Western a dir poco anomalo diretto con la consueta maestria da Fritz Lang e che è stato certamente tra le fonti di ispirazione per il Mel Brooks (*) di
Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974) e forse anche tra quelle di Steve Martin + John Landis (**) per I tre amigos! (1986).
Un vaccaro del Wyoming, Vern Haskell (Arthur Kennedy), sta per sposare la sua bella. Un delinquente, Kinch (Lloyd Gough ***) la stupra e uccide. Vern la prende male e dedica il resto della sua vita a rintracciare il malfattore per vendicarsi. Dopo varie tribolazioni scopre che tale Altar Keane (Marlene Dietrich) potrebbe in qualche modo metterlo sulla strada giusta. Costei è una prostituta nota in tutto il West che ha abbandonato il lavoro per sopraggiunti limiti di età ed è sparita nel nulla. Vern riesce comunque a rintracciare Frenchy Fairmont (Mel Ferrer), accreditato per essere il suo ultimo amante, a sua volta sparito nel nulla, con un espediente, invero piuttosto rischioso, riesce a diventarne amico e in questo modo raggiungere il ranch del titolo (°).
Qui si scopre che Altar gestisce il rach come porto franco per delinquenti, dietro compenso del dieci percento dei loro bottini. Vern nota che ella sa, sia pure a sua insaputa, chi sia il delinquente che ha ucciso la sua bella, e quindi decide di circuirla al solo scopo di farsi dire il nome. Per far ciò deve però sconfiggere la concorrenza di Frenchy, che è noto per essere il più veloce pistolero del west, e la diffidenza dei vari brutti ceffi che girano da quelle parti. Ci riuscirà, ma la fine sarà tragica per tutti.
Interessante notare come, contrariamente allo stereotipo del genere, i rappresentanti della legge siano incapaci, pigri, o corrotti. A volte anche tutte e tre le cose assieme. L'unico che si mostra sufficientemente astuto da capire che c'è qualcosa di strano nel ranch di Altar non viene creduto dal suo capo.
Molto in parte la Dietrich, con fascino e decadenza che si alternano, un grande amore indeciso, e un inesplicabile accento tedesco del quale nessuno chiede nulla. Buona prova di Ferrer, pistolero apparentemente tagliato col falcetto ma pieno di dubbi e capace di rischiare la vita per prendere un profumo per la sua bella. Scarso Kennedy, poco credibile in un ruolo che dovrebbe essere reso con una sottigliezza di cui qui non sembra capace. Da notare che il suo personaggio dovrebbe essere molto più giovane di Ferrer, essendo invece di tre anni più vecchio.
(*) Il personaggio interpretato da Madeline Kahn viene certamente da qui.
(**) Non è certo l'unico western in cui alcuni esterni sono stati girati in teatro per risparmiare, ma in genere si tratta di prodotti di livello considerabilmente inferiore.
(***) Non appare nei credits ufficiali del film in quanto nel frattempo era stato inserito nella blacklist di attori sgraditi al governo. Due film usciti recentemente che narrano di quell'oscura epoca sono Trumbo e Ave, Cesare!.
(°) Che però nel film non si chiama Notorious bensì Chuck-a-Luck. Il titolo è infatti stato cambiato all'ultimo momento dalla distribuzione - si dice per diretto interessamento di Howard Hughes.
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Il quarto uomo
Quentin Tarantino ha detto che l'ispirazione per la sua opera prima, Resevoir dogs (per noi Le iene), gli è venuta da Rapina a mano armata (in originale The killing) di Stanley Kubrick. A molti però sembra di vedere più punti di contatto con questo Kansas City confidential diretto da Phil Karlson quattro anni prima. Sia come sia, se si è interessanti al genere, vale la pena di vederli tutti e tre, anche se questo è il più debole del lotto.
La storia viene raccontata seguendo prevalentemente il punto di vista di Joe (John Payne), ma si inizia seguendo la versione di Tim (Preston Foster), e i due filoni verranno uniti solo nel finale.
Joe sembra quasi un eroe hitchcockiano, fiondato suo malgrado in una storia più grande di lui, con l'avvertenza che siamo in un noir, e che dunque l'impiccio riguarda una rapina in banca e la successiva caccia all'uomo. Joe è un povero disgraziato che guida il furgone di un fiorista, i rapinatori gli clonano il veicolo e lasciano che la polizia insegua la macchina sbagliata, così da guadagnare il tempo per la fuga.
Quello che non sapevano è che Joe aveva la fedina penale sporca, e che aveva quel lavoro come parte del suo essere in libertà vigilata. Di conseguenza la polizia non va per niente leggera con lui. In pratica lo riempono di botte per alcuni giorni nel tentativo di farlo cantare. Alla fine non possono fare altro che rilasciarlo, ma senza scagionarlo pubblicamente, il che rende Joe una specie di paria.
Usando i suoi agganci nella malavita locale, Joe trova una flebile traccia, che lo porta in Messico, dove cercherà i veri delinquenti, con lo scopo di consegnarli alla legge o di farsi dare una parte del bottino.
Tim è un poliziotto messo a riposo per qualche pasticcio che ha combinato. Da come agisce viene il sospetto che abbiano fatto bene a sbatterlo fuori, ma secondo lui è stato vittima di oscure manovre politiche. Inscena dunque la rapina come modo per mostrare al mondo come lui sia un ottimo investigatore. Mette insieme una banda di brutti ceffi, Neville Brand, Jack Elam, e Lee Van Cleef, senza che loro lo vedano mai in faccia, studia alla perfezione un piano e, dopo qualche tempo, chiama tutti quanti nel resort messicano dove lui va abitualmente in vacanza per dividere il bottino, mentre in realtà li vuole consegnare alle autorità.
A sparigliare le sue carte c'è Helen (Coleen Gray), sua figlia, che, guarda un po', lo viene a trovare in vacanza proprio nel bel mezzo dell'azione e, se questo non bastasse, si innamora di Joe.
Il risultato complessivo dell'opera è discontinuo. Ci sono scene e situazioni ben riuscite, ma anche lungaggini che si sarebbero potute asciugare. Il finale che combina noir a dramma romantico mi ha lasciato molto perplesso.
La storia viene raccontata seguendo prevalentemente il punto di vista di Joe (John Payne), ma si inizia seguendo la versione di Tim (Preston Foster), e i due filoni verranno uniti solo nel finale.
Joe sembra quasi un eroe hitchcockiano, fiondato suo malgrado in una storia più grande di lui, con l'avvertenza che siamo in un noir, e che dunque l'impiccio riguarda una rapina in banca e la successiva caccia all'uomo. Joe è un povero disgraziato che guida il furgone di un fiorista, i rapinatori gli clonano il veicolo e lasciano che la polizia insegua la macchina sbagliata, così da guadagnare il tempo per la fuga.
Quello che non sapevano è che Joe aveva la fedina penale sporca, e che aveva quel lavoro come parte del suo essere in libertà vigilata. Di conseguenza la polizia non va per niente leggera con lui. In pratica lo riempono di botte per alcuni giorni nel tentativo di farlo cantare. Alla fine non possono fare altro che rilasciarlo, ma senza scagionarlo pubblicamente, il che rende Joe una specie di paria.
Usando i suoi agganci nella malavita locale, Joe trova una flebile traccia, che lo porta in Messico, dove cercherà i veri delinquenti, con lo scopo di consegnarli alla legge o di farsi dare una parte del bottino.
Tim è un poliziotto messo a riposo per qualche pasticcio che ha combinato. Da come agisce viene il sospetto che abbiano fatto bene a sbatterlo fuori, ma secondo lui è stato vittima di oscure manovre politiche. Inscena dunque la rapina come modo per mostrare al mondo come lui sia un ottimo investigatore. Mette insieme una banda di brutti ceffi, Neville Brand, Jack Elam, e Lee Van Cleef, senza che loro lo vedano mai in faccia, studia alla perfezione un piano e, dopo qualche tempo, chiama tutti quanti nel resort messicano dove lui va abitualmente in vacanza per dividere il bottino, mentre in realtà li vuole consegnare alle autorità.
A sparigliare le sue carte c'è Helen (Coleen Gray), sua figlia, che, guarda un po', lo viene a trovare in vacanza proprio nel bel mezzo dell'azione e, se questo non bastasse, si innamora di Joe.
Il risultato complessivo dell'opera è discontinuo. Ci sono scene e situazioni ben riuscite, ma anche lungaggini che si sarebbero potute asciugare. Il finale che combina noir a dramma romantico mi ha lasciato molto perplesso.
Otello
La produzione è stata un incubo. Nell'immediato dopoguerra, Orson Welles era in Italia in quanto protagonista di Cagliostro. Basti dire che si era scelto di girare il film da noi perché il Messico era risultato troppo costoso per dare un'idea del pasticcio in cui il nostro si era ficcato. Già che si trovava lì, Welles attaccò discorso con Michele Scalera, produttore italiano sull'orlo della catastrofe a causa dei suoi trascorsi sotto il regime fascista, e lo convinse ad imbarcarsi in questa impresa. Entrambi pensavano di essere stati molto furbi, lo Scalera contava di rilanciarsi, Welles sperava di avere la tanto agognata libertà di azione.
La troupe va in Marocco (per spendere ancora meno che in Italia, immagino) per le prime riprese, e la Scalera Film fallisce. Ma ormai il meccanismo diabolico è partito e il progetto prosegue, anche se tra mille problemi. Ci vorranno tre anni, con scene girate a distanza di mesi e in Paesi diversi, per completare il lavoro. Mitica la scena in cui Cassio dovrebbe essere ucciso da Roderigo, che è stata girata in un bagno turco per ovviare al problema della indisponibilità degli abiti di scena, tenuti in pegno in attesa di un pagamento.
Seguendo la lettura classica, Welles affronta la parte di Otello in una bella tinta nera. In realtà non si sa bene cosa Shakespeare intendesse per Moro di Venezia quando scrisse la sua tragedia. Ai tempi era termine molto generico che copriva varie tonalità dal quasi-bianco nordafricano al nero profondo subsahariano. Senza contare poi che la Morea, per i veneziani, era il Peloponneso.
Credo che la storia che la conoscano tutti, e anche Welles era dello stesso avviso, al punto che la racconta in flash-back, partendo dai suggestivi funerali di Otello e Desdemona (Suzanne Cloutier), mentre il perfido Iago (Micheál MacLiammóir) viene letteralmente messo in gabbia.
Bravi tutti e tre gli interpreti principali, eccezionale la scena in cui Otello capisce di aver fatto un tragico errore da cui non c'è via d'uscita.
La troupe va in Marocco (per spendere ancora meno che in Italia, immagino) per le prime riprese, e la Scalera Film fallisce. Ma ormai il meccanismo diabolico è partito e il progetto prosegue, anche se tra mille problemi. Ci vorranno tre anni, con scene girate a distanza di mesi e in Paesi diversi, per completare il lavoro. Mitica la scena in cui Cassio dovrebbe essere ucciso da Roderigo, che è stata girata in un bagno turco per ovviare al problema della indisponibilità degli abiti di scena, tenuti in pegno in attesa di un pagamento.
Seguendo la lettura classica, Welles affronta la parte di Otello in una bella tinta nera. In realtà non si sa bene cosa Shakespeare intendesse per Moro di Venezia quando scrisse la sua tragedia. Ai tempi era termine molto generico che copriva varie tonalità dal quasi-bianco nordafricano al nero profondo subsahariano. Senza contare poi che la Morea, per i veneziani, era il Peloponneso.
Credo che la storia che la conoscano tutti, e anche Welles era dello stesso avviso, al punto che la racconta in flash-back, partendo dai suggestivi funerali di Otello e Desdemona (Suzanne Cloutier), mentre il perfido Iago (Micheál MacLiammóir) viene letteralmente messo in gabbia.
Bravi tutti e tre gli interpreti principali, eccezionale la scena in cui Otello capisce di aver fatto un tragico errore da cui non c'è via d'uscita.
Lo sceicco bianco
Dopo tutti questi anni resta ancora una piacevole commedia. D'altronde il soggetto è scritto da Michelangelo Antonioni, Federico Fellini e Tullio Pinelli - e per la sceneggiatura s'è aggiunto pure Ennio Flaiano. La regia di Fellini, pur al suo primo lavoro in solitario, è già quella che apprezzeremo nei capolavori che seguiranno, anche se l'espressività dei personaggi mi è sembrata fin troppo marcata, quasi da cinema muto. Alberto Sordi recita la parte dello sceicco con una verve da Rodolfo Valentino del litorale romano, Giulietta Masina ha una particina piccina ma luminosa. La colonna sonora è già di Nino Rota.
La storia è quella di due sposini novelli che vengono a Roma dal loro paesino. Lui sul pignolesco e con l'idea di usare il parente relativamente influente per far carriera, lei persa nei suoi sogni da fotoromanzo. Le loro strade si dividono e noi abbiamo modo di vedere il percorso di lei in quella sorta di mondo paracinematografico ormai scomparso e di lui in una sorta di incubo piccolo borghese.
La storia è quella di due sposini novelli che vengono a Roma dal loro paesino. Lui sul pignolesco e con l'idea di usare il parente relativamente influente per far carriera, lei persa nei suoi sogni da fotoromanzo. Le loro strade si dividono e noi abbiamo modo di vedere il percorso di lei in quella sorta di mondo paracinematografico ormai scomparso e di lui in una sorta di incubo piccolo borghese.
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