Una vita da gatto

Tom Brand (Kevin Spacey) è a capo di un complesso eterogeneo di aziende che potrebbero ricordare vagamente la Virgin di Richard Branson, in quanto hanno l'unico comun denominatore nella creatività del paròn. Il conglomerato è quotato in borsa ma il Brand ha una comoda maggioranza assoluta che gli permette di fare quel che vuole, nonostante i mugugni degli azionisti di minoranza che, a ben vedere, non è che abbiano poi tutti i torti visto che il lider maximo si lascia guidare più dal suo strabordante ego che da un vero fiuto per gli affari.

Altro lato della medaglia, la famiglia Brand è tenuta assieme solo dallo spirito disneyano (*) che pervade questa produzione cinematografica. La corrente signora Brand, Lara (Jennifer Garner), è persino in buoni rapporti con la precedente, anche se questa non sembra particolarmente pacificata. Il grosso problema è che Tom pensa solo agli affari e di conseguenza maltratta, ma più spesso non dedica alcun tempo, a moglie e figli.

A fare scattare l'azione del film ci sono due eventi, uno legato al mondo degli affari, l'inaugurazione del nuovo grattacielo Brand a New York, che dovrebbe essere il più alto dell'emisfero nord, ma forse non riesce ad ottenere il record, e il compleanno della più piccola di famiglia, che vuole disperatamente come regalo un gatto - animale che Tom non sopporta. In assenza di idee alternative, all'ultimo momento Tom capitola e decide, sulla strada di casa, di passare dal più vicino venditore di felini, e prendere un animale a caso. Il gestore del posto è però Felix Perkins (Christopher Walken) che è dotato di misteriosi e incomprensibili poteri, il che porta Tom a trasmigrare nel gatto, con il rischio di restare sotto questa forma per tempo indeterminato.

La storia non è certo un granché, e direi che ha l'unico pregio di avermi fatto pensare allo strepitoso e folle La ricompensa del gatto dello Studio Ghibli. Nonostante i grossi nomi coinvolti (**) ho avuto l'impressione che l'interesse principale di tutti quanti fosse rivolto all'incasso dell'assegno pattuito. Effetti speciali demoralizzanti.

(*) Quello dei live-action del secolo scorso, intendo.
(**) La regia è di Barry Sonnenfeld, che non è certo un autore di peso, ma ha fatto cose ad alto budget e riscontro di pubblico, come Men in black.

Fortunata

Non ho visto la concorrenza, ma credo che il premio a Jasmine Trinca come migliore attrice a Cannes, sezione Un certain regard, sia meritato. Ho qualche perplessità sull'equilibrio del racconto e sulla sua trasposizione cinematografica, dovuto alla coppia Margaret Mazzantini - Sergio Castellitto. M'è parsa più riuscita la prima parte, dove il dramma è bilanciato da uno spirito comico che un po' mi ha fatto pensare a lavori del tempo che fu di Pedro Almodovar, meno la seconda, dove si punta più decisamente al tragico, con una certa confusione che credo sia riconducibile a modelli italiani, area Marco Ferreri, che forse aveva un suo senso una cinquantina di anni fa, ma che oggi mi pare poco comprensibile.

Fortunata (la Trinca) vive nella periferia romana (Torpignattara?) una vita sull'orlo della catastrofe. Ha un divorzio in corso con Franco (Edoardo Pesce), greve, violento, poco propenso a mollare la preda senza combattere, e il sogno di passare dalla condizione di pettinatrice a domicilio e quello di proprietaria di un negozio.

Pare che abbia un solo amico (*), che chissà perché si fa chiamare Chicano (Alessandro Borghi), tossico all'ultimo stadio, a cui aggiunge una dipendenza per lotto (!) e lo sconforto di avere una mamma (Hanna Schygulla, nientemeno) affetta da Alzheimer.

La piccola Barbara (Nicole Centanni) si trova nella impossibile condizione di accettare il conflitto dei genitori e chiede aiuto a suo modo, sputando su chi gli sta attorno. I servizi sociali fanno il loro lavoro, e la bimba viene seguita da uno psicologo, Patrizio (Stefano Accorsi), che sembra abbastanza efficace. Il problema è che qualcosa scocca tra Patrizio e Fortunata, e dunque la povera Barbara si trova non solo a dover conciliare il conflitto tra i genitori, si trova essa stessa in competizione con la madre per le attenzioni di una figura maschile.

Il tema della tragedia greca è introdotto dalla madre di Chicano, che ai tempi era una famosa attrice teatrale nota per il ruolo eponimo in Antigone. Ad un certo punto abbiamo pure uno spiegone, seppur risolto rapidamente, in cui ci viene fornito un sunto della storia, che però non ho capito bene come la Mazzantini immagini sia rilevante con la storia di Fortunata. Forse si intende puntare sulla contrapposizione maschile-femminile, lasciando gli aspetti negativi ai primi e quelli positivi alle seconde, che però mi pare sminuente nei confronti delle tematiche esplorate in Antigone, molto più sottili e profonde.

Più interessante la meditazione su cosa voglia dire essere fortunati, già perché mi pare ovvio che la tesi sia che la protagonista sia, nonostante tutto, fortunata. Subisce una catastrofe matrimoniale, perde il suo unico amico, non riesce a ricostruire una nuova coppia romantica, fallisce nel lavoro, non ha il becco di un quattrino ma - alla fine - sembra riesca a superare (**) il trauma infantile che ha probabilmente condizionato la sua intera esistenza per ripartire da quello che davvero le interessa, ovvero il rapporto con la figlia.

Meno soddisfacente m'è sembrato lo sviluppo del personaggio di Patrizio. Anche lui ha un nome che indica il ruolo, è infatti l'unico abbiente della storia (***) e avrebbe i mezzi culturali, intellettivi e pure emotivi per condurre una vita decente. Eppure, per motivi poco chiariti (°), sembra che finisca per mandare tutto a catafascio. Forse viene spaventato dall'irruenza poco civilizzata di Fortunata, forse viene attirato dal modello paterno che, per quanto negativo, lo ha ovviamente marcato sin da piccino. Forse, più grettamente, è una inaspettata montagnola di soldi a fargli fare il salto definitivo. Non sappiamo, viene lasciato a noi il compito di decidere.

(*) Ci sarebbero anche alcune sciroccate, piuttosto tamarre e abbastanza almodoroviane, che però restano molto sullo sfondo, una specie di coro che fa un buffo controcanto all'azione principale.
(**) Anche se non ho capito bene come. Per via di una illuminazione, sembrerebbe. E grazie a un archetipico bagno in mare che la pone la scelta se chiudere o se far ripartire la sua vita.
(***) Si intuisce la sua disponibilità economica dalla bella Ducati che possiede, dai modi, e dal weekend che offre alla sua bella, superiore alle possibilità di un normale psicologo della mutua.
(°) L'unico personaggio disegnato con una adeguata profondità è quello della protagonista, gli altri mancano di dettaglio, e spesso dobbiamo lavorare di fantasia o per stereotipi per riuscire a comprendere il senso delle loro azioni.