Torchwood: I figli della Terra

Quando c'è una buona idea, non ci sono ostacoli che tengano. Anzi, gli ostacoli diventano aiuti insperati che spingono a migliorare ancor di più il prodotto. Vedasi il caso della terza stagione di Torchwood. La BBC si era trovata in ristrettezze economiche, e a farne le spese è stata, fra gli altri, anche la produzione di questa serie. Il buon Russell T. Davies si trovò a dover fare i conti con un budget limitato che lo constringeva a dimezzare il numero di puntate. Decise quindi di puntare tutto su un unica storia da distribuire su cinque puntata da un'ora, ognuna rappresentativa di una delle cinque giornate consecutive che vengono raccontate.

Primo giorno

Un misterioso flashback ci mostra alcuni bambini che negli anni sessanta vengono portati in autobus nel mezzo del nulla. Vengono mandati verso una luce accecante, e spariscono nel nulla. Tutti, meno uno. Che scappa.

Ai nostri giorni, Torchwood è alle prese con i soliti problemi. Il Capitano Jack Harkness (John Barrowman) e Ianto (Gareth David-Lloyd) incrociano il loro percorso con un medico che, in seguito alle tragedie del finale di stagione 2, potrebbe essere un nuovo elemento del team. Gwen (Eve Myles) si incarica da sola di parlarci assieme per valutare la candidatura quando un fatto inquietante avviene, che sembra coinvolgere tutti i bambini del mondo. E un adulto, che scopriremo essere proprio il bimbo che era scappato nel prologo.

In seguito alla crisi planetaria risultante, la burocrazia inglese reagisce in modo che sembra assurdo. Un oscuro burocrate, John Frobisher (Peter Capaldi, che già era stato un antico romano l'anno prima per il Doctor Who, e che presto sarà il Dodicesimo Dottore), consulta niente meno che il primo ministro perché si rende conto che l'episodio è originato da un alieno (noto come 456, dalla frequenza che usa per comunicare) con cui hanno avuto a che fare in passato, facendo qualcosa che sarebbe meglio restasse segreto.

Il politico evita di dire alcunché, ma fa in modo che Frobisher prenda una decisione draconiana, eliminare alcune persone, tra cui Jack Harkness. Essendo noto che il Capitano è una pellaccia, si pensa di farlo esplodere con tutto l'Istituto Torchwood.

Secondo giorno

Gwen, che ha appena scoperto di essere incinta, e Ianto si salvano dal botto. Capiscono che non si possono fidare di nessuno, e riescono fortunosamente a scappare. Gwen cerca di scoprire di più della trama, e punta verso Londra, da dove è evidentemente venuto l'ordine di eliminare Jack. Ianto conta invece sulle improbabili capacità di ripresa del Capitano e segue la pista che lo porta ai suoi resti.
Entrambe le strade portano a Jack, che viene "rubato" e torna in attività.

Terzo giorno

Ianto, prima di passare a Torchwood 3, lavorava per il Torchwood 1 di Londra. Ha quindi ancora qualche aggancio, e porta il team in un hangar abbandonato di proprietà dell'istituto, e quindi relativamente sicuro. Il terzetto riesce a guadagnare un alleato interno al governo inglese, Lois Habiba (Cush Jumbo), una segretaria neoassunta di Frobisher, che fa da talpa fornendo loro informazioni di prima mano.
L'episodio finisce con la drammatica rivelazione che il Capitano è stato colui che ha materialmente portato i bambini verso 456 quarant'anni prima (già perché questo è quello che era successo).

Quarto giorno

Jack spiega quello che sa, e scopriamo che 456 vuole bimbi umani per scopi suoi. La prima volta si è "accontentato" di una dozzina, ma questa volta ne vuole il 10% dell'intera popolazione. Dopo rapida consultazione, i governi del mondo decidono di cedere. Resta solo Torchwood ad opporsi. Jack e Ianto, sfruttando l'effetto sorpresa e l'appoggio interno di Lois, tentano una azione di forza, che si conclude catastroficamente.

Quinto giorno

Tutto sembra perso. L'unico che sembra riuscire ad uscirne bene è il primo ministro inglese, che sembra avere un piano per scaricare su un qualche capro espiatorio ogni possibile guaio. Lo stesso Frobisher scopre che ha finito la sua funzione, e gli resta solo il ruolo dell'agnello sacrificale. C'è però una possibile via di uscita, con Jack che dovrà compiere un ennesimo terribile sacrificio per salvare la partita.

Alex Cross - La memoria del killer

Deve essere uno di quei film nati in uno studio di produzione, con un tale che dice ad un collega che sta leggendo il nuovo libro della serie di Alex Cross (scritto da James Patterson) e gli chiede come mai nessuno ne ha fatto un franchise per il cinema. L'altro gli avrà ricordato che ci hanno provato, nel 2001, con Morgan Freeman nella parte del poliziotto-psicologo (Nella morsa del ragno), ma il risultato al botteghino ha raffreddato gli entusiasmi.

La carenza di idee alternative deve aver comunque fatto sì che la lezione di un decennio fa sia stata accantonata, e si sia deciso per un reboot della serie. Anche se suona strano fare il reboot di una serie che è consistita in un solo capitolo. In ogni caso, si è preso il dodicesimo capitolo della saga, e lo si è massacrato senza pietà per rifondare la storia di Cross. Il risultato è così deplorevole, sia artisticamente che commercialmente, che non credo vedremo mai un seguito.

Il titolo italiano ha lo scopo di richiamare il titolo del romanzo da cui è tratta la sceneggiatura. Oltre ad essere fatica sprecata, data la rivoluzione nella trama operata dai perfidi sceneggiatori, risulta essere una fonte di perplessità per lo spettatore, visto che del killer (Matthew Fox) non sappiamo praticamente nulla, nemmeno il nome. Al punto che viene identificato con il soprannome, Picasso, che gli viene affibbiato da Alex Cross (Tyler Perry), che nel film è un profiler della polizia di Detroit che gli sta alle calcagna, per la mania di lasciare disegni al carboncino che a volte sono in stile cubista.

La sceneggiatura è così pasticciata che per qualche tempo ho pensato avesse una impostazione cripto-gay e la regia (Rob Cohen) non fosse riuscita a renderne la sottigliezza, ma con il passare del tempo ho finito col propendere per pensare che quegli sciagurati credessero di fare un film molto macho (dopotutto il regista è quello di Fast and Furious e xXx) e la inesplicitata gayezza sia un risultato indesiderato causato dalla incapacità del team creativo.

In questa versione, Cross è una specie di Sherlock Holmes dalle prodigiose capacità deduttive che è sulle tracce di un killer psicopatico che sembra avercela a morte (è proprio il caso di dirlo) con una azienda capitanata da europei (tratteggiati come infidi) che vogliono investire pesantemente su Detroit. A capo c'è un francese (il povero Jean Reno costretto ad un ennesimo sconsolante ruolo) che, pur sembrando essere il bersaglio numero uno del killer, non sembra né particolarmente preoccupato né interessato a collaborare col poliziotto. C'è evidentemente del marcio in Danimarca, ma il buon Cross non doveva essere al suo meglio in quei giorni, e ci metterà parecchio per capire come stanno davvero le cose.

Alcuni minuti dell'indagine non sono neanche male, ma una sceneggiatura inqualificabile, e una regia che troppo spesso delega alla instabilità della camera a mano la responsabilità di dirci che c'è tensione e confusione in azione, finiscono per ammazzare anche la storia.

Tutti a Hollywood coi Muppet

Al cinema era uscito come Ecco il film dei Muppet, più vicino al titolo originale The Muppet movie. Perché mai la distribuzione in DVD abbia deciso di cambiar titolo è un problema la cui soluzione viene lasciata per esercizio al lettore del post.

Trattasi del primo lungometraggio dedicato ai Muppet, quelli del Muppet show, Kermit la rana, Miss Piggy eccetera. Fortunata serie che ha recentemente avuto un reboot con relativo sequel uscito proprio quest'anno.

Si narra di come si sia formato il gruppo del Muppet show, e come questa squinternata accozzaglia di buffi personaggi sia riuscita a strappare un contratto che gli ha permesso di fare lo show (e il film stesso).

Tutto cominciò con Kermit, rana di palude che si contentava di suonare il suo banjo. Il fortunoso incontro con un agente di attori hollywoodiani lo spinge a recarsi nella città del cinema per partecipare ad un provino per rane. Inforca la sua bici (Kermit in bicicletta è semplicemente spassoso) e parte per la fortuna. Il viaggio si interrompe subito, ma riprende grazie al provvidenziale incontro con l'orso Fozzie, già ai tempi pessimo stand-up comedian, che lo accompagna sulla sua auto (una Studebaker lasciatagli dallo zio prima di ibernarsi). A complicare il viaggio ci pensa Doc Hopper (Charles Durning), una specie di Mac Donald delle rane fritte, che vorrebbe convincere l'orripilato Kermit a fargli da testimonial.

Ne capitano un po' di tutti i colori, ma alla fine riescono a raggiungere l'ufficio del magnate del cinema Lew Lord (niente meno che Orson Welles) che come vede Kermit e la sua banda fa firmare loro un succulento contratto. Comincia dunque la produzione del film che abbiamo appena visto (e che i Muppet stessi stanno vedendo nella prima proiezione privata) che si risolve con una felice catastrofe muppettiana.

Il target di riferimento è molto giovane, chi ha qualche annetto di più dovrà portare un po' di pazienza in certe scene. Anche perché il terzo di secolo che è passato a volte ha il suo peso.

Di gran livello gli attori "reali" che supportano i Muppet. Oltre ai sopra citati Welles e Durning abbiamo anche

Austin Pendleton: tirapiedi di Doc Hopper, in realtà parteggia per Kermit
James Coburn: proprietario di El Sleezo Cafe, il localaccio dove lavora Fozzie
Madeline Kahn, Carol Kane, Telly Savalas: clienti di El Sleezo
Elliott Gould: presenta un concorso di bellezza, vinto da Miss Piggy, ad una fiera di paese
Richard Pryor e Bob Hope: vende palloncini e gelati alla fiera
Steve Martin: cameriere (ben poco affabile) che serve Kermit e Piggy durante la loro prima cena
Mel Brooks: scienziato pazzo tedesco, pagato da Doc Hopper per ridurre il cervello di Kermit in guacamole
Cloris Leachman: segretaria di Lew Lord

Torchwood - Stagione 2 Finale

Ottimo finale di stagione, anche se molto drammatico. Sappiamo che il capitano Jack Harkness (John Barrowman) non può morire, e dunque possiamo stare tranquilli per lui (anche se conviene non essere troppo sicuri). Però i suoi colleghi non hanno questo bonus, e ce n'è uno, Owen (Burn Gorman) che è letteralmente più morto che vivo.

Questa puntata doppia termina degnamente una stagione di buon livello, arrivando a spiegare aspetti che mi avevano lasciato dubbi, non solo nella stagione corrente, ma anche nella prima.

Le sceneggiature sono di Chris Chibnall, collaboratore ricorrente in queste due serie (per un totale di otto puntate scritte da lui), che però non continuerà la collaborazione con Torchwood. In compenso ci sono cinque sue sceneggiature nel Doctor Who, ultima delle quali, almeno ad oggi, è La potenza di tre del 2012.

Anche in queste due puntate ho apprezzato l'ottimo commento musicale scritto da Murray Gold, collaboratore fisso per Torchwood come per Doctor Who.

12) Fragments - Frammenti

Trattasi in pratica dello spiegone di due annate di Torchwood. Di solito gli spiegoni sono di una noiosità indicibile, e fanno venir voglia di ricorrere al fast-forward (nel caso di visione in DVD) o di approfittarne per fare altro. Qui sono rimasto incollato allo schermo dal primo all'ultimo minuto (OK, c'è qualche minuto di fiacchezza qua e là, ma poca roba), e quando è partita la sigla finale mi sono chiesto come mai la puntata fosse stata così corta. Che invece ha la solita durata standard di poco meno di un'ora.

Ogni torchwoodiano (tranne Gwen) ha modo di rivivere in un flashback la propria affiliazione all'istituto. Il motivo che ci dà questa opportunità è una trappola in cui tutta Torchwood cade bellamente (tranne Gwen, che dormiva). Come si suol dire, la vita passa davanti ai loro occhi.

Vediamo così il Capitano, reclutato a forza da Torchwood sul finire dell'800, che viene convinto a diventare un buon elemento del team dalla rivelazione (per mezzo della letture delle carte per mezzo di una inquietante bimba che, in modo ancor più inquietante, abbiamo già visto in precedenza, ai nostri giorni, stessa apparenza, stessi poteri, nell'episodio La mietitrice di anime) che riuscirà ad incontrare il Dottore solo dopo un secolo. In occasione del capodanno del 2000, Jack vedrà il suo intero team annichilito, e cercherà di formarne uno nuovo.

Tosh, già nerdissima come la conosciamo noi, viene salvata da Jack dalle grinfie di UNIT, che l'aveva rinchiusa in una specie di Guantanamo perché aveva rubato un progetto segreto di una specie di cacciavite sonico whoviano e riuscito a costruire da esso un prototipo funzionante per conto di personaggi a noi ignoti, che per costringerla a tutto ciò avevano rapito sua madre.

Scopriamo anche come Ianto sia riuscito a farsi assumere in Torchwood, vincendo le resistenze di Jack, riuscendo a catturare il pterodattilo che ora è la bizzarra mascotte del gruppo. I motivi di Ianto già li conosciamo, voleva cercare di salvare la sua fidanzata, vedi episodio La donna cibernetica.

Ci viene spiegato perché Owen fosse così cinico e incapace di amare. La donna che amava è infatti morta in modo estremamente drammatico, lasciandolo come svuotato.

Fortuna vuole che nessuno del gruppo muoia, a parte Jack, ma lui ci è abituato. Il Capitano riceve una comunicazione dall'altro Capitano, John Hart (James Marsters), che si dichiara colpevole dell'attacco, e dice che è solo l'inizio di qualcosa di terribile.

13) Exit wounds - La fine e il principio

Il titolo originale spiega quanto dolorosa e sanguinosa sia questa puntata. Un exit wound è infatti la ferita che un'arma lascia nel corpo dopo averlo trapassato. E qui ce ne sono svariate di queste ferite.

Mentre Cardiff ne subisce di tutti i colori, i due Capitani fanno un balzo indietro nel tempo di un paio di millenni, dove Jack incontra suo fratello Gray, che scopriamo essere il regista del diabolico piano.

Gray combatte su due fronti, da una parte i due Capitani che fan comunella, dall'altro il resto di Torchwood che si dà da fare per arginare i flagelli in città. Alla fine Gray verrà sconfitto, ma la sua uscita di scena lascerà molte ferite.

Torchwood - Stagione 2 (10 e 11)

Coppia di episodi che mi sono sembrati sottotono rispetto al livello complessivo, piuttosto alto della stagione. In particolare il primo m'è sembrato il meno soddisfacente. Sarà che è stato messo il silenziatore al registro comico, probabilmente per non dare una connotazione parodistica alla serie, dopo il precedente Un matrimonio memorabile che ha fatto ampio uso di quell'approccio.

10) From out of the rain - Intrappolati in un film

Un tema spesso esplorato dal genere horror è quello del ritorno di "cattivi" che, per logica, sarebbero dovuti essere morti e sepolti, usando un mezzo altamente improbabile. In questo caso si tratta di una compagnia di artisti di strada, categoria uccisa dall'avvento del cinema, che gli ha rapidamente portato via tutto il pubblico. I nostri "cattivi" erano già poco raccomandabili ai tempi (si parla dell'inizio del secolo scorso), e la lunga inattività non ha certo migliorato il loro umore.

Ironia della sorte, quel che resta di loro sono solo immagini sulla celluloide, e riescono a tornare nel nostro mondo solo quando quei vecchi filmati vengono nuovamente proiettati.

Incidentalmente, scopriamo che il Capitano (John Barrowman) era in turnee con una compagnia paragonabile proprio in quei tempi, mentre stava lavorando ad un missione di cui non ci viene detto molto.

Il finale è aperto. La compagnia viene bloccata, ma con gravi perdite tra i cittadini di Cardiff.

11) Adrift - Alla deriva

Gwen (Eve Myles) viene convinta da un suo ex collega ad occuparsi di un caso che non sembra molto torchwoodiano, la scomparsa di un ragazzino. Il tono dell'episodio è sul patetico (nel senso buono del termine), mostrando il dolore della madre che non sa più nulla di suo figlio.

L'indagine di Gwen, contrastata da Jack per motivi che diventeranno chiari solo nel finale, porta a scoprire che si trattava effettivamente di pane per Torchwood. Infatti il ragazzino è stato sbalzato in un paradosso spazio-temporale e ne è riemerso in quello che a noi sembrano solo pochi mesi mentre per lui sono stati anni. Così tanti anni che viene interpretato da Robert Pugh. E le esperienze che ha fatto in quel periodo sono così drammatiche che Pugh si è dovuto sottoporre ad un pesante trucco.

La dea del successo

Credo che il titolo italiano sia una astuta (e lo scrivo in senso ironico) idea della nostra distribuzione per cercare di attirare per assonanza il pubblico che pochi anni prima aveva gradito La dea dell'amore di Woody Allen. In realtà per paragonare i due film bisogna arrampicarsi sugli specchi, e non si fa per niente un buon servizio al lavoro di Albert Brooks, che lo ha (co-)scritto, diretto, e interpretato. In originale è un più sobrio The muse.

Si narra di un sceneggiatore hollywoodiano (Brooks) di medio successo che scopre improvvisamente di essere stato messo da parte dallo studio che lo aveva sotto contratto. Il suo problema è che l'ispirazione se ne è andata. O meglio, visto che non sembra che i suoi precedenti lavori fossero particolarmente ispirati, che il vento è cambiato e la produzione vuole storie diverse da quelle che lui scrive.

Il suo tenore di vita piuttosto spendaccioso e la sua incapacità anche di semplicemente pensare a cambiar lavoro, lo spingono a cercare una via veloce per tornare produttivo. La moglie (Andie MacDowell) lo consiglia di chiedere aiuto ad un suo amico (Jeff Bridges), anche lui sceneggiatore. Costui gli rivela il segreto del suo successo senza soste, conosce una musa (Sharon Stone). Una vera musa, a suo dire, e basta ingraziarsela e ronzarle attorno per avere idee a getto continuo. Vero che a frequentare Sharon Stone idee ne verrebbero a chiunque, ma si intende idee per sceneggiature di film per un ampia platea.

Forse un po' di colpa va al doppiaggio, che diluisce quello che dovrebbe essere il piatto forte del film, ovvero la recitazione di Brooks, ma credo che anche in originale spesso le battute non colpiscano il bersaglio. Mi verrebbe da dire che la sceneggiatura manca di ispirazione (ah ah).

L'interesse principale del film direi siano le comparsate che importanti amici di Brooks hanno fatto nei panni di loro stessi. Rob Reiner, Martin Scorsese, James Cameron i principali.

Penso che la morale della storia sia che a Hollywood cercano così disperatamente di restare sulla cresta dell'onda che potrebbero persino credere alla mitologia greca, se questo dà loro una speranza. Tema simile era stato affrontato, ad esempio, da I protagonisti di Robert Altman, con un risultato di gran lunga migliore.

Torchwood - Stagione 2 (8 e 9)

Avevo qualche perplessità sulla prima stagione di Torchwood. La seconda me le ha risolte. Questi due episodi direi marcano il raggiungimento della maturità della serie. Non sono perfetti, ma hanno un loro ritmo particolare. Mi sembra che l'idea della produzione, fare una specie di Doctor Who rivolto ad un pubblico più adulto, si sia concretizzata. Sceneggiatori e registi, sotto l'occhio d'aquila dei produttori, fanno ampio uso di tutti i colori disponibili sulla tavolozza, dal tragico al comico, toccando temi che il Dottore può solo accennare, visto che è pensato per poter essere visto da un pubblico di tutte le età.

8) A day in the death - Tra la vita e la morte

Il titolo originale dovrebbe essere una citazione di A day in the life, una tra le canzoni più note (e belle) dei Beatles, che viene trasformata in Un giorno nella morte visto che si narra una giornata di Torchwood seguendo la prospettiva di Owen (Burn Gorman) che è una specie di zombie (vedasi i due capitoli precedenti per dettagli).

L'inizio sembra una variazione di Non buttiamoci giù, romanzo di Nick Hornby (in originale, A long way down) recentemente trasformato in film, che non ho ancora visto, e che ai tempi, quando l'ho letto, pensavo non fosse possibile rendere sulla pellicola. E i commenti che ho letto mi sembra mi diano ragione. Insomma, Owen è sul tetto di un palazzotto assieme ad una sconosciuta (Christine Bottomley), entrambi sembrano volersi buttar giù e si raccontano le rispettive storie.

Owen spiega come la vita di un morto (!) sia decisamente difficile, e come abbia cercato di suicidarsi buttandosi a mare, inutilmente, visto che non ha bisogno di respirare. Il suo essere morto, però, gli ha permesso di candidarsi per una missione impossibile, riuscendo a raggiungere un milionario (Richard Briers) che colleziona oggetti di origine aliena, uno dei quali sembra sia pericolosissimo.

Con gran dolore, Owen scopre che essere morto gli impedisce anche di fare respirazioni bocca a bocca (i suoi polmoni non funzionano più), e questo non gli permette di usare le sue conoscenze mediche per salvare un uomo. D'altro canto, si accorge anche che può fare ancora molte cose, come ad esempio, salire sul tetto di un palazzo non per suicidarsi (come ci aveva lasciato credere) ma per offrire un barlume di speranza a chi si voleva suicidare.

9) Something borrowed - Un matrimonio memorabile

Il titolo originale è un riferimento alla tradizione che vuole che la sposa abbia durante la cerimonia qualcosa ottenuto in prestito. Il matrimonio è quello di Gwen (Eve Myles) con Ryhs (Kai Owen). Il prestito è nientemeno che un feto alieno che Gwen si ritrova in ventre.

Il tema poteva essere affrontato seguendo la falsariga di Alien, si è scelto invece un approccio più da commedia. Gwen viene fecondata la sera prima del matrimonio da un morso del padre, che viene subito eliminato. La mattina dopo Gwen sembra al nono mese, con gran confusione di tutti. Il processo riproduttivo di questa strana razza di alieni prevede che la madre biologica intervenga al momento opportuno uccidendo la portatrice del suo bimbo nel dargli la luce.

Ovviamente Torchwood non può permetterle di completare la sua missione, ma non sarà una cosa semplice, perché un'altra caratteristica di costoro è quella di cambiare apparenza a piacimento.

Sullo sfondo, abbiamo la conferma che tra Gwen e il Capitano (John Barrowman) c'è ben più di una semplice amicizia tra colleghi, ma Gwen preferisce la sicurezza che le dà Ryhs all'avventurosità che la affascina in Jack. E scopriamo che Jack Harkness è stato sposato, e custodisce in una vecchia scatola alcune foto del suo matrimonio, che dovrebbe risalire ad alcuni decenni prima. Ci deve essere qualcosa di tragico dietro.

Torchwood - Stagione 2 (6 e 7)

Una coppia di episodi in cui si noti quanto importante sia la mano di Russell T. Davies, ufficialmente "solo" creatore e tra i produttori della serie, ma che evidentemente ha messo le sue zampe anche nelle sceneggiature, almeno per dare un indirizzo di massima agli sceneggiatori. Infatti il primo finisce brutalmente, lasciandoci in sospeso sul destino di uno dei protagonisti, Owen (Burn Gorman), e il secondo completa il racconto. Eppure il credito per la scrittura va ai soli J.C. Wilsher (sesta puntata) e Matt Jones (settima).

6) Reset

Una serie di misteriose morti nei dintorni di Cardiff attira l'attenzione non solo di Torchwood ma anche di UNIT, quella specie di organizzazione planetaria che si occupa di problemi legati agli alieni con cui spesso ha a che fare anche il Dottore in Doctor Who. Ai torchwoodiani si aggiunge quindi niente meno che Martha Jones (Freema Agyeman), già compagna di viaggio del Dottore, da cui si è staccata stremata dalla (apparente) mancanza di attenzioni di lui nei suoi confronti.

Si scopre rapidamente che si tratta di una macchinazione ordita dallo scienziato (relativamente) pazzo Aaron Copley (Alan Dale) per coprire le numerose morti di cavie umane su cui sta sperimentando una prodigiosa cura basata sull'utilizzo di una specie di zanzarone aliene.

In un certo senso, questo episodio si lega bene al precedente episodio Meat, nel senso che gli umani, anche questa volta, cercano di sfruttare esseri alieni senza badare minimamente alle sofferenze a cui li sottopongono.

Continua il ravvedimento di Owen, che accetta perfino l'idea di uscire una sera con Tosh, però nel finale di puntata sembra addirittura che debba uscire di scena.

Musicalmente, è una puntata molto post-Blur, visto che si sentono due brani, Feel Good Inc. di Gorillaz, e Freakin' out di Graham Coxon.

7) Dead man walking - La mietitrice di anime

Nulla a che vedere col film del '95 con Susan Sarandon e Sean Penn, Condannato a morte. Qui il titolo inglese va interpretato alla lettera. Owen, infatti, si trasforma davvero in un morto che cammina. Nel finale di Reset, infatti, viene ucciso, ma il Capitano (John Barrowman) non si rassegna. Si rivolge ad una misteriosa bimba lettrice di tarocchi che lo manda (malvolentieri) in una chiesa sconsacrata, dove si trova un guanto da cavaliere medioevale simile a quello usato da Suzie (la torchwoodiana che ha lasciato il team proprio all'inizio della prima puntata della prima stagione), e con esso resuscita brevemente Owen.

Curioso effetto collaterale, Owen resta apparentemente in vita, ma senza alcuna funzione corporea funzionante. Questo innesca un tentativo di una misteriosa entità (chiamiamola La Morte) di entrare nel nostro mondo per far sfracelli. Sembra che nulla la possa fermare, ci riuscirà però l'unico che non ha da temerla, perché è già stato una sua vittima.

Il buon Owen, che finalmente diventa un personaggio per il quale si può anche provare compassione, riesce a sopravvivere (se così si può dire) all'avventura, ma resta nella sua bizzarra condizione di quasi zombie.

Torchwood - Stagione 2 (4 e 5)

Due buoni capitoli scritti con la stessa penna (quella di Catherine Tregenna). Il primo opera un cambiamento di prospettiva, chiedendosi cosa potrebbero mai pensare gli alieni che capitano per sbaglio sulla Terra di Torchwood. Il secondo sembra quasi una meditazione sul tema della memoria, su quanto questa sia delicata e ci determini per quello che siamo.

4) Meat - Carne

In questo episodio Ryhs (Kai Owen) ha finalmente qualche spazio. In genere appare per brevissimo tempo, giusto il tempo di protestare per le continue assenze di Gwen (Eve Myles). Questa volta ha modo di raccontarci qualcosa del suo lavoro (ha una piccola impresa di trasporti) e di partecipare a tutti gli effetti ad una operazione di Torchwood. Capita infatti che un suo mezzo venga usato da alcuni tipacci per trasportare carne sospetta al mattatoio locale, bypassando tutti i controlli del caso. Una serie di equivoci, dovuti principalmente al fatto che Gwen non gli abbia mai rivelato nulla del suo lavoro, rischiano di rompere il precario equilibrio tra i due. Fortunatamente tutto si risolve per il meglio.

Per tutti tranne che per l'alieno, una specie di balena terricola che cresce incessantemente, e che viene affettata viva (!) dai malfattori.

Tra i temi secondari, notiamo che Owen (Burn Gorman) continua il suo percorso di superamento del suo originario cinismo. Questa volta manifesterà compassione per l'alieno.

5) Adam

Come da titolo, al centro dell'azione c'è Adam (Bryan Dick), un alieno che vive cibandosi delle memorie altrui, in cui entra, le modifica, le adatta per farle diventare anche sue. Da bravo parassita, toglie qualcosa ai suoi ospiti, a cui però dà in cambio qualcos'altro.

Ci si chiede se è meglio avere delle memorie distorte, ma migliori, o sacrificarne una parte per mantenere la loro autenticità.

Tale dubbio colpisce duramente il Capitano (John Barrowman), visto che Adam gli permette di ricordare il suo lontano passato, un secolo e mezzo prima, quando un attacco di nemici della sua specie (ci viene definitivamente chiarito che è alieno, e viene dal futuro - inghippi dei viaggi nel tempo) hanno causato la morte del padre e la misteriosa scomparsa di Gray, suo fratello (In Kiss kiss, bang bang l'altro Capitano ci ha detto che Gray è ancora vivo).

Tra le bizzarrie causate da Adam con la sua intromissione nella memoria dei torchwoodiani, abbiamo che Tosh (Naoko Mori) è molto più spigliata, Owen è molto più nerd, e ama appassionatamente (non ricambiato) Tosh, e Gwen si dimentica completamente di Ryhs.

Una scena di sesso, per una volta etero, tra Tosh e Adam è sottolineata dalla musica di Tricky, Christiansands in particolare.

Parenti serpenti

Trattasi di film natalizio anomalo, un po' come Babbo Bastardo di Zwigoff. Questa è però una storia corale, e il vetriolo che Mario Monicelli usa con abbondanza nel narrarla è tale da far sembrare anche il film Zwigoff sdolcinato. Qui, infatti, non si salva nessuno, e di lieto nel finale c'è davvero poco.

La storia è di un autore esterno alla cerchia solita di Monicelli, Carmine Amoroso. Questa è la sua prima sceneggiatura che viene trasformata in film, nel 2006 scriverà e dirigerà Cover boy, dramma che mescola tematiche relative all'omosessualità, immigrazione, precarietà del lavoro, ottenendo un risultato apprezzato a livello di critica ma che ha ottenuto pochi spazi distributivi. Qui, invece, gli interventi sulla sceneggiatura di Suso Cecchi D'Amico, Piero De Bernardi e dello stesso Mario Monicelli bilanciano bene gli aspetti più drammatici alla commedia, lasciando allo spettatore la scelta di come leggere la storia. Da notare anche come Monicelli riesca a dare abbastanza spazio a tutti senza sforare i tempi classici del cinema, così che, sia pure con pochi minuti a disposizione, ogni personaggio ha la sua caratterizzazione adeguata. Peccato solo per gli scarsi soldi a disposizione della produzione, qualche milioncino in più avrebbe permesso di rifinire meglio il prodotto, che dà invece l'impressione di essere un po' tirato via.

Si narra di una famiglia originaria dell'Abruzzo. I quattro figli tornano dagli anziani genitori per le feste di fine anno, compiendo tutta la serie di rituali connessi col periodo. L'annuncio della madre che i due intendono trasferirsi da uno dei loro figli, scatena la lotta fratricida che esplicita tutta la serie di tensioni che lo spettatore più attento ha già percepito nella prima parte.

Al centro della famiglia c'è Trieste (Pia Velsi), dispotica e ben poco simpatetica, la vediamo subito comandare a bacchetta il marito. Questi (Paolo Panelli, ultimo suo film per il grande schermo) è un carabiniere in congedo, succube della moglie, sta scivolando in una gentile demenza senile. Probabilmente ha usato la scusa del suo lavoro per star più possibile lontano da casa, lasciando i figli senza un riferimento che bilanciasse quello materno.

Lina (Marina Confalone, recentemente in Amiche da morire) è perennemente sull'orlo di una crisi di nervi, tormentata da malanni di evidente origine psicosomatica, è la figlia che è rimasta più vicina a casa, non solo geograficamente vien da pensare in quanto duplica il comportamento materno nella sua famiglia. Ha sposato Michele (Tommaso Bianco), succube di sua moglie quanto il suocero di sua suocera, la sua valvola di sfogo sono evidentemente le donne. Direi che la moglie sa, ma non ci dà nemmeno peso. Hanno un figlio, Mauro, povera anima, che viene scelta da Monicelli come voce narrante, credo con lo scopo di prendere contemporaneamente un elemento interno alla storia ma che sia anche completamente estraneo alle meccaniche distruttive che seguiamo.

Milena (Monica Scattini) è la figlia bella. Evidente sin da subito la competizione con Lina, smussata dal suo gran dolore per non essere riuscita ad avere figli. Ha sposato Filippo (Renato Cecchetto) di cui non sembra essere molto innamorata, anche perché lui non è che sembri molto sveglio. Però gli ha dato una certa agiatezza, e la possibilità di allontanarsi dalla famiglia.

Alessandro (Eugenio Masciari) ha scelto di seguire il percorso paterno. Non che abbia firmato per la Benemerita, ma ha deciso di chiudersi in un mondo tutto suo, rinunciando alla realtà. Direi che si è sposato solo perché "si fa così" ma non mi sorprenderebbe scoprire che nemmeno la figlia, per la quale del resto non sembra mostrare un gran interesse, non sia sua. Ha sposato Gina (Cinzia Leone) che, al contrario, è un vulcano di sensualità che evidentemente sfoga altrove.

Alfredo (Alessandro Haber) non ha rinunciato al sesso come il fratello, ma l'invadenza materna e l'assenza paterna lo hanno confuso, e ha finito per scegliere l'omosessualità. Peccato ovviamente inconfessabile alla famiglia, per cui se ne è allontanato e finisce per dichiararsi solo per evitare che i fratelli usino il suo non essere sposato per rifilargli i genitori.

Sullo sfondo, l'asfissiante vacuezza della provincia italiana, dominata dalla ripetizione di modelli antiquati nei quali non sembra che ormai nessuno più si riconosca, ma dai quali non ci si può distanziare per paura del giudizio degli altri.

Sui titoli di coda Vivere di Bixio, nella bella versione di Enzo Jannacci che la stravolge (e gioiosamente massacra).

Torchwood - Stagione 2: 3 Fino all'ultimo uomo

Il titolo originale, To the last man, arriva direttamente da un tristemente noto ordine di Douglas Haig, che era in pratica l'omologo di Luigi Cadorna per gli inglesi che combattevano in Francia nella prima guerra mondiale. "Every position must be held to the last man: there must be no retirement. With our backs to the wall and believing in the justice of our cause each one of us must fight on to the end."

La ritirata non poteva essere nemmeno presa in considerazione, ogni posizione doveva essere tenuta fino alla morte dell'ultimo soldato.

Figlia di un teoria militare ottocentesca, non teneva conto di quanto le tecnologie belliche fossero cambiate nel frattempo, e praticamente condannava ad una morte insensata un numero spropositato di uomini. Vedasi un paio di film, Orizzonti di gloria di Kubrick e Uomini contro di Rosi, per maggiori dettagli sull'immane livello di idiozia dimostrato dai vertici militari in quel massacro.

La sceneggiatura di Helen Raynor, che a tutt'oggi ha scritto un totale di sei episodi tra Doctor Who e Torchwood, racconta la storia di un soldato, Tommy (Anthony Lewis), che si trova suo malgrado a dover salvare l'intero mondo.

Nel 1918, Tommy è in un ospedale di Cardiff, ivi ricoverato per riprendersi dagli effetti di un trauma da bombardamento. Ai tempi non era ben chiaro come mai un soldato, per quanto coraggioso, se si trovava per sufficiente tempo sotto una pioggia di bombe, diventasse improvvisamente incapace di pensare ad altro se non allo scappare il più lontano possibile. La reazione veniva bollata come codardia, reato punibile in tempo di guerra con la fucilazione.

Una bizzarra distorsione temporale fa sì che Tommy si trovi in una situazione assurda. Fortuna (?) che Torchwood era già attiva ai tempi, e così vediamo il team del tempo, prendersi cura di Tommy, che scopriamo poi essere stato ibernato (!) in attesa del momento giusto di farlo tornare in azione.

Ci viene detto così che Tommy viene "scongelato" un giorno ogni anno, sottoposto a controlli e poi nuovamente "surgelato". Capita però che Tosh (Naoko Mori), a tutti gli effetti coprotagonista di questo episodio, mentre al resto del team resta solo da far da supporto a lei e Tommy, si innamora del soldatino, con il quale ha una breve (ma lunga, visto che hanno solo ventiquattrore all'anno a disposizione) e straziante storia. Altro paradosso è che Tommy è contemporaneamente più giovane ed estremamente più vecchio di lei.

La complicata situazione viene risolta grazie ad un misterioso macchinario torchwoodiano che permette di "saldare" lo scollamento spazio-temporale, ma soprattutto grazie al sacrificio di Tommy che però resterà ignoto a tutti, se non a Torchwood.

Da notare anche che un paio di battute di Owen (Burn Gorman) mostrano come la tragedia che gli sia capitata nel finale di prima stagione, gli abbia portato in dono una maturazione che gli permette (finalmente!) di provare simpatia e compassione per Tosh.

Torchwood - Stagione 2 (1 e 2)

In questi due primi episodi si nota un deciso cambio di marcia rispetto la prima stagione. Se ne giova in particolare Ianto (Gareth David-Lloyd) il cui carattere diventa meno tormentato e, per dirla tutta, lagnoso, per guadagnarne in prontezza di spirito, dato che gli vengono assegnate divertenti battute che lo rendono molto più simpatico.

1) Kiss kiss, bang bang - Il ritorno

Poco a che vedere con il film di Shane Black con Downey Jr. e Val Kilmer, se non la presenza di baci, spari, e un bizzarro senso dell'umorismo. Molto noioso, invece, il titolo italiano.

Scena iniziale. Cardiff di notte. In una strada vuota, una tremolante vecchietta si avvicina ad un semaforo pedonale, pigia il tasto e aspetta che diventi verde. Arriva a gran velocità un'auto con l'autoradio a palla. Si ferma, e il conducente, un pesce palla antropomorfo, fa cenno alla vecchina di attraversare. Ella, per quanto stupita, attraversa, e rimane a guardare il simil-pesce ripartire verso l'ignoto.
Subito dopo arriva il SUV di Torchwood, e Gwen (Eve Myles) chiede alla passante se per caso ha visto un pesce palla al volante di un'auto sportiva. Lei indica dove la vettura è andata, segue con gli occhi i nostri che se ne vanno e poi mormora "Bloody Torchwood!".

E questo è solo l'inizio.

Ricordiamo che alla fine della Stagione 1 il capitano Jack Harkness (John Barrowman) aveva mollato Torchwood per saltare sul(la) TARDIS e pedinare il Dottore per duettare con lui negli ultimi episodi della terza stagione del Doctor Who, in una serie di vicende piuttosto complesse.

Nel frattempo gli altri torchwoodiani si erano dovuti arrangiare in qualche modo, cercando di non fare troppi danni. Finito l'intermezzo whoviano, il Capitano torna all'ovile, dichiarando la sua intenzione di restare.

Ma non è il solo a tornare. Un altro capitano, John Hart (James Marsters), anche lui agente del tempo come Il Capitano, piomba sulla Terra. I due capitani erano stati molto vicini (assistiamo anche ad un loro bacio molto caloroso che mi spinge a sconsigliare la visione dell'episodio al pubblico omofobo), e ben si conoscono come personaggi poco raccomandabili. John dice di avere una missione da compiere, e chiede aiuto a Torchwood. Seguono vari accadimenti che fanno ritenere che John sia davvero un soggetto a cui non conviene voltar le spalle, e non solo per i suoi gusti sessuali.

2) Sleeper - L'agente dormiente

Inferiore al primo episodio, mi è sembrato un modo per elaborare la dolorosa scoperta degli inglesi che alcuni loro concittadini non sono leali sudditi di sua maestà ma covano silenziosamente un misterioso desiderio di distruzione e autodistruzione. Vedasi anche il successivo Four lions che esamina lo stesso seguendo il versante della commedia nera.

L'agente in sonno è qui Beth (Nikki Amuka-Bird) che sembra essere umana, e anche lei ne è totalmente convinta, ma in realtà è un alieno che sta raccogliendo notizie in funzione di un futuro attacco. La stessa Beth aiuterà Torchwood a risolvere il problema. Purtroppo Torchwood non riuscirà ad aiutare lei.

Synecdoche, New York

Pare che il lungo ritardo con cui è stato distribuito da noi sia stato causato da motivi legali di cui però non ho trovato nessun dettaglio. Se non avessi avuto questa notizia, avrei pensato che i responsabili fossero stati la cupezza e complessità della trama, e che il ripescaggio sia dovuto alla prematura dipartita del protagonista.

E' la prima regia per Charlie Kaufman, che però è già ben noto al pubblico per aver scritto sceneggiature per Spike Jonze (Essere John Malkovich), George Clooney (Confessioni di una mente pericolosa), Michel Gondry (Se mi lasci ti cancello). La storia è una specie di incubo che ricorda a tratti Il malato immaginario di Molière, Otto e mezzo di Fellini, Mr Nobody di Van Dormael, e i temi più disperati del teatro classico, dove la vita è vista come un sogno senza senso da cui non c'è modo di uscirne bene.

In maniera confusa, al punto che spesso non si capisce cosa sia realtà e cosa immaginario, si narra la vita di Caden (Philip Seymour Hoffman) a partire da quando decide di lasciare il suo lavoro di regista teatrale, e contemporaneamente perde la moglie (Catherine Keener) che lo lascia portandosi via la figlioletta. Misteriosamente, gli viene assegnata una munifica elargizione che gli permette di lavorare ad una mostruosa piece teatrale che finisce per ingoiare la vita sua e di tutti quegli che gli stanno attorno.

Come da titolo, la narrazione ha un andamento sineddotico, dove il gigantesco set in cui lavora Caden rispecchia la New York in cui si trova, e viceversa, e la vita di Caden sembra ambire ad essere un eco delle vite di tutti quanti i personaggi.

Destreggiandosi tra innumerevoli malanni (che non possono essere reali), fissazioni, accadimenti bizzarri, amori incompiuti, Caden arriva, dopo decenni e catastrofi varie, quasi sul punto di intuire come realizzare la sua idea teatrale. Ma non ci riesce.

Torchwood - Stagione 1 Finale

La prima stagione di Torchwood finisce con un doppio episodio che, a ben vedere è quadruplo perché per aver il quadro complessivo andrebbero visti anche i due episodi precedenti.

Non sono restato pienamente soddisfatto di questa prima annata di questo spin-off whoviano. Forse gli sceneggiatori hanno avuto qualche problema nel carburare l'azione. Interessante notare come gli episodi migliori siano quelli caratterizzati da un punto di vista sghembo, dove il team di Torchwood appare in secondo piano rispetto ai protagonisti delle puntate. Quasi come se ci fosse una difficoltà nell'usare i personaggi principali nelle storie.

12) Captain Jack Harkness - Il capitano Jack Harkness

Il curioso titolo di questo episodio ha la sua spiegazione nel fatto che qui scopriamo che il Jack Harkness che conosciamo noi (John Barrowman) non sta usando il suo vero nome.

Succede infatti che telefonate anonime segnalano a Torchwood che da una palazzina abbandonata giungono suoni come se si tenesse una festa con musiche anni quaranta. Il Capitano e Tosh (Naoko Mori) vanno per indagare e si trovano sbalzati al tempo della seconda guerra mondiale, Jack si trova perfettamente a suo agio, Tosh un po' meno, anche perché, essendo giapponese, è identificata come nemica. A quella festa partecipa pure il vero Jack (Matt Rippy), e scopriamo che il nostro Jack ne ha usurpato il nome contando sul fatto che quello vero morirà subito dopo quella serata. Conoscerlo di persona è dunque piuttosto imbarazzante, anche perché capita che il vero Jack, pur essendo fin a quel momento etero (anche se il suo comportamento con la fidanzata sembra eccessivamente freddo), scopre con travaglio di essere gay, e i due Jack Harkness hanno una breve ma intensa liason.

Il salto nel tempo è dovuto ad un misterioso personaggio, Bilis Manger (Murray Melvin), che sembra stia ordendo una complicata trappola verso il team Torchwood finalizzata a che venga utilizzata l'inesplicabile apparecchiatura custodita nella sede della squadra così che la fessura spazio-temporale venga aperta.

E in effetti, nonostante le perplessità di Ianto (Gareth David-Lloyd), Owen (Burn Gorman) la metterà in azione, permettendo il rientro di Hack e Tosh ai nostri giorni, ma non si sa bene con quali effetti collaterali.

13) End of days - La fine dei giorni

Una tragedia. Dalla fessura spazio-temporale ne passano di ogni, causando guai di tutti i tipi. Bilis Manger offre una soluzione, azionare nuovamente il macchinario, che Jack osteggia ma a che gli altri sembra geniale (anche perché Bilis ha modo di convincerli in questo senso). Owen, spinto anche dal risentimento per non essere (a suo parere) sufficientemente valorizzato passa alle vie di fatto, sparando più volte a Jack, uccidendolo (lui non sa ancora che è tutta fatica sprecata).

Scopriamo quindi che Bilis ha fatto tutto ciò per liberare Abaddon (!) un mostro gigantesco vagamente demoniaco che però a me, chissà perché, ha fatto pensare al nemico finale degli Acchiappafantasmi. Abaddon si ciba delle vite umane, che assorbe con la sua ombra, nulla sembra riuscire a fermarlo. Ma Jack torna in vita e si offre come all-you-can-eat al mostro. Che è famelico, ma non riesce ad ingozzarsi fino a questo punto.

Nel finale c'è una breve apparizione del(la) TARDIS, di cui in realtà sentiamo solo il suono, e Jack scompare. Ritroveremo Jack nell'episodio Utopia della serie principale, così che il Capitano potrà nuovamente duettare con il Dottore.

Torchwood - Stagione 1: 11 Combattimento

L'episodio undici è strettamente legato al dieci. Il tema principale è infatti quello dello scoraggiamento di Owen che è stato mollato Diane (Burn Gorman), prima donna delle non poche con cui lo abbiamo visto trescare di cui si era innamorato. Inoltre, anche Gwen (Eve Myles) ha una specie di soprassalto di coscienza grazie a quanto è avvenuto nella puntata precedente, e sembra voler chiudere la relazione clandestina con Owen, anche se non è che gestisca benissimo il ritorno all'ovile, ovvero dal paziente, e piuttosto insipido, Rhys (Kai Owen).

Finalmente i Weevil fanno qualcosa, anche se continua ad essere ben poco, al punto che ancora non capisco quale sia il loro ruolo nella serie. Il "cattivo" dell'episodio, Mark (Alex Hassell), si lascia sfuggire una imbarazzante ipotesi, ovvero che questi mostriciattoli che non brillano per acume ma per violenza vengano dal nostro futuro, dopo una spiacevole (d)evoluzione.

La storia ha un evidente debito nei confronti di Fight club. Un tale, Mark, ha fondato infatti un club per giovani uomini ricchi con tendenze autodistruttive. Chi meglio di un Weevil per un bel match insensato e molto pericoloso? Così questo fight club entra in competizione con Torchwood per procurarsi avversari.

Anche questa colonna sonora è ben calibrata sul tema, tra le varie canzoni ho riconosciuto l'appropriata Assassin dei Muse.

Torchwood - Stagione 1 (9 e 10)

Sto arrivando alla fine della prima stagione di Torchwood. Ci sono stati alti e bassi, e finalmente sono arrivati anche due episodi che mi sono veramente piaciuti.

9) Random shoes - L'occhio alieno

Chi segue il Doctor Who, sa che ogni tanto ci sono episodi anomali in cui il protagonista della serie appare ben poco, e la storia segue il punto di vista di un personaggio esterno. Spesso episodi di questo tipo sono molto interessanti, anche grazie alla prospettiva sghemba che ci permettono di seguire, a volte il risultato è memorabile, come nel caso di Blink - Colpo d'occhio dove si introducono i funesti Angeli piangenti.

Il narratore e protagonista di questa puntata è Eugene (Paul Chequer) un ragazzotto che da bimbo era affascinato dalla matematica, finché un brutto giorno andò in panico ad una di quelle terribili manifestazioni per piccoli geni, non riuscendo a vincerla. Il suo babbo, che aveva in lui speranze spropositate, se ne ebbe molto a male. Una specie di ultima goccia in un qualche suo problema che non viene indagato, ma che lo spinse ad abbandonare la famiglia. Ad Eugene restò solo un occhio di presunta origine aliena, gentile omaggio di un suo insegnante che voleva in questo modo distrarlo dai suoi problemi, il senso di colpa per la fuga paterna, e la speranza di un ritorno (non sa nemmeno lui se dell'alieno che aveva perso l'occhio o del padre).

Gli anni passano e la vita di Eugene si trasforma in una lunga attesa in qualcosa che non succede. Si appassiona di scienza e casi bizzarri, e cerca di contattare Torchwood, e in particolare Gwen (Eve Myles), ma la sua incapacità a relazionarsi non lo aiuta. A scatenare i fatti narrati è la dichiarazione di una collega, che dice che vorrebbe andare in Australia ma non ha i soldi per permetterselo. Il buon Eugene rivede in lei la sua vita, e teme che anche lei spenda anni in una inutile attesa, dunque decide di vendere l'occhio su eBay per pagarle il viaggio.

Quello che segue è piuttosto triste, però darà modo ad Eugene, a un suo amico, a suo padre, e pure a Gwen di capire un po' meglio qualcosa ognuno di se stesso.

La colonna sonora include una scheggia di Starman di David Bowie, Hope there's someone di Antony and the Johnsons, e anche Danny boy, cantata da Gareth Potter (in quanto interprete del padre di Eugene).

10) Out of time - Fuori dal tempo

La traduzione italiana del titolo punta sul senso più immediato di quello che succede in questo episodio. Misteriosamente un aereo partito negli anni cinquanta arriva a Cardiff ai giorni nostri (o meglio, nel 2006). Pilota e due viaggiatori si trovano dunque fuori dal loro tempo, e il team di Torchwood ha il compito di permettere loro di adattarsi alla bizzarra situazione. Ma la locuzione inglese viene usata più comunemente per dire che il tempo a disposizione sta per scadere, ed è di questo che (forse) si renderanno conto alcuni dei personaggi principali di questa storia.

Un passeggero, John (Mark Lewis Jones), ha già un buon numero di anni sulle spalle, piuttosto tradizionalista, si trova decisamente fuori luogo nella Gran Bretagna contemporanea. A completare il suo scoraggiamento arriva la scoperta che il figlio, unico superstite della sua famiglia, è ormai più vecchio di lui, e duramente colpito dall'Alzheimer. Jack Harkness (John Barrowman) cerca di stargli vicino, e nel far questo gli racconta che anche lui si sente un reietto, rivelandoci che arriva dal futuro (credo che mai il Capitano lo avesse detto prima) e anche lui ha una grandissima difficoltà a vivere in questo modo.

La pilota, Diane (Louise Delamere), ha un carattere molto deciso, e non si fa certo abbattere da certe piccolezze. Il suo problema è che la sua licenza di volo è scaduta, ed è dunque a terra, cosa che mal tollera. A consolarla ci pensa Owen (Burn Gorman), che ne approfitta per aggiungerla alla sua collezione di amiche di letto. O almeno questo è quello che pensa lui, perché Diane non è certo tipa da sedurre e abbandonare. Sarà piuttosto lei a trovare questa avventura troppo poco speziata per il suo carattere, e a trovar di meglio.

La seconda passeggera, Emma (Olivia Hallinan) è giovane e molto inesperta, Gwen (Eve Myles) la prende in simpatia e cerca di aiutarla, finendo per assumere il ruolo della di lei madre. Il che non è un male, perché forse questa esperienza la aiuterà a ragionare sulla sua vita e a maturare.

Molto interessante questo episodio anche dal punto musicale, che presenta all'inizio una parte della sonata al chiaro di luna di Beethoven e nel finale un altro brano struggente, composizione di Murray Gold, compositore ufficiale di Doctor Who e di buona parte della musica originale dei vari spin-off.

Torchwood - Stagione 1 (7 e 8)

Una coppia di episodi di buon livello. Sembra che la serie si sia stabilizzata sull'impostazione di un curioso CSI dove succedono cose tra la fantasy e la fantascienza "leggera", che però non disdegna dettagli truculenti, a volte quasi sconfinando nell'horror. In più, si mantiene un punto di vista molto disincantato in materia di sesso, lasciando che i vari personaggi ne combinino di tutti colori, senza stare a badare tanto a legami pregressi o al genere del partner più o meno momentaneo.

7) Greeks bearing gifts - Un amore venuto da lontano

Il bizzarro titolo italiano credo sia dovuto al fatto che da noi o si cita l'originale virgiliano (Timeo Danaos et dona ferentes) oppure ciccia. Gli inglesi, invece, hanno nella loro parlata (relativamente) comune il modo di dire "Greci che portano regali", traduzione ad sensum dalla frase latina che si usa per dire, per l'appunto, che non conviene accettare regali da chi non inspira fiducia.

Succede infatti che Mary (Daniela Denby-Ashe), una bella donna piuttosto disinibita, avvicina Toshi (Naoko Mori) che è piuttosto scontenta di come le cose vanno a Torchwood da quando è arrivata Gwen (Eve Myles), soprattutto perché questa si è buttata a rotta di collo in una relazione clandestina con Owen (Burn Gorman), sul quale Toshi aveva mire (non ricambiate) da lungo tempo. Essendo la poveretta affetta da nerdosità conclamata ha una grossa difficoltà ad esprimere i suoi sentimenti.

Il regalo "greco" di Mary per Toshi è un pendaglio che permette di ascoltare i pensieri dei presenti. Che Toshi scopre essere un'arma molto affilata, e a filo doppio.

Il temporaneo potere di Toshi permette di scoprire un dettaglio raccapricciante sul capitano Jack Harkness (John Barrowman). Non gli si riesce a leggere il pensiero, come se (dice Toshi) il suo cervello fosse quello di un morto.

8) They keep killing Suzie - Continuano a uccidere Suzie

Suzie (Indira Varma) era in Torchwood prima dell'arrivo di Gwen, e abbiamo visto la sua uscita di scena nel primo episodio. Chi, come il sottoscritto, pensava che la sua uscita fosse definitiva, si sbagliava. L'abilità principale per cui l'abbiamo conosciuta era quella di usare uno strano guanto, tipo armatura medioevale, che permetteva una temporanea ressurrezione del soggetto su cui viene utilizzata.

Per risolvere un misterioso e piuttosto truculento caso, i torchwoodiani decidono di usarlo su di lei. Ma le cose non vanno come previsto e sembra che Suzie ottenga un beneficio superiore alla media. Al punto che, come da titolo, il vero problema dell'episodio sarà quello di ucciderla una volta per tutte.

Altro indizio preoccupante su Jack. Suzie gli dice che nella specie di animazione sospesa in cui si è trovata tra la sua (prima) morte e l'essere richiamata in vita, ha percepito una oscura presenza che le sembrava fosse in cerca di un modo per raggiungere il Capitano.