Non si può evitare di citare La talpa, anche perché entrambi sono basati su di un romanzo di John le Carré. Spionaggio, dunque, ma non alla Bourne (indentity, supremacy, ultimatum, et cetera). Qui si pensa molto e si spara poco o niente.
Pur avendo il sapore di un film spionistico di altri tempi, l'ambientazione è contemporanea, post undici settembre. E dunque gli avversari non sono più i sovietici ma il terrorismo islamico. L'azione si svolge in Germania, prevalentemente ad Amburgo, città anseatica, porto di mare a cui converge tutto il mondo. Il punto di vista che seguiamo è prevalentemente quello di Günther Bachmann (Philip Seymour Hoffman - prestazione maiuscola), agente tedesco che anni prima ha subito un tracollo mentre era in missione in medio oriente (scopriremo più avanti nel film che la colpa era americana, lui però ha fatto da capro espiatorio) e che per questo è stato ricollocato in un ufficio locale.
Con il suo team, che include Nina Hoss e Daniel Brühl (entrambi poco usati, lui quasi niente), stanno alle costole di Abdullah (Homayoun Ershadi) un eminente filantropo di fede musulmana, che si suppone abbia qualche aggancio disdicevole, anche se nessuno riesce a provarlo. Nel contempo, Issa (Grigoriy Dobrygin), un ceceno di padre russo, arriva illegalmente in città, con lo scopo di ottenere asilo politico. Il padre gli avrebbe lasciato un patrimonio, che lui però vede solo come un peso o, al massimo, un espediente che lo potrebbe aiutare a strappare un visto.
I soldi di Issa sono nella banca privata di Tommy Brue (Willem Dafoe) che Issa contatta via Annabel (Rachel McAdams), avvocato specializzato in diritti umani. Günther vorrebbe che Issa usasse i suoi soldi per fare una mega donazione ad Abdullah, così da poter verificare dove vadano a finire i soldi. Imbastisce così una complicata e delicata ragnatela di relazioni in quella direzione.
Come spesso accade nei racconti di Le Carré, il protagonista dovrà fare più attenzione agli amici che ai nemici. In questo caso, il piano di Günther viene ostacolato da un suo collega, Dieter Mohr (Rainer Bock), e deve pure guardarsi da Martha Sullivan (Robin Wright), sua omologa americana. Entrambi hanno molti più crediti da spendere con i vertici tedeschi di quanti ne abbia lui.
L'intreccio è complicato, ma la regia di Anton Corbijn funziona alla perfezione, grazie anche all'eccellente cast. E' solo un po' strano vedere tutti questi americani che fanno finta di essere tedeschi.
Penso che mi verranno i luccinoni quando vedrò Hoffman...
RispondiElimina... e non ho detto come va a finire!
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