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Michael Collins

Film di Neil Jordan, di cui ho apprezzato più la regia (*) che la sceneggiatura. Capisco quanto fosse difficile per un irlandese sfuggire alla tentazione di fare di Michael Collins (Liam Neeson) un santino, capisco meno quella di fare di Eamon de Valera (Alan Rickman) il cattivo della storia, e meno ancora quella di insistere inutilmente sulla storia d'amore del protagonista con Kitty Kiernan (Julia Roberts). Il personaggio è storico, anche se forse il triangolo che vede l'amico caro di Mick, Harry Boland (Aidan Quinn), come vertice soccombente, è un po' troppo forzato. Ho come il sospetto che lo scopo principale di questa parte sia stato quello di inserire tra i protagonisti un nome appetibile per il mercato americano.

Seguiamo l'ascesa del Collins da figura di secondo piano a quella di elemento fondamentale nella lotta irlandese per l'indipendenza dall'impero britannico. Jordan sembra puntare molto sulla sua amicizia con Boland, sottolineando come questa sia rovinata dal de Valera, Dev per gli amici, che li vuole contrapposti per i suoi giochi politici, e da Kitty che crea tra i due una rivalità romantica.

Buona la prova attoriale un po' di tutti quanti, in particolare ovviamente Neeson, che è sullo schermo per quasi tutto il tempo. Notevole anche la verve che mette Rickman nel fare il cattivo, ruolo che evidentemente copriva con gusto. Incolpevole la Roberts, che recita come sa fare, anche se mi sembra difficile inquadrarla come una giovine donna irlandese, la sua impostazione da benestante cittadina del New England traspare da ogni suo poro.

(*) Bella la ricostruzione d'epoca, ben fatto il passaggio da filmati estratti da cinegiornali del tempo al suo girato, capace la gestione del cast.

Doctor Who

L'ultima avventura del Settimo Dottore (Sylvester McCoy) risaliva al 1989 (*). In BBC si erano convinti che una serie di fantascienza dal budget così limitato non avesse più senso di esistere, e avevano preferito un dignitoso silenzio ad una lenta erosione del pubblico.

Anni dopo arrivano gli americani della Fox e pensano che le avventure del Dottore potrebbero avere un mercato da loro. Però vogliono che la storia abbia i'impronta che loro reputano più adatta, introducendo dettagli che faranno accapponare la pelle ai fan della serie e non riusciranno ad attirare l'attenzione degli spettatori d'oltreoceano. E così ci resta solo questo pilota, a tratti inguardabile, spesso inconsistente, ma che ha qualche passaggio piacevole.

Skaro, pianeta dei Dalek, che pensavamo distrutto, è lì tranquillo nella sua orbita. E i Dalek, non si capisce bene perché, hanno catturato il Maestro, lo hanno sottoposto ad un processo (**) e condannato alla polverizzazione. Il Maestro chiede, come ultimo desiderio, che le sue ceneri tornino su Gallifrey, e che il trasporto sia assegnato al Dottore (***).

Ovviamente tutto ciò è un astuto trucco del Maestro per rubare la TARDIS e la scorta di vite del Dottore. Per motivi poco chiari, il piano richiede che ci si schianti a San Francisco e che la Terra venga distrutta al passaggio dal 1999 al 2000, fuso orario della costa del Pacifico.

Nell'impedire che tutto ciò accada, si passa da Settimo ad Ottavo (Paul McGann), scopriamo che il Dottore ha un genitore terrestre (°), e non gli dispiace sbaciucchiare le nostre donne (°°). Il Maestro, nel frattempo, prende sembianze umane (Eric Roberts) in attesa di ottenere le vite del Dottore, e si tira dietro anche lui un companion (Yee Jee Tso), che non sembra aver alcuna utilità reale nel racconto della storia.

Tutto finisce bene, ma dell'Ottavo Dottore non sentiremo più parlare fino al 2013, quando il mini-episodio The night of the Doctor ci farà vedere come da Ottavo si passa a War Doctor.

(*) Survival, storia in tre episodi, in cui sembra che il suo arcinemico, il Maestro (Master), muoia nella distruzione del pianeta Cheetah.
(**) Cosa che non è proprio nella loro indole. Un Dalek prima stermina e poi fa domande, semmai.
(***) Non riesco a pensare quanto impossibile sia tutto ciò.
(°) Particolare che era ignoto prima, e credo non sia stato usato in seguito, se non per seminare il dubbio che fosse il Dodicesimo Dottore l'ibrido destinato a far cadere Gallifrey.
(°°) Una donna sola, a dire il vero, la dottoressa Grace Holloway (Daphne Ashbrook), che gli fa da companion.

Blood & wine

Alex (Jack Nicholson) viene da un percorso accidentato ma alcuni anni prima (*) ha deciso di mettere la testa a posto e ha messo su famiglia. La scelta è caduta su Suzanne (Judy Davis), vedova con figlio a carico, Jason (Stephen Dorff). Lei a soldi stava bene, grazie anche all'assicurazione sulla vita del defunto marito, e ha lasciato che lui li usasse per aprire un negozio di vini. Per ragioni che non conosciamo, l'attività sta andando male. Per stare a galla hanno ipotecato la casa, ma non sembra che questo sia bastato. Aggiungiamoci pure che Suzanne tende all'alcolismo e che Jason odia cordialmente il patrigno.

Data la situazione, forse si può capire come mai Alex abbia pensato che sia una buona idea recuperare le sue conoscenze del periodo cupo e tentare di raddrizzare la situazione con un furtarello. Ha così contattato uno scassinatore in disarmo, Victor (Michael Caine), e ha corteggiato la baby-sitter di un suo ricco cliente, Gabriela (Jennifer Lopez), al fine di avere le informazioni necessarie per il colpo, che consiste nel far sparire una appariscente collana che deve valere qualcosa come un milione di dollari.

Tutto però va storto sin dall'inizio. Alex non sa nemmeno cosa farà con i soldi, mettere a posto l'azienda e ricostruire il rapporto con Suzanne, o scappare con Gabriela. La salute di Victor è messa molto male, e questo gli fa perdere la sua flemma inglese in più occasioni. Gabriela, troppo focosa, finisce per perdere il lavoro proprio quando servirebbe la sua presenza, e inoltre si prende una mezza cotta per Jason. Seguono una serie di disastri che porteranno alla morte di alcuni, e nessun lieto fine.

La storia ha un suo perché, ed è narrata da Bob Rafelson che, pur essendo ben lontano dal suo periodo migliore, sa comunque fare il suo lavoro. Però forse avrebbe dovuto puntare di più sulla coppia Nicholson - Caine, e lasciare meno spazio a Dorff e soprattutto a J-Lo. Non solo per le capacità degli attori, ma anche per le potenzialità dei personaggi. Le scene con Alex e Victor che si confrontano, si insultano, si trattano con familiarità ma non si fidano uno dell'altro, mostrano una relazione intrigante e complessa che avrebbe potuto essere analizzata con maggior dettaglio.

Invece il film si apre con Jason in primo piano, e il suo romanzetto con Gabriela porta via troppo tempo senza lasciare niente di interessante da ricordare.

(*) Otto, se ricordo bene una battuta del film.

Le onde del destino

Come spesso accade nei film di Lars von Trier, non è semplicissimo raccontare quel che succede, e nemmeno quale sia il suo significato. Le allegorie si sprecano, e ognuno si può divertire ad interpretarle come più gli aggrada.

Come prima approssimazione si potrebbe dire che si parla di una travagliata storia d'amore che si svolge in Scozia nei primi anni settanta tra Bess (una eccellente Emily Watson al suo debutto cinematografico) e Jan (Stellan Skarsgård). I due formano una coppia alquanto bizzarra, dove lei sembra una bambina timorosa di tutto, anche a causa di un qualche problema mentale, e lui un orso che se la potrebbe mangiare in un sol boccone. Eppure si amano teneramente, sono proprio fatti uno per l'altra. Il problema è che lui lavora sulle piattaforme petrolifere, e dunque si possono vedere molto di rado.

Bess proprio non ce la fa ad andare avanti così, e finisce per chiedere a Dio di riportargli il suo Jan. Con Dio Bess ha un rapporto simile a quello di don Camillo, i due si fanno gran chiacchierate dove Dio cerca di spiegare a Bess come funzionano le cose. Solo che qui a fare entrambe le parti è la sola Bess, il che aggiunge un tocco ancor più inquietante al fatto. Insomma, Dio non è per niente contento di come Bess manifesti il suo amore per Jan, e decide di metterla alla prova. O almeno, questo è quello che deduce Bess. Infatti Jan torna a casa, ma in seguito ad un grave infortunio che lo lascia più morto che vivo.

Non si capisce bene come o perché, ma Jan, vedendosi ridotto all'ombra di sé, spinge Bess ad andare con altri uomini. Forse lo dice per amore di lei, convinto com'è di essere vicino alla morte, pensa che Bess si debba trovare qualcuno che la aiuti a superare il trauma (ci viene accennato che in occasione della morte del fratello, Bess aveva avuto una crisi nervosa). Forse è il Dio di Bess che parla tramite lui, come sembra quando Jan vaneggia a proposito di un autobus. Forse, come suggerisce la cognata di Bess, Dodo (Katrin Cartlidge, anche lei molto brava), Jan parla a caso, tra il colpo che ha preso e le massicce dosi di farmaci che assume costantemente. O forse, come lo stesso Jan dice in un momento di lucidità, qualcosa di brutto gli è entrato nel cervello.

Le cose peggiorano rapidamente, al punto che Bess deciderà di farsi massacrare da un marinaio (Udo Kier) dalle tendenze sadiche convinta che questo servirà a salvare la vita di Jan.

Aggiungiamo pure che le tecniche usate da Von Trier in questo film anticipano buona parte di quelli che saranno i dettami del Dogma 95, quindi una camera e a mano, montaggio ridotto all'essenziale, niente luci di scena, niente colonna sonora (se non nei brevi intermezzi che introducono i capitoli in cui è divisa la storia). Il risultato è che bisogna avere una certa predisposizione per affrontare le due ore e mezza abbondanti della pellicola.

Vesna va veloce

Vesna è un giovanissima ceca (Tereza Grygarová) che arriva a Trieste con uno di quegli innumerevoli autobus che, approfittando della scomparsa della cortina di ferro, portavano gli est-europei in visita lampo ai paesi occidentali. Ma l'idea di Vesna non è quella di tornare indietro, vuole invece stare da noi. A far che, non lo sa bene nemmeno lei. Vorrebbe diventar ricca e, dopo aver accumulato tanti soldi, godersi il semplice piacere di sedersi su una sedia in un bel giardino a prendere il fresco in una tiepida giornata.

Incontra un gran numero di uomini, ognuno che avrebbe una sua storia (nel bene e nel male) da raccontare, ma Vesna va davvero veloce e, solo sul suo percorso fino a Rimini, scivolano rapidamente, lasciando poche o nessuna traccia, un assicuratore (Silvio Orlando) in cerca di tenerezze, un camionista (Tony Sperandeo), un cameriere (Roberto Citran), uno slavo disperato.

Sembra che Vesna a Rimini ci voglia restare, ma continua a correre velocemente da un incontro all'altro, mangia a sbafo in una tavola calda guadagnandosi il maltrattamento da parte del proprietario (Antonio Catania) e snobbando il cameriere (Stefano Accorsi) che cerca di consolarla. Decide invece di dedicarsi alla prostituzione, passando in rassegna, sempre rapidamente, una galleria di personaggi di varia umanità (a partire da un tremendo Ivano Marescotti), fino a che non incappa in Antonio (Antonio Albanese) un cliente a cui si sente attratta, ma solo parzialmente.

Il problema è che Antonio le fa qualche domanda di circostanza sulla sua vita, e rimane stupito quando lei gli dice che la prostituzione non è certo piacevole, ma è sempre meglio di quello che faceva prima - senza che si riesca a capire cosa mai fosse.

Nonostante la diffidenza di Vesna, succede qualcosa che li avvicina, e i due passano qualche tempo assieme, abbastanza per illudere lei che lui la accetti così com'è, e lui che lei possa accettare una vita semplice con lui.

Ma, appunto, è solo una illusione. Lei, evidentemente, non vuole lasciare il giro, lui si sente intrappolato dai silenzi con cui Vesna protegge il suo doloroso e misterioso passato e, complice una serata in un albergo nell'entroterra (il cui proprietario è Marco Messeri), si consumerà la rottura.

Non è il mio film preferito tra quelli di Carlo Mazzacurati (regia e co-scrittura), però è ben rappresentativo della sua cinematografia. Molto viene lasciato alla sensibilità dello spettatore, ognuno può decidere di interpretare anche il finale come meglio gli pare.

Degna di nota la colonna sonora, basata sul sassofono di Jan Garbarek e integrata con canzoni come Ask dei The Smiths e un paio di brani dei Mau Mau.

Larry Flynt - Oltre lo scandalo

Il titolo originale punta più sul continuo, molto conflittuale e anche un po' paranoico, rapporto di Flynt con i tribunali, The people vs. Larry Flynt, molti titoli localizzati puntano come quello italiano sullo scandalistico, il più simpatico mi pare il tedesco, Larry Flynt - Die nackte Wahrheit, la nuda verità, giocando su quello che è il core business di tutta la vita del personaggio di cui si narra la biografia.

Una brutta persona, per dirla tutta. Da bambino arrotondava vendendo alcolici fatti in casa agli alcolizzati locali, crescendo, ha scoperto la sua vera passione, il sesso e il suo commercio. Dopo aver rischiato un misero tracollo, ottiene il successo grazie alla quasi casuale invenzione di Hustler, una rivista ... inutile girarci attorno, pornografica. Al confronto Playboy e Penthouse sono roba da raffinate educande.

Flynt diventa rapidamente milionario, e questo, assieme al suo caratteraccio, gli attira una serie di problemi, che più passa il tempo più crescono, al punto da subire numerosi processi, con relativi soggiorni in galera. Rischia pure di venire ammazzato a schioppettate, da non si sa bene chi. Con tutti i nemici che si era fatto, e con la notoria facilità di procurarsi armi che esiste negli USA, potrebbe essere stato chiunque.

Il punto chiave della vicenda è che uno dei suoi problemi legali arriva fino alla corte suprema. Uno dei pilastri su cui si basa la democrazia americana è la libertà di parola, garantita dal primo emendamento. Il problema è se si debba porre un limite a questa libertà, e dove questo limite stia.

Film molto difficile da fare, considerando che c'è una fascia di popolazione che non apprezza per nulla che si parli di questi temi. Fatto è che Milos Forman non è tipo da farsi intimorire dal rischio di impopolarità, come dimostra anche la regia di Qualcuno volò sul nido del cuculo, che risale al lontano 1975. A condividere i rischi dell'operazione ci si è messo pure Oliver Stone, tra i produttori.

A intepretare Flynt c'è Woody Harrelson che in una scena si trova di fronte al vero Larry Flynt che a sua volta interpreta un giudice che lo sbatte in galera.

Edward Norton, agli inizi di carriera, si comporta bene in un ruolo di supporto (è l'avvocato di Flynt), ma secondo me ad uscire meglio è Courtney Love, moglie tossica bisessuale con tendenze autodistruttive di Flynt.

I muppet nell'isola del tesoro

Sarà assuefazione, ma per me la formula vincente dei Muppet è quella del loro show televisivo. Largo spazio a Kermit e soci, e una sola star in carne ed ossa, che ha uno spazio limitato. Chissà perché le versioni cinematografiche puntano invece di più sul cast umano, con il risultato di portar via spazio e tempo ai veri protagonisti, pupazzetti di tutte le dimensioni, forme e colori.

Questo film è la riscrittura del classico di Robert Louis Stevenson, trasformato per dare spazio alla folle inventiva del team del Muppet Show. Purtroppo la parte di Jim è stata data ad un umano, a rappresentare la nostra specie sarebbe bastato invece il solo Tim Curry che interpreta egregiamente Long John Silver.

Tra le principali varianti della storia, accenno al fatto che il capitano Smollet (Kermit) ritrova sull'isola la sua amata (Miss Piggy), diventata regina di una locale tribù di cinghiali. La aveva abbandonata sull'altare, un po' alla Blues Brothers, e scopre che la porcellina è stata l'amante sia del capitano Flint (il terribile pirata che ha seppellito il tesoro) sia di Long John Silver.

Da notare anche che la nave di Smollet è infestata da topi, che hanno però regolarmente pagato il biglietto per una crociera caraibica (incluso l'intrattenimento offerto dalla band del Muppet Show - incluso Animal alla batteria).

Jerry Maguire

La prima parte m'è sembrata un po' debole. Stavo quasi per chiedermi come mai avevo un così buon ricordo del film quando è decollato ed è tornato ad essere quello che era nella mia memoria.

La storia, scritta e diretta da Cameron Crowe, è quella di un agente sportivo, uno di quei tizi che rappresentano atleti, cercano loro ingaggi e campano con le percentuali dei loro clienti, Jerry Maguire (Tom Cruise) che, arrivato alla mezza età viene colpito dalla consapevolezza di fare un lavoro inutile per uno scopo inutile, per dei clienti che tratta come merce, e a cui non dispiace il trattamento, basta che sia ben retribuito.

In un impeto di buona fede, scrive una relazione sull'insensatezza di tutto ciò, propugna il ritorno ad un rapporto meno fasullo tra rappresentanti e rappresentati, anche a costo di ridurre i profitti. Tutto questo sarebbe bello e giusto, se non fosse che il buon Jerry non lavora in proprio, ma per conto di una grande azienda. Dunque riceve molte lodi per la sua franchezza, e viene licenziato in tronco.

La frenetica lotta per mantenere il portafoglio di clienti ha il magro risultato di assicurargli Rod (Cuba Gooding Jr.), giocatore di football americano medio livello, non più freschissimo e con un problema caratteriale, oltre che una parlantina davvero esagerata.

Lasciando l'ufficio cerca di convincere altri (ormai ex-) colleghi a seguirlo. Anche qui trova un solo seguace, Dorothy (Renée Zellweger), impiegata della contabilità, madre di un turbolento bimbo, vedova da alcuni anni. Risulta chiaro che a Dorothy Jerry interessa più come uomo che come datore di lavoro, nonostante lui sia fidanzato, e pure in procinto di sposarsi.

A questo punto si vira verso la commedia romantica, riuscirà Jerry a capire che lo scopo della sua vita non è fare soldi ma avere una vita propriamente detta? Sembra di sì, poi sembra di no, poi ...

Come succede nei film di Crowe, anche qui la colonna sonora è composta quasi completamente da una playlist di canzoni scelte accuratamente dal regista. Cose come gli Who, Tom Petty, Bob Dylan.

Mary Reilly

Sono quasi sicuro che si tratti di una seconda visione, ma mi aveva così poco impressionato ai tempi (e anche adesso) che non ci metterei la mano sul fuoco.

È una rielaborazione (romanzo di Valerie Martin, sceneggiatura di Christopher Hampton, che ha adattato anche cosette come Le relazioni pericolose ed Espiazione) de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson, raccontata da Stephen Frears dal punto di vista di una cameriera (Julia Roberts) del buon dottore (John Malkovich).

Tra i comprimari Michael Gambon, padre di Mary, e Glenn Close, tenutaria del bordello frequentato da Hyde.

Bella prova d'attore di Malkovich, che muta dal dottore (flebile con barbettina) al crudele avventuriero (giovanile e trasudante testosterone) per mezzo del noto artifizio scozzese.

Dal tramonto all'alba

Storia bizzarra oltre misura, scritta da Robert Kurtzman (?) che ne ha commissionato la conversione in sceneggiatura da parte di Quentin Tarantino, il quale l'ha trasformata in roba sua. La regia è finita nelle mani del sodale Robert Rodriguez, e come protagonista è stato pescato il jolly di un George Clooney al primo vero importante ruolo per il grande schermo.

Primo tempo tipicamente tarantiniano, con due fratelli delinquenti lanciati in una parabola autodistruttiva, ma nel secondo tempo c'è un brutale cambiamento di scena, e ci ritroviamo catapultati in un film horror-teen con vampiri demoniaci da burletta.

Difficile trovare qualcuno a cui piaccia tutto il film, in genere chi preferisce la prima parte (come il sottoscritto) si appisola nella seconda, e chi preferisce la seconda parte trova la prima una lunga anteprima che porta via spazio al piatto forte.

I due fratelli Gecko (se è un riferimento a Gordon Gekko di Wall Street, mi è sfuggito) stanno puntando al Messico, lasciandosi dietro una scia di sangue. Il maggiore (Clooney) è quasi normale, ma il giovane (Tarantino) è uno psicopatico all'ultimo stadio, si inventa le cose, non sa più quale sia la realtà. I due incappano in una famigliola composta da padre (Harvey Keitel), un ex pastore che ha perso la fede in seguito alla tragica morte della moglie, e due figli, e li rapiscono per passare con loro il confine. Devono raggiungere un localaccio poco oltre il confine, e lì aspettare fino all'alba, quando arriverà il loro contatto messicano.

Nel locale c'è gente come Danny Trejo al bancone, Salma Hayek che si esibisce col nome di Santanico Pandemonium, Tom Savini clienteggia e si fa chiamare Sex Machine. Tanto per dare un idea.

Mi ha colpito come George Clooney sia stato capace di imporre il suo personaggio, pur non essendo ai tempi la star che è ora, al punto di trasformare, sia pur leggermente, l'impostazione tarantiniana.

Un giorno per caso

L'interesse principale del film sta nell'incontro tra i due protagonisti, non nel senso dei personaggi, ma degli attori: Michelle Pfeiffer e George Clooney. La prima aveva già girato cosettine come lo Scarface di De Palma con Al Pacino, Le streghe di Eastwick con Jack Nicholson, Le relazioni pericolose di Frears, un Batman di Burton. Mentre Clooney, beh, aveva fatto molta gavetta, era reduce da Dal tramonto all'alba di Rodriguez, e sarebbe da lì a poco uscito con il fallimentare Batman & Robin di Schumacher. Le cose gli andranno meglio a partire da La sottile linea rossa.

Nella storia, i due protagonisti sono in situazione speculare (divorziati, in carriera, lui con figlia, lei con figlio), si piacciono ma hanno paura di essere nuovamente feriti. La sceneggiatura li obbliga però a interagire ripetutamente in quella che è una giornata molto complicata per entrambi (nel titolo originale il giorno è memorabile e non semplicemente casuale: One fine day), fino ad aver ragione della loro riottosità e costringerli al lieto fine.

Sceneggiatura fumosa, con i personaggi disegnati malamente. A lui va meglio, gli è capitato il solido cliché del tosto giornalista investigativo, lei invece fa un lavoro incomprensibile (architetto?) in una azienda di alto livello di cui vediamo solo lei, il suo capo mezzo rimbambito, e la segretaria/receptionist. La regia (Michael Hoffman) si salva grazie al mestiere del cast, e spostando l'attenzione sulla città, proponendoci i soliti scorci turistici di New York.

Tra i ruoli minori, si fa notare Charles Durning (sovrappeso), che sarebbe poi quel caratterista di lungo corso già aveva fatto innumerevoli film come La stangata e Tootsie, e che sarà di nuovo con Clooney in Fratello, dove sei?, oltre che in altre decine di altri film dopo questo.

Tra le non molte scene divertenti direi che spicca quella in cui il giornalista cerca di convincere una tipa a fargli un piacere, ma lei gli dice che è inutile, ha una nidiata di figli maschi, e se lui gli fa quello sguardo lei gli prepara un pollo arrosto.

L'ottavo giorno

Mi verrebbe da dire che è un tipico film di Jaco Van Dormael (scritto e diretto), se non fosse che di lungometraggi il buon Jaco ne ha fatti solo tre, (Mr.Nobody e Toto le heros gli altri due titoli) e su numeri così piccoli non è che abbia molto senso di parlare di tipicità.

È una buddy story tra un down (Pascal Duquenne - presente i tutti e tre i lavori di Van Dormael) e un manager bancario esperto di tecniche motivazionali (Daniel Auteuil). Inizialmente i due vengono presentati come se fossero assolutamente antitetici. Il down è pura emozione, il manager insegna a usare la razionalità per fingere empatia con i clienti.

Scopriamo invece, assieme a loro, che sono molto simili. Entrambi sono colmi di amore e nessuno dei due lo riesce ad esprimere adeguatamente, sia per loro limiti sia per problemi contingenti.

Dopo un incontro drammatico, e un accostamento tempestoso in cui vediamo (edulcorato, certo, ma il senso è chiaro) quanto sia difficile gestire un rapporto con un down, abbiamo modo di valutare quanto sia vero anche il contrario. Quando il manager riesce a incontrare la ex moglie (Miou-Miou) va praticamente fuori da matto, e vediamo che è il down qui a prendere in mano la situazione e, trattandolo come sa che vanno trattate le persone in questi frangenti, riesce a riportarlo alla ragione.

Sono dunque due pari, che si aiutano a vicenda in un momento difficile delle loro esistenze.

Molte le scene memorabili, grazie anche ad una regia spericolata che non si fa problemi di far cantare un topo o di seguire il volo di una coccinella. Una, che mi pare una citazione di Oltre il giardino, mi è sembrata divertente. Il manager ha portato a casa sua il down. È sera, il secondo è in giardino, si avvicina alla piscina, supera il bordo e cammina sull'acqua. Fa anche alcune evoluzioni prima di uscire, camminando come niente fosse. Il manager, non visto, lo ha seguito nel suo percorso con lo sguardo stupefatto. Si avvicina anch'egli alla piscina e si accorge che giusto sotto il pelo dell'acqua c'è una sorta di coperchio galleggiante, di cui evidentemente si era dimenticato l'esistenza. Niente miracolo, questa volta.

Microcosmos - Il popolo dell'erba

Simpatico film francese (titolo originale Microcosmos: Le peuple de l'herbe) che mostra un'ipotetica giornata in un prato tra insetti e invertebrati. Accompagnato da una bella colonna sonora ci fa passare un'abbondante ora a contatto di una natura a cui difficilmente prestiamo attenzione, pur avendola, di fatto, sott'occhio.

Soprattutto in Francia il film è stato accolto molto bene, e ha pure ottenuto premi prestigiosi come un gran premio tecnico a Cannes, dove era apparso fuori concorso, e numerosi César.