Il grande capo

Merito indiscusso di Nymphomaniac è di aver creato un tal polverone attorno al nome di Lars von Trier (come se ce ne fosse bisogno, chioserebbe l'illuso) che ha finalmente reso appetibile la distribuzione in DVD di suoi film considerati minori, come quello qui in oggetto, altrimenti praticamente invisibili.

Se la sceneggiatura fosse stata affidata ad un regista meno combattuto tra la voglia di far vedere i suoi film e quella di renderli inguardabili, il risultato sarebbe potuto essere una commedia di successo che avrebbe fatto la gioia di produttori e distributori.

Invece il von Trier regista ha pensato bene di prendere il lavoro del von Trier sceneggiatore e, per la pacata disperazione dei produttori (che del resto sono danesi, e conoscono il loro pollo sin dagli inizi), ha deciso di manipolare le regole di Dogma 95 per introdurre l'uso della casualità nei settaggi della macchina da presa. Abbiamo così sequenze spezzettate, inquadrature sfasate con spreco di taglio di teste (non nel senso horror del termine, ma in quello fotografico da gita scolastica) e maldestri sbalzi di luminosità.

La storia è invece quella di Ravn (Peter Gantzler) che, senza avere conoscenze informatiche né soldi, riesce a creare dal nulla una azienda di successo che produce software di successo, sfruttando l'incapacità relazionale dei suoi dipendenti. Incapace di sfruttarli fino in fondo, ha nascosto sin dall'inizio il suo vero ruolo, millantando l'esistenza di un grande capo su cui scaricare il peso delle decisioni più balorde.

Il film si apre quando i nodi stanno arrivando al pettine. Un munifico investitore islandese (che odia a morte i danesi per motivi storici) ha deciso di comprare l'azienda per una cifra esorbitante, che il perfido Ravn si vuol pappare in un sol boccone, non lasciando niente a tutti gli altri. Il problema è che ha bisogno di qualcuno che faccia finta di essere il grande capo. Lo trova in Kristoffer (Jens Albinus), attore sperimentale perennemente sull'orlo della catastrofe, che prende la cosa come una sfida artistica.

Segue una serie di bizzarri fatti che mettono alla berlina un po' tutto e tutti. Naturalmente von Trier non si limita a dileggiare finanza, informatica, società civile, ma colpisce duramente anche il mondo dello spettacolo, in particolare gli attori, ma senza trascurare gli sceneggiatori e i registi, troppo pieni di sé.

A fistful of fingers

Il primo lungometraggio di Edgar Wright è, almeno a tratti, di una bruttezza raccapricciante. La lezione più interessante che si può trarre è che se uno davvero vuol fare un film può riuscire a farlo. Non importa quanta poca esperienza ci sia (Wright era diciottenne ai tempi, e sembra che l'intero cast - con l'eccezione di Jeremy Beadle impegnato in un cameo - sia fatto da suoi coetanei), e quanto scarsi siano i fondi (e qui di soldi se ne vedono davvero pochi, hai mai pensato che fosse possibile fare un western senza cavalli?). Non verrà fuori un capolavoro, ma qualcuno potrebbe notarlo. E da cosa potrebbe nascere cosa.

Evidente ed esplicito sin dal titolo (Per un pugno di dita) il riferimento agli spaghetti western di Sergio Leone, che servono da ispirazione per una storia al limite del nonsense, e anche oltre, dove il protagonista senza nome si trova a combattere contro un cattivaccio che si scoprirà alla fine essere stato un bulletto che lo aveva angariato quando erano bambini.

Nonostante la povertà dei mezzi, la scarsezza della recitazione, la dubbia colonna sonora, si intravede una certa stoffa nel giovane regista/sceneggiatore.

The black balloon

Ha fatto strage di premi in patria (Australia) e ha vinto pure l'Orso di cristallo a Berlino. Simile il risultato a livello di pubblico, buon risultato casalingo, qualche isolato ma interessante successo in giro per il mondo. Praticamente invisibile in Italia.

L'assenza di una sua distribuzione nel Bel Paese è facilmente spiegabile con la sua origine (nonostante l'encomiabile lavoro di Domenico Procacci e della sua Fandango, l'Australia resta per noi un continente incognito) e con il tema trattato. Elissa Down (co-sceneggiatrice e regista) usa a piene mani leggerezza e giocosità (aiutata anche dalla colonna sonora di Michael Yezerski), ma osa parlare dell'impatto che Charlie, un ragazzo (Luke Ford) affetto da autismo e dalla sindrome da deficit di attenzione e iperattività, ha sulla sua famiglia e in particolare su suo fratello Thomas (Rhys Wakefield).

Thomas è in un momento particolare della sua vita, ha incontrato quella che sembra essere destinata a diventare la sua prima storia d'amore (Gemma Ward), e la tecnica che ha usato nei precedenti anni (fare finta che quello che fa suo fratello non sia affare suo) non funziona più, anche perché la madre (Toni Colette, Little Miss Sunshine è di un paio di anni prima, l'anno dopo darà voce a Mary in Mary e Max) è molto incinta e non riesce a seguire l'ingestibile Charlie.

La speranza di Thomas per gran parte del film è che Charlie miracolosamente guarisca, e torni ad essere "normale". Questo, purtroppo, non è possibile ma c'è comunque un lieto fine, perché Thomas riuscirà ad accettare, e in qualche modo pure a capire, il fratello.

Quell'oscuro oggetto del desiderio

Ultimo film di Luis Buñuel, basato su La donna e il burattino, un feuilleton di un secolo prima, figlio dei suoi tempi, scritto da un autore estetizzante e classicista quale Pierre Louÿs. Radicalmente riscritto col concorso di Jean-Claude Carrière ne viene fuori un racconto surreale che stravolge l'originale autocompiaciuta impostazione decadente per trasformarla in un crudo sberleffo alla nostra società.

Mathieu (Fernando Rey) un alto borghese che sembra non avere molto da fare, lascia frettolosamente Siviglia in treno, diretto a Parigi. In attesa che il treno si decida a partire per Madrid, scambia qualche frase di circostanza con i compagni di viaggio, una madre (Milena Vukotic) con figlia, un giudice, uno psicologo affetto da nanismo. All'ultimo momento giunge in stazione una giovane e splendida donna (Carole Bouquet) che cerca di parlargli e salire in treno. Lui la allontana e gli rovescia in testa un secchio d'acqua.

Il resto del film è quasi completamente assorbito dal lungo flash back in cui Mathieu racconta la sua storia con Conchita, per spiegare questo bizzarro gesto. Scopriamo così che i due si sono incontrati a casa di un giudice amico di Mathieu, dove lei lavorava come cameriera, lui aveva cercato di approfittarsi di lei, ma senza ottenere niente. Segue una serie di incontri, avvicinamenti e allontanamenti, in cui sempre lei gli nega (anche con mezzi che farebbero la loro figura anche in una pochade) quello che sembra essere l'unico interesse di Mathieu.

Nel finale la coppia sembra ricomporsi, o forse no. Dipende da come lo spettatore vuol leggere l'ultima scena.

Tra le numerose stranezze che costellano lo sviluppo della vicenda, la più nota è che la parte di Conchita è recitata dalla Bouquet (al suo debutto cinematografico) e da Ángela Molina. Entrambe belle e brave, e decisamente diverse. Mediterranea la Molina, più esile e nordica la Bouquet. Pare che questa curiosa scelta sia figlia del caso. Originariamente Conchita sarebbe dovuta essere interpretata da Maria Schneider. A seguito del suo forfait Buñuel, trovandosi indeciso tra le due attrici, decise di dare la parte ad entrambe.

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

Wes Anderson è uno di quei filmmaker (si scrive i soggetti da sé e poi li dirige) che sembra non fare alcuna fatica ad assemblare cast strepitosi, anche se poi le sue star si devono adattare a ruoli limitati.

Vedasi per l'appunto questo caso, in cui a far da protagonisti sono due ragazzetti alla loro prima esperienza, Kara Hayward (che sembra ben più matura dei suoi dodici anni) e Jared Gilman, e al contorno hanno gente come Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Frances McDormand e Tilda Swinton.

Si narra una storia minima in cui due adolescenti con problemi familiari, lui è un orfanello, lei ha una coppia di bizzarri genitori (Murray e la McDormand), entrambi avvocati, in profonda crisi coniugale, si incontrano, si riconoscono nell'altro, e decidono di fuggire assieme.

Il tutto avviene su un isoletta sulla costa orientale americana, il paesaggio è quello tipico del New England, negli anni sessanta, in corrispondenza con l'abbattersi in quei luoghi di una disastrosa tempesta.

I toni utilizzati sono al limite del favolistico, alcuni fatti narrati come se fossero reali sono evidentemente impossibili, o almeno largamente esagerati, come se fossero il racconto che i due protagonisti facessero oggi mezzo secolo dopo gli accadimenti davanti ad un caminetto ai loro nipotini.

A confermare l'atmosfera tra il giocoso e il fantastico ci pensa anche la colonna sonora firmata da Alexandre Desplat che cuce armoniosamente assieme sue composizioni originali con brani classici per un pubblico molto giovanile (molto riconoscibile Benjamin Britten).

Doctor Who - Speciale di Natale 2013

Chissà come e quando verrà trasmesso dalla Rai. Fortuna che, con un tocco di fantasia, sono riuscito a vederlo direttamente dal sito della BBC. Per considerazione nei confronti di chi aspetta la versione italiana, mi limito ad accennare a dettagli secondari o che dovrebbero già essere di conoscenza comune tra gli whoviani.

La puntata ha titolo "The time of the Doctor". Dopo il nome e il giorno, tocca dunque al tempo del Dottore. E davvero in questo episodio il Dottore finirà per usare moltissimo del suo tempo a disposizione.

Sapevamo già che questa doveva essere l'ultima puntata per l'undicesimo Dottore (Matt Smith) e che il dodicesimo (Peter Capaldi), come da tradizione, avrebbe fatto capolino nel finale.

Come pure sapevamo che si sarebbe andati a finire su Trenzalore, dove sarebbe dovuta accadere una accanita battaglia che si dovrebbe concludere con la morte definitiva del Dottore.

Facendo il conto delle rigenerazioni su cui un Time Lord può far conto, e considerando il Dottore Dimenticato (John Hurt) di cui è raccontata la storia nello speciale del cinquantesimo, e la rigenerazione forzata utilizzata dal Decimo Dottore (David Tennant) nel finale della quarta stagione, effettivamente ci siamo. Il Dottore ha finito la sua scorta di vite. Eppure sappiamo che il Dodicesimo Dottore è già pronto ad entrare in pista.

Qualcosa di imprevedibile dovrà dunque accadere.

La battaglia coinvolgerà buona parte dei nemici storici del Dottore, in particolare i Dalek (che sì, si erano dimenticati di lui, ma nell'universo del Dottore nulla è per sempre) che avranno i loro buoni motivi per scatenarla.

Oltre a Clara (Jenna Coleman), ci sarà una apparizione di Amy Pond (Karen Gillan). Il che è molto bello, pensando che la piccola Amalia è stata la prima persona che l'Undicesimo Dottore ha incontrato, ma è anche bizzarro, considerando come sia, a tutti gli effetti, sua suocera. Solo una menzione onorevole per la moglie del Dottore, River Song.

Le relazioni femminili del Dottore includeranno un altro personaggio notevole, Tasha (Orla Brady), una specie di papessa di una religione che ai nostri occhi potrebbe sembrare inconsueta.

Ci sono alcune debolezze nella sceneggiatura, ma l'impatto emotivo dell'uscita di scena del Dottore (nonostante che Smith non sia il mio preferito) è tale da farmele considerare del tutto secondarie.

The secret life of Walter Mitty - Sogni proibiti

Volevo vedere I sogni segreti di Walter Mitty, diretto e interpretato da Ben Stiller, ma il proiezionista deve aver sbagliato pellicola. La confusione, se questo è il caso, potrebbe essere stata causata dal fatto che in lingua originale il titolo non è cambiato. Avessero mantenuto il titolo italiano per il remake, ci si sarebbe pure potuti confondere con Sogni mostruosamente proibiti, con Paolo Villaggio nel ruolo di protagonista.

Non è molto importante chi sia il regista (Norman Z. McLeod) o chi siano gli sceneggiatori che hanno preso un racconto di James Thurber e lo hanno martellato a lungo per adattarlo ai talenti del protagonista, Danny Kaye, quanto il produttore, Samuel Goldwyn, che è stato, nel bene e nel male, il vero responsabile di questo film.

Tra gli interpreti secondari spicca Boris Karloff, in un ruolo piccolo che pare sia stato sacrificato anche in fase di montaggio per tenere il minutaggio sotto le due ore (lo spettatore attento noterà incongruità in altre parti, dovute probabilmente ad altri tagli draconiani). In quel periodo Karloff faceva cose come Dick Tracy meets Gruesome, in cui lui era Gruesome (in italiano, qualcosa come Raccapricciante - un po' come il protagonista di Cattivissimo me, che si chiama Grue) e dunque non credo abbia fatto particolarmente caso a questi dettagli.

Walter Mitty (Kaye) è un dipendente di una casa editrice pulp (vedasi Pulp fiction per dettagli) di New York. Fa ogni giorno il pendolare dal suo paesino nel New Jersey, dove è vessato dalla terribile madre, a Manhattan, dove è vessato dal terribile capo. Un po' come il suo omologo in Quando la moglie è in vacanza, anche lui trova rifugio in fantasticherie che lo consolano dalla triste realtà. La madre è così tremenda che gli ha pure imposto la fidanzata (Ann Rutherford), una odiosetta, anch'ella succube della propria madre. Il capo, invece, si limita a maltrattarlo e a soffiargli le idee.

A sconvolgere la routine ci pensa una bella straniera (Virginia Mayo) che lo trascina in un inghippo alla Notorious (uscito un anno prima), Intrigo internazionale, e un po' a tutto quel genere di storie che piacevano molto ad Alfred Hitchcock. Non è difficile immaginare come andrà a finire.

Il ritmo della narrazione è spezzato di continuo sia dai sogni ad occhi aperti di Walter, che vengono dilatati esageratamente per dar modo a Kaye, che proveniva dall'avanspettacolo, di fare sfoggio delle sue capacità (qui ricorda a tratti Charlie Chaplin, che viene anche citato esplicitamente, e il nostro Totò), sia da siparietti comici che però non centrano sempre il bersaglio.

Le numerose le attrici di bella presenza ma dalla scarsa o nulla possibilità di emetter parola rimarcano la impostazione da vaudeville della produzione, che però deve fare i conti con il codice Hays che ai tempi regolamentava il cinema americano. Ne conseguono abiti succinti ma non troppo, e niente situazioni che possano essere considerate sconvenienti. Anche il finale paga pegno e il protagonista, pur ribellandosi alla sua precedente situazione, finirà per rimanerne comunque impastoiato.

Elysium

Forse il problema è che in questo film Neill Blomkamp (sceneggiatura e regia, suo primo film americano dopo il successo di District 9) ha cercato di metterci dentro troppa roba.

Le premesse sono quelle di Metropolis, in un futuro distopico (tra meno di centocinquant'anni) i super-ricchi, stufi del degrado terrestre, e pare anche infastiditi dal dover aver a che fare fin troppo frequentemente con miseri mortali, decidono di andare a vivere un po' più in là. In questo caso su una bella (anche se scientificamente discutibile) stazione orbitante che innesca memorie relative a 2001 Odissea nello spazio.

La assurda distanza tra il mondo dei pochi felici e il resto dell'umanità viene poi trattato come altri film di fantascienza hanno fatto, soprattutto nel recente passato, vedasi ad esempio Total recall (con il quale si può fare un parallelo anche per il lavoro del protagonista), Upside down, In time, eccetera.

Il nostro eroe, Max (Matt Damon), deve giocare il tutto per tutto in brevissimo tempo per riuscire a raggiungere Elysium, coinvolgendo involontariamente nella corsa anche la sua amica di infanzia (Alice Braga), che del resto ha pure un suo interesse. Dall'altra parte della barricata c'è la crudele responsabile della sicurezza elisiana (Jodie Foster) che nel frattempo ha le sue idee per la testa, che coinvolgono anche il capo (William Fichtner) dell'azienda dove lavora Max, con cui il nostro ha un conticino in sospeso.

In mezzo si mette pure un feroce mercenario sudafricano (Sharlto Copley, era il protagonista di District 9) che ha un certo gusto per la violenza, a prescindere da quanto questa sia necessaria.

Visto il debole ruolo della donna del protagonista, la si sarebbe a mio avviso eliminare del tutto, e utilizzare il tempo ottenuto per dare più spessore ad altri personaggi. Infatti a venir disegnato bene è solo il protagonista, anche la antagonista avrebbe tratto giovamento da qualche minuto in più per la costruzione del personaggio.

Monsieur Lazhar

Mia seconda visione per questo film canadese (scritto e diretto da Philippe Falardeau) che ha avuto un relativo successo sia a livello di concorsi (premiato a Locarno, tra l'altro) sia di pubblico, al punto che il regista è riuscito a trovare negli USA fondi sufficienti per il suo prossimo film che uscirà nel 2014 ed avrà tra Reese Witherspoon come protagonista femminile.

Storia di ambientazione scolastica che mescola diverse tematiche che variano dalla difficoltà di inserimento in un diverso Paese, al rapporto tra insegnanti, genitori, bambini.

Iniziando con il suicidio di una insegnante, e avendo sullo sfondo la storia del protagonista (Mohamed Fellag) che in Canada è arrivato dall'Algeria in seguito a tragici accadimenti, non è propriamente definibile un film di intrattenimento. Eppure Falardeau mostra di saper trattare argomenti non facili con leggerezza.

Questa volta il finale mi ha fatto pensare a Vita di Pi. Lazhar non riesce a parlare della sua tragica storia con la persona che sente più vicina (anche perché si tratta di una sua alunna, la giovanissima Sophie Nélisse che mi sembra instradata verso una bella carriera cinematografica), ci riesce solo nel finale ricorrendo ad una molto toccante trasposizione favolistica.

Spaced - Stagione 1

Sit-com sperimentale a bassissimo costo, è stato il punto di partenza del sodalizio tra Edgar Wright (regia), Simon Pegg (co-sceneggiatore e protagonista) e Nick Frost. La protagonista femminile e co-sceneggiatrice è Jessica Hynes (al tempo Jessica Stevenson), che ha rincontrato il terzetto ne L'alba dei morti dementi e il solo Pegg in Burke & Hare ma si è ritagliata una carriera per conto suo.

Lo sperimentalismo sta sia nella regia di Wright, che riesce a trasformare l'assenza quasi assoluta di soldi in un pregio, usando creativamente linguaggi da film di genere (horror, fantascientifico, etc) in una struttura che non li prevederebbero, sia nella sceneggiatura a quattro mani che mescola fantasiosamente i punti di vista maschili e femminili ottenendo effetti comici che, se non colpiscono sempre il bersaglio, quando ci riescono lo fanno bene.

La storia è quella di due quasi trentenni londinesi in cerca di trovare una posizione nella società, Tim (Pegg) vorrebbe disegnare fumetti, Daisy (Hynes) vorrebbe fare la giornalista, entrambi hanno una vita affettiva disastrosa. Per riuscire a conquistare un buon appartamento fingono di essere una coppia stabile con lavoro decente e, sorprendentemente, riescono nell'impresa, anche perché Marsha, la padrona di casa (Julia Deakin, vista anche in successive avventure del terzetto, qui recita come una specie di Anjelica Huston/Morticia Addams con una perniciosa dipendenza alcolica) sembra avere un bizzarro modo di selezionare gli inquilini. Vedasi l'artista (Mark Heap) che alloggia nel seminterrato.

Tra gli altri personaggi, il ruolo più importante ce l'ha Frost, che interpreta l'amico di infanzia di Tim, caratterizzato da una passione sfrenata per le armi e la vita militare.

Le donne del 6º piano

Lo si può vedere come una buona commedia romantica francese che non richiede particolare attenzione e ripaga tranquillamente le aspettative. Va benissimo così, ma si spreca buona parte del lavoro di Philippe Le Guay (sceneggiatura e regia).

Volendo, si può prestare attenzione al lavoro del cast che, oltre al protagonista Fabrice Luchini, include anche Carmen Maura e Lola Dueñas. Magari si può notare che le due spagnole hanno una certa esperienza almodovariana, e chiedersi come mai siano state scelte, oltre che per la loro innegabile bravura. La componente spagnola nel film viene pure risaltata dalla adeguata colonna sonora, firmata da Jorge Arriagada, disegnata anche per sottolineare anche le atmosfere di un tempo ormai lontano.

Siamo infatti nei primi anni sessanta a Parigi, al centro della storia c'è la famiglia medio-alto borghese dei Joubert, e in particolare del capofamiglia Jean-Louis (Luchini). Il quale ha ereditato dal padre un lavoro che gli permette una vita agiata, ma per il quale non prova quasi nessun interesse. Non gli va meglio nemmeno nella vita privata, con un matrimonio che è evidentemente diventato pura routine e due figli che conosce appena.

Questa esistenza da zombie viene travolta dal cambio di governante, l'arrivo della giovane María (Natalia Verbeke) lo porta ad interessarsi all'esistenza delle donne di servizio del caseggiato, alloggiate all'ultimo piano in misere condizioni. E questo lo porta a farsi domande che finiranno per spingerlo a cambiare vita.

Oltre alla trama rom-com, c'è dunque pure una velata critica sociale che possiamo tranquillamente trasporre ai nostri giorni. Del resto, giusto all'inizio vediamo che i Joubert cambiano la precedente governante (bretone, mi pare di ricordare) con una spagnola lamentandosi che le francesi non hanno più voglia di lavorare. Adesso si fanno venire a fare questi lavori persone da angoli più remoti del mondo (Filippine, ex-URSS, ...) ma il concetto resta lo stesso.

C'è pure un accenno, ancor più felpato, sul sessantotto. Si intuisce infatti che i due giovani Joubert siano sul punto di abbracciare la contestazione, li sentiamo fare discorsi egalitari pseudo-rivoluzionari, ma li vediamo anche comportarsi da privilegiati che non hanno nessuna intenzione di applicare realmente i principi che sbandierano con il solo scopo, mi vien da pensare, di mettere in imbarazzo i genitori.

Ma non si spaventi lo spettatore che vuole qualcosa di semplice, tutte queste tematiche sono lasciate sullo sfondo, e a dominare è lo stralunato stupore del protagonista che scopre di voler buttare alle ortiche la sua precedente vita e ricominciare da capo, e il bel sorriso di María.

Mud

Prendi una storia che sembra una favola, trasponila in un mid-west dei giorni nostri, segui il punto di vista di due personaggi minori ma che finiranno per dare un contributo fondamentale, che, essendo ragazzetti - quasi bambini, ti permettono di usare toni alla Tom Sawyer (Mark Twain), o alla Stand by me (Stephen King - Rob Reiner). Se riesci a raccontare come Jeff Nichols (sceneggiatura e regia), ti può venire fuori un bel film come questo.

Come nel precedente Take shelter, Nichols segue personaggi minori in ambienti periferici che si comportano in maniera bizzarra, ma che hanno molto da dire, a chi voglia, o possa, ascoltare. Già, perché nonostante il buon successo di critica nei festival a cui è stato presentato (unica possibilità per trovare una distribuzione decente per chi non è coperto da una major) e il conseguente relativo successo commerciale, non mi pare che in Italia sia passato in alcun cinema, e nemmeno sia disponibile in DVD. Fortuna che al giorno d'oggi non è difficile procurarsi versioni per altri Paesi europei a prezzi decenti. Unico problema, niente doppiaggio (ma questo lo vedrei in positivo come uno stimolo ad imparare l'inglese) e, almeno nell'edizione che è capitata nelle mie mani, niente sottotitoli nella nostra lingua.

Abbiamo dunque un eroe (Matthew McConaughey), anche se è difficile definirlo senza macchia, al punto che si fa chiamare Mud, ovvero Fango, nome quanto mai adeguato visto che tutta l'azione si svolge sul fangosissimo Mississippi, che farebbe qualunque cosa per la sua bella Juniper (Reese Witherspoon). Lei, però, pur amandolo, è volatile come l'uccellino che si è fatta tatuare sulla mano, e non riesce proprio a legarsi a lui. C'è poi una folta schiera di cattivi, che vogliono eliminare, possibilmente in modo molto doloroso, Mud.

Il quale è solo al mondo, figlio di genitori ignoti. Avrebbe una specie di padre adottivo, Tom (Sam Shepard), che però si è stufato di dirgli che non si può fidare di Juniper, delle sciocchezze che combina per cercare di conquistarla, e praticamente gli dice che non vuole più aver nulla a che fare con lui.

Entrano in azione i nostri piccoli salvatori, Ellis (Tye Sheridan, che mi sembra destinato ad un brillante futuro) e Neckbone (Jacob Lofland, suo debutto, ottima intesa con Sheridan), ragazzetti di famiglie sull'orlo della povertà e forse pure della catastrofe, i genitori del primo sono decisamente in crisi, il secondo ha solo un bizzarro zio (Michael Shannon, era protagonista in Take shelter) che vive facendo il palombaro nel fiume con una attrezzatura casalinga che sembra da cartone animato. Ellis vede in Mud qualcosa che nessuno sembra vedere, forse nemmeno lo stesso Mud riusciva a vedere più, e riesce, pure attraverso mille pericoli, errori, sconfitte, a propiziare una fine che, se non è esattamente lieta, è almeno positiva.

Molière in bicicletta

Serge (Fabrice Luchini), attore sulla sessantina, s'è ritirato dal lavoro per vivere, solo e ingrugnito, su un'isoletta lontana da tutto e da tutti.

Ma non ha fatto i conti con Gauthier (Lambert Wilson), un suo vecchio amico di un decennio più giovane, e con il TGV che lo rende facilmente raggiungibile.

Gauthier ha un gran successo televisivo, grazie ad una serie in cui lui interpreta il solito chirurgo burbero ma geniale, ruolo che a lui però va stretto, vorrebbe fare qualcosa di più impegnativo, niente meno che Il misantropo di Molière. Inoltre è preoccupato per Serge, e vorrebbe che tornasse a recitare, sapendo quanto forte sia la sua passione.

Inizia dunque una schermaglia tra i due, molto diversi sia caratterialmente sia nello stile della recitazione. Serge non vorrebbe tornare a recitare, lamentando la corruzione dei tempi, però non riesce a resistere alla possibilità di avere il ruolo principale di Alceste (da cui il titolo originale, Alceste à bicyclette), e dunque cede solo per l'accordo di interpretarlo in alternanza con Gauthier.

Il film segue le prove dei due Alceste che si scambiano i ruoli, inframezzati con altri accadimenti, quali l'incontro con una italiana (Maya Sansa) che sta divorziando e con Zoé (Laurie Bordesoules), una giovane nativa che si vuole dedicare al cinema (ma nel senso del porno).

Trattasi di commedia con risvolto amaro, scritta e diretta da Philippe Le Guay, prendendo spunto dalla passione di Luchini per Molière e per una vita non troppo lontana da quella rappresentata dal suo personaggio.

I momenti migliori sono quelli dove i personaggi provano e si scontrano declamando gli alessandrini di Molière, che purtroppo sono anche quelli che subiscono maggiormente il doppiaggio. Avrei preferito avere la possibilità di vederlo in originale sottotitolato. Come soluzione di ripiego, vedo che youtube, cercando il titolo originale, si trova una buona quantità di spezzoni. Avendo visto la versione italiana prima, si riesce comunque ad apprezzare la musicalità che al cinema (ohimè) va persa.

Blue Jasmine

Un bravo attore può riuscire a farsi valere anche nonostante la sceneggiatura e la regia, ma quando incontra una sceneggiatura che gli sembra cucita addosso ed è seguito da una regia di gran classe il risultato non può che essere eccellente.

La Jasmine del titolo, blue nel senso della depressione che gli anglofoni associano a questo colore, è una Cate Blanchett in piena forma che sfrutta al meglio quello che Woody Allen le offre su un piatto d'argento, una storia centrata sul suo personaggio che le dà modo di spaziare in tutta la gamma espressiva a sua disposizione.

L'umore nero di Jasmine è dovuto al brusco passaggio di status. Un attimo prima era la viziata moglie di Hal (Alec Baldwin), un vorace squalo della finanza d'assalto newyorkese, adesso è una vedova squattrinata (ma che continua a sperperare come se nulla fosse cambiato) costretta a lasciare la sua amata Fifth Avenue di Manhattan per San Francisco, contando sull'ospitalità di Ginger (Sally Hawkins, anche lei bravissima), la sorella-brutto anatroccolo che non ha mai potuto sopportare.

Tenendo come spartiacque volo coast-to-coast (in prima classe, nonostante tutto), il film racconta in flashback il passato alto borghese New York e in presa diretta il presente proletario a San Francisco, tra ex marito, nuovo fidanzato (Bobby Cannavale) e amici di Ginger che, ovviamente, le fanno orrore, mostra un maldestro tentativo di rifarsi la vita, finito male anche per colpa di un viscido dentista (Michael Stuhlbarg), fino all'incontro con un appetibile divorziato (Peter Sarsgaard).

Chi non abbia ancora visto il film faccia attenzione al fatto che non si tratta di commedia che nasconde temi di spessore dietro le battute, ma di tragedia raccontata con levità.

Hollywoodland

Hollywood dei tempi andati vista da dietro le quinte, seguendo una prospettiva investigativa. Che poi è un tema piuttosto comune della letteratura hard-boiled, e sua conseguente trascrizione cinematografica. Restando ai nostri tempi, nello stesso anno è uscito Black Dahlia, e l'anno prima Kiss kiss bang bang. A chi fosse indeciso su quale dei tre vedere suggerirei, senza pensarci più di un attimo, il terzo.

La differenza è che qui si segue, con le solite ovvie molte libertà di sceneggiatura, una storia vera, quella di George Reeves (Ben Affleck), colui che fu il secondo Superman sullo schermo (essendo il primo Kirk Alyn).

Il povero Reeves era un attore di secondo piano, che viveva nella speranza di fare il grande balzo e diventare una star. Riuscì ad entrare con una particina nel cast di Via col vento ma questo non lo aiutò nella carriera. Seguono infatti apparizioni come figurante e ruoli minimi, con l'eccezione del ruolo da protagonista nel seriale Le avventure di Sir Galahad, citato nel film.

Gli capitano poi un paio di cose. Incontra Toni (Diane Lane) e diventa il suo amante, scoprendo poi che di cognome ella fa Mannix, ed è moglie di Eddie (Bob Hoskins), un pezzo grosso dell'MGM con una nomea non proprio cristallina. E poi ottiene la parte principale per una nuova serie televisiva di Superman. Non che sia entusiasta dei panni di supereroe, ma è la cosa migliore che il suo agente gli riesce a procurare.

Sfruttando il successo della serie (e forse anche qualche appoggio da parte della signora Mannix), George riesce ad ottenere qualche altro piccolo ruolo in produzioni notevoli. Appare infatti (ma non se ne parla nel film) in Gardenia blu, un film minore di Fritz Lang, e soprattutto nel polpettone di gran successo Da qui all'eternità. Succede però che il ruolo di Superman ha finito per oscurare l'attore, rendendo ridicole le sue apparizioni fuori da quel contesto. E' questa la vera maledizione di Superman che, in fin dei conti, finì per colpire anche il quasi-omonimo successore Christopher Reeve. Se un ruolo è troppo ingombrante, finisce per impedire, o rendere molto difficile, all'attore di fare il suo mestiere, che sarebbe quello di interpretare ogni volta un carattere diverso. Si pensi come ulteriore esempio ad un altro Reeves, Keanu, e al suo rapporto con Neo di Matrix.

A mio parere, la drammatica storia di George sarebbe bastata a riempire il film, grazie anche alle ottime prove attoriali di Affleck (una delle sue migliori cose, secondo me, giustamente premiato con la Coppa Volpi a Venezia), Lane e Hoskins. Non dello stesso avviso sono stati sceneggiatore (Paul Bernbaum) e regista (Allen Coulter), forse a causa del loro backgroud televisivo.

Si è dunque fatto in modo che la vicenda di George fosse contrapposta a quella di Louis (Adrien Brody), un investigatore privato sull'orlo della catastrofe umana. Costretto a lavorare in proprio per essersi inimicato il mondo del cinema, divorziato con un figlio che non riesce a seguire, ha un unico cliente che sembra psicopatico (e nel finale dimostra di esserlo), e finisce per prendere un caso che lo porta ad indagare nel mondo del cinema, scoprendone gli aspetti più deprimenti dietro una facciata che sembra così luccicante.

Tecnicamente, la doppia trama è resa mostrando in parallelo le due storie, come se stessero avvenendo contemporaneamente, mentre invece sono sequenziali. Vi sono inoltre un paio di scene che non sono "reali" (nel senso di essere realmente avvenute nell'universo definito dallo svolgimento del film) ma immaginate (o dedotte) da Louis, che vengono però presentate come se lo fossero, lasciando allo spettatore la libertà di decidere cosa farne. Espedienti che credo avrebbero funzionato meglio con una diversa storia e magari con un diverso regista.

Come non detto

Mi ha fatto male agli occhi e al cuore vedere una brava attrice italiana (Monica Guerritore) in una produzione così scarsa. Anche se, a dire il vero, l'ultima volta che ho visto la Guerritore al suo meglio è stato a teatro, decenni fa, nel Macbeth diretto da Gabriele Lavia.

Un ragazzetto gay romano ha un fidanzato spagnolo, con cui sta per convolare, approfittando della maggior tolleranza iberica sui gusti sessuali dei cittadini. Essendo però italiano, segue i dettami della doppia morale (fa quel che vuoi, basta che non si sappia), cosa che lo spagnolo non capisce, e dunque viene conoscere gli suoceri prima di portar loro via il tenero virgulto.

L'amico del protagonista che ha una lavanderia mi ha ovviamente fatto pensare a My beautiful laundrette di Stephen Frears. Roba di un altro pianeta.

Quartet

Storia non particolarmente sorprendente, ma ben narrata, un adattatamento dello stesso Ronald Harwood dalla sua piece teatrale. Che poi Harwood sarebbe quello che ha scritto cose come Il servo di scena o La diva Julia. Il che spiega come mai il mondo teatral-musicale sia raccontato così bene, ma anche come mai, causa la regia affidata all'esordiente (da quel lato della macchina da presa, si intende) Dustin Hoffman, la messa in scena risulti a tratti molto poco cinematografica.

Ambientata in una inesistente casa di riposo per cantanti e musicisti che sarebbe nella bella campagna inglese, ma che prende evidentemente ispirazione dalla milanese Casa Verdi, racconta dei preparativi per il tradizionale concerto che gli ospiti tengono tutti gli anni, in occasione del compleanno del Maestro Giuseppe Verdi (per l'appunto), con lo scopo di raccogliere fondi per aiutare la cassa dell'istituto.

Due i filoni che si rincorrono, da un lato seguiamo i preparativi secondo le direttive di Cedric (Michael Gambon), che presumibilmente era un impresario, dall'altro le vicende sentimentali di una coppia di cantanti d'opera, Jean (Maggie Smith) e Reggie (Tom Courtenay), il cui matrimonio, risalente a decenni prima, era durato solo poche ore. Parte importante hanno anche altri due cantanti, l'estroverso Wilf (Billy Connolly) e la smemorina Cissy (Pauline Collins). I quattro avevano spesso cantato assieme in passato, e dunque vorrebbero ricostruire l'amicizia, e possibilmente anche tornando a cantare come attrazione principale nello spettacolo di cui sopra. Il problema principale sta nel carattere di Jean, che da brava prima donna, fa le bizze.

La colonna sonora non concede molto spazio alle musiche originali di Dario Marianelli, data la gran mole di materiale d'archivio. Molto Verdi, naturalmente, ma anche Bach, Rossini, Puccini (Vissi d'arte dalla Tosca), eccetera.

Argo

Seconda visione, ad un annetto di distanza dalla prima. Impressioni confermate, buon film, simpatica commistione tra dramma e commedia, realtà e finzione. Unica differenza, questa volta ho sentito meno la tensione. Sotto questo punto di vista è uno di quei film che rende di più la prima volta. Non è tanto sul come vada a finire, questo lo sapevo anche un anno fa, e che è costruito (anche) sul "chissà cosa succede adesso". Gli ostaggi in fuga saranno scoperti? I mujaheddin li fermeranno nel bazar? Eccetera. Tutti dubbi che sono già risolti nelle repliche.

Nonostante questo, e nonostante anche un certa carenza di sottigliezza in alcuni passaggi, la sceneggiatura di Chris Terrio (in pratica al suo debutto) e la regia di Ben Affleck tengono bene, al punto che anche questa volta le due ore sane di pellicola mi sono scorse via senza problemi.

The station agent

Che poi in italiano il titolo sarebbe stato facilmente traducibile in Il capostazione. Prima sceneggiatura e regia di Thomas "Tom" McCarthy, forse più noto come attore. Un po' come Sergio Rubini che ha diretto il suo primo film, La stazione (in inglese The station) un decennio prima. E in effetti i due film hanno in comune, oltre all'ambientazione ferroviaria, anche uno sguardo su personaggi e ambienti periferici.

Il protagonista qui è Fin (Peter Dinklage) un trentenne affetto da nanismo, ormai rassegnato alla crudele ironia dei "normali" e con una grande passione per i treni. A causa di una eredità lascia i sobborghi di New York per prendere possesso di una stazione abbandonata nel nulla del New Jersey. Interessante notare come il passaggio dai due ambienti venga visto come abissale, nonostante che Fin, con il suo passo corto, riesca a cambiare casa con una lunga passeggiata. E, ho controllato sulla cartina, direi che sia fattibile, anche se magari sarebbe meglio mettere in conto due giorni.

Sembra che il suo progetto sia quello di vivere in solitudine avendo meno contatti possibile con il resto dell'umanità, ma finisce per incappare in Olivia (Patricia Clarkson), una cinquantenne molto sbadata che rischia di investirlo (due volte!), e Joe (Bobby Cannavale - di questi giorni lo si può vedere in Blue Jasmine) un loquace cubano sulla trentina che gestisce per conto del padre momentaneamente indisposto un baracchino che, misteriosamente, vende caffè proprio fuori dalla ex-stazione di Fin. Altri incontri, tra cui quello con la bibliotecaria (Michelle Williams ancora non molto nota, Brokeback Mountain è di un paio di anni dopo) e con una bambina cicciosetta, finiranno per fargli cambiare idea.

McCarthy mescola con giudizio i toni da commedia con quelli più drammatici, raccontandoci la storia di tre solitudini che riescono miracolosamente a far sbocciare una bella amicizia. C'è qualche angolo oscuro nella sceneggiatura - per esempio, se si capisce bene come mai Fin e Olivia preferiscano starsene per conto loro, non è chiaro perché Joe sia così attratto da quei due musoni - ma il risultato complessivo è ottimo.

Dietro i candelabri

La quasi totale scomparsa dei cinema indipendenti negli Stati Uniti ha avuto tra le sue conseguenze l'appiattimento della loro produzione cinematografica. Un film che non ambisca ad un'ampia platea finisce per essere stroncato all'origine, non trovando gli (ingenti) capitali necessari.

Fortuna che gli autori sono creativi, e dunque si è trovato il modo di superare il problema. E' nato dunque un nuovo tipo di film per la TV. Sono film che potrebbero essere tranquillamente distribuiti al cinema - ed in effetti lo sono, in Europa - ma che sono prodotti dalla televisione (tipicamente la HBO) per essere in primo luogo visti sul piccolo schermo. Vedasi ad esempio Wit (2001) che ha Mike Nichols alla regia ed Emma Thompson come protagonista, trattando il tema della morte per cancro non è stato considerato sufficientemente appetibile.

Stesso destino per questo film, che pur essendo diretto da Steven Soderbergh, con i ruoli principali affidati a Michael Douglas e Matt Damon, comprimari del calibro di Dan Aykroyd, Scott Bakula, Rob Lowe, Debbie Reynolds, ad avendo uno sviluppo su toni piuttosto leggeri, non ha ottenuto l'OK da nessuna major perché si tratta esplicitamente il tema della gayezza che, evidentemente, dopo una parentesi di permissivismo, è tornato ad essere tra gli argomenti che richiedono una particolare attenzione.

La storia è quella di Liberace (Douglas), un pianista estremamente gay famosissimo negli USA, morto a fine anni ottanta di AIDS. Figlio del suo tempo, negò sempre pubblicamente le sue preferenze sessuali, e gran parte dei suoi fan incredibilmente gli credevano senza problemi. Il punto di vista è quello di Scott (Damon), suo amante per alcuni anni nel periodo finale della sua vita.

Gli atteggiamenti da diva del protagonista ricordano gli eccessi de Il vizietto, o delle drag queen di Priscilla, anche se qui viene dato maggior spazio alla fisicità del rapporto tra i due protagonisti, un po' come in My beautiful laundrette. Ne sconsiglierei perciò caldamente la visione agli omofobi, visto che anche a me gli sbaciucchiamenti tra Douglas e Damon sono sembrati eccessivi.

A proposito del lato documentaristico della vicenda, occorre tener presente che il personaggio di Scott è stato pesantemente adattato alle esigenze di sceneggiatura. Nella realtà era minorenne quando conobbe Liberace (e Damon, seppur ringiovanito dal trucco, non riesce a sembrare così giovane), e non aveva per niente una buona relazione con la sua famiglia adottiva.

Riassumendo, ottima prova attoriale, in particolare quella di Michael Douglas, buona regia e sceneggiatura, anche se non ho capito bene dove volesse andare a parare.

Equilibrium

Pur essendo, soprattutto nella lunghissima prima parte, noioso oltre misura, questo film scritto e diretto da Kurt Wimmer non mi è totalmente dispiaciuto.

Distopia ambientata nell'immediato futuro, cerca di presentarsi come clone culturalmente più raffinato di Matrix, usando riferimenti letterari e cinematografici di gran lignaggio, come 1984 di George Orwell (e film di Michael Radford), Brave new world di Aldous Huxley, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (e film di François Truffaut), Metropolis di Fritz Lang e, volendo, anche cose un po' meno elevate, come Il mago di Oz, magari via Zardoz di John Boorman, El Mariachi di Robert Rodriguez. Eccetera.

C'è stata la solita catastrofica terza guerra mondiale, un tale (Sean Pertwee) è diventato benevolo dittatore a vita e ha convinto la popolazione che i guai degli umani derivano dal provare emozioni, dunque la ricetta è quella di spararsi tutti quanti una dose di calmante e di evitare assolutamente tutto quello che possa risvegliare la sensibilità, dalle opere d'arte agli animali da compagnia.

Ovviamente ci sono anche quelli a cui questo andazzo non va bene, e dunque viene creata una bizzarra forza di polizia, i cui agenti (clerici) si vestono come i ribelli di Matrix, e usano improbabili tecniche di combattimento orientali che però non disdegnano il supporto di armi da fuoco.

La storia segue il percorso di Preston, un molto reverendo clerico (Christian Bale) che assiste senza quasi batter ciglio alla condanna a morte della moglie (Maria Pia Calzone, purtroppo parte minima), elimina personalmente il suo collega (Sean Bean) in quanto in realtà avido lettore di poesie (ovviamente vietate), ma non riesce a resistere al lato oscuro della passione quando cercano di ammazzargli sotto il naso un cucciolone canino decisamente simpatico. Ah già, anche l'esecuzione dell'ex-amante (Emily Watson) del collega, per la quale anche lui sembra avere un certo interesse non propriamente platonico, contribuisce alla sua conversione.

Spunti interessanti ce ne sono, ma finiscono per annegare o nell'umorismo involontario (In una scena un esercito di poliziotti spara contro un gruppo di ribelli asserragliati in un casermone. Dall'interno il capo dei resistenti prende il suo fucile, rompe l'unico vetro che era miracolosamente sopravvissuto fino a quel momento al fuoco incessante degli assedianti per sparare un paio di colpi a vuoto), o nelle scene di combattimenti che finiscono per aggiungere poco alla storia, o nella noia.

Il mio amico Eric

Il titolo originale, Looking for Eric (qualcosa come Alla ricerca di Eric), rende meglio il fatto che l'amico Eric è immaginario, anche se noi lo vediamo come se fosse in carne ed ossa, ed è il modo disperato che il protagonista (che si chiama anche lui Eric) usa per cercare di uscire da una brutta situazione.

l'Eric reale (Steve Evets) è un postino cinquantenne messo davvero male. Trent'anni prima ha mollato la moglie da poco sposata e che aveva appena avuto la loro figlia, senza sapere nemmeno bene perché. Da quel momento in poi la sua vita è andata sempre peggio. Per sua fortuna ha un nutrito gruppo di amici/colleghi che lo aiutano, per quanto possibile, a non fare naufragio completo.

La lenta deriva viene interrotta dalla necessità di incontrare la ex moglie, cosa che lo mette in grandissimo stato di agitazione, al punto che finisce per materializzare Eric Cantona (interpretato da lui medesimo), suo idolo calcistico.

Inizialmente le cose invece che migliorare peggiorano. Seguendo i consigli di Cantona, il vero Eric viene picchiato, minacciato, umiliato con un filmato su YouTube. Il suo tentativo di riconciliazione con ex-moglie e figlia si risolve in un disastro, con la polizia che gli piomba in casa e arresta tutti quanti.

Ma Eric non si arrende. Continua a seguire gli insegnamenti di Cantona, e alla fine una soluzione, per quanto bizzarra, si trova.

La coppia Ken Loach (regia) - Paul Laverty (sceneggiatura), a mio gusto, funziona benissimo. Laverty ha smussato i toni fin troppo combattivi di Loach fornendo comunque storie che ben si adattano alla verve popolar-contestataria del regista. L'espediente dell'amico immaginario superstar non è certo nuovo, vedasi l'Humphrey Bogart in Provaci ancora Sam di Woody Allen o, in tempi più recenti, Tony Hawk in Tutto per una ragazza di Nick Hornby, ma mi pare che sia gestita in modo molto naturale.

La giusta distanza

Raccontata come se fosse la storia della formazione al giornalismo di Giovanni (Giovanni Capovilla, esordiente), mi è parso piuttosto un affresco sulla periferia padana narrato da uno (Carlo Mazzacurati, regista e co-sceneggiatore) che sa bene di cosa si sta parlando.

Quasi tutta l'azione (o meglio, la sua quasi assenza) si svolge in un microscopico paesino veneto dove tutto sembra immobile e immutabile. "Qui una volta era tutta campagna", dice Franco (Natalino Balasso) a Giovanni, in una stradicciola tra campi e canali, dove nulla è cambiato da tempo immemorabile. Anche se basta prendere la macchina per incontrare la modernità periferica, fatta di prefabbricati e grandi distributori automatici di benzina che fanno anche da supermercati del sesso.

Poco accade, e poco ci si può aspettare che accada. C'è un serial killer, però è specializzato in cani. Il tabaccaio (Giuseppe Battiston) che ha scoperto il modo per arricchirsi grazie al riscaldamento globale, ma non ha idea di come spendere quei soldi, e finisce per sposare una rumena grazie ad un apposito servizio su internet. C'è il mago locale (Dario Cantarelli), che ha una grande notorietà grazie ai suoi amuleti, o forse piuttosto grazie al gran vuoto culturale che niente e nessuno sembra voler colmare. Ci sono pure tanti stranieri, diventati indispensabili ma più tollerati che accettati.

A smuovere le acque arriva Mara (Valentina Lodovini, al suo primo ruolo importante), giovane donna inquieta che insegna alle elementari in attesa di partire per il Brasile per una cooperazione internazionale. Giovanni, un po' come tutti, si prende una cottarella per lei, mentre cerca di scrivere per il Resto del Carlino entrando in contatto con un giornalista locale (Fabrizio Bentivoglio, pochi minuti che riesce comunque a sfruttare bene per dare spessore al suo personaggio).

Ci scapperà il morto, ma lo spettatore non si aspetti un film d'azione, la parte investigativa viene risolta frettolosamente, senza grandi approfondimenti. Ed è proprio questo sbilanciamento della struttura della sceneggiatura (a cui hanno collaborato Doriana Leondeff, Marco Pettenello e Claudio Piersanti) che non mi ha completamente convinto. La storia di Giovanni finisce per essere poco interessante sia perché manca lo sviluppo (OK, il giovane giornalista scopre che l'insegnamento del vecchio maestro, tenere la giusta distanza tra narrazione e narratore, non è che vada preso come oro colato, ma poi che succede?) sia perché il giovane attore non mi pare capace di reggere il ruolo.

Lussuosa la colonna sonora, affidata ai Tin hat.

La sposa promessa

Il titolo internazionale è Fill the void, Riempire il vuoto, che, potenza dei traduttori automatici disponibili online, ho scoperto essere la traduzione letterale dell'originale ebraico. Come al solito la distribuzione nostrana brilla per una inventività non richiesta e che sembra dare una interpretazione tutta sua della pellicola.

In effetti la storia, scritta e diretta da Rama Burshtein (opera prima), narra di una giovane donna (Hadas Yaron - premiata a Venezia con la Coppa Volpi) che è sul punto di venir promessa in sposa ad un suo coetaneo. Ma succede un inghippo, la sorella maggiore muore di parto, e la madre, temendo che il genero (Yiftach Klein - bravo anche lui) se ne vada in Belgio col nipotino, cerca di convincere la minore a riempire il vuoto (per l'appunto) lasciato dalla sorella maggiore e sia lei a sposare il cognato.

Non sono riuscito a seguire a fondo la storia in quanto distratto dall'ambientazione. Siamo infatti a Tel Aviv, ai giorni nostri, ma sembra fare un salto indietro nel tempo di un paio di secoli, in quanto tutti i personaggi appartengono alla comunità ultra-ortodossa ebraica. Abbiamo dunque una grande formalità, rituali (per me) misteriosi e abbigliamenti bizzarri.

L'impostazione data dalla regista esclude completamente ogni relazione con il resto del mondo. Peccato, perché non credo sarebbe stato difficile mostrare anche un qualche scorcio della Tel Aviv più comunemente nota, occidentale e moderna, che avrebbe dato una visuale, a mio parere, più interessante. Credo che l'intenzione sia quella di mostrare una storia alla Jane Austen, con la protagonista (relativamente) ribelle che alla fine trova una sua collocazione nella sua società.

La forza della mente - Wit

Il titolo italiano è così sbagliato che non sono riuscito ad evitare di accostarlo nel titolo al titolo originale. Complice anche il fatto che è praticamente introvabile nella nostra lingua e chi volesse procurarselo avrebbe maggior fortuna cercando altre edizioni europee.

Con "wit" si intende l'arguzia, la prontezza di spirito, di cui è certamente fornita la protagonista (Emma Thompson, c'è bisogno di aggiungere altro?) mentre affronta gli ultimi mesi della sua vita. Già, perché subito nelle prime battute ci viene chiarito che Vivian Bearing, una professoressa universitaria di inglese, massima esperta sull'opera di John Donne, non ha praticamente scampo. Un brutto tumore colto in gran ritardo non le lascia praticamente scampo. Considerando che 50 e 50 è riuscito ad allontanare gran parte del suo possibile pubblico nonostante il suo taglio da commedia e l'assicurazione che il protagonista se la sarebbe scampata, si capisce come Wit, che è una sorta di "100 e 0", non miri a platee oceaniche.

Non stupisce allora che si tratti di un film per la TV, nella curiosa reincarnazione che ha preso questo termine negli ultimi anni. E' successo infatti che i cinema d'essai sono praticamente spariti dalla faccia della Terra, e dunque film che possono pensare di attrarre solo poche decine di spettatori alla volta non hanno più senso di essere prodotti. A meno che non siano pensati per la distribuzione televisiva, su appositi canali che non mirino al pubblico generalista.

L'impostazione è decisamente teatrale (da una piece di Margaret Edson), e non so bene quanto del "wit" che ci arriva venga dall'originale e quanto sia veicolata dalla regia (e sceneggiatura) di Mike Nichols e dalla recitazione (e sceneggiatura) di Emma Thompson.

Poco lo spazio che resta ai comprimari, anche se tutti meritano di essere ricordati. Il dottore che diagnostica il tumore è Christopher Lloyd (sì, il Dottor Emmett Brown di Ritorno al futuro), quello che segue, un po' malvolentieri, la paziente è Jonathan M. Woodward, l'infermiera che riesce a stabilire un legame emotivo è Audra McDonald. C'è pure un inatteso Harold Pinter nel ruolo del padre di Vivian.

Doctor Who - Speciale del 50°

Peccato che motivi tecnici ed economici abbiano impedito di realizzare appieno quella che credo fosse l'idea originale. Avere in scena tutti i Dottori contemporaneamente sarebbe stato qualcosa al limite dell'incredibile. Invece di dobbiamo accontentare "solo" di tre Dottori. Con piccole apparizioni per gli altri.

Anche se la sceneggiatura non mi pare tra le migliori, l'impatto emozionale è tra i più potenti. La narrazione principale, infatti, riguarda la scelta che ha determinato cinquanta anni di storia della serie (e molti secoli della vita del personaggio).

Il giorno del Dottore - The day of the Doctor

Di sciocchezze il Dottore ne ha fatte molte nella sua lunga vita. Dopotutto non ci sarebbe modo di evitarlo, data una vita così lunga e attiva. Ce ne è una che però le batte tutte. Come ben sanno tutti gli whoviani, il buon Dottore, capace di affrontare milioni di alieni bellicosi con il solo supporto di un cacciavite (per quanto sonico) e di una sciolta parlantina, un giorno lontano ha causato il (quasi) completo annichilimento di due floride ed estremamente combattive razze aliene, i terribili Dalek, e gli stessi Signori del Tempo a cui appartiene.

Per anni si è (e ci ha) ripetuto che non poteva fare altrimenti, che era l'unico modo per salvare l'intero universo. Lo speciale finale della stagione speciale (che si è ricavata uno spazio tra la quarta e la quinta stagione) ci aveva già fatto pensare che magari tutta quella preoccupazione del Dottore fosse sprecata, che forse Gallifrey non fosse andata davvero distrutta e che i Dalek siano stati vittima più di loro stessi che di altro.

Torniamo quindi al tempo della conclusione della guerra fatale. Il Dottore decide che così non si può andare avanti, Time Lord e Dalek sono diventati due facce della stessa medaglia, e la loro guerra sembra che non possa finire se non con una distruzione generale. Si impossessa dunque di una arma finale, capace di porre fine al conflitto con l'eliminazione dei contendenti. L'amichevole interfaccia dall'apparecchio sarebbe disegnata per relazionarsi all'utente usando l'apparenza di una persona a lui nota, ma la tecnologia Gallifreyana ha le sue mancanze, e dunque finisce per usare le sembianze di Rose. Sara dunque questa pseudo-Rose a cercare di capire se il Dottore vuole davvero usarla (nel senso di arma) o no.

Per farlo, lo manda nel futuro, quel possibile futuro in cui ha davvero schiacciato il pulsante, a incontrare due sue future rigenerazioni, la decima, che al momento se la sta spassando allegramente con Elisabetta I, e l'undicesima, che sta affrontando una bizzarra crisi ai nostri giorni. Caso vuole che decimo e undicesimo Dottore stiano in realtà lavorando allo stesso caso, i Zygon (alieni bruttarelli capaci di assumere le sembianze di altre forme di vita) stanno invadendo la Terra usando un bizzarro meccanismo per viaggiare nel tempo. Un terzo Dottore rende la soluzione della matassa più semplice e, soprattutto, serve allo stesso per figurarsi un modo per uscire degnamente dal suo problema.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Il decimo Dottore: David Tennant
Il Dottore dimenticato: John Hurt
Clara: Jenna Coleman
Rose (sembra): Billie Piper
Kate Stewart: Jemma Redgrave
Elisabetta I: Joanna Page

A royal weekend

In originale il titolo è Hyde Park on Hudson. Per che motivo non lo si sia tradotto "Un weekend reale", se proprio era questo che si voleva fare (con lo scopo di lanciarlo come seguito di Il discorso del re, immagino), e si sia invece preferito usare la sua versione inglese è un mistero che è al di là delle mie capacità di comprensione.

Come non riesco a capire come sia riuscito lo sceneggiatore, Richard Nelson, nella improba fatica di prendere una serie di personaggi interessanti, un momento storico estremamente delicato, e riuscirne ad estrarne una storia così fiacca. Incolpevole, direi, il regista Roger Michell, anche se non si può dire che brilli.

Si narra del primo viaggio dei regnanti inglesi nella ex-colonia ribelle, già divenuta più potente della ex-madrepatria. Siamo sull'orlo di quella catastrofe più comunemente nota come seconda guerra mondiale, e Giorgio VI, amichevolmente noto come Bertie (Samuel West) e accompagnato da Elisabetta (Olivia Colman), non esita a mettere in soffitta il dinastico amor proprio per chiedere aiuto ai cugini di oltre oceano.

Come ci si può aspettare da una produzione americana, il racconto segue prevalentemente dal loro punto di vista, ovvero quello di Franklin D. Roosevelt (Bill Murray), presidente americano, o meglio quello di Daisy (Laura Linney) sua cugina di quinto (o sesto) grado.

FDR è un personaggio di cui si può dire tutto e il contrario di tutto, riuscendo in ogni caso a non andare troppo lontano dal vero. Sarebbe quindi bastato concentrarsi sulla sua controversa figura e il suo strano modo di relazionarsi a Giorgio VI, un misto di paternalismo, amicizia, contrapposizione al limite dell'offesa gratuita, per ottenere un racconto interessante, anche perché in un ruolo del genere Murray non poteva che dare del suo meglio.

Si è scelto invece di contrapporre al fatto storico uno più privato, la relazione tra FDR e le donne, in particolare la madre, la moglie (Olivia Williams), la segretaria-amante, e Daisy, quale cugina-amante. Curiosamente, però, il personaggio di Daisy, che diventa a tutti gli effetti protagonista narratrice, fa qui la figura della bella statuina. Poco dice, poco fa, sembra semplicemente seguire la corrente. Cosa che, fra l'altro, oltre a rallentare l'azione, non sembra nemmeno corrispondere alla realtà dei fatti.

La parte interessante del film, almeno a mio parere, rimane quella sullo studio del carattere dei reali inglesi, e sulla loro difficile relazione con il presidente americano. Bene viene mostrato come la difficoltà di comunicare tra due parti così diverse rischiò di far naufragare un amicizia che era oltretutto l'unica scelta razionale in quel contesto.

The IT crowd - Speciale finale

E questa puntata è davvero sia speciale sia finale, lungo come due episodi normali, a tre anni di distanza dalla quarta serie, e senza prospettive di una continuazione.

Gli anni sono passati solo per noi, i cambiamenti nei personaggi sono minimi, sembra che lo scopo sia solo quello di dare una fine chiara alla serie, e questo lascia una vena di malinconia, anche se nascosta dalle solite gran risate che le sceneggiature di Graham Linehan ci hanno garantito.

The Internet is coming

L'inizio sembra carico di ottimi presagi per i protagonisti, Roy ha una fidanzata con cui riesce a relazionarsi (supera agevolmente il test di "the" Moss sugli eroi Marvel), e pare che lo abbia definito "artista emozionale", qualunque cosa questo possa voler dire, e Jen ha una attrazione che sembra fatale per un barista italiano.

Meno brillanti sembrano le prospettive per Moss, la sua web fanzine sui giochi di ruolo non decolla. O per meglio dire è terribile, non la si riesce proprio a guardare. Per sua fortuna (?) finisce nell'ufficio del supercapo Reynholm che gli spiega il segreto per aver successo: indossare pantaloni da donna. Moss applica il consiglio e, incredibilmente, ottiene miglioramenti clamorosi.

Vediamo invece la catastrofe in arrivo per Roy, nelle vesti di un sottodimensionato barista incapace di preparargli un caffé decente. Con la sensibilità che gli è propria, Roy traduce il suo disagio in una generica invettiva contro chi è molto basso. Ascoltandolo, Jen ha un lampo di genio, la donna di Roy gli aveva fatto notare il suo autismo emozionale, la sua incapacità di gestire le emozioni.

A complicare maggiormente le cose, Jen ha un paio di sfortunati incontri con una senzatetto e, colmo della sfortuna, Jen e Roy vengono filmati mentre fanno cose che, fuori contesto, li fanno catalogare come la feccia dell'umanità.

Inoltre, Moss passa a Roy la sua pozione miracolosa che usa quando deve simulare di essere triste. Da qui in poi le cose non possono che peggiorare.

C'è anche modo di dare un seguito alla mitologica scena su internet in una scatola, e di lasciare, proprio nel finale, il messaggio base su cosa fare se qualcosa di informatico non funziona: hai provato a spegnere e riaccendere?

Il comandante e la cicogna

Trattasi di una buona commedia italiana stata scritta da Doriana Leondeff e Silvio Soldini (anche regista), che mi sembra però indecisa se dare più spazio alla sua anima romantica o a quella più rivolta alla critica di costume. E' forse questa indecisione il suo punto debole. Avrei preferito due film, Il comandante, dove si sarebbe potuto satireggiare anche più decisamente sulla nostra crisi (che è più morale che economica) e La cicogna, in cui si sarebbe potuto dare maggiore spazio al lato affettivo dei personaggi.

Al centro dell'azione c'è Leo (Valerio Mastandrea), un baffuto idraulico di origine napoletana che ha una relazione molto travagliata con Teresa (Claudia Gerini - luminosa), che è stata sua moglie fino a non molto tempo prima. Ha due figli adolescenti, ognuno con i suoi problemi, a cui riesce a star dietro con molta fatica.

Capiamo subito che Leo è destinato ad incontrare Diana (Alba Rohrwacher), che è così timida e chiusa in sé da sembrar bruttina. Avrebbe velleità artistiche, che i suoi problemi caratteriali ostacolano, e un terribile padrone di casa, Amanzio (Giuseppe Battiston). Per non perdere il suo appartamento, si adatta ad affrescare una parete dello studio di un viscido avvocato (Luca Zingaretti) dalle amicizie e gusti molto discutibili.

Per motivi bizzarri, Amanzio e il figlio di Leo faranno amicizia, mentre Leo stesso, per faccende relative alla figlia, si troverà a frequentare lo studio del suddetto avvocato.

Questo ribollir d'azione è osservato dall'alto da una cicogna e da statue, in particolare Giuseppe Garibaldi (che ha la voce di Pierfrancesco Favino), Leonardo da Vinci (Neri Marcorè), e un fittizio Cavalier Cazzaniga (Gigio Alberti).

Piacevole la colonna sonora della Banda Osiris, a cui sui titoli di coda si aggiunge Vinicio Capossela per cantare, per l'appunto, La cicogna.

Il film è ambientato prevalentemente a Torino, resa però praticamente irriconoscibile (almeno ai non torinesi) grazie anche al trucco di aggiungere inserti da altre città (il Leonardo è quello milanese, il Garibaldi credo che venga da Genova).

Doctor Who 7.13 - Da Gallifrey a Trenzalore

Essere un Signore del Tempo garantisce alcuni vantaggi non trascurabili, ma anche qualche seccatura, come ad esempio quella di sapere come andrà a finire la propria storia. E può succedere pure che la notizia circoli in giro, e venga all'orecchio di tipacci poco raccomandabili che pensino di poter sfruttare il paradosso di un viaggiatore del tempo che visiti la propria tomba.

Questo sarebbe l'ultimo episodio della settima stagione ma è un imbroglio. Bisogna aspettare l'episodio speciale del cinquantesimo, che verrà - o è stato, a seconda del tempo corrente del lettore - trasmesso in buona parte del mondo in The Day of the Doctor, il 23 novembre 2013, per sapere come andrà davvero a finire l'annata. E questo rovina la struttura della puntata, che finisce per essere soltanto un antefatto al gran finale.

The name of the Doctor - Il nome del dottore

A guidare l'azione è La Grande Intelligenza che, estremamente incavolata per tutte le volte che il Dottore gli ha messo i bastoni tra le ruote, svolge un diabolico piano che mira alla rovina congiunta di entrambi. Vien da pensare che si sia scelto il nome con intenti umoristici, ma tant'è. Come scagnozzi questa volta utilizza dei Sussurratori che un po' mi hanno fatto pensare ai Dissennatori, guardiani di Azkaban della saga di Harry Potter, contro cui però perdono facilmente il confronto.

Il piano consiste nel rapire l'anomalo terzetto amico del Dottore (Madame Vastra, Jenny, Strax), portarli su Trenzalore, e ivi aspettare il Dottore. Che cade gioiosamente nella trappola portandosi dietro Clara, che a sua volta è in connessione con River Song.

Da notare che le due non si conoscevano, vengono introdotte da Madame Vastra, con un certo imbarazzo da parte di tutti. Già, perché pare che la povera River Song, che avevamo lasciata viva e vegeta a Manhattan, seguendo a nostra insaputa la sua linea temporale, sia arrivata ai fatti del pianeta-biblioteca, che l'hanno tolta dai giochi. Detto per inciso, protesto vivamente per come è stata gestita la faccenda.

Per quel che riguarda il resto dell'episodio, sembra che il perfido (e idiota, a ben vedere) piano della Grande Intelligenza abbia successo, ma non è detta l'ultima parola.

Tra i momenti migliori:

Il duetto tra River Song e il Dottore. Il Dottore finalmente vince la sua ritrosia a provare emozioni, e finalmente i due hanno modo di scambiarsi almeno un bacio propriamente detto.

Il finale che introduce John Hurt come una non ben specificata versione del Dottore che ha fatto qualcosa di terribile. Mistero che verrà chiarito nel già citato speciale.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
River Song: Alex Kingston
Madame Vastra: Neve McIntosh
Jenny: Catrin Stewart
Strax: Dan Starkey
La Grande Intelligenza: Richard E. Grant
Il Dottore: John Hurt

Doctor Who 7.12 - Scacco a Mr Clever

Nonostante porti la firma di Neil Gaiman, la sceneggiatura non mi ha convinto. Sarà, come mostra il casting, che è stato pensato per rendere più partecipe il pubblico molto giovane che dovrebbe essere il target principale della serie. Fatto è che i due ragazzini che si trovano a partecipare mi sembrano solo un peso, e del resto per gran parte del tempo non fanno nulla, essendo il loro cervello disattivato dai cattivi di turno.

Nightmare in silver - Incubo Cyberman

Dottore e Clara portano i due pargoletti in un parco giochi tra i più famosi dell'universo. Purtroppo ci arrivano troppo tardi, quando è ormai chiuso da anni, in seguito ad una sanguinosa guerra tra gli umani locali a quella parte di universo e i Cybermen. La guerra è finita da un pezzo, ma i pianeti superstiti sono rimasti in uno stato di crisi.

Il Dottore capisce che c'è qualcosa di poco chiaro ma riesce lo stesso a mettersi in pasticci grossi. In pratica finisce per subire uno sdoppiamento di personalità, Doctor Who da una parte, Mr Clever dall'altra. Per decidere chi vince, le sue personalità si sfidano ad una partita a scacchi, il che, considerando come il Dottore abbia una tendenza all'inganno, non sembra una idea geniale.


L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
Porridge: Warwick Davis

Doctor Who 7.11 - Scienziata pazza vittoriana

Si rispolvera il terzetto investigativo alla Sherlock Holmes composto dalla siluriana Madame Vastra, la sua moglie umana Jenny, e il maggiordomo sontariano Strax, già apparsi nel recente speciale natalizio.

Approccio vagamente steam-punk che mi ha fatto pensare (anche per la faccenda della pupilla che riterrebbe l'ultima immagine percepita prima della morte) al deludente Wild Wild West di Barry Sonnenfeld (quello dei Men in black).

Risultato simpatico, anche se non mi ha convinto appieno.

Per sapere che ne pensi A Gegio film basta cliccare nel posto giusto.

The crimson horror - L'orrore cremisi

C'è del marcio nel nord dell'Inghilterra. Una scienziata-predicatrice, Mrs. Gillyflower, sembra essere dietro ad una serie di morti misteriose. La tipa, fra l'altro, è una tipaccia poco raccomandabile che usa le disgrazie della figlia Ada per attirare proseliti nella sua città ideale.

Si scopre rapidamente come sia completamente pazza, e che miri alla distruzione dell'intera umanità, per lasciare spazio solo ad un piccolo numero di umani attentamente selezionati.

Se nell'episodio precedente si esploravano i problemi che esistevano tra fratelli, qui al centro si trova la complicata relazione tra madre folle e figlia traviata (interpretate, tra l'altro, da attrici che hanno la stessa relazione, anche se immagino che sia di qualità migliore).


L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
Madame Vastra: Neve McIntosh
Jenny: Catrin Stewart
Strax: Dan Starkey
Mrs. Gillyflower: Diana Rigg
Ada: Rachael Stirling (figlia di Diana Rigg)

Doctor Who 7.10 - Rottami spaziali

Come base, questa volta, si prende quella della fantascienza classica, con astronavi e viaggi spaziali, ma senza alieni (a parte Dottore e TARDIS, ovviamente). Però la si vede dal punto di vista poco ortodosso di una piccola azienda che campa raccogliendo detriti nello spazio.

A Gegio film ha la sua versione da raccontare.

Journey to the centre of the TARDIS - Viaggio al centro del TARDIS

I fratelli Van Baalen vagano nello spazio facendo a pezzi quel che trovano per poi rivenderlo come ricambio o materiale di recupero. Vedono il TARDIS, e lo trascinano a bordo, approfittando inconsapevolmente del fatto che il Dottore aveva abbassato tutte le difese per far sì che Clara potesse prendere confidenza con il ponte di comando. Perché, anche se abbiamo visto nell'episodio precedente che il TARDIS (lo so che sarebbe più opportuno dire la TARDIS, ma inveterata abitudine me lo impedisce) sembra meno cauto nei confronti di Clara, non vale ancora il viceversa.

Il TARDIS resta seriamente danneggiato dall'azione dei Van Baalen e questi pensano di ributtarlo nello spazio e andarsene via fischiettando come se nulla fosse, invece vengono trascinati nel TARDIS, dietro miraggio di un favoloso compenso, alla ricerca di Clara che ne è stata inghiottita.

La situazione peggiora col passare del tempo, e verso la fine diventa così drammatica da sembrare senza via di uscita. Un clamoroso paradosso temporale finirà per mettere a posto tutte le cose.

Nell'imperdibile La moglie del Dottore abbiamo avuto modo di sentire la versione del TARDIS, di entrare, per così dire, nella sua mente, mentre all'esplorazione del suo corpo si era dedicato poco tempo, qui i rapporti sono invertiti. Vediamo alcuni ambienti (in particolare la biblioteca), e sentiamo il Dottore affermare che le dimensioni del TARDIS sarebbero infinite. Inutile preoccuparsi di quanto e come questo possa essere considerato vero, ormai dovremmo sapere che il Dottore mente spesso e volentieri.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
Gregor Van Baalen: Ashley Walters (noto anche come Asher D)

Doctor Who 7.9 - Casa stregata

Questa volta siamo dalle parti dei film "de paura" parapsicologici anni settanta. E devo dire che qualche brivido l'ha dato pure a me, nonostante abbia qualche annetto in più del pubblico di riferimento che mira a spaventare. Anche qui c'è un mashup di generi, e infatti nel finale scopriremo che si trattava invece di una love story delle più curiose.

Ci vuole poco per saltare nel blog di A Gegio film e leggere la sua versione.

Hide - Universo nascosto

Alec, scienziato con parecchi scheletri nell'armadio, e Emma, sensitiva di ispirazione ottocentesca, stanno lavorando alacremente all'identificazione del solito fantasma che infesta il solito maniero della campagna inglese.

Nel bel mezzo della spaventosa azione, arrivano il Dottore e Clara che, spacciandosi per inviati governativi, si mettono allegramente a ficcare il naso nella faccenda. Che però diventa rapidamente spaventevole anche per loro. Solo che capiscono che non si tratta di uno spirito, ma di una viaggiatrice del tempo finita in un "universo tasca" (come spesso accade, le spiegazioni del Dottore lasciano più perplessità che certezze) che si sta rapidamente (dal punto di vista di lei) deteriorando.

In parallelo, vediamo come il TARDIS, che era stato molto cauto nei confronti di Clara, inizia ad accettarla, e che il Dottore ha ancora dubbi sulla sua compagna di viaggio, di cui non riesce a capire la vera natura.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
Alec: Dougray Scott (già Arthur Miller in My week with Marilyn)
Emma: Jessica Raine

Doctor Who 7.8 - Sotto l'Artide

Per gli sceneggiatori le avventure del Dottore sono una pacchia. Grazie al TARDIS, non c'è limite nello spazio e nel tempo per l'ambientazione della storia. Si può scegliere indifferentemente l'assolutismo francese (Finestre nel tempo) o, come in questo caso, il periodo della guerra fredda. Inoltre, il sovrappopolamento dell'universo whoviano, e l'incredibile facilità di movimento di cui godono i suoi multiformi abitanti, aiuta a inserire sempre diversi antagonisti, ognuno col proprio carattere.

Il bizzarro cocktail di questo episodio prevede una consistente base alla Caccia a Ottobre Rosso, una deviazione fantascientifica con l'ingresso di un mostro alla Predator (si tratta di un Guerriero del Ghiaccio marziano, razza che non è mai apparsa nel ciclo moderno di DW, ma a cui si accenna in L'acqua di Marte), ma il tutto visto secondo l'ottica distorta tipica della serie.

Vedi anche cosa ne pensa A Gegio film su tutto ciò.

Cold war - Guerra fredda

Siamo in un sommergibile sovietico che negli anni '80 incrociava sotto l'Artide quando è stata colpita da un improvvisa calamità, si scende nell'abisso, l'allarme suona, acqua da tutte le parti e metallo urlante tutt'attorno. Nel mezzo del caos più assoluto, il TARDIS si materializza con Dottore e Clara, che pensavano di essere arrivati a Las Vegas, catapultati nel mezzo dell'azione.

Per ragioni di budget (della BBC, intendo, non dell'URSS), l'equipaggio sovietico è ridotto al minimo. I personaggi che contano davvero sono il solerte capitano, il professore alternativo, e il tenente piantarogne. Personaggi molto stereotipati ma interpretati adeguatamente dai bravi interpreti.

Il Dottore è pasticcione come, e forse anche un po' più del solito.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
Capitano Zhukov: Liam Cunningham
Tenente Stepashin: Tobias Menzies
Professor Grisenko: David Warner

Doctor Who 7.7 - Anello e foglia

Il titolo della puntata precedente giocava con "bells", campane e suoneria del telefono. Adesso invece il gioco è tra gli anelli planetari, come quelli di Saturno, e un anello a cui Clara è particolarmente affezionata.

Un salto e finisci sul post di A Gegio Film.

The rings of Akhaten - Gli anelli di Akhaten

Approfittando del TARDIS, il Dottore fa un salto indietro nella vita di Clara, ma scopre solo che aveva una coppia di genitori simpatici, e che la madre è morta presto, quando Clara era ancora una ragazzina.

Tornato in tempo per l'appuntamento che i due si erano dati, fanno un salto sullo strano sistema di Akhaten, che dovrebbe essere noto nell'Universo per la sua improbabilità, giusto in tempo per una importante festa. Scopo della quale, si scopre con orrore, è sacrificare Merry, una simpatica bambina, ad un presunto dio, più correttamente identificato dal Dottore come un orrendo (e gigantesco) parassita che si nutre delle storie delle gente.

Per combatterlo il Dottore dovrà fare una cosa che gli riesce molto difficile, condividere i suoi numerosi ricordi. Il che gli costerà così caro da fargli versare qualche lacrima, fatto molto raro per lui. Ma non basterà, Clara dovrà intervenire sacrificando i suoi ricordi più cari.

Bello il monologo del Dottore che spiega a Merry, plagiata al punto da ritenere sensato il suo stesso sacrificio, quanto ogni essere vivente sia unico e come contenga in sé la meraviglia della ricombinazione casuale di elementi che hanno viaggiato per tutto l'Universo per far parte di questo pezzo unico.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
Merry: Emilia Jones

Doctor Who 7.6 - Clara III

La settima stagione (moderna) delle storie del Dottore si svolge in due parti, e questa è la prima puntata del secondo blocco. Come spesso accade alle prime puntate, presenta un nuovo personaggio, in questo caso la nuova compagna di viaggio del Dottore, Clara, che abbiamo già visto nella vera prima puntata e anche nello speciale natalizio ultimo scorso.

Segui il link per vedere cosa ne pensa A Gegio Film di questa puntata.

The bells of Saint John - Le campane di St. John

Come tutto lasciava immaginare, La Grande Intelligenza torna a colpire. Lasciata perdere la neve, prova ora ad attaccare gli umani via wi-fi. Il diabolico piano avrebbe funzionato se non fosse che Clara telefonasse per sbaglio (ma sarà davvero stato un sbaglio?) al telefono di emergenza del TARDIS, posteggiato in una cripta medioevale mentre il suo pilota meditava, novello Adso, in un quieto monastero.

Inizia una nuova battaglia tra Grande Intelligenza, rappresentata dalla attempata ma molto professionale Miss Kizlet coadiuvata da robot dall'apparenza umanoide, e Dottore, che posteggia il TARDIS e scorrazza per Londra con una più maneggevole Triumph dotata di un gadget che farebbe invidia all'agente 007.

Tutto si risolve come possiamo immaginare. Però al Dottore resta il dubbio di chi sia veramente Clara.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
La Grande Intelligenza: Richard E. Grant
Miss Kizlet: Celia Imrie

Doctor Who 7 - Speciale di Natale

Capisco, ma non condivido, il punto di vista degli whoviani che non gradiscono la gestione di Steven Moffat, vista come troppo fantasy rispetto all'impostazione classica, da fantascienza soft, dei cicli precedenti.

In questo speciale natalizio, ad esempio, credo che a molti non sia andata giù come il TARDIS si sia trasformato in una specie di castello nelle nuvole, raggiungibile per mezzo di una vorticosa scala a chiocciola protetta alla vista dei comuni mortali. Come pure il curioso dialogo in cui l'eroina può rispondere solo con una singola parola alla volta, costrizione che può apparire bizzarra ma perfettamente in linea con la tradizione favolistica.

A me tutto ciò non dispiace. Inoltre ho apprezzato la ritrovata alternanza di toni tra il melanconico (il Dottore è molto giù di morale in questo episodio) e il comico.

The snowmen - I pupazzi di neve

Il Dottore, estremamente giù di giri, ha parcheggiato il TARDIS sulla Londra vittoriana, che probabilmente si addice al suo temperamento corrente, e conta sulla strana compagnia di Madame Vastra (siluriana), Jenny (umana, sua legittima consorte) e Strax (sontariano) per tener lontani i seccatori.

I tre si erano già visti all'opera nella battaglia di Demons run e potrebbe sorprendere la presenza di Strax, dato per morto ma che invece, con gran suo disdoro (i sontariani amano la morte in guerra) è tornato alla vita. Esiste un micro-episodio che spiega i dettagli di questo oscuro fatterello.

Mentre il Dottore deambula per Londra quale novello Hide, la Madama e la sua gentil signora ingannano il tempo risolvendo misteri alla Sherlock Holmes, ispirando Sir Conan Doyle a scrivere i racconti che renderanno famoso il personaggio.

Nel frattempo il dottor Simeon, un losco figuro un po' alla Moriarty, trama nell'ombra per far sì che una bizzarra neve mutante carnivora (!), meglio nota come la Grande Intelligenza, assuma piena potenza duplicando il DNA umano.

La neve assume forma di inquietanti pupazzi di neve che infastidiscono Clara, una bella locandiera il cui viso non ci dovrebbe essere nuovo, se abbiamo guardato il primo episodio di questa stagione.

La trama si infittisce quando scopriamo che Clara fa la locandiera a tempo perso, la sua vera occupazione è molto più marypoppinsiana, in una magione che finirà per essere al centro della vicenda.

Ovviamente, la Grande Intelligenza verrà sconfitta, anche se pare evidente che si tratti più di una battaglia che dell'intera guerra. Meno ovvio il destino di Clara.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Clara: Jenna-Louise Coleman
Dr.Simeon: Richard E. Grant
Madame Vastra: Neve McIntosh
Jenny Flint: Catrin Stewart
Strax: Dan Starkey

Doctor Who 7.5 - Ancora Angeli Piangenti

Credo si tratti dell'episodio delle avventure del Dottore con il maggior numero di buchi di sceneggiatura, incongruità e soluzioni insoddisfacenti. D'altra parte è graziato (1) dalla presenza degli Angeli Piangenti nel ruolo dei cattivi, personaggi che a me fanno rizzare i capelli anche se non fanno nulla (tecnicamente non fanno nulla gran parte del tempo), (2) dal ritorno di River Song, che fa sempre piacere, (3) dalla ambientazione hard boiled newyorkese, (4) dal forte impatto emozionale.

Il punto quattro è causato dal fatto che si tratta di un finale di stagione, o meglio, di mezza stagione, visto che la settima stagione è una e bina, e come spesso accade segna la sparizione di qualche personaggio importante.

The Angels take Manhattan - Gli angeli prendono Manhattan

L'involutissima storia inizia al Central Park di New York, con Amy che legge su un giornale inesistente (mi pare sia qualcosa come il New York Report) notizie improbabili (una squadra di seconda fila avrebbe vinto il Super Bowl). Il Dottore invece legge un romanzetto pulp ambientato alla fine degli anni trenta, in cui il protagonista, tale Sam Garner (che fa pensare a Spade) è coinvolto in uno strano impiccio con statue che si muovono quando nessuno le guarda.

Rory si allontana per prendere qualche caffè, e si ritrova nel romanzo stesso, a far compagnia a River.

Con gran difficoltà, Dottore e Amy riescono a ricongiungersi a Rory e River, e devono combattere contro gli Angeli Piangenti che, bizzarramente, hanno cambiato il loro modus operandi predatorio, e non uccidono più le loro vittime, ma le sparano indietro nel tempo e le costringono (chissà come) a vivere in un palazzotto sotto il loro controllo.

Lo scontro sembra vedere soccombere gli Angeli, che pare vengano cancellati definitivamente dalla realtà a colpi di paradosso temporale, anche se ci sarà un colpo di coda proprio nel finale.

Tra le molte insensatezze della storia, vale la pena di notare che la scelta di New York, la città che non dorme mai (come nota anche il Dottore), per degli esseri che possono muoversi solo quando non sono visti sembra inesplicabile. Come pare impossibile che la Statua della Libertà (sì, anche lei è un Angelo Piangente) possa muoversi liberamente senza dare nell'occhio.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Amy Pond: Karen Gillan
Rory Williams: Arthur Darvill
River Song: Alex Kingston
Sam Garner: Rob David (aka Roberto Purvis)

Doctor Who 7.4 - Invasione lenta

Alla vita normale degli umani compagni di viaggio del Dottore viene dedicato normalmente pochissimo spazio, giusto una battuta ogni tanto. Grazie alla bizzarra strategia usata dal cattivo di turno per cercare di distruggere la nostra razza, questo episodio fa eccezione. Divertente e originale, peccato per la soluzione dell'inghippo, che lascia perplessi.

The power of three - La potenza di tre

Amy e Rory iniziano a patire la loro doppia vita, col Dottore è una corsa perenne con gran consumo di adrenalina, il resto del tempo, beh, è un'altra cosa. Non sapendo cosa succederà loro a breve termine, non possono prendere impegni, e questo inizia a diventare un peso.

Fortuna che un giorno il mondo viene invaso da una quantità incredibile di cubetti neri, che sembrano completamente inerti e che resistono ad ogni tentativo di indagine. Gli umani rapidamente li danno per scontati, a temere il peggio ci pensa il Dottore e la UNIT, l'unità di crisi mondiale delegata agli affari extraterrestri. Era un po' che non ne sentivamo parlare, e ora scopriamo che al vertice c'è una affabile Miss Steward che risulta essere figlia del generale di brigata Lethbridge-Stewart, che non è mai apparso nel nuovo Doctor Who ma che è stato citato almeno un paio di volte (in particolare ne Il matrimonio di River Song il Dottore non riesce a parlarci perché è appena morto pacificamente nel suo letto).

Forse sapendo quanto il Dottore ha bisogno di costante azione, il diabolico alieno che è dietro a tutto ciò (tale Shakri, che ce l'ha con gli umani in quanto ci ritiene una specie di morbo destinato ad appestare l'universo) fa le sue mosse con una lentezza inenarrabile, riuscendo (quasi) nel suo intento.

Anche in questa puntata appare Brian, padre di Rory, e meglio che nel precedente episodio si apprezza il suo avere un carattere agli antipodi di quello del Dottore. Costui, che sa quanto è importante fare squadra con persone diverse, gli propone di viaggiare ancora assieme. Purtroppo Brian declina l'invito. Peccato, sarebbe un'idea interessante da sviluppare.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Amy Pond: Karen Gillan
Rory Williams: Arthur Darvill
Brian Williams: Mark Williams (era Arthur - padre di tutti i Weasley - nella saga di Potter)
Kate Stewart: Jemma Redgrave
Shakri: Steven Berkoff

Doctor Who 7.3 - Cyberwest

Lo direi un mashup tra Mezzogiorno di fuoco, Terminator, e un film sulla seconda guerra mondiale come La battaglia di Rio della Plata. Capisco quindi non tutti potrebbero apprezzare questo episodio, che per me invece è la cosa migliore di questo inizio di stagione.

A town called Mercy - Una città di nome Mercy

Dottore, Amy e Rory finiscono in una cittadina nel West del periodo classico che è messa sotto assedio da un pistolero che vuole gli venga consegnato il dottore, non il nostro Dottore, un suo omonimo che in realtà (si fa per dire) risponde al nome di Kahler-Jex.

Jex ha commesso atrocità in passato, e il pistolero se ne vuole vendicare. Il Dottore non sa bene cosa fare. Da un lato ritiene che Jex debba essere punito per quello che ha fatto, dall'altro vede che Jex ammette le sue responsabilità e cerca in qualche modo di fare ammenda. Importante il ruolo del probo sceriffo, che mostra quanto Jex abbia ben operato per questa piccola comunità. Alla fine il Dottore opta per una insoddisfacente via di mezzo, che sembra destinata a far scontenti tutti. La controproposta di Jex porterà ad un equilibrio più stabile.

Saremmo dalle parti del western classico se non fosse che Kahler-Jex è un alieno, munito di bizzarra astronave a forma di uovo, e il pistolero un cyborg da guerra ben accessoriato.

Il nome del paesino non è casuale, Mercy vuol dire pietà. E lo sceriffo spiega come a lui non interessi il passato di Jex, essendo gli Stati Uniti il paese della seconda possibilità. C'è da notare che forse questa affermazione poteva valere ai tempi, al giorno d'oggi la difficoltà di ottenere un visto di ingresso la rende meno sostenibile.

Scopriamo alla fine che la storia è narrata dalla nipote di una bambina che ha partecipato ai fatti, secondo cui il protagonista non è il Dottore, ma il pistolero. Un po' come se del Dottore si fosse persa la memoria. Del resto è accaduto qualcosa di simile anche ai Dalek nel recente episodio.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Amy Pond: Karen Gillan
Rory Williams: Arthur Darvill
Kahler-Jex: Adrian Scarborough
Il pistolero: Andrew Brooke
Lo sceriffo (Isaac): Ben Browder

Doctor Who 7.2 - Arca siluriana

Le avventure del Dottore mescolano spesso elementi scientifici possibili, improbabili e assurdi senza andare per il sottile. Si tratta infatti di fantascienza "soft", come dicono gli anglofoni, dove l'interesse della storia è solitamente in elementi diversi. Notare come i viaggi nel tempo del Dottore siano privi di senso è un poco come mostrarsi sorpresi che il lupo di Cappuccetto Rosso possa parlare, e che riesca a ingoiare la piccola e sua nonna senza far loro alcun danno. Però certe volte si esagera.

Come ad esempio nel caso dei Siluriani, improbabile razza terrestre di rettili umanoidi che avrebbe vissuto sulla Terra al tempo dei dinosauri, estintisi 66 milioni di anni fa, ma anche in sovrapposizione con l'Homo sapiens (ovvero noi), che abbiamo cominciato il nostro cammino sul pianeta giusto ieri (duecentomila anni fa). Parte di costoro sarebbero ancora sulla Terra, o meglio, nella Terra, come si scopre anche in un episodio della quinta stagione.

Dinosaurs on a spaceship - Dinosauri su un'astronave

In questo capitolo i Siluriani appaiono solo di sfuggita, come costruttori di una misteriosa astronave che sta per precipitare sulla Terra nel ventiquattresimo secolo, l'agenzia spaziale indiana è sul punto di distruggerla per evitare danni al pianeta, ma prima decidono di avvertire il Dottore, per vedere se vuole intervenire. Ovvio che voglia dare un'occhiata, essendo colto mentre era con la Regina Nefertiti (meglio non chiedere come mai), se la porta dietro, come pure un fan della caccia grossa di inizio novecento (tal Riddell), e naturalmente Amy e Rory, a cui si aggiunge per errore pure il padre di lui.

Si scopre rapidamente che l'astronave è una specie di arca, che i Siluriani hanno riempito di dinosauri con l'intenzione di popolare un altro pianeta. Però è successo un imprevisto, i Siluriani sono scomparsi dalla nave, che sta mestamente tornando alla base. L'imprevisto è Solomon, un brutale pirata spaziale spalleggiato da un paio di buffi ma letali robottoni.

Divertente la commistione tra dinosauri e astronavi, interessante anche il personaggio di Solomon, una specie di Han Solo andato a male, ma nel complesso non è che l'episodio mi abbia convinto.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Amy Pond: Karen Gillan
Rory Williams: Arthur Darvill
Brian Williams: Mark Williams
Solomon: David Bradley (era Argus Gazza/Filch nella saga di Potter)
Regina Nefertiti: Riann Steele
Riddell: Rupert Graves

Doctor Who 7.1 - Dalek Oswin

La settima stagione delle avventure del Dottore ha la particolarità di durare due anni, un Signore del Tempo può permettersi questo e altro. Avremo così lo speciale di Natale nel bel mezzo della stagione, anche se questo non è un problema per chi vede la serie su DVD, visto che la stagione è commercializzata divisa in due blocchi, una per annata, mantenendo la curiosa convenzione di inserire lo speciale natalizio come episodio iniziale dell'anno successivo.

Allo stesso modo, lo speciale natalizio 2011 è considerato come episodio zero della prima parte della stagione 7, però è disponibile su un DVD a se stante. Situazione confusa, potrebbe parere a chi non sappia quanto ancor più complesse siano le storie contenute nei suddetti dischi.

Asylum of the Daleks - Il manicomio dei Dalek

Ad esempio, qui succede che i Dalek, mortali nemici del Dottore, rapiscano lo stesso e i suoi due compagni di marachelle, Amy e Rory, perché sono incappati in un problema così grosso che pensano che solo lui gli può risolvere.

E' successo infatti che un astronave umana è precipitata su un loro pianeta adibito a ricovero per i Dalek usciti di testa (sembrerebbe impossibile, eppure pare che si possa distinguere un Dalek sano di mente da un Dalek impazzito), e questo ha perturbato il sistema che li tiene imprigionati, col conseguente rischio che costoro fuggano e combinino cose per persino un Dalek non accetterebbe.

Gli umani precipitati sul pianeta sono tutti morti, a parte Oswin, che passa le giornate ascoltando l'Habanera dalla Carmen di Bizet, e preparando soufflé che non le sembrano riuscire particolarmente bene.

Compito del Dottore sarà dunque quello di trovare Oswin, rappacificare Amy e Rory, che erano sul punto di divorziare, e riuscire a portare tutti in salvo.

Interessante il ruolo di Oswin, peccato che non ci sia stato spazio per approfondire il personaggio. E' lei l'elemento risolutivo della vicenda, e riuscirà persino a risolvere con un astuto stratagemma il perenne conflitto tra Dalek e Dottore.

Interessante anche la meditazione del Dottore, che si rende conto di quanto il suo odio per i Dalek abbia influito sostanzialmente sul loro sviluppo, rendendoli in un certo modo capaci di superare la loro limitazione principale.

L'undicesimo Dottore: Matt Smith
Amy Pond: Karen Gillan
Rory Williams: Arthur Darvill
Oswin: Jenna-Louise Coleman

La grande bellezza

Sì, va bene, in un film ambientato a Roma evitare il riferimento a Federico Fellini è praticamente impossibile, La dolce Vita, I vitelloni, Roma, 8 1/2 (e altri, sicuramente) sono proprio dietro l'angolo. E, visto che si parla dei salotti romani, non si può nemmeno dimenticare La terrazza di Ettore Scola.

Ma diamo retta a Paolo Sorrentino, che il film lo ha pensato, scritto (con l'aiuto di Umberto Contarello) e diretto. C'è dell'altro, ed è quest'altro che dobbiamo cercare, se non vogliamo fermarci alla superficie.

Lui ci dà un indizio, la citazione sui titoli di testa dal Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, e un riferimento ripetuto all'idea di Flaubert di fare un romanzo che non abbia nulla da dire, sia solo basato sulla sua capacità espressiva. Già questo ci dovrebbe dare l'idea del protagonista. Come Céline e il suo alter ego protagonista del romanzo si tratterà di una persona di grande cultura, ma con un ancor più grande buco nell'anima.

Infatti la storia è narrata in soggettiva da Jep Gambardella (Toni Servillo) che una quarantina di anni fa era un giovanotto di belle speranze alla conquista di Roma, anche se già allora aveva qualcosa che lo angustiava. Dice infatti che quello che voleva era la capacità di distruggere le feste. Qualcosa lo aveva ferito, qualcosa da cui non si è più saputo riprendere.

Lo vediamo festeggiare i suoi sessantacinque anni con una festa elegante (nel senso spregiativo che ha recentemente assunto questo aggettivo) in una centralissima terrazza sul Tevere. Possiamo assumere che raggiunto il suo scopo, ma deve aver scoperto che era un obiettivo scemo, che non gli è servito a nulla.

Ha abbandonato la carriera di scrittore, per passare al giornalismo, qualcosa di mezzo tra la critica culturale e il pettegolezzo fine a se stesso. Più facile, più redditizia, più adeguata al suo scopo. Ma non gli ha lasciato niente.

Avrebbe molti amici, di cui però non ha una grande opinione o, forse ancora peggio, non ha nemmeno più voglia di avere un opinione. Si dedica distrattamente a quello che sembra il suo migliore amico (Carlo Verdone), per cui ha anche un minimo sussulto quando questo (finalmente) realizza che Roma non fa per lui e decide di tornarsene al suo paese nativo. Ma anche questa reazione svanisce in pochi secondi.

Ha avuto molte donne, e non fa fatica a portarsi a letto una bella e ricca milanese (Isabella Ferrari) appena conosciuta. Ma non riesce più a provare nemmeno interesse alla cosa, al punto da annoiarsene rapidamente e andarsene all'inglese.

Conosce una greve, a suo modo sincera, spogliarellista non più giovane (Sabrina Ferilli) con cui sembra stabilire una amicizia degna di questo nome. Ma anche lei esce di scena improvvisamente, lasciandolo più sorpreso che sconvolto.

Ha modo di incontrare una fauna variegata, trattata sempre con un cinismo che sembra voglia distruggere tutto e tutti. Vedasi l'episodio della bambina-artista, costretta dai genitori a produrre arte ad uso e consumo dei possibili clienti mentre lei vorrebbe semplicemente giocare con i figli del gallerista (che poi è Lillo Petrolo). La bambina è disperata, e la spogliarellista se ne accorge (sembra essere l'unica che ci faccia caso) ma lui glissa affermando che guadagna milioni.

Forte con gli umili, punzecchia anche il Cardinal Bellucci (Roberto Herlitzka), che meriterebbe ben di peggio, ma a cui poi offre le sue scuse.

Non mancano i momenti di grande bellezza, per un secondo vediamo anche Fanny Ardant, che non dice una parola, ma basta un suo mezzo sorriso a illuminare una nottata.

Ma il lungo percorso di Jep sembra quello dei trenini delle sue feste, non porta da nessuna parte. Ogni strada che prende finisce in un vicolo cieco. Così alla fine scopriamo che il vero grande amore della sua vita, era una ragazzetta come mille che diceva e faceva cose scontate, che ha finito per sposare un altro di cui non era innamorata, e costui, giunto il momento del distacco, ci ha messo pochi giorni per dimenticarla.

E la sua decisione di tornare a scrivere un libro, che potevamo pensare salvifica, non è altro che un ennesimo trucco, l'ennesimo paravento che nasconde il nulla.

Un personaggio così mi pare lontano mille miglia dai modelli felliniani, che sono sempre in bilico tra furfanteria e almeno un briciolo di buon cuore. E' più in linea con certi personaggi disillusi della letteratura francese. In particolare a me ha fatto pensare ad un Bel Ami invecchiato. E mi chiedo se sia un caso che Guy de Maupassant abbia scritto anche L'inutile bellezza.