello scienziato pazzo, senza peggiorare poi di molto le loro capacità. Ma ce n'è un po' per tutti, compreso per un contestatore pacifista anche lui caratterizzato da un livello intellettivo piuttosto basso (e pure stonato).

Probabile che, visto il buon successo a livello planetario, la produzione avrà meno timori per i successivi lavori dell'ottimo team.

The libertine

Solido impianto teatrale per una tragedia che ha per protagonista Johnny Depp nei panni del seicentesco conte di Rochester, morto a 33 anni per non aver trovato un senso nella sua vita.

L'opera è stata convertita per il cinema dallo stesso autore, Stephen Jeffreys, e diretta da Laurence Dunmore al suo primo lungometraggio (più noto nella pubblicità e per video clip) che, nonostante le premesse, si comporta bene.

Buono il cast che affianca a Depp John Malkovich nei panni di re Carlo II; Samantha Morton, attrice di cui il conte si innamora; e Rosamund Pike (Orgoglio e Pregiudizio) la paziente moglie.

Bella la colonna sonora di Michael Nyman, che rielabora come suo solito il barocco in chiave minimalista.

La tragedia del conte sta nel fatto di essere dotato ma di non vedere l'utilità di usare i suoi talenti per fare alcunché di sensato tanto, ragiona, è il caos che governa le nostre vite e i nostri sforzi non servono a nulla. Preferisce quindi rovinarsi la vita tra eccessi alcolici e sessuali - con brevi pause per il gioco d'azzardo. Riesce a trovare anche a trovare il tempo per scrivere qualche verso, il che lo mette un buon metro sopra i suoi colleghi.

Ha una certa passione per il teatro, di cui ammira il fatto che, essendo finzione, è attendibile. Sul palco azioni e reazioni solo legati razionalmente. Nota una attricetta (la Morton) e intuisce le sue capacità. Però lei lo tradisce, diventando confidente del re, che ha commissionato un'opera teatrale al conte ma, conoscendolo, non si sente tranquillo. Il Rochester si vendica mettendo in scena una satira in chiave pornografica della corte reale inglese. Segue la caduta miserevole aiutata dalla sifilide che ha ragione di un fisico debilitato dal massiccio consumo di alcolici.

E' solo quando ormai che in dirittura finale che riesce ad usare i suoi talenti per fare quello che ritiene giusto.

Batman Begins

Christopher Nolan ha iniziato con questo episodio la sua partecipazione alla saga di Batman, che sembrava compromessa da un paio di puntate poco convincenti. Meglio, a mio avviso, Il cavaliere oscuro, uscito tre anni dopo.

La storia qui narrata è quella degli inizi di Batman, trauma infantile, formazione giovanile, e definizione della (doppia) personalità che vedremo meglio in azione a seguire.

Stesso cast principale (Christian Bale, Michael Caine, Gary Oldman, Morgan Freeman), cambia la donna del suo cuore, qui interpretata da Katie Holmes. Il supercattivo è Liam Neeson, ruolo tutto sommato minore. Indisponente la recitazione del pur valido Tom Wilkinson improbabile come boss mafioso italo-americano. Dimenticabile la partecipazione di Rutger Hauer.

Per amanti del genere.

Amabili resti

Un po' come American Beauty, Toto le Heros o, a voler fare più i cinefili, Viale del tramonto, il protagonista muore subito e ci racconta la storia con una improbabile soggettiva. A differenza dei predecessori, a dire il vero, qui quasi tutta l'azione si svolge in seguito al fattaccio, che sarebbe poi lo stupro e l'omicidio di una ragazzina da parte di un omicida seriale. Vicenda non delle più facilmente trattabili.

Buona la regia, Peter Jackson, anche se lo spettatore più tradizionale potrebbe risentirsi per gli svariati cambiamenti di tono che possono lasciare spiazzati. Piacevole la colonna sonora firmata da Brian Eno. Molto brava la protagonista, Saoirse Ronan che nonostante la giovane età regge benissimo il ruolo impegnativo. Notevole Stanley Tucci che si è trovato ad affrontare il difficile ruolo del maniaco. Non male anche Susan Sarandon a cui è stata assegnata la parte della buffa nonna (semi)alcolizzata.

Sceneggiatura è basata sul romanzo omonimo (Lovely bones) a cui è da imputare una certa inesplicabilità di alcuni passaggi - anche sospendendo il giudizio su quella che è la descrizione del "limbo" in cui finisce la ragazzina (scopriremo a tempo debito quanto calzante).

Il finale deve aver lasciato scontento il pubblico americano, infatti il supercattivo scampa alla legge e alla vendetta, pur facendo comunque una brutta fine.

Del resto il senso della vicenda è che a vincere è proprio la ragazzina, anche se muore così giovane e in modo così tragico, perché quello che lascia, gli "amabili resti" del titolo, è l'impressione che ha lasciato su chi ha conosciuto, le relazione che ha contribuito a creare. L'assassino invece non ha lasciato nulla.

Altro tema trattato è il distacco. La ragazzina cerca di mantenere un contatto con i suoi affetti finché si rende conto che questo porta solo ad uno stallo della situazione. Lei resta nel suo limbo, i vivi finiscono per non vivere. Per quanto dolorosa sia, meglio una chiusura.

Gomorra

Quasi considerabile un documentario, sulla scia del libro di Roberto Saviano da cui la sceneggiatura è tratta e in linea con la formazione del regista, Matteo Garrone. Narra un intrico di quattro storie di camorra nel panorama desolato e desolante dell'Italia contemporanea.

Tra gli attori spicca il solito Toni Servillo, perfettamente a suo agio nei panni di un colletto bianco della camorra come in quelli di Andreotti ne Il Divo.

Colonna sonora spesso al limite dell'agghiacciante ma adeguata al contesto - sui titoli di coda un brano scritto dai Massive Attack, Herculaneum, che la riscatta ed è stata premiata con un David:
Molti i premi e le nomination un po' in tutto il mondo tra cui spicca il gran premio a Cannes, una scorpacciata di David, European Awards, tre globi d'oro italiani (e la nomination a per miglior straniero all'americano), un paio di nastri d'argento eccetera eccetera.

Io vi troverò

L'unica cosa buona del titolo italiano è che fa venire in mente per assonanza "Io ti salverò" di Hitchcock, non un capolavoro ma contenente una indimenticabile sequenza che usa fondali disegnati da Salvador Dalì (niente meno) per rendere le atmosfere di un sogno.

Molto meglio il titolo originale Taken, presa, nel senso di rapita, che rende bene il tentativo di eliminare il coinvolgimento personale che fa capolino anche nel linguaggio che viene usato in certi ambienti. Al contrario il titolo italiano mira tutto sul coinvolgimento emotivo.

Tipico film d'azione di casa Luc Besson, che lo ha prodotto e scritto assieme a Robert Mark Kamen. Diretto da Pierre Morel (sua seconda regia dopo Banlieu 13), migliorato rispetto all'esordio ma che mi pare ancora in affanno nelle scene di azione che tendono a diventare troppo confuse. Inattendibili le scene dove si spara. Non è immaginabile che i "cattivi" abbiano una mira così pessima. Perlomeno bisognava ridurre la loro potenza di fuoco.

Protagonista unico è Liam Neeson, che se la cava più che egregiamente, nel ruolo di un ex agente dei servizi segreti prepensionatosi (probabilmente) in seguito allo sfacelo della sua vita privata. La moglie lo ha mollato per rifarsi la vita con la figlia e un miliardario californiano.

Disoccupato, divorziato, al limite del paranoico, non fa una bella vita. Fatto sta che la figlia va a fare un grand tour in Europa ma, subito alla prima tappa (Parigi), viene rapita da una banda di albanesi dediti alla trasformazione di giovani turiste in prostitute da strada e tratta delle bianche, quando capita. Dunque l'addestramento di una vita torna utile, Neeson piomba a Parigi e fa tutti gli sfracelli che ci si può attendere.

Dicevo che il titolo originale è una buona chiave di lettura del film. Il fatto che Neeson dica alla moglie che la figlia sia stata "presa" e non "rapita" non è casuale (non sarebbe diventato il titolo) indica che anche lui, come ha capito cosa stava accadendo, si è messo a trattare persino la propria figlia oggettivamente, non come un essere umano. Lo stesso modo disumanizzato di parlare (e agire) viene usato da altri personaggi, ad esempio il tale che organizza un'asta di donne che vengono vendute al miglior offerente cita Il padrino sostenendo che si trattava solo di affari, niente di personale.

Tutti gli uomini del re

Storia di tradimenti. Praticamente tutti i personaggi tradiscono qualcosa o qualcuno, solitamente qualcosa e qualcuno. Tratta da un romanzo molto noto negli USA (stesso titolo, in originale "All the King's men") e che è già stato portato sullo schermo nel 1949, con più successo di quanto sia avvenuto questa volta.

Nella versione del 1949 lo sceneggiatore ha puntato sulla storia principale, quella di Willie Stark (inspirata da un personaggio reale, tal Huey P. Long, che è stato governatore della Louisiana e senatore americano) mentre in questa occasione Steven Zaillian, sua la sceneggiatura e la regia, ha cercato di dare maggior spazio ai numerosi personaggi, ognuno dei quali con una storia interessante, a dire il vero, ma finendo per rendere troppo pesante la vicenda.

C'è da dire inoltre che se Zaillian ha un notevole curriculum come sceneggiatore (Gangs of New York, The Interpreter, tanto per fare un paio di titoli) non è altrettanto brillante come regista. In alcuni punti l'ho trovato addirittura fastidioso.

Notevole il cast, a partire da Sean Penn che interpreta il protagonista - il suo sbracciarsi nel parlare può sembrare strano ma, come si vede nella copiosa documentazione allegata al DVD, riflette il modo di porsi del politico che ha fatto da modello al personaggio. Jude Law è il personaggio che ci guida nella vicenda, un giornalista che finisce per lavorare per Stark; Anthony Hopkins un giudice in pensione che si oppone a Stark; Kate Winslet la donna di cui il giornalista è innamorato; James Gandolfini un politicante vicino a Stark ma inaffidabile.

Sean Penn è un piccolo politico, che nel dopoguerra diventa inaspettatamente governatore della Louisiana. Inizialmente vuole ottenere cose che a un europeo sembrano normali (scuole e ospedali pubblici, ad esempio) ma che ad un americano suonano strane, poi entra nel vortice politica politicante e finisce per usare il suo potere come fine in sé. Già che c'è tradisce pure la moglie a più non posso. Da cosa segue cosa e alla fine Stark fa una brutta fine.

In parallelo si svolge la storia di Jude Law, giornalista che si fa affascinare dalla figura del politico, anche se non sa bene cosa sia che trova così interessante. Nel lavorare per lui finisce per tradire la fiducia di Anthony Hopkins, che conosceva sin da bambino e del quale aveva il più gran rispetto. Inoltre scopre che Kate Winslet, di cui è innamorato praticamente da sempre, è diventata l'amante del politico. Ma c'è anche la storia del fratello di lei, e amico di lui, che finisce per impelagarsi in una brutta situazione.

Come dicevo, una storia troppo complicata. Un buon regista avrebbe forse tagliato con più decisione la sceneggiatura scegliendo la sua visione della storia e trascurando almeno alcune delle vicende laterali.

Interessante l'edizione su DVD con molto materiale fornito come bonus, tra cui anche qualche scena tagliata.

Una mente perversa

Il titolo originale "A twist of faith" avrebbe potuto essere tradotto meglio Una conversione, il che avrebbe almeno aiutato a tenere vivo l'interesse per scoprire chi si converte (scherzo, si capisce subito anche questo).

Film di qualità televisiva, con protagonisti più noti per i telefilm che per i film in cui sono apparsi: Michael Ironside (Total recall) e Andrew McCarthy (Weekend col morto).

Un serial killer ammazza gente collegata ad una piccola chiesa cattolica in Canada, a partire dal prete titolare, lasciando una serie di riferimenti biblici in pasto agli investigatori. I poliziotti indagano ma non capiscono un tubo, e l'assassino si fa beffe di loro (in particolar modo di McCarthy, che ha problemi già per conto suo).

Ritmi fiacchi, colpo di scena finale che potrebbe prendere di sorpresa solo lo spettatore più disattento. L'apparizione per pochi secondi di una Ferrari (ferma) forse il momento migliore del film.

Un'ottima annata

Simpatica commedia sentimentale con soggetto inglese, ambientazione francese (provenzale), impostazione americana. Buona l'idea ma mi pare che nello sviluppo si perda qualcosa.

Diretta e prodotta da Ridley Scott con protagonista un Russell Crowe che non se la cava male, ma m'è sembrato fuori parte. Ci avrei visto meglio Hugh Grant e, in certe scene, mi sembra quasi che Crowe lo abbia preso a modello.

Parti minori per Albert Finney, credibile, e Marion Cotillard, una francese che ha fatto fortuna in America.

In due parole: Crowe è uno squalo londinese alla Gekko (Wall Street) che da bimbo passava le estati in Provenza, da zio Finney. Lo zio muore e lui eredita. Va a firmare e pensa di vendere tutto per tornare alla sua vita metropolitana. Ma l'impatto con la vita di campagna gli fa cambiare idea.

Una scena divertente: appena arrivato alla vigna, ripete il gesto del gladiatore, raccoglie una manciata di terra e l'annusa. Solo che è terra ben concimata (tutto molto naturale, orgine avicola).

Simpatiche le citazioni del cinema francese (il cane del vignaiolo si chiama Tati, e si vede qualche scena da Le vacanze del Monsieur Hulot).

La cena per farli conoscere

In linea con la produzione di Antonio & Pupi Avati, che continua a sfornare un film all'anno (o anche meno) da tre decenni. Artigianato di buona qualità con ritmi industriali. Pupi si occupa del lato creativo, Antonio della logistica. Interessante a questo proposito l'intervista ai due fratelli inclusa nel DVD dove parlano del film alternandosi nelle risposte. Da notare che anche Antonio partecipa al lato creativo, fornendo spunti che poi Pupi realizza. Ci fossero più soldi, e i tempi non fossero così stretti, i risultati sarebbero anche migliori.

Pupi Avati dice che il sottotitolo, "commedia sentimentale", è da intendersi in senso autoironico ma è comunque un suggerimento da cogliere per quel che riguarda l'andamento del film, dove toni da commedia, a volte spiccatamente comici, si alternano a toni più da melodramma.

Un buon cast, a partire da Diego Abatantuono, protagonista e unico ruolo maschile significativo - un attore di livello medio-basso a fine carriera, contornato da tre belle figlie, Inés Sastre, Violante Placido e Vanessa Incontrada, avute da tre madri diverse e trascurate a favore del cinema e di una vita dissoluta. Una particina per Francesca Neri, in un ruolo completamente fuori dai suoi schemi.

La cena dovrebbe servire per far conoscere Abatantuono e la Neri, invece ha l'inaspettato risultato di far conoscere le figlie al padre e, grazie all'intervento della Neri, di fargli capire come sia ora di crescere. Lo farà, e forse vivrà meglio quel (poco) che gli resta da vivere.

Il mondo cinematografico/televisivo è oggetto di una satira quasi distratta, cosa che la rende quasi ancora più feroce.

Il cavaliere oscuro

Mai stato molto attratto dai supereroi in generale, e ho seguito distrattamente le vicende di Batman sia su carta sia in pellicola. Per dirne una, mi ero dimenticato di aver visto questo episodio e ho avuto come una sensazione di dejavu per lungo tempo, prima di rendermi conto che non era una impressione ma una vera e propria seconda visione.

Complessivamente un buon prodotto ma penso sia più adatto a chi ha una certa attrazione per quello specifico immaginario. Io non sono riuscito ad entrarci eccessivamente in sintonia, nonostante i molti spunti interessanti.

Storia giocata su toni oscuri, come da titolo (The dark knight, tradotto letteralmente in italiano), accompagnata da una colonna sonora all'altezza e da una regia che sfrutta adeguatamente gli ingenti mezzi economici impiegati. D'altronde, essendo scritto e diretto da Christopher Nolan, non ci si può aspettare di meno.

Antagonista di Batman (Christian Bale) è Joker (Heath Ledger - indimenticabile) che usa la sua impredicibilità sia contro i "buoni" che contro i "cattivi", per non sa nemmeno lui bene che scopo. Dimostrare che tutti hanno un lato oscuro, forse. La donna di cui Bruce Wayne è innamorato (Maggie Gyllenhaal - non mi ha convinto in questo film, me la ricordo più volentieri in Donnie Darko) preferisce il capo della procura che combatte il crimine come Batman, ma a faccia aperta. Entrambi faranno una brutta fine. Piccole parti ma di un certo peso per Michael Caine (bravissimo, al solito) nel ruolo del maggiordomo di Batman e Morgan Freeman (che tira avanti la baracca di Batman/Wayne). Ruolo un po' più importante per Gary Oldman nei panni del superpoliziotto amico di Batman, non male, ma costretto in un ruolo che non gli dà lo spazio che merita. Meglio quando fa il cattivo, come in Léon.

Notato con piacere il product placement di una MV Agusta F4 (avrebbe meritato più spazio) e una Lamborghini (destinata alla distruzione).

Interessante la constatazione di Jocker, secondo cui lui è molto simile a Batman. E mi pare anche condivisibile, almeno fino ad un certo punto.

La 25a ora

Lento e lungo. Ridotto a mediometraggio forse non sarebbe male. Colonna sonora piacevole, molto variata, a sottolineare l'ambientazione newyorkese vista dal punto di vista della sua multietnicità. Sono rimasto positivamente impressionato dal fatto che Spike Lee (sua la regia) non abbia giocato la carta della contrapposizione razziale, cosa che ha fatto spesso nei suoi film precedenti e aveva finito per rendermelo insopportabile.

Uno spacciatore di medio livello (Edward Norton) è al suo ultimo giorno di libertà, pizzicato, deve consegnarsi per passare sette anni in galera, che si prospettano infernali. Rivede il suo passato, pensa al suo futuro, prende delle decisioni.

Due le scene meglio riuscite:

Quella dove il protagonista passa cinque minuti allo specchio a mandare metodicamente a fare in culo (quasi) tutta New York e augurare una fine orribile alla città, per poi concludere che in effetti è lui quello che deve andare a fare in culo, e ha tutte le ragioni per andarci.

La scena finale, dove il padre accompagna il figlio in galera, prospettandogli l'alternativa della fuga. Un lungo monologo in cui il genitore si inventa un futuro per il figlio, in modo abbastanza toccante.

La sceneggiatura è stata rimaneggiata per includere il fatto che, dalla scrittura del libro originale alla realizzazione del film, è successo l'11 settembre, ed evidentemente non era possibile girare a New York facendo finta che non fosse successo niente. Le modifiche, in realtà, sono abbastanza superficiali. Si mostra la città senza le torri, sostituite dai fasci luminosi; un amico dello spacciatore che fa il broker (Barry Pepper) ha un appartamento che dà su Ground Zero e questo ci dà modo di vedere il cantiere e di pronunciare qualche riga di copione sull'argomento.

Buoni i contenuti extra del DVD.

Resident evil: Afterlife

Torna alla regia Paul WS Anderson, che già ha diretto il primo episodio e che uno dei principali responsabili di tutta la saga cinematografica. Il che però non giova al film, che viene narrato in modo ancor meno fluido e comprensibile delle due precedenti puntate. In certi momenti mi sembrava di vedere una collezione di clip musicali, piuttosto scorrelati tra loro, oltre tutto.

Crescono in Afterlife i riferimenti a Matrix, e si continuano a citare, più o meno a pera, altri film del genere e no - l'Hitchcock che si saluta per qualche secondo qui è quello di Psycho - il che non aggiunge spessore al film, anzi forse ottiene l'effetto opposto.

La storia è fin troppo densa di avvenimenti. Bastano pochi minuti, giusto all'inizio del film, per distruggere l'intera sede principale della Umbrella a Tokio, tirandosi dietro un bel pezzo della città e, pare, tutti i cloni di Alice (Milla Yovovich) che avevamo visto per un attimo alla fine di Extinction. Poi seguiamo Alice che vola in Alaska dove scopre che l'Arcadia che pensavano fosse lì, non c'è. In compenso trova Claire (Ali Larter). Volano a Los Angeles, tirano dentro nell'azione nuovi personaggi, tra cui il fratello di Claire (Wentworth Miller) e tutti assieme vanno ad eliminare il supercattivo dell'Umbrella. Sorpresa dell'ultimo momento: ci viene fatta una sneaky preview del prossimo episodio: Jill Valentine (Sienna Guillory) di cui non s'è fatta nemmeno menzione in Extinction, e già la davo per estinta, è viva, seppur controllata con artifici malefici dall'Umbrella, evidentemente cattivissima, e pronta ad animare almeno i primi minuti di RE 5.

Resident evil: Extinction

Logico sviluppo dell'episodio precedente della saga, Apocalypse e, come tale, sempre consigliabile solo per fan del videogioco omonimo e/o di Milla Jovovich, che viene clonata ed eliminata svariate volte nel corso dello sviluppo degli eventi.

Una certa atomosfera da Mad Max che si cominciava a percepire nell'episodio precedente qui diventa ben più palpabile, anche grazie alla ambientazione post-catastrofe planetaria che avvolge il film. Si aggiungono, inoltre, i nuovi poteri di Alice (di cui abbiamo avuto un accenno nel finale dell'episodio precedente) fanno pensare agli X-Men. Del resto sono molte e svariate le citazione ad altri film che però mi paiono spesso poco pertinenti, e che hanno il solo risultato di scompigliare ancor di più le carte, come ad esempio il riferiment agli Uccelli di Hitchcock.

Oltre alla gran parte della vita su pianeta, vengono anche eliminati alcuni personaggi che erano sopravvissuti alla serie precedente, si salva la Guilloroy che non ha fatto parte del cast, sostituita da altri personaggi femminili a cui però è data una rilevanza inferiore, tra cui spicca il ruolo interpretato da Ali Larter.

Se il passaggio dal primo al secondo episodio era relativamente curato, si salta dal secondo al terzo a piedi pari, lasciando alcuni anni di iato che vengono raccontati in poche battute, lasciando intendere, piuttosto che spiegare, quello che è successo.

Resident evil: Apocalypse

Facile dare un parere sul secondo episodio della saga di Resident Evil - solo per fan del genere. Più difficile spiegare quale sia il genere, qualcosa del tipo: film tratto da videogioco a tema orrorifico (con zombie) / fantascientifico.

Il titolo sarebbe dovuto essere Nemesis ma sono stati bruciati dall'episodio di Star Trek uscito due anni prima di loro.

Notevole la dotazione del DVD, mi sono divertito di più a guardare il making of che il film. Ci sono anche una serie di commenti al film ma proprio non me la sono sentita di vedermi RE2 più di una volta.

Motivo che ha spinto la produzione a fare RE2 è che RE1 ha fatto incassi notevoli pur essendo costato (relativamente) poco. Per farlo hanno deciso di spendere molto, pensando che questo ne facesse un film migliore. In realtà è venuto fuori un film più noioso.

Evidentemente non ci si può aspettare molto dalla storia, e quindi stendo un pietoso velo. Non male la coppia delle protagoniste Milla Jovovich e Sienna Guillory.

Reign over me

Film scritto diretto e interpretato (in un ruolo minore) da Mike Binder. La storia è quella di un tale (Adam Sandler) che ha perso moglie e figlie l'11 settembre e, a seguire, il ben della ragione. Si parte da alcuni anni più tardi quando un suo vecchio amico (Don Cheadle), dentista con un buon reddito ma con svariati problemi, lo incontra e si mette in testa di recuperarlo alla "normalità".

A complicare il tutto intervengono una paziente (Saffron Burrows) che vuole circuire il dentista, i suoceri del ammattito, che lo vorrebbero più presentabile, una amica psicologa del dentista (Liv Tyler) che gentilmente si rifiuta di fare analisi da strada (letteralmente) allo stesso.

Sembra una trama da film comico, ma in realtà lo sviluppo è più sul lato drammatico. La storia non è male, ma avrebbe meritato una riscrittura. Non è chiaro, ad esempio, il ruolo della Tyler, piccolo ma determinante nell'alchimia della scena. E nemmeno quello della Burrows che, seguendo un percorso imprecisato, passa dal goffo tentativo di sedurre il suo dentista ad una cotta per il suo amico disadattato.

Piccola parte molto ben recitata per Donald Sutherland.

Belle le riprese di New York con la camera che spesso insegue Sandler nel suo vagabondare per la città su di una buffa motoretta.

Buoni i contenuti extra del dvd.

Il buio oltre la siepe

La storia è modellata sull'infanzia di Harper Lee, che aveva scritto un romanzo semiautobiografico, adattato subito dopo per lo schermo. Il tema dell'infanzia, dei rapporti con il mondo degli adulti, dell'importanza del modello comportamentale degli adulti, si mescola a quello del razzismo, allora imperante negli USA, soprattutto in un piccolo paesino del sud, e anche quello del rapporto con la malattia mentale.

Un filmone non semplice, dunque, che si direbbe più adatto ad un pubblico europeo che americano. Eppure risulta uno dei più amati oltreoceano, soprattutto se si parla di gente che abbia già una certa età. Merito certamente della storia originale e della convincente interpretazione di Gregory Peck, nel ruolo del protagonista, Atticus, un avvocato molto alla mano a cui, a quanto dice una vicina, è toccato in sorte il destino di fare un lavoro che è necessario ma nessuno vuol fare.

I tempi sono un troppo lenti, al metro corrente, ma ciò è giustificato sia dall'età della pellicola, mezzo secolo, sia dall'ambientazione, il placido e sonnacchioso midwest.

Il titolo italiano è stato scelto, come spesso accadeva soprattutto in passato e, ahimè, anche ai nostri giorni, a pera. L'originale To kill a mockingbird (uccidere un tordo) è una delle principali chiavi interpretative del film, mentre Il buio oltre la siepe allude a una cupezza e a una chiusura che non ha un gran riflesso sull'opera.

Da notare la presenza di Robert Duvall, al suo primo ruolo significativo sul grande schermo (a dire il vero appare per pochi minuti, e ha il ruolo del demente - che però è quello che permette il lieto fine) e il fatto che, essendo basata sull'infanzia dell'autrice, uno dei caratteri è basato su un noto amico della Lee, Truman Capote. La cosa viene accennata anche in Infamous.

Parnassus

Incogruamente sottotitolato nella versione italiana L'uomo che voleva ingannare il diavolo, mentre il titolo originale sta più sul tema (The Imaginarium of Doctor Parnassus - L'immaginario del dottor Parnaso). In realtà è il diavolo che per tutto il film si fa beffe del povero Parnassus.

Tipico film di Terry Gilliam, che lo ha scritto e diretto, e che quindi potrebbe non essere apprezzato da chi si fa prendere in contropiede dal suo immaginario che è, beh, molto immaginifico.

Il dottor Parnassus (Christopher Plummer - visto a fumetti in Up) ha un migliaio d'anni, da quando il diavolo (Tom Waits a suo agio nella parte) ha finto di perdere una scommessa che gli ha dato l'immortalità (che, come ha potuto scoprire, è una gran lagna). Manca poco al sedicesimo compleanno della figlia di Parnassus che, in quella data, gli dovrà essere consegnata (per un'altra scommessa). I fatti si complicano perché Anton, che lavora con la famigliola Parnassus in un braraccone che offre un viaggio nell'immaginario del dottore, è innamorato della giovinetta, inoltre incappano in Tony (Heath Ledger), un tale che, nonostante sia stato impiccato sotto il ponte dei frati neri, riesce a sopravvivere grazie ad un trucchetto.

La storia sembra già abbastanza complicata così, eppure siamo solo all'inizio. Inoltre è successa pure una catastrofe nel mondo reale, con la morte di Heath Ledger nel corso delle riprese. Per completare il film si è deciso di riscrivere parzialmente la sceneggiatura per rendere accettabile il fatto che Tony si trasformi in Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell.

Forse questo per qualcuno potrebbe essere fin troppo, e non ho parlato dei viaggi nell'immaginario del dottore, che sono a tutti gli effetti viaggi nell'immaginario di Gilliam.

Tutta la vita davanti

Commedia molto godibile, ma dal retrogusto amaro, come è nello stile di Paolo Virzì che l'ha scritta e diretta. Buona la colonna sonora, che accompagna a dovere l'azione.

Protagonista è Isabella Ragonese (premiata con il Biraghi a Venezia - assieme a Luca Argentero, Valentina Lodovini e Andrea Miglio Risi - per questo suo primo ruolo importante; già vista in una particina nel Nuovomondo di Crialese) affiancata da un cast di lusso con Massimo Ghini e Sabrina Ferilli, momentaneamente strappati ai cinepanettoni e che mostrano di essere in grado di reggere personaggi di uno spessore superiore a quelli che purtroppo gli sono normalmente affidati di questi tempi; Valerio Mastandrea sempre bravo; Elio Germano un po' sottotono (meglio rivederlo in Mio fratello è figlio unico; Laura Morante c'è ma non si vede - in quanto voce narrante; Edoardo Gabbriellini in un ruolo minimo.

Oltre alla Ragonese, per questo film sono stati premiati Virzì e la Ferilli (entrambi sia Globo d'oro che Nastro d'argento), molte le candidature che non si sono concretizzate, anche perché è stato un buon anno per la cinematografia italiana, e i David sono stati monopolizzati da Gomorra e Il divo, che hanno lasciato poco spazio per tutti gli altri film.

La Ragonese è una palermitana trapiantata a Roma per ragioni di studio, si laurea 110 e lode in filosofia per scoprire che non c'è nessun lavoro che la attende. Del resto nemmeno il fidanzato, che ha una laurea teoreticamente più facile da spendere sul mercato del lavoro, ha trovato un lavoro decente, e se ne vola negli USA in cerca di maggior fortuna. Lei finisce a lavorare in un call-center che ha lo scopo di tirar fregature alla casalinghe, a cui viene venduto ad un prezzo spropositato un apparecchio praticamente inutile. Ma dato che i soldi del diavolo van tutti in crusca, a guadagnarci non sono le centraliniste, non sono i venditori, e neanche il management dell'azienda (Ferilli caposala e Ghini proprietario) che semplicemente sperperano tutto in idiozie fino al finale tragicomico.

Notazione linguistica: brava la Ragonese a usare la sua cadenza palermitana solo quando va a trovare la madre (Mary Cipolla - brava, particina) per utilizzare invece un italiano più standard quando è a Roma - da contrapporre a Gabbriellini che non si riesce proprio a staccare da una pronuncia marcatamente toscana, neanche a cercare di strappargliela con le tenaglie (vedasi Io sono l'amore).

Dalla storia escono male quasi tutti. Il mondo universitario è rappresentato da una tavolata di vecchi barbogi (d'altronde s'è mai visto un giovane barbogio?) e dall'assoluto disinteresse per i giovani che vengono formati. Il fidanzato non ci pensa due volte a mollare la protagonista per seguire la sua carriera, dicendole solo all'ultimo momento dell'offerta che ha ottenuto. I compagni di corso si trovano lavori approfittando delle parentele (e chi non ha il parente piazzato al posto giusto si attacchi). Il mondo culturale e i sindacati mostrano un interesse distratto, di facciata, ai problemi del mondo reale. Il call center è una sorta di universo parallelo, in cui tutto sembra andare bene (anche se ogni tanto qualcuno scompare nel nulla, se non riesce a portare a casa i risultati attesi) finché i nodi non vengono al pettine e questo paradiso di plastica scoppia come una bolla di sapone.

Nonostante questa catastrofe, che fa male anche solo a pensarlo ma è molto realistica, il finale lascia almeno una speranza, con una tavolata con quattro donne che forse riusciranno a vivere una vita migliore (come non pensare a Speriamo che sia femmina di Monicelli?). La bambina che, richiesta cosa vuol fare da grande, risponde "la filosofa" strappa un ultimo sorriso.

Banlieu 13

Primo film diretto da Pierre Morel, più noto per la fotografia, cha ha curato, tra l'altro, in Danny the dog e The transporter. In anni più recenti ha diretto Io vi troverò e From Paris with love. I titoli citati dovrebbero rendere chiaro che si tratta di persona usa a lavorare con Luc Besson, e infatti sulla copertina del DVD si fa direttamente il nome di Besson, che ha scritto la sceneggiatura, e non quello di Morel.

Regia non memorabile, in effetti. Storia molto americana, come tradizione di Besson, ritmi molto tesi, accompagnati da una colonna sonora appropriata.

Notevoli le scene di parkour (quella disciplina in cui si corre in ambiente urbano, saltando come molle), non per niente un protagonista è proprio David Belle, tra gli inventori del genere. Considerando che l'altro protagonista è Cyril Raffaelli, più noto come stuntman che come attore, ci possiamo immaginare bene come si svilupperà l'azione.

Ambientato nel futuro prossimo (al tempo della produzione, si specifica come data un 2010 che per fortuna non è come viene dipinto), una strana coppia, sbirro e galeotto, che devono compiere una missione apparentemente impossibile: recuperare una sorta di bomba atomica prima che esploda. In mezzo c'è un supercattivo che tiene pure in stato di schiavitù la sorella del galeotto.

C'è un substrato socio-politico appena accennato alla vicenda, infatti si suppone che le banlieu parigine siano diventate una sorta di enclave in cui il potere statale abbia abdicato il controllo, e ci si interroga se questo sia giusto. Ma bisogna fare molta attenzione per accorgersene.

Il labirinto del fauno

Guillermo del Toro lo conoscevo come regista di Mimic, un film, ad essere gentili, scarsotto - dove certi insettazzi, a causa dell'intervento dei soliti scienziati disattenti, finiscono per diventare predatori degli umani, film che ha il suo più grosso punto di interesse nella presenza di Mira Sorvino (meglio nota per La dea dell'amore di Woody Allen) nel ruolo principale e di Giancarlo Giannini che fa quello che schiatta subito perdipiù in modo orribile.

Dati i precedenti, non ero molto ben disposto nei suoi confronti. Ma Il labirinto del fauno è davvero tutt'altra storia. A dire il vero sono due storie, meglio una storia narrata da due punti di vista opposti. Una bambina vive una esperienza tragica, ai tempi del finire della guerra civile spagnola. Si rifugia in un mondo di favole in cui avrà un lieto fine a sorpresa, dopo averne passate di tutti i colori, come ben si addice al genere. Nel mondo reale le cose, ohimé, vanno a finire meno bene.

L'immaginario mostrato nella parte fantastica è decisamente sorprendente e affascinante. Ottima regia, complessivamente buona recitazione, una colonna sonora davvero bella.

Se ho capito bene, dovrebbe essere il film in spagnolo che ha incassato di più in assoluto; di sicuro ha preso una montagna di premi, tra cui tre oscar e, naturalmente, innumerevoli goya.

Curioso che in italiano si sia rispettato il titolo originale spagnolo, El laberinto del fauno, mentre in francese, inglese e tedesco il fauno sia diventato Pan, chissà perché.

Il mattatore

Sceneggiatura evidentemente scritta (anche da Ettore Scola) in funzione di Vittorio Gassman, che già aveva interpretato capolavori come I soliti ignoti e La grande guerra, per la regia di Dino Risi che, dopo aver diretto un capolavoro (lo so che mi sto ripetendo, ma non è colpa mia se in quei tempi felici il cinema italiano sfornava un capolavoro dietro l'altro) come Pane, amore e ... era incappato nella serie dei Poveri ma belli. I due si incontreranno poi per darci film come Il sorpasso, La marcia su Roma, I mostri ... fino a Tolgo il disturbo nel 1990.

Questo è un pelino sotto i lavori migliori della coppia, ma resta una commedia all'italiana estremamente godibile, grazie anche al buon cast che affianca il protegonista indiscusso: Dorian Gray nei panni di una truffatrice figlia d'arte (e meno male che non ha preso dalla madre, ci tiene a specificare); Annamaria Ferrero una ballerina che cerca di portare il mattatore sulla retta via; Peppino De Filippo truffatore con famiglia numerosa a carico, inclusa madre di età indefinibile, cieca e sorda; Mario Carotenuto truffatore di lungo corso; Alberto Bonucci truffatore specializzato nella simulazione di preti (nome d'arte Gloria Patri) eccetera eccetera.

La storia, a dire il vero, è poco più di un pretesto per dare modo a Gassman di fare sfoggio delle sue capacità camaleontiche di attore, ma già questo basterebbe a rendere il film interessante. Gerardo vorrebbe fare l'attore, ma i risultati sono miserevoli. Un amico lo coinvolge in una truffa, in cui dovrebbe fare una particina secondaria ma che scopre poi essere quella del capro espiatorio. Beccato, si fa qualche mese di galera. La prigione gli dà modo di recitare il Giulio Cesare di Shakespeare ai galeotti (contando sul fatto che non possono andarsene) e di conoscere gente del ramo. Uscito, inizia a praticare quel modo diverso di recitare. Segue un elenco di truffe, finché non si trova, praticamente a sua insaputa, sposato. Ma non dura molto, tra matrimonio e vita truffaldina finisce per scegliere la seconda. E il film finisce mentre cerca di far sparire i gioielli della corona inglese.

Sherlock Holmes

Guy Ritchie sembra essersi ripreso dallo shock Madonna ed è tornato a fare il suo mestiere di regista mettendoci un certo impegno.

Mi pare di aver capito che film in questione ha ottenuto commenti negativi da chi si aspettava una interpretazione più aderente al personaggio originale, come creato da Conan Doyle un secolo fa. Pretesa evidentemente peregrina, anche se c'è da dire che la muscolarità dall'azione è sembrata a tratti eccessiva pure a me. Meno effetti speciali avrebbero giovato al film.

Altre critiche sono rivolte al fatto che la storia è un po' balenga ma, a dire il vero, in quanto al rimescolio di temi diversi, oscillanti tra il romance e lo spiritismo, mi è sembrata adeguatamente in linea con le storie originali che, per l'appunto, non si facevano problemi di mescolare tutto il mescolabile.

Piacevole la regia, con alcune trovate che non sono fini a sé stesse e caratterizzano il film. I due protagonisti Robert Downey Jr. (Holmes) e Jude Law (Watson) sono in parte e si bilanciano bene.

Un po' troppo lunghetto. La parte centrale avrebbe potuto, a mio parere, essere alleggerita.

Se non ci si aspetta una edizione critica dell'opera originale, e si ha in mente chi è Ritchie, Downey (Iron Man) e Law, si dovrebbe restare soddisfatti dallo spettacolo.