Vita di Pi

La struttura del romanzo originale viene semplificata nel film, che direi punta più sull'impatto visuale che sull'approfondimento della storia. Gli Oscar hanno colto lo spirito della produzione premiando la regia di Ang Lee, la sontuosa fotografia di Claudio Miranda, gli effetti speciali e la colonna sonora di Mychael Danna che ben commenta l'azione. Belle immagini, dunque, ma la carenza di azione nella parte centrale mi ha pericolosamente portato vicino al punto di guardare l'ora.

Come da titolo, si racconta la vita di Pi, un indiano nato a Pondicherry, ex colonia francese. Portato all'esperienza religiosa, finisce per abbracciare con entusiasmo, oltre al nativo induismo, anche il cristianesimo e l'islamismo. Contemporaneamente. Meraviglie del sincretismo. Il personaggio del libro sarebbe anche più complesso, visto che non disdegna nemmeno l'ateismo. E che non rinuncia alla sua libertà di esercitare più religioni (e a-religioni) contemporaneamente, neanche quando i suoi maestri spirituali scoprono questa sua peculiarità e cercano di convincerlo a fare una scelta, essendo ognuno di loro certo di essere l'unico depositario della verità. Tutto questo viene molto compresso nella pellicola, al punto che sentiamo parlare solo il prete cristiano (che poi è il nostro Andrea Di Stefano).

Altra caratteristica del giovane Pi è quella di vivere in uno zoo, ambientazione strumentale alla parte centrale del film, ma che ha offerto in destro ad Ang Lee per mostrare, in modo un po' disneyano, colori e movimenti bellissimi - aiutato anche dalla location, l'India è quasi eccessiva con i suoi colori sgargianti.

Succede infatti che il padre di Pi decide di vendere baracca e burattini e migrare in Canada. Si imbarcano quindi tutti su un cargo giapponese (con uno scontroso cuoco francese, Gerard Depardieu) che però naufraga pochi giorni dopo. Passano lunghi mesi e Pi viene raccolto, più morto che vivo, su una spiaggia messicana.

Cosa è successo nel frattempo? Pi racconta una storia incredibile, nel senso letterale del termine, con lui che si trova a condividere l'unica scialuppa scampata al disastro con una zebra, una iena, un orango (o meglio, una orango) e, orrore, la tigre del Bengala. Rapidamente gli altri animali fanno una brutta fine, resta solo Pi e Richard Parker (il nome della tigre, che porta con sé un brutto presagio). I due condividono una serie di avventure (più dettagliate nel libro) fino allo sbarco finale.

È questo veramente quello che è successo? Basta insistere un po' per ottenere da Pi una variante alternativa, che spiega drammaticamente le metafore con cui Pi si protegge dalla terribile avventura che ha vissuto.

Ma cosa preferite, chiede Pi, il racconto metaforico o la cruda realtà?

3 commenti:

  1. Non l'ho visto.


    Grazie mille per il commento, CIAO!!!

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  2. Anche io, come il depositario della storia di Pi, preferisco la Tigre.
    Vita di Pi è davvero un film splendido, non vedo l'ora di poter leggere il libro!

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    1. E forse sarebbe meglio proprio vedere prima il film e poi approfondire la storia leggendo il libro. Seguendo il percorso opposto si corre il rischio di notare più quel che manca che quel che è stato messo sulla pellicola.

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