Primo lungometraggio di Quentin Tarantino (scritto, diretto e, in un ruolo minore, interpretato) in linea con quella che saranno i canoni classici della sua filmografia: violenza, tupriloquio, dialoghi incessanti, frequenti salti temporali. Nonostante il basso budget - o forse proprio grazie a questo - è tra le sua cose che mi piacciono di più.
Nato grazie ad un colpo di fortuna, la sceneggiatura è finita in mano ad Harvey Keitel, che ha apprezzato, ci ha messo soldi diventando produttore e protagonista e, graziato da un ottimo cast (tra gli altri, da citare almeno Tim Roth e Steve Buscemi), narra una storia non particolarmente nuova ma con modalità molto personali. Un (piccolo) mafioso californiano creata una squadretta di delinquenti per fare un semplice colpetto che dovrebbe filare liscio come l'olio e portare a tutti un mucchio di soldi. Moriranno tutti, tranne (forse) Buscemi.
Gran parte dell'azione si svolge, con modalità quasi teatrali, in un capannone abbandonato dove i superstiti si ritrovano dopo la catatrofica rapina e interagiscono tra loro come i cani inselvatichiti del titolo originale (Reservoir dogs). A favore dei distributori italiani c'è da dire che il film è noto anche con il più adeguato sottotitolo Cani da rapina.
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