Anche qui, come in Donnie Darko, il protagonista è un po' fuori di testa, e l'azione ruota attorno il suo amico invisibile descritto come un coniglio gigante. Ma il punto di Harvey è molto meglio focalizzato: una critica alla nostra società per come viene trattata la malattia mentale.
A dire il vero non mi spiego il successo di questo film. James Steward è comunque bravo ma certamente non al suo meglio. La storia ha buone potenzialità ma che solo raramente vengono sfuttate quanto potrebbero. La regia (Henry Koster) non brilla e non mi pare riesca a sfuttare appieno il cast, che del resto non è che sia strepitoso. Josephine Hull, ad esempio, è qui la sorella maggiore di Steward e pur non essendo male, funziona molto meglio in Arsenico e vecchi merletti, certamente grazie a Frank Capra.
Il succo della storia mi pare che sia che un po' di quieta follia non fa male, e che bisognerebbe essere capaci di conviverci, sia con la propria che con quella degli altri, invece di combatterla.
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