Nonostante il buon successo di pubblico, ai Razzie Award non passò inosservata la chimica molto scarsa tra i due protagonisti, che vennero premiati come peggior coppia sulla schermo dell'anno. Anni dopo Brad Pitt ammetterà che aveva subito il ruolo subordinato nei confronti di Tom Cruise che, pur avendo meno spazio, era la star del film. Cercò anche di uscire dal progetto, ma un blindatissimo contratto lo costrinse ad arrivare fino in fondo.
Credo però che il difetto principale stia nella sceneggiatura che Anne Rice ha tratto dal suo stesso romanzo con lo stesso titolo. Ad una prima parte dal passo molto lento, segue infatti una seconda parte in cui accade fin troppo, in cui vengono rapidamente introdotti e fatti sparire personaggi senza lasciar loro il modo di superare lo stato di semplice bozzetto.
Per quasi tutto il tempo sembra che si racconti la storia di Louis de Pointe du Lac (Brad Pitt) possidente creolo basato dalle parti di New Orleans, a partire da quando, sul finire del settecento, l'incontro con Lestat de Lioncourt (Tom Cruise) lo ha trasformato in un vampiro. Il tutto viene narrato in un lungo flashback da Luis al giornalista Daniel Malloy (Christian Slater), in una sorta di confessione/intervista. Solo alla fine scopriremo che il vero protagonista è Lestat, un imprevisto colpo di scena che però non mi sembri che cambi nulla nei confronti di quello che ci è stato detto.
Come da tradizione, il vampirismo serve da metafora per la relazione sessuale, sembrerebbe dunque che Louis e Lestat formino una coppia gay molto aperta, con Lestat estremamente promiscuo e Louis più bloccato. La cosa però viene notevolmente ingarbugliata con l'entrata in scena di Claudia (Kirsten Dunst), una bambina che viene anch'essa vampirizzata. Inizialmente pare che sia un artificio di Lestat per evitare la rottura della relazione con Louis, un po' come in certe coppie si pensa di fare un figlio per superare una crisi, però il legame tra Louis e Claudia si rafforza al punto da prendere una piega da disturbo mentale conclamato. Anche perché i vampiri della Rice hanno la curiosa particolarità di restare bloccati col loro sembiante al momento della "nascita". Succede così che Claudia, col passare dei decenni, resti bambina ma maturi una consapevolezza più adulta. Che del resto è resa spaventosamente bene dalla Dunst che, pur essendo ai tempi ancora una bambina, aveva già una certa carriera alle spalle e una maturità attoriale già notevole.
A semplificare (?) le cose ci avrebbe pensato l'incontro con Armand, vampiro che sembrerebbe francese ma è intrepretato dallo spagnolissimo Antonio Banderas, che si prende una cotta per Louis e cerca di rompere il malsano legame a suo vantaggio. Se avesse avuto pazienza, avrebbe potuto lasciare fare a Claudia che, in modo ancor più malato, decide di vampirizzare tal Madeleine (Domiziana Giordano, anche lei spacciata per francese) per lasciar libero Louis e trovarsi invece una madre adottiva (che però, proseguendo la metafora di base, è anche sua amante).
Ma, si sa, la gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Qui invece è Armand che ha fretta, e fa sì che invece di guadagnarsi il bel Louis, resti con un pugno di mosche. Louis sceglierà una (non-)vita di solitudine, tornerà alla sua New Orleans e lì spenderà tristemente i suoi giorni, con l'unico diletto del cinema.
Tutto sommato mi è parso un pasticcio prodotto con lo scopo di scandalizzare, ma con moderazione. La cosa migliore mi è parsa la ricostruzione delle diverse epoche, affidata ai nostri Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Ah, c'è anche una piccolo spazio per Thandie Newton, che interpreta Yvette, servetta fedele di Louis, finché le è possibile.
Considero il film un cult nel suo genere.
RispondiEliminaMa non nego che non lo vedrò mai più.
Mi piacque molto all'epoca, ma mi distrusse dentro per i tempi davvero lenti.
La colonna sonora è eccezionale: i Guns N' Roses fecero un lavoro considerevole.
Forse si tratta di uno di quei film che cattura bene il momento in cui esce ma non riesce a mantenere una sua freschezza nel tempo.
EliminaI tempi lenti penso siano funzionali a rendere la gran noia che deve essere una vita estremamente prolungata. Vedasi anche il recente Solo gli amanti sopravvivono. Ci devono essere mezzi migliori per esprimere lo stesso concetto.
Credo che i Guns n'roses abbiano eseguito solo la cover di Sympathy for the devil sui titoli di coda - ma darei più il merito ai Rolling stones. La colonna sonora è attribuita a Elliot Goldenthal.