La dea dell'amore

La possente Afrodite (Mighty Aphrodite) deve essere sembrato alla distribuzione italiana un titolo troppo oscuro, invece avrebbe fatto capire subito allo spettatore che il film si gioca su due piani, apparentemente inconciliabili, che però si fondono miracolosamente senza problemi.

Le due location principali sono New York e la Magna Grecia (Teatro Greco di Taormina). Si parte con un coro greco che introduce una tragedia, che però si svolge a Manhattan, e ha come protagonista un giornalista sportivo (Woody Allen), sposato ad una gallerista (Helena Bonham Carter) che sembra avere una certa vena di agitazione interna (sapete com'è la Bonham Carter). Vorrebbe un figlio ma non ha tempo per una gravidanza, e così preme per una adozione. Lui non è convinto, ma lei l'ha vinta rapidamente, con gran soddisfazione di entrambi.

I problemi nasceranno dopo alcuni anni, quando lui vorrà indagare sui veri genitori del figlio, che si rivela essere un bel bambino intelligente. Contro tutte le sue aspettative, scoprirà che la madre è una prostituta (una strepitosa Mira Sorvino) non molto brillante, che viene da una famiglia disastrata, e non si sa chi possa essere il padre.

Nel cercare di aiutare la madre naturale del figlio, cerca di piazzarla con un altrettanto poco brillante pugile in disarmo. Sembra che tutto proceda per il meglio, ma la catastrofe è imminente. Il pugile scopre la carriera precedente della fidanzata, e non è felice. La moglie, d'altro canto, pensa ad una rottura.

Tragedia e commedia, dunque, si fondono. Personaggi del teatro greco appaiono a New York, e interagiscono con protagonista, il quale non disdegna di continuare le discussioni a Taormina, seguito anche dalla moglie.

Geniale il personaggio della prostituta/attrice porno. Teoricamente dovrebbe essere una figura disprezzabile, per la sua professione, per aver abbandonato il figlio, per la sua scarsa intelligenza, per i suoi gusti, e anche per le sue ambizioni impossibili, vorrebbe fare l'attrice "seria", ma ha una impossibile vocetta acuta e una capacità attoriale inesistente. Eppure, anche solo a prima vista, non si può fare a meno di volerle bene, e non per il prorompente fisico messo in mostra senza risparmio.

Interessante notare come, in un modo o nell'altro, tutti i personaggi principali siano dei perdenti, eppure (magia delle commedie) avranno tutti modo di avere, ognuno a loro modo, il proprio happy ending.

La cura alleniana si vede anche nella scelta di attori come Jack Warden, Olympia Dukakis e Paul Giamatti per ruoli minori.

8 commenti:

  1. Correva l'anno 1995 e questa deliziosa commedia (che il pubblico americano apprezzò, ma mica poi tanto) veniva a concludere un ciclo prodigioso (Manhattan, Zelig, Radio days, Alice, Manhattan murder mystery ecc)
    poi è cominciata la curva discendente
    trovo affascinante la commistione del Coro con la screwball comedy, di Tiresia e Cassandra con i New Jersey Nets

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    1. Al botteghino americano totalizzò 6 milioni e mezzo, piazzandosi al 139° posto nel '95 (fonte: mojo). E si può ben capire come fuori da New York, Boston, e poche altre metropoli, un film del genere non abbia un gran mercato.

      Concordo appieno sul fatto che la fusione tra tragedia greca e commedia molto newyorkerse sia decisamente sorprendente.

      Non concordo invece sulla faccenda della curva discendente. Ha fatto cose diverse, grazie al cielo, che di registi che ripetono alla nausea un loro vecchio successo non è che ne sento un gran bisogno, a volte non molto riuscite (penso in particolare a Celebrity), ma non riesco a staccare un periodo d'oro da una carriera che mi pare tutta molto interessante.

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  2. E' una delle mie preferite, proprio per il Coro!! è geniale. Solo Woody Allen (di allora, non certo di oggi) poteva inventarsi una roba così colta, snob, intelligente e divertente.

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    1. Come brontolo sopra, non è che io veda una forte cesura tra il primo Allen e quello contemporaneo. A proposito di invenzioni, in Basta che funzioni (2009), ad esempio, il protagonista parla più volte in camera, agli spettatori. Cosa già vista, in effetti, ma qui gli altri attori gli chiedono a chi parla, creando un bizzarro effetto straniante. Una evoluzione del concetto espresso ne La rosa purpurea (1985), in un contesto completamente diverso. O in Midnight in Paris (2011), con il doppio salto temporale, anzi triplo, se consideriamo anche lo sfortunato investigatore, non mi pare sia da buttare.

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  3. Alcuni mesi fa ho registrato diversi titoli firmati dopo il 2000, e così siamo a tre su tre BlaBla, tre su tre che non apprezzano l'Allen degli ultimi film. L'adoro, io l'adoro, sia chiaro, ma non riuscirei nemmeno a fare raccolta differenziata con Harry a pezzi o Anything else, sono indistinguibili!!!

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    1. Indistinguibili? :O

      Beh, in Harry c'è uno strepitoso viaggio all'inferno su scenografie di Santo Loquasto (evidentemente inspirate dal cinema di genere italiano del tempo che fu) che da sole valgono il prezzo del biglietto, e l'idea geniale (e terribile) di riprendere Robin Williams fuori fuoco (!).

      In Anything else Allen ha un ruolo secondario (il protagonista è un Biggs che mi è parso poco convincente), ed è, effettivamente, un titolo meno originale, almeno per quanto riguarda la vicenda principale.

      E, scusa, ma non è che mi preoccuperebbe molto anche se fossi l'unico ad apprezzare gioiellini come Whatever works, Harry a pezzi, eccetera. Ognuno ha i suoi gusti, fa le sue scelte, ed è giusto che sia così.

      La ripetitività di Allen nel suo supposto "secondo periodo" non ce la vedo proprio e, anzi, non riesco a capire nemmeno dove finirebbe il primo periodo. Ci sono film più riusciti, altri meno. Come è normale che accada nelle produzioni umane.

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    2. Risponderò a cose riviste, con cognizione di causa quindi. La differenza inizia proprio con Basta che funzioni, e con i giri in Europa. Non vedo l'ora di vedermi Midnight in Paris, ad esempio, ed ho già scritto di To Rome with love.
      Match point è l'eccezione, of course.

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    3. Anche se rischio di assomigliare ad un grammofono rotto (ripetitivo e obsoleto, dunque) non posso che ripetere lo stesso concetto: a me la carriera di Woody Allen sembra lineare. I temi trattati sono quelli, svolti di volta in volta in modo diverso, con una inventiva notevole, cambiando toni, ambientazioni, sviluppi, ma mantenendo una coerenza di fondo. Che non sia sempre e solo Manhattan il centro geografico della storia mi pare poco sostanziale, una simpatica variazione dovuta più a ragioni produttive che altro, ma solitamente usata coerentemente nella trama.

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