Operazione U.N.C.L.E.

Anni sessanta, un agente della CIA, Napoleon Solo (Henry Cavill), entra nel quartiere sovietico di Berlino per convincere Gaby Teller (Alicia Vikander), figlia di uno scienziato tedesco, prima passato agli americani, e correntemente impiegato da una organizzazione indipendente, a passare il muro e ad operare con loro per ritrovare il padre. Dall'altra parte Illya Kuryakin (Armie Hammer), agente del KGB, ha il compito di impedire l'azione.

Solo (*) vince il primo round. Ma il suo capo e quello di Illya decidono che è meglio se i due lavorano assieme a questo caso, e li mandano tutti e tre a Roma, dove i Vinciguerra, in particolare la signora Victoria (Elizabeth Debicki), gestisce un traffico d'armi che sembra finalizzato alla rinascita del terzo reich. Solo e Illya scoprono di essere abbastanza complementari nei pregi e difetti da spia; Illya e Gaby scoprono di avere una forte simpatia, che potrebbe pure essere amore; tutti quanti nascondono qualcosa e alla fine Waverly (Hugh Grant) dell'MI-6 spiegherà a tutti come stanno le cose, diventerà capo di una struttura spionistica sovrannazionale russo-americana, chiamata per l'appunto U.N.C.L.E., che coordina lo sporco lavoro del terzetto.

L'impostazione fumettistica e retrò è usata alla meglio da Guy Ritchie, che mantiene un tono scanzonato per tutta la durata della pellicola, probabilmente l'unica possibile maniera di sviluppare una vicenda così improbabile senza causare una rivolta da parte degli spettatori. Nonostante ciò, sono stato molto vicino ad annoiarmi in più parti, anche perché non sono riuscito a capire quale fosse il senso della storia, se non quello di far passare un paio di ore senza lasciare un gran ricordo di sé.

(*) Napoleon ci tiene a precisare che solo sua mamma lo chiama per nome di battesimo.

La signora scompare

Alfred Hitchcock era già sul punto di migrare in America, la consociata inglese della Gaumont, a cui il Maestro era legato da un contratto e da amicizie, era vicina al termine della sua esistenza. Prima della partenza di The Hitch oltreoceano ci sarà solo un altro titolo, La taverna della Giamaica, realizzato più per motivi di opportunità che altro, e di cui non resterà un buon ricordo, se non nei bilanci della Mayflower, piccola casa di produzione dalla vita breve fondata da Erich Pommer e Charles Laughton.

Questo film, invece, nonostante il budget estremamente limitato, mise d'accordo un po' tutti sul suo valore, e preparò il campo allo sbarco del nostro ad Hollywood. Se il canovaccio è tipicamente hitchockiano, con una innocente trascinata suo malgrado in un intrigo internazionale in cui rischia di finire male senza capire nemmeno il perché, l'uso del registro comico è molto più marcato del solito, al punto che lanciò una coppia comica, Basil Radford e Naunton Wayne, che camparono a lungo riproponendo i due personaggi (*) qui interpretati. Altro elemento di interesse cinefilo sta nel protagonista, Michael Redgrave, al suo debutto cinematografico.

Sono rimasto inizialmente perplesso da come gli stranieri sono trattati nel film, poi mi sono accorto che ci si fa beffe di tutti i personaggi, a prescindere dalla nazionalità, ognuno dei quali si comporta, chi più chi meno, malamente, spesso mentendo a sé o a gli altri per ottenere risultati anche piccoli e squallidi. In fondo, a uscire bene da questa storia saranno solo i due protagonisti, e solo quando riusciranno a disfarsi delle loro falsità.

A proposito di falsità, la location è completamente fittizia, un improbabile stato del centro Europa, dove si parla una lingua che credo sia inventata di sana pianta dagli sceneggiatori, da cui di tanto in tanto fa capolino qualche parola di tedesco. Gli esterni sono quasi tutti finti, a partire dalla bella sequenza iniziale, in cui la macchina da presa vola su una piccola stazioncina di montagna, dove una valanga ha sommerso i binari - e il tutto è un evidente modellino che farebbe la gioia di un ferromodellista.

Iris (Margaret Lockwood) è una giovin rampolla di famiglia altolocata, annoiata dalla sua inutile vita e che sposerà tra breve un tale per il quale non ha alcun sentimento, che però è ricco e di famiglia nobile. Il caso le fa incontrare Gilbert (Redgrave), un etnografo musicale che sarebbe riuscito ad annoiare persino Béla Bartók, e i due, distanti come la notte e il giorno, litigano subito, lasciando prevedere come andrà a finire.

Il caso fa anche incontrare a Iris una anzianotta signora inglese molto rispettabile, Miss Froy (May Whitty), che, come da titolo, scomparirà durante il viaggio in treno. Il mistero sta nel fatto che tutti negano che Miss Froy sia mai stata sul treno. Sul treno c'è anche un medico, il dottor Hartz (Paul Lukas), che trova una semplice soluzione al problema, Iris ha preso una botta in testa prima di partire, e dunque le sue idee sono annebbiate, e Miss Froy se l'è inventata il suo confuso subconscio.

Quando ormai anche Iris si è convinta di avere le traveggole, Gilbert scopre un tenue indizio che gli fa cambiare idea, e i due partono con maggior decisione alla ricerca di Miss Froy.

Una serie di menzogne vengono smontate, c'era che voleva nascondere una relazione clandestina, chi temeva di perdere una partita di cricket, chi doveva lavorare, eccetera. La menzogna più grossa era forse quella di Iris, che pensava di poter vivere senza amore. E invece, semplicemente, non l'aveva ancora incontrato.

(*) Charters e Caldicott, due inglese che hanno una smodata passione per il cricket.

Doctor Who 9 Speciale di Natale: The husbands of River Song

Il Dottore (Peter Capaldi), scorbutico come sempre, sta passando in solitudine un Natale nel futuro su di un lontano pianeta quando viene agganciato da un tale che non sembra brillare per intelligenza, Nardole (Matt Lucas), che gli chiede se è lui il chirurgo che cerca. Tra dottore e chirurgo il passo è breve, e il Dottore ha voglia di allontanarsi un attimo dalla TARDIS, che è in vena di scherzetti natalizi così, accertatosi che Nardole non lo intende portare in un posto infestato da canti di fine anno, lo segue senza avere idea di cosa l'attende.

River Song (Alex Kingston), d'altro canto, sa che sta arrivando alla fine della sua linea temporale (*) e questo la immalinconisce. O meglio, la ragione non sta tanto nel tempo che fugge, quanto nel fatto che non lo passa con il Dottore. Non che sia persona da restare con le mani in mano, e infatti Nardole è un suo scagnozzo che dovrebbe procurargli un chirurgo per staccare la testa a suo marito. E con questo termine non intende il Dottore, e nemmeno il suo aiutante, Ramone (Phillip Rhys), ma il battagliero re Hydroflax, che è stato mortalmente ferito da un diamantone dal valore esageratamente esagerato. Quest'ultimo matrimonio non è stato altro che un mezzo usato dall'archeologa con meno scrupoli nella storia dell'umanità per svolgere il lavoro di recupero diamante che le è stato commissionato.

I due quindi si incontrano, ma River non riconosce il Dottore. Forse ha troppe cose che le girano per la testa, e certamente non si aspetta che il Dottore abbia quella faccia. Ricordiamo che l'Undicesimo Dottore sarebbe dovuto essere l'ultimo, e il Dodicesimo Dottore ha già scherzato un paio di volte sul fatto che la sua rigenerazione è stato un errore. Sia come sia, per gran parte dell'episodio lui cerca di far capire a lei chi sia veramente, e lei non gli dà minimamente retta.

Rocambolescamente arriviamo nel finale alla scena che prepara all'episodio doppio della quarta stagione, quello ambientato sul pianeta-biblioteca, dove il Decimo Dottore incontra per la prima volta River Song, ma che per lei è l'ultimo loro incontro - problemi delle relazioni interpersonali quandosi viaggia nel tempo.

L'aggancio tra i due episodi è mirabile, vengono spiegate alcune cose che River aveva detto e sembravano molto oscure, e anche come mai ella sia in possesso di un cacciavite sonico, glielo regala il Dottore, orripilato dallo strumento usato da sua moglie, una veramente improbabile cazzuola sonica.

(*) Non sa con certezza i dettagli ma, conoscendo il Dottore, ha dedotto che non ha più avventure da scrivere nel suo diario.

Blackadder's Christmas carol

Stralunata versione del cantico di Natale di Charles Dickens generata dal notevole trio creativo composto da Richard Boden (regia), Richard Curtis e Ben Elton (sceneggiatura). Trattasi di uno speciale natalizio che prende i personaggi della serie dedicata al fittizio Edmund, duca di Edimburgo, figlio di un finto Riccardo IV che sarebbe vissuto nel tardo millequattro, quasi millecinque. Edmund si era dato il soprannome di The black adder, da cui è nata (*) una dinastia di personaggi spregevoli che hanno preso Blackadder come cognome. Tutti i Blackadder sono interpretati da Rowan Atkinson, ognuno dei quali ha come fido (?) aiutante un tal Baldrick, sempre interpretato da Tony Robinson, che diventa sempre più laido e imbecille col passare delle generazioni.

Ebbene, in tutta la lunga teoria di Blackadder, ai tempi della regina Vittoria c'era un'eccezione. Ebenezer Blackadder, proprietario di un rinomato negozio di baffi, è munifico e ben disposto con tutti, i quali se ne approfittano, così che a fine anno a lui e al suo fido assistente Baldrick non resta mai niente. Se questo Blackadder è una pecora bianca in una famiglia di pecore nere, il Baldrick in esame mantiene i tratti familiari, per cui riesce a produrre un biglietto di auguri natalizi in cui la parola "Christmas" è scritta con tutte le lettere sbagliate.

A raddrizzare la situazione ci pensa lo Spirito di Natale (Robbie Coltrane) che gli mostra quanto carogne erano un paio di suoi avi. A dire il vero l'intenzione dello Spirito era quella di mostrare quanto meglio fosse la miserevole ma benigna esistenza di Ebenezer rispetto a quella fastosa ma maligna dei suoi antenati, l'effetto ottenuto è però quello opposto. Si aggiunga poi che, malvolentieri, lo Spirito mostra a Ebenezer cosa succederà ad un suo lontano discendente in funzione della sua scelta di restare dalla parte del bene o di passare a quella del male. Nel secondo caso, un futuro Blackadder annichilerà i discendenti dei nemici storici della famiglia (Stephen Fry e Hugh Laurie) e sposerà la bella imperatrice galattica Asphyxia XIX (Miranda Richardson). Altrimenti succederà un inversione di ruoli, e sarà un futuro Baldrick, sempre più inetto, ad avere quel Blackadder come assistente.

Questa rivelazione spingerà Ebenezer Blackadder a dare una svolta decisa alla sua vita, abbracciando la cattiveria che sembra proprio essere un tratto caratteristico della famiglia. Si toglierà così alcune soddisfazioni, ma avrà anche una crudele sorpresa.

(*) Come i Blackadder si riproducano è un mistero, visto che ogni elemento della famiglia sembra essere disperatamente single, e con ben poco interesse al processo.

La zona morta

Secondo film di fila che vedo in cui il protagonista si schianta in auto, e in seguito a ciò gliene capitano di tutti i colori. La prendo come un invito alla prudenza nel guidare.

La pellicola appartiene al genere horror/thriller soprannaturale senza alcun minimo accenno alla commedia. La presenza di Herbert Lom nei panni del medico che segue il caso mi ha però causato risatine del tutto ingiustificate, se non dal fatto che quando vedo Lom non riesco a non pensare al suo ispettore capo Charles Dreyfus, e mi immaginavo che prima o poi il medico facesse qualcosa di folle come l'ispettore, magari strizzando l'occhio nervosamente (*).

Trattasi di un film del secondo periodo di David Cronenberg, superata la fase negli anni settanta, dove operava con budget risicatissimi. Negli anni ottanta i produttori gli concedono abbastanza soldi da permettere di inserire nei cast nomi noti, resta la propensione al film di genere, ma cresce sempre più la sua autorialità. Qui la sceneggiatura (Jeffrey Boam) è basata su un romanzo di Stephen King. Il risultato, pur non essendo paragonabile all'inarrivabile Shining di Kubrick (1980), non è male. Ha le sue debolezze, ma è superiore a molte altre versioni cinematografiche di lavori "di paura" di King.

Johnny Smith (Christopher Walken) è un insulso professore di inglese che, pur essendo fidanzato con Sarah (Brooke Adams), non va con lei oltre a casti bacetti. Una sera la porta a casa, lei insiste perché lui passi la notte con lei, prendendo la scusa di un fastidioso temporale, ma lui preferisce non mettere alla prova la loro castità. Parte nonostante il tempaccio e si schianta contro uno di quegli immensi camion che popolano le strade americane.

Si risveglia dopo cinque anni di coma e scopre che lei, dopo aver atteso per qualche anno, ha dato retta al suo orologio biologico e s'è sposata e ha procreato con altro. In più, Johnny scopre che ora riesce a vedere alcune sciagure passate, presenti e future di chi gli dà la mano. Il che non è quel gran dono del cielo che altri pensano, anche perché gli costa un enorme dispendio di energie fisiche e mentali.

Johnny cerca di usare i suoi poteri il meno possibile, ma il caso finisce per metterlo sulla strada di un bieco politicante (Martin Sheen) che mira ad un posto da senatore, come trampolino per la corsa alla presidenza, e sente che costui ha nel suo futuro la possibilità di causare una guerra mondiale.

La storia ha i suoi passaggi difficili da digerire, e la sua impostazione molto americana sul come risolvere i problemi (**), ma la scrittura è tale da far passare in secondo piano questi dettagli. La regia ha già momenti molto buoni (***) ha però ancora bisogno di affinarsi, in alcune scene mi è sembrato che gli attori recitassero senza avere particolari indicazioni da seguire. E va bene che si tratta di gente come Lom, Walken e Sheen (°) che riescono a cavarsela in ogni caso.

(*) Vedasi La pantera rosa sfida l'ispettore Clouseau
(**) A schioppettate.
(***) La scena della visione di Johnny nel gazebo, ad esempio.
(°) A mio gusto lui è quello che esce meglio dal film, forse anche grazie al ruolo che gli permette di divertirsi caricando certi passaggi.

Trauma

Esperimento interessante, che però non mi sembra riuscitissimo, e che rischia lasciar perplesso lo spettatore che si lasci sfuggire qualche importante dettaglio. Già, perché seguire una storia raccontata seguendo la prospettiva del protagonista può creare notevoli problemi se questi non è affidabile. In un certo senso siamo dalle parti di Memento, con la differenza che qui il problema di Ben (Colin Firth) è tale che gli succede di non sapere se quello che vede sia reale o meno, ha false memorie, si dimentica cose, a volte mente a se stesso (e a noi). Insomma, un macello. Tocca a noi stare molto attenti a quello che vediamo, a confrontare quello che Ben dice a seconda del suo interlocutore, e a cercare di estrarre un possibile senso compiuto da tutto ciò.

Di certo succede che Ben ha un incidente in macchina, e si risveglia dopo un lungo coma con la certezza che sua moglie sia morta, e con una certa inquietudine che gli fa pensare che potrebbe essere colpa sua. Sulle prime le sue memorie sembrano portarlo alla conclusione che lei era in auto con lei, e che sia morta a causa della sua guida. Poi i ricordi si confondono, si mescolano con spezzoni di discussioni che ha con altri, un suo amico, un poliziotto, la sorella della moglie, e ci rendiamo conto che Ben ha in testa una confusione raccapricciante.

A complicare maggiormente le cose c'è Charlotte (Mena Suvari), padrona di casa e vicina nel suo nuovo appartamento, che inizialmente sembra estremamente reale, ma che in seguito inizia pericolosamente a sembrare una creazione della fantasia di Ben. Infatti si chiama come sua zia (*) a cui era molto affezionato, e in una scena piuttosto impressionante vediamo come la sua immagine si sovrapponga a quella di sua moglie.

Il finale mi ha ricordato, in un suo modo tutto particolare, lo Psycho di Hitchcock, con Ben che si è ritratto nel suo mondo, mantenendo una interazione distratta con il nostro.

(*) E da una foto scopriamo anche che le assomiglia.

La moglie del vescovo

Commedia natalizia con evidenti debiti nei confronti de La vita è meravigliosa di Frank Capra. Dettaglio curioso, Cary Grant, che qui interpreta l'angelo Dudley, aveva letto il racconto di Philip Van Doren Stern, ne aveva intuito le potenzialità, e aveva chiesto allo studio RKO di produrre il film, rendendosi disponibile per il ruolo di protagonista. Dopo aver provato per tre volte a tirar fuori una sceneggiatura, si arresero e la cedettero alla casa di produzione Capra, la Liberty Films, per farne quel che ne volevano. E così George Bailey venne interpretato da Jimmy Steward.

Anche questo film ha avuto una storia tormentata, con riscritture (*), cambi di regia, e di attori. In particolare, inizialmente si era scritturato David Niven nel ruolo dell'angelo, e Dana Andrews in quello del vescovo. Il secondo però passò ad un altro progetto, e si pensò di scritturare Cary Grant, che accettò di buon grado, ma richiese di interpretare Dudley, facendo cambiar ruolo a Niven.

La storia è ambientata in una New York estremamente WASP, come si capisce già dal titolo che può sembrare sorprendente per chi abbia un background cattolico. Credo che i personaggi siano tutti bianchi, protestanti e di origine inglese tranne due caratteristi, il fiorista italo-americano (**) e il ristoratore francese. Parziale eccezione per il professore (Monty Woolley), che si professa ateo (***) e per questo è stato epurato dall'università presso la quale insegnava.

Il vescovo del titolo (Niven) ha un grosso problema, s'è smarrito nel mezzo di cammin di nostra vita. Si sta incaponendo nel voler costruire una nuova cattedrale e non si accorge che questo lo sta allontanando dai fedeli e dalla sua famiglia. In particolare la moglie, Julia (Loretta Young), sembra essere destinata a beccarsi una bella depressione da mancanza di affetto. Lui non si accorge di niente, e se gli scappa di pregare per avere un aiuto, lo fa pensando alla cattedrale. Per sua fortuna, chi gestisce gli angeli decide di capire quel che vuol capire, e gli manda Dudley (Grant) che tutto sommato se ne stropiccia della nuova chiesa e bada invece a cose più sostanziali.

Succede però che anche gli angeli hanno un anima (°) e quella di Dudley ha i suoi tormenti. Stufo di girare solitario sulla Terra, avrebbe voglia di metter su casa, e si invaghisce di Julia, mettendo a repentaglio non solo la sua missione, ma anche l'essenza del cristianesimo (°°). La competizione tra un misero umano e un angelo sembrerebbe senza speranza, anche perché Dudley non si fa scrupolo di usare mezzucci scorretti per creare più complicazioni al vescovo di quante già ne abbia per conto suo.

A salvare l'unione tra Julia e legittimo consorte concorreranno una serie di circostanze. Il vescovo viene rafforzato nella sua fede in sé dal professore; Julia apprezza Dudley ma ama il marito; e Dudley stesso è dopotutto una brava persona, riesce a superare la tentazione di abusare dei suoi poteri e, sia pure con gran fatica, riesce ad accettare il suo destino di ramingo solitario.

(*) Parte della sceneggiatura risultante è attribuita a Billy Wilder, che pure non è citato nei titoli di coda.
(**) Tito Vuolo, uno specialista. Vedasi anche Rapina a mano armata di Stanley Kubrick e A qualcuno piace caldo di Billy Wilder.
(***) Ma partecipa alla messa di Natale.
(°) Chissà se hanno anche dei super-angeli che badano a loro.
(°°) Non che questo aspetto sia sviluppato, ma lo spettatore accorto si potrebbe fare domande imbarazzanti.

Il segreto dei suoi occhi

Non sto parlando del recente film di Billy Ray (*), che non ho visto, anche perché quello che ho letto sul suo conto non mi aveva convinto, nonostante il cast stellare che esibisce (**), ma dell'originale argentino di sei anni prima, firmato da Juan José Campanella, che ha conquistato l'Oscar come miglior film non in inglese, strappandolo a quello che sembrava il vincitore annunciato, Il nastro bianco di Michael Haneke. Io avrei votato per il candidato tedesco ma, almeno per una volta, non ho niente da ridire sulla scelta dell'Academy.

Siamo nei primi anni del duemila e Benjamín Esposito (Ricardo Darín) è appena andato in pensione. Per capire che lavoro facesse prima ho dovuto ragionarci sopra un attimo, seguendo la storia, narrata in flashback, avvenuta un quarto di secolo prima a Buenos Aires. Il suo capo allora era Irene Menéndez Hastings (Soledad Villamil), che a sua volta ha un capo che viene qualificato come giudice. Da quello che fanno mi sembra che il loro giudice sia quello che noi chiamiamo pubblico ministero, che Irene sia una specie di sostituto (***) e che entrambi si occupino solo del lavoro di ufficio, non uscendo praticamente mai dal palazzo. Benjamín, che non è nemmeno laureato, riassume nelle sue competenze parti di quelle di un PM quando si sporca le mani con la realtà e di quelle di un investigatore.

In pratica Benjamín era un piccolo burocrate che cercava di evitare il più possibile di fare qualunque cosa. In questo veniva assecondato con successo dal suo collega Pablo Sandoval (Guillermo Francella), a lui gerarchicamente inferiore, ma superiore nell'inventiva per allontanare ogni contatto lavorativo (°). In rapida successione succedono due fatti che gli scombussolano l'esistenza. Prima viene nominato il suo nuovo capoufficio, Irene per l'appunto, di cui lui si innamora perdutamente a prima vista. Un amore impossibile, decide lui immediatamente, data la differenza di età, censo, cultura, origine, e quant'altro. Lei è giovane, bella, con antenati scozzesi, laureata negli USA, di famiglia con origini nobili, destinata a un radioso futuro. Lui no. Poco dopo, gli viene assegnato un caso, che lui sente sarebbe dovuto essere assegnato ad un altro ufficio. Una seccatura, un omicidio con stupro, roba da doversi sbattere, mescolarsi col mondo, parlare con gente, un incubo insomma. Malvolentieri si reca sul posto per fare il minimo indispensabile, però poi vede la vittima, Liliana Coloto (Carla Quevedo), e improvvisamente questo gli cambia la prospettiva sul caso. Non è più un semplice nome su di un documento ma una giovane donna che nonostante il massacro che ha subito, la vediamo piena di sangue e lividi, riesce ancora a ricordare di che bellezza abbacinante fosse stata.

Sarà anche che Benjamín aveva dentro di sè l'amore inespresso per Irene, ma lo shock di vedere Liliana così ridotta è così forte da fare il miracolo di trasformare uno scansafatiche in un segugio. Parla col novello vedovo, Ricardo Morales (Pablo Rago), raccoglie indizi, si fa un idea di cosa deve essere accaduto. Scarta subito una soluzione di comodo che viene proposta per chiudere rapidamente il caso, e punta diretto verso quello che sembra il ragionevole indiziato principale, tal Isidoro Gómez (Javier Godino), amico di infanzia di Liliana. Sapendo di non essere un gran investigatore, chiede aiuto a Pablo, che avrebbe una mente sopraffina se non fosse che la sua passione per l'alcol non sia tale da fargli mettere tutto il resto in secondo piano. Sia come sia, l'improbabile due si impegna in una bizzarra indagine che, nonostante alcune intoppi, viene infine coronata da successo. In un drammatico (°°) confronto con l'indiziato, Benjamín, grazie anche all'inattesa collaborazione di Irene, riesce a strappare la confessione che chiarisce cosa effettivamente sia successo.

Eppure il caso non si chiude così facilmente. Isidoro, che sembrava destinato a passare decenni in carcere, in breve tempo è nuovamente fuori. E c'è di peggio, Pablo viene ucciso, e Benjamín deve scappare in una remota provincia per evitare di fare la stessa fine.

Un quarto di secolo dopo, Benjamín cerca di chiudere i conti con il suo passato. E' ancora innamorato di Irene, si sente colpevole per la morte di Pablo, si chiede cosa sia successo a Isidoro, che sembra sparito nel nulla, e sente di dover fare qualcosa per Ricardo, al quale aveva promesso di mandare in galera chi aveva distrutto la vita sua e di Liliana. Per fare tutto questo, decide di scrivere un libro sulla vicenda, che non è altro che un modo per fare ordine nei suoi pensieri raccontando, a se stesso, a Irene, e anche a noi, questa storia.

Tecnicamente, al centro del film c'è un lunghissimo e impossibile piano sequenza che parte dal cielo, scende su uno stadio, segue una rapida azione d'attacco della squadra di casa, piomba sui nostri due eroi, Benjamín e Pablo, che sono alla caccia di Isidoro, e seguono il terzetto nel concitato inseguimento che porta alla cattura dell'indiziato. Ma il vero effetto speciale, per quel che mi riguarda, è il bellissimo sorriso di Irene, che ci viene annunciato come irresistibile ma riservato ad un pubblico molto ristretto nella prima metà del film, e dobbiamo pazientare fino al finale per vederlo.

(*) Curiosa carriera, che include le sceneggiature di Captain Phillips, The hunger games, Breach, eccetera. Sembra che Ray sia specializzato nell'adattare testi preesistenti.
(**) Nicole Kidman, Julia Roberts e Chiwetel Ejiofor in un solo film non capitano tutti i giorni.
(***) Nel duemila è diventata giudice.
(°) Vedasi in particolare le inventive risposte che dà al telefono per evitare di dover parlare con possibili interlocutori.
(°°) Ed estremamente illegale.

Canto di Natale di Topolino

Curiosa rilettura Disney del noto racconto natalizio di Charles Dickens, utilizzando paperi, topi, altri animali antropizzati e anche il gigante pensato originalmente per la loro versione di Jack e la pianta di fagioli. Non mi ha entusiasmato, a mio parere non rende merito né al racconto né alle possibilità dei personaggi utilizzati. Gli ingredienti sono comunque tali da permettere un risultato più che dignitoso.

Scrooge (Paperone) maltratta il suo dipendente (Topolino) e suo nipote (Paperino), che a suo dire perdono tempo - e quindi denaro - con il Natale. Interviene però il fantasma di Marley (Pippo), suo deceduto partner in affari, che lo invita a ravvedersi, e gli manda tre spiriti natalizi (*) per convincerlo.

Da notare che tra i disegnatori c'è anche John Lasseter.

(*) Il grillo parlante da Pinocchio, il sopracitato gigante, e Gambadilegno.

Quel fantastico peggior anno della mia vita

I genitori di Greg (Thomas Mann) sono estremamente sbadati, e non si accorgono di aver messo il figlio in un vicolo cieco. Al punto che il suo progetto per le superiori è quello di volare così basso da non essere identificato da nessuno, e di avere un unico amico, Earl (RJ Cyler), con il quale condivide la passione per il cinema d'autore. Sin da piccini, i due si sono messi in società per produrre una serie di spoof dei loro film favoriti, cose che possono ricordare, in piccolo, l'esordio di Edgar Wright. Questo permette a Greg di qualificare Earl come suo collaboratore, risparmiandogli di usare il termine "amico". E questo dovrebbe bastare a spiegare quanto male sia messo.

Succede però, all'ultimo anno prima del diploma (*), una vicina di casa sua coetanea, tale Rachel (Olivia Cooke), si becca la leucemia, e Greg viene praticamente costretto da sua madre a spendere qualche tempo con lei.

Rachel, che non ne può più già da un pezzo della falsa affettuosità che tutti le rivolgono, rimane sorpresa dalla candida rudezza di Greg, che a sua volta scopre con sorpresa che esistono esseri umani con cui può parlare senza nascondersi dietro una maschera. Così Greg, che riusciva a malapena a gestire una singola relazione umana, ora si trova ad averne due per le mani (**), il che lo rende ancor più confuso, con conseguenti piccole catastrofi che lo colpiscono nella sua attività scolastica.

E le cose vanno ancora peggio, da un lato la salute di Rachel peggiora velocemente, dall'altro la complessità della situazione è troppo elevata per Greg, che non riesce a farne più una giusta, gli studi vanno a rotoli (***), litiga con Earl e poi con Rachel, sembra destinato a chiudersi in se stesso e lì restare, in stato ameboide. Ma, con un piccolo aiuto da parte degli amici, a volte anche le situazioni più disastrose possono essere superate.

Seconda regia di Alfonso Gomez-Rejon che mostra una maturità molto superiore alle attese, dovuta alla gavetta a fianco di nomi come Alejandro González Iñárritu (21 grammi e Babel) e Ben Affleck (Argo).
La tematica young adult, e l'ambientazione a Pittsburgh non possono non far pensare a Noi siamo infinito, che però resta un bel gradino sopra. Il cancro associato a ragazzini, rimanda invece a Colpa delle stelle, e qui direi invece che le migliori doti registiche di Gomez-Rejon si fanno valere.

(*) Bisogna ricordare che per gli americani quello è un periodo cruciale, si esce dal nido della famiglia e si affronta il mondo, ed è quindi carico di tensioni.
(**) Da cui il titolo originale, Me and Earl and the dying girl, che scommetterei non sia stato tradotto letteralmente per evitare l'accenno alla morte nel titolo. Anche se questa volta i distributori cinematografici hanno una colpa minore, in quanto è stato utilizzata la traduzione scelta per il romanzo di Jesse Andrews, che cura anche la sceneggiatura.
(***) E andare male all'ultimo anno delle superiori vuol dire rovinarsi l'accesso all'università.

Il siero della vanità

Il titolo mi aveva lasciato perplesso. Forse un riferimento a Il falò delle vanità (*)? Ma il siero che c'entra? Vedendo il film ho scoperto di un potente sonnifero (**) che il "cattivo" usa per mettere in pratica la prima parte del suo folle piano, ma non ha alcuna rilevanza all'interno della trama, poteva tramortire le sue vittime con una randellata in testa e l'essenza della storia non sarebbe cambiata di una virgola. Pensando meglio, a visione ultimata e digerita, ha un sua ragione d'essere. Come la sceneggiatura (***) anche il titolo accosta concetti a caso, come se l'accumulo bastasse a dare un senso.

Anche se la sceneggiatura ha grossi problemi, ci si sarebbe potuto tirar fuori un buon film di genere. Ci sarebbe voluto però un budget meno risicato e un regista più capace di Alex Infascelli. Forse l'aspetto da "buona la prima" di molte scene è dovuto alla mancanza di soldi, ma un risultato così deprimente dal notevole cast a disposizione deve essere figlio anche di una carenza di direttive. Credo che Infascelli abbia anche voluto giocare sul basso costo, forse pensando di ottenere un risultato artistico (°), citando magari film simili di trent'anni prima. In ogni caso con me questo approccio non ha funzionato, mi sono solo annoiato e infastidito.

Lucia (Margherita Buy) è una ispettrice di polizia in crisi. Due anni prima un'azione da lei coordinata è finita in modo splatter, e lei si sente responsabile (°°) del disastro. In più, mentre lei era in ospedale, il marito, vice-questore, l'ha mollata per altra. Ora fa solo lavoro di routine, nonostante abbia un evidente fiuto investigativo, ha una brutta tendenza all'alcolismo, zoppica, e vive con il figlio adolescente con cui intesse un rapporto spigoloso. Insomma, una sciagura.

Sembra però che in tutta Roma non ci sia investigatore più acuto di lei, così, quando iniziano a sparire noti personaggi della televisione trash, e la pressione sul suo ex-marito aumenta, questi non ha altri a cui rivolgersi se non lei. Malvolentieri, lei prende in mano il caso, appoggiandosi a Franco (Valerio Mastandrea), collega con cui lavorava ai tempi.

Si scopre rapidamente che al centro del caso c'è lo show di tale Sonia Norton (Francesca Neri), uno di quei programmi che mescolano psicologi, soubrette, casi patetici, e quant'altro, al fine di tirare fuori il peggio dagli spettatori. Tra le varie brutte persone coinvolte, ha un po' più di spazio Azzurra (Barbora Bobulova), che vorrebbe non sommergersi completamente nel fango, ma è anche troppo debole per tirarsene fuori.

Dopo uno svolgimento poco appassionante si arriva alla resa dei conti finale, dove si mostra come tutti siano delle schifezze immani, chi più chi meno, tranne Lucia.

(*) C'è qualcosa del romanzo di Tom Wolfe, tradotto in film da Brian De Palma con risultati non eccelsi, che riverbera nel soggetto. La distanza è però abissale e forse sarebbe stato meglio evitare ogni possibile allusione.
(**) Di un assurdo colore verde acido.
(***) Debutto di Antonio Manzini su soggetto di Niccolò Ammaniti.
(°) Vedasi ad esempio la scena in cui Margherita Buy siede pensosa al tavolo, mentre la macchina da presa lentamente si alza. Il che darebbe un approfondimento emotivo sulla situazione del carattere, se non si fosse voluto - intenzionalmente, mi aspetto - sporcare l'immagine con un fastidioso riflesso, come se la ripresa fosse fatta da un dilettante.
(°°) E, in buona parte, a ragione.

Il meraviglioso Mr. Blunden

Film di fantasmi per famiglie, come vuole la tradizione britannica. O meglio, crossover tra storia di fantasmi e viaggio nel tempo, con una parte che si svolge nel primo ottocento, la seconda esattamente un secolo dopo.

Sara (Rosalyn Landor) e Giorgie sono due orfanelli di famiglia altolocata, che sono sotto la custodia dello zio, uno scioperato che si innamora e sposa una ballerina (Madeline Smith). Per garantire a lei un tenore di vita adeguato, anche seguendo le pressioni dei suoceri, la laida Mrs Wickens (Diana Dors) e il suo stonato marito, riduce i due ragazzini ad una vita di stenti. Ma questo non basta ai Wickens, che arrivano ad ordire un piano per eliminarli fisicamente, in modo di avere accesso all'eredità che è bloccata, in attesa che Georgie diventi maggiorenne. Unica speranza dei due sarebbe il legale che cura la pratica, Mr. Blunden (Laurence Naismith), che però non crede ai due piccoli, finché non è troppo tardi. La scoperta dalla sua insensibilità è così sconvolgente che al Blunden viene un colpo e muore sul posto.

Primo novecento, un socio della Blunden, Blunden, Calverton and Smith bussa alla misera casa londinese della signora Allen, vedova di guerra con tre figli a carico, e le chiede di recarsi il giorno dopo nello studio per discutere di una offerta di lavoro. Stanno infatti cercando una persona che si prenda cura di una antica casa di campagna, della quale nessuno vuole avere a che fare perché infestata da fantasmi.

Scopriamo che si tratta di un diabolico piano di Blunden (che è morto un secolo prima) per cambiare il passato, risolvendo così l'inquietudine che da allora lo divora e non gli lascia godere la pace dell'oltretomba. I due figli più grandicelli della Allen, Jamie e Lucy (Lynne Frederick), dovranno bere una pozione che li manderà indietro nel tempo, per aiutare Sara e Giorgie ad evitare la loro sorte.

Nonostante l'insensatezza logica (*), l'operazione ha successo, e arriveremo ad un lieto fine per tutti i buoni. Per i cattivi, invece, carbone.

Le pecche della storia (Antonia Barber) sono svariate, e la regia (Lionel Jeffries) sembra più televisiva che cinematografica. Però il film fa il suo mestiere, ed è a tutt'oggi un piccolo classico per le feste natalizie d'oltermanica.

(*) Ad esempio, scopriremo nel finale che Jamie e Lucy possono esistere solo se Sara non muore da piccola, ma nel cimitero locale c'è la tomba dei due bimbi ottocenteschi, e i due ragazzi novecenteschi la trovano e ci discutono sopra.

A Christmas carol

Una delle più antiche versioni che è rimasta del Canto di Natale di Charles Dickens. Gli studi Edison sono riusciti nel miracolo di far stare tutta la storia in un solo rullo (*), con l'effetto collaterale di essere poco più di un ripasso per chi conosce già i fatti. Il resto del mondo potrebbe avere da ridire sulla narrazione.

Curioso pensare che Scrooge sia interpretato da Marc McDermott, che ai tempi non aveva ancora compiuto trent'anni. Una quindicina di anni più tardi lo ritroviamo in L'uomo che prende gli schiaffi opposto a nientemeno che Lon Chaney - nella parte di quello che ha iniziato la serie di schiaffi del titolo.




(*) La versione disponibile su archive.org, che potete vedere qui sopra, dura dieci minuti e mezzo.

Blood & wine

Alex (Jack Nicholson) viene da un percorso accidentato ma alcuni anni prima (*) ha deciso di mettere la testa a posto e ha messo su famiglia. La scelta è caduta su Suzanne (Judy Davis), vedova con figlio a carico, Jason (Stephen Dorff). Lei a soldi stava bene, grazie anche all'assicurazione sulla vita del defunto marito, e ha lasciato che lui li usasse per aprire un negozio di vini. Per ragioni che non conosciamo, l'attività sta andando male. Per stare a galla hanno ipotecato la casa, ma non sembra che questo sia bastato. Aggiungiamoci pure che Suzanne tende all'alcolismo e che Jason odia cordialmente il patrigno.

Data la situazione, forse si può capire come mai Alex abbia pensato che sia una buona idea recuperare le sue conoscenze del periodo cupo e tentare di raddrizzare la situazione con un furtarello. Ha così contattato uno scassinatore in disarmo, Victor (Michael Caine), e ha corteggiato la baby-sitter di un suo ricco cliente, Gabriela (Jennifer Lopez), al fine di avere le informazioni necessarie per il colpo, che consiste nel far sparire una appariscente collana che deve valere qualcosa come un milione di dollari.

Tutto però va storto sin dall'inizio. Alex non sa nemmeno cosa farà con i soldi, mettere a posto l'azienda e ricostruire il rapporto con Suzanne, o scappare con Gabriela. La salute di Victor è messa molto male, e questo gli fa perdere la sua flemma inglese in più occasioni. Gabriela, troppo focosa, finisce per perdere il lavoro proprio quando servirebbe la sua presenza, e inoltre si prende una mezza cotta per Jason. Seguono una serie di disastri che porteranno alla morte di alcuni, e nessun lieto fine.

La storia ha un suo perché, ed è narrata da Bob Rafelson che, pur essendo ben lontano dal suo periodo migliore, sa comunque fare il suo lavoro. Però forse avrebbe dovuto puntare di più sulla coppia Nicholson - Caine, e lasciare meno spazio a Dorff e soprattutto a J-Lo. Non solo per le capacità degli attori, ma anche per le potenzialità dei personaggi. Le scene con Alex e Victor che si confrontano, si insultano, si trattano con familiarità ma non si fidano uno dell'altro, mostrano una relazione intrigante e complessa che avrebbe potuto essere analizzata con maggior dettaglio.

Invece il film si apre con Jason in primo piano, e il suo romanzetto con Gabriela porta via troppo tempo senza lasciare niente di interessante da ricordare.

(*) Otto, se ricordo bene una battuta del film.

Doctor Who 9.12: Hell bent

Ricapitolando, qualcuno vuole ottenere dal Dottore (Peter Capaldi) un informazione a cui tiene molto e che ha buoni motivi per pensare che lui abbia. Il tema comune di tutta l'annata è stato quello dell'ibridazione, e questo ci fa pensare che quel qualcuno sia in cerca di un qualche ibrido che abbia una qualche importante capacità. Nel primo dei tre episodi che costituiscono il finale di stagione, Face the raven, una serie di sfortunate concomitanze fa sì che la cattura del Dottore abbia lo spiacevole effetto collaterale di far morire Clara Oswald (Jenna Coleman). A ben vedere la principale responsabile della sciagura è lei medesima, ma il Dottore non ha nessuna intenzione di andar leggero nei confronti del mandante (a quel momento ancora ignoto), della facilitatrice Ashildr/Me (Maisie Williams), e nemmeno di se stesso.

In Heaven sent scopriamo che il mandante ha modificato il disco confessionale del Dottore per trasformarlo in una tortura potenzialmente infinita nei suoi confronti, progettata per terminare solo quando il Dottore riveli l'identità del misterioso ibrido. Scopriamo anche che il mandante non è altri che il presidente di Gallifrey, e il punto cruciale della tortura è quello di mostrare al Dottore la possibilità di tornare a casa, facendogliela vedere lì, a due passi di distanza, ma praticamente irraggiungibile, separata com'è da un muro di super-diamante. Il presidente (Donald Sumpter) ha però sottovalutato la cocciutaggine e l'ira del Dottore, che non si perde d'animo e per quattro miliardi e mezzo di anni ripete instancabilmente il suo ciclo di fatica, dolore e spavento al fine di tirare qualche pugno a mani nude al muro, guadagnandosi la libertà atomo dopo atomo.

Ora il Dottore è a Gallifrey, più furibondo che mai, animato dalla diabolica determinazione (*) di salvare Clara. C'è da rabbrividire nel pensare cosa si agiti dentro di lui. Da quando è diventato Dodicesimo sa che casa sua non è persa per sempre, come pensava prima, ma è nascosta da qualche parte. Ora, che finalmente ci riesce a tornare, non può godersi il momento. La gioia del ritorno è completamente oscurata dal dolore della situazione, e sa bene che, qualunque cosa faccia, non ci potrà restare che per brevissimo tempo, e dovrà invece tornare a peregrinare senza requie.

In uno scenario alla Sergio Leone, il Dottore sfida il Presidente e, a modo suo, ne ha ragione. Ora viene la parte difficile, salvare Clara. Ci sono alcune difficoltà tecniche quasi insormontabili, oltre al fatto che Clara non è molto d'accordo a giocare alla damsel in distress, preferisce essere trattata da pari. Ed è appunto così che si svolgerà la partita. Che, sia detto per inciso, il Dottore perde, anche se non si capisce bene quanto involontariamente.

(*) Da cui il titolo dell'episodio.

Dio esiste e vive a Bruxelles

Come da titolo italiano, Dio (Benoît Poelvoorde) vive in un appartamento (*) di Bruxelles. Lì vive con sua moglie (Yolande Moreau) e la figlia, Ea (Pili Groyne) una bambina che sta diventando ragazzina, con le conseguenti inquietudini di quell'età. Ci sarebbe anche un figlio, JC (David Murgia), che però è scappato di casa anni prima, e di cui resta poco più che il ricordo.

Dio è davvero una brutta persona. Più avanti spiegherà che si odia, da cui deduciamo che la spinta a creare l'uomo a sua immagine e somiglianza è finalizzata a poterlo odiare come se stesso. Esercita il suo potere via il computer nel suo studio, per mezzo del quale gestisce varie catastrofi in giro per il mondo. Il rapporto tra Dio ed Ea è molto teso, e le cose peggiorano quando Ea si intrufola nello studio del padre e scopre quanto dolore causi agli uomini per puro divertimento. Punita dal Padre per la sua ribellione, seguendo le indicazioni del Figlio che le spiega come ha fatto a raggiungere il mondo (**), Ea ordisce un piano vendicativo. Manda a tutti gli umani (***) un messaggio che li mette al corrente di quando sarà la loro morte, blocca il computer paterno, e fugge a Bruxelles con lo scopo di seguire le orme del Fratello, raccogliere sei discepoli e scrivere un Nuovissimo Testamento (°), che non parlerà di lei, ma di loro.

Seguiamo così in parallelo tre storie. Ea che contatta i suoi discepoli, Dio che cerca Ea per riportala a casa e farle rimettere a posto il computer (°°), la moglie di Dio che a poco a poco si abitua a vivere da sola nell'appartamento e finisce per riprendere confidenza con la sua divinità, bislacca quanto quella del marito, ma almeno guidata dall'amore e non dall'odio.

Dio, supponente, odioso, incapace, si prenderà una serie di legnate fisiche e metaforiche e alla fine, causa del suo male, verrà estradato in Uzbekistan dove troverà lavoro in una fabbrica di lavatrici, nella speranza di riuscire a ritrovare una connessione con il suo appartamento.

Ea riuscirà nel suo progetto, e questo porterà ad una rivoluzione nella vita sulla Terra, che diventa ancora più assurda di quella a cui siamo abituati, però in un modo che, a occhio, sembra migliore.

Tra i discepoli c'è anche Catherine Deneuve, sposata ad un ricco manager che non prova niente per lei, riuscirà, grazie anche a Ea a trovare un nuovo equilibrio, per quanto molto improbabile.

La colonna sonora è costruita anche attorno all'idea che Ea, tra i pochi attributi divini che ha, ha anche la capacità di sentire la musica che ogni persona si porta dentro, da Lascia ch’io pianga di Händel a La mer di Charles Trenet, e la usa sui suoi discepoli, riuscendo così a dar loro la possibilità di capirsi meglio.

La storia è decisamente surreale, ed è narrata da Jaco Van Dormael con il suo consueto stile che riesce a mantenere l'equilibrio tra comicità, profondità, sensibilità, dolore e affetto per i personaggi.

(*) Non molto diverso da un qualunque altro appartamento, se non fosse per alcuni dettagli, ad esempio non ha porte, ed è dotato di uno studio con pareti altissime, forse infinite.
(**) La lavatrice ha un programma segreto che genera una specie di uscita di emergenza.
(***) Invero, solo quelli dotati di telefono cellulare.
(°) Da cui il titolo originale, Le tout nouveau testament.
(°°) Dio, oltre ad essere una pessima persona, è anche un gran incapace, non sa fare niente. Non dico miracoli, ma nemmeno ripararsi il computer.

La signora senza camelie

C'è sempre un tocco di umorismo nei film di Michelangelo Antonioni, ma non me ne aspettavo così tanto in questo film. Il marchio di fabbrica è sempre inequivocabilmente il suo, e dunque ci possiamo aspettare una gran tensione emotiva, e ci possiamo pure scordare il lieto fine, ma la leggerezza del racconto è decisamente superiore a quello che sarà il suo tocco classico.

Clara Manni (Lucia Bosé) è una ragazza milanese strappata dal negozio in cui faceva la commessa da Gianni Franchi (Andrea Checchi) che, assieme a Ercole "Ercolino" Borra (Gino Cervi), produce film molto commerciali a Roma. Dopo il successo di Clara nel suo primo film, Gianni ed Ercolino decidono di sfruttare il momento, e modificano al volo la sceneggiatura della pellicola a cui stanno lavorando, riducendo lo spazio al protagonista, Lodi (Alain Cuny) per aumentare la visibilità di Clara. Succede anche che l'impetuoso Gianni decide di sposare Clara, cosa che si verifica, nonostante le titubanze di lei in un baleno.

Il matrimonio fa cambiare la prospettiva di Gianni sui ruoli di Clara. Se prima era d'accordo con Ercolino, e la donna più era ambigua e sensuale e meglio era (*), ora vuole per Clara solo parti dignitose. Arriva così a bloccare la produzione del film, argomentando che Clara deve pensare alla loro nuova casa.

Ma Clara si stanca presto. Da buona milanese, non riesce a stare con le mani in mano. Ora è una attrice, e deve recitare. Così Gianni decide di produrle un film su misura, una nuova versione della Giovanna d'Arco. Si cita esplicitamente che pochi anni prima (1948) la pulzella d'Orléans era stata interpretata da nientemeno che Ingrid Bergman, che lì sfiorò l'Oscar, scippatole nell'occasione da Jane Wyman. Gianni è un esperto produttore di melodrammoni popolari, Clara non sa praticamente nulla di recitazione, e si sceglie un confronto del genere. La sciagura è nell'aria, e arriva sotto forma di sbertucciamenti della critica e disinteresse del pubblico. In più, Clara capisce di non amare Gianni, e accetta la corte di un giovane e fatuo diplomatico, Nardo (Ivan Desny).

Da qui in poi le cose per Clara vanno sempre peggio. Gianni tenta (**) il suicidio. Clara chiede ad Ercolino di riprendere le riprese del film che era rimasto a metà, salvando con il suo successo le finanze di famiglia, dopodiché pensa che sia il momento giusto per mollare il marito per l'amante. Ma Nardo non ci sta, cerca una amante, non un grande amore. Il piano B di Clara sarebbe quello di buttarsi sul lavoro, ma si è resa conto di quanto fosse pessimo il cinema che ha fatto e vorrebbe diventare una vera attrice. Per far questo studia duramente per tre mesi (!) e poi scopre che le vere attrici sono su un altro pianeta, che forse non riuscirà mai a raggiungere.

Il finale è la sua dolorosa presa di coscienza che, ventenne, si è già instradata su di un percorso da cui non riuscirà più a scappare, brutti film, sconsolante vita privata.

Viene il magone a pensarci, eh? Però la narrazione è lieve, grazie anche a personaggi secondari ben scritti e interpretati, come la madre di Clara (Anna Carena).

Tecnicamente, poi, Antonioni è sempre da antologia. Almeno tre scene sono imperdibili.

Subito all'inizio, film nel film, siamo sul set, e Clara deve girare una scena di sesso con Lodi. I due si avvinghiano su un letto e si baciano appassionatamente. Se non ci fossero le voci e i rumori fuori campo sembrerebbe che noi vedessimo una scena reale, i due sembrano veramente amanti in azione. Finisce la scena, Clara viene portata nel backstage da Gianni e i due si baciano appassionatamente. Un bacio reale, almeno nelle intenzioni dei due, ma noi vediamo dietro un telo le ombre di un set in azione, con il regista che dà indicazioni, come se questo secondo bacio fosse finzione. Più avanti Clarà dirà che tutta la sua vita con Gianni è stata un recitare, e non capiva nemmeno lei dove fosse la realtà e dove la finzione.

A metà film c'è una scena in cui la macchina da presa resta tutto il tempo praticamente ferma, un lungo piano sequenza che si svolge in uno spiazzo in quella che allora era quasi già campagna, dietro l'Eur, a Roma. Gli edifici in stile neoclassico, e un po' da incubo, sono sullo sfondo. Arriva una macchina con Clara e Nardo, i due scendono, parlano di quanto non riescono a parlarsi, lui ci prova, lei lo respinge, risalgono in macchina e se ne vanno, e lo spiazzo torna ad essere vuoto e negletto com'era all'inizio della sequenza.

E poi c'è il bellissimo finale, dove vita privata e lavoro di Clara si mescolano inestricabilmente, e dove pure le sue emozioni si confondo tra lacrime vere e finti sorrisi per la stampa.

(*) Unico problema, occorre fare attenzione alle maglie della censura.
(**) O simula. E' un personaggio sfuggente, si capisce poco di tutto quello che fa. E' davvero innamorato di Clara o è solo un trofeo che vuole aggiungere alla sua carriera di produttore? Davvero non si era reso conto che la sua Giovanna d'Arco sarebbe stato un disastro o non era altro che un modo per rovinare la carriera di Clara?

Sangue blu

Nella nobile famiglia dei d'Ascoyne non si può tollerare che la figlia del duca sposi un tenore italiano, tal Mazzini. A farne le spese è il figlio della coppia, Louis (Dennis Price) che cresce in relativa povertà e ossessionato dalla perdita dei diritti nobiliari. Ma a farlo uscire completamente di testa saranno la indisponibilità del nonno a riconciliarsi con sua figlia nemmeno dopo la di lei morte precoce, e gli sberleffi della donna di cui si è innamorato, Sibella (Joan Greenwood), che gli preferisce un loro noioso ma agiato amico.

Approfittando del diritto dei d'Ascoyne di passare il titolo anche seguendo la discendenza per il lato femminile, Louis pianifica la morte di tutti i suoi parenti che lo separano dal titolo. Per alcuni di essi non c'è bisogno del suo intervento, basta la natura o l'imbecillità umana, per gli altri usa mezzi dai più comuni - veleno, fucile da caccia - ai più improbabili - freccia che abbatte una mongolfiera.

A ostacolare il suo successo non è la carneficina familiare, che non sembra stupire nessuno, ma la persistenza di Sibella che, accortasi di aver scelto il pretendente sbagliato, prima cornifica il marito, poi tenta con tutti i mezzi di cambiare cavallo in corsa. Il problema è che Louis si è reso conto che Sibella le piace come amante, ma come contessa le preferisce Edith (Valerie Hobson) che ha il physique du rôle, anche perché l'ha conosciuta in quanto moglie di un suo parente eliminato per combustione.

Finale aperto. Louis fa un errore che potrebbe perderlo, ma magari fa in tempo a rimediare.

Tutti gli otto d'Ascoyne di cui facciamo conoscenza prima della loro prematura dipartita, compresa Lady Agatha, sono interpretati da Alec Guinness, in una serie di variazioni estremamente spassosa. Antonio De Curtis ne ha seguito alla lontana le gesta in Totò diabolicus, dove interpreta sei elementi della famiglia di Torrealta.

La kryptonite nella borsa

A naso, direi che si tratta della rielaborazione in chiave fantastica dell'infanzia di Ivan Cotroneo, che prima l'ha messa in forma di romanzo, poi l'ha fatta diventare il suo primo film. Il punto di vista prevalente che seguiamo è quello di Peppino, bambino napoletano che vive negli anni settanta in una famiglia mediamente folle, considerato da tutti affetto da bruttezza congenita, colpito pure dalla maledizione di una precoce miopia che lo obbliga a portare occhiali, il che lo rende ancor più diverso agli occhi della famiglia e dei compagni di scuola.

I suoi genitori, Rosaria (Valeria Golino) e Antonio (Luca Zingaretti), filano d'amore e d'accordo, fino a quando lei, grazie anche a lettere anonime, scopre che lui la tradisce. Chissà perché, poi. Rosaria, che ha impostato tutta la sua vita in funzione del ruolo di moglie, entra in crisi, una depressione che la rende incapace di fare alcunché. Nel contempo, Peppino perde anche il suo unico amico, il cugino Gennaro, che si crede Superman e quindi teme più la kryptonite di un autobus che gli risulta fatale.

L'esistenza già complicata di Peppino diventa ancor più caotica. Su consiglio dello zio studioso (*) viene assegnato principalmente alla custodia dei suoi due zii alternativi, Titina (Cristiana Capotondi) e Salvatore (Libero De Rienzo), che lo introducono decisamente in anticipo sui tempi a sessioni femministe, liberazioni sessuali, esperienze psichedeliche e quant'altro.

Un approccio molto informale alla psicanalisi (**) da parte del dottor Matarrese (Fabrizio Gifuni) opererà il miracolo, e sembra che il matrimonio dei genitori di Peppino si possa salvare. Il bimbo, invece, viene salvato dalla propria fantasia, che gli fa mantenere un contatto con Gennaro-Superman, in forma di anomalo angelo custode che gli fornisce alcuni suggerimenti che gli permetteranno di non uscire completamente di testa, come sarebbe lecito attendersi data la situazione familiare.

(*) Che si rivelerà avere tanta buona volontà ma bassissime capacità intellettive.
(**) Roba da radiazione dall'albo.

Le amiche

Basato su Tra donne sole di Cesare Pavese, diretto e sceneggiato da Michelangelo Antonioni con il supporto di Suso Cecchi D'Amico. L'origine letteraria spiega una verbosità che sembra eccessiva rispetto a quello che ci si può aspettare da Antonioni. Ma anche se si tratta di una delle sue prime opere, lo stile è proprio il suo, riconoscibilissimo sia nella cura tecnica delle immagini sia nell'affilata sceneggiatura (**) sia nella cura dei dialoghi.

Clelia (Eleonora Rossi Drago) ha lasciato Torino da giovanissima, in cerca di fortuna. L'ha trovata a Roma, in una casa di moda, e ora torna alla sua città natale con il compito di dirigere lì una succursale. Al suo primo giorno in albergo partecipa casualmente al salvataggio in extremis di Rosetta (Madeleine Fischer) che ha tentato il suicidio. In questo modo entra in un giro "bene" di amiche, che ruotano attorno a Momina (Yvonne Furneaux), momentaneamente separata dal marito e che ha una relazione con Cesare (Franco Fabrizi), l'architetto che gestisce i lavori del negozio di Clelia. Non è chiaro perché Rosetta si volesse uccidere, forse, come accenna prima Carlo (Ettore Manni), sottoposto di Cesare che avrà una breve storia con Clelia, e poi la stessa Rosetta, il suo problema è quello di essere troppo ricca e di non sapere che fare della sua vita. Ma c'è di mezzo anche l'invaghimento che ha per Lorenzo (Gabriele Ferzetti), recentemente sposatosi con Nene (Valentina Cortese). Lorenzo, che non disdegna scappatelle, capisce di avere una possibilità e la sfrutta, senza pensare a che impatto potrebbe avere questo sulle due donne.

Andrà a finire male per Rosetta, che ritenterà il suicidio, questa volta con successo. Ma nemmeno a Clelia andrà bene. Maltratterà infatti pubblicamente Momina per non aver avvertito Rosetta del rischio che correva, anzi per averla consigliata di divertirsi fin quando le fosse possibile. Non può certo vendere abiti alle ricche torinesi dopo una scena del genere. In realtà questa potrebbe essere una benedizione, perché potrebbe essere per lei la spinta a cambiare la sua vita, mettendosi assieme a Carlo. Deve però scegliere tra la carriera, le viene offerto di tornare a Roma, e l'amore. E decide per la prima.

(*) Basti pensare all'amara ironia del titolo. Con amiche del genere una non ha bisogno di nemiche.

The weather man - L'uomo delle previsioni

Il problema di David Spritz (Nicolas Cage) è che non capisce quale sia il suo problema. Apparentemente ha successo, guadagna qualcosa come duecentomila dollari all'anno apparendo in una televisione di Chicago per qualche decina di minuti al giorno, per illustrare le previsioni del tempo che qualcun altro ha scritto. E' arrivato a quel posto seguendo vie misteriose, visto che non sa nulla di meteorologia o di comunicazione. Ha però una faccia simpatica, sorride molto (*), e ha pure accettato di accorciare il suo cognome per renderlo più rinfrescante, qualunque cosa questo possa voler dire. C'è qualche piccolo inconveniente legato al suo lavoro, la gente che lo riconosce e gli chiede un autografo, ad esempio. O, peggio, quelli che lo riconoscono e gli tirano cibo addosso. Non capisce nemmeno lui cosa spinga alcuni a far ciò, ci pensa per tutta la durata del film, valutando alcune ipotesi che ci sono utili per capire qualcosa di più sul suo conto.

Ma quello che David non si spiega è come mai sua moglie Noreen (Hope Davis) lo abbia mollato - secondo lui tutto sarebbe da ricondurre al fatto che una sera si è dimenticato di comprare la sala tartara - e si sia messa con un ciccione (Michael Rispoli) che non ha certo il suo stipendio. Non si spiega come mai suo padre, Robert Spritzel (Michael Caine), non apprezzi il suo successo, e abbia invece serie perplessità sul suo stile di vita. E non si spiega nemmeno come mai i suoi figli, Shelly e Mike (Nicholas Hoult), siano evidentemente infelici e tendano a ficcarsi in una serie di guai.

Con tanta buona volontà, lui prova a risalire la china. Il punto principale è quello di tentare di farsi assumere da una rete nazionale, il che significherebbe trasferirsi a New York e uno stipendio nell'ordine del milione. E cerca anche di ricucire il rapporto con le sue persone care. Per quanto riguarda il lavoro, niente da dire, riesce a farsi valere. Sul lato umano ha qualche piccolo successo contornato da una serie di sciagure, a volte causate dalla sua incapacità relazionale, a volte dovute ad un pizzico di troppo di sfortuna.

Il finale è complesso. Da una parte David matura, riuscendo ad accettare una situazione nella sua vita personale che è davvero difficile da mandar giù, e riuscendo anche a fare una serie di passi in avanti nel suo modo di interagire con gli altri, siano essi le persone che gli stanno vicino, o incontri occasionali. Dall'altra parte, quando scopre che la sua vita è paragonabile ad un fast food (**) la sua reazione non è così orripilata come ci potremmo aspettare. La fa sua, e cerca di essere un buon hamburger.

Buon lavoro alla regia di Gore Verbinski, nel narrare una storia che potrebbe essere scambiata per metaforica della sua vita, anche se spero per lui che la sua vita privata non sia così disastrosa. Bravo anche Nicolas Cage che regge praticamente tutta la narrazione sulle sue spalle, dimostrando che, quando vuole, è capace di recitare. Ottimo Michael Caine, in un ruolo limitato ma intenso.

(*) Sul lavoro. Nella vita reale lo vediamo tipicamente ingrugnito.
(**) Ed è per questo che McDonald's e associati hanno così tanto spazio nella pellicola.

Doctor Who 9.11: Heaven sent

Seconda parte del finale di stagione, conviene aver visto il precedente episodio per capirci qualcosa, e bisogna aspettare la chiusa del prossimo per chiarire alcuni dettagli che sono oscuri. Senza contare che Steven Moffat è uso a disseminare le sue storie di false piste, e a volte non si cura troppo di dettagli secondari, magari anche con lo scopo di lasciare porte aperte per possibili future reinterpretazioni.

Per quanto successo in Face the raven, il Dottore (Peter Capaldi) è da solo e molto arrabbiato. Chi ha ordito il diabolico piano nei suoi confronti (*) lo ha spedito in una specie di assurdo castello simil-medioevale costruito sul mare e che ha la capacità di ricombinarsi a discrezione del suo castellano. Costui è una specie di monaco meccanico con capacità dissennatrici, disegnato per ricordare uno spaventevole incubo che il Dottore si trascina dalla sua infanzia, e con la capacità di uccidere i Signori del Tempo impedendone la rigenerazione (**).

Il Dottore ci mette poco a capire che lo scopo è quello di spaventarlo a morte, per costringerlo a confessare cose che non ha mai detto a nessuno. Per far ciò la sua prigione è ingegnerizzata per dargli una speranza di uscita, rendendola nel contempo incredibilmente piccola. Una serie di prove lo guidano verso la via di uscita, che però è ostruita da un inimmaginabile muro in super-diamante. E lui non ha alcuno strumento a disposizione per romperlo.

Nonostante tutto questo, chi ha concepito questa impossibile tortura ha sottovalutato il Dottore. E Clara (Jenna Coleman). Clara è morta, il Dottore lo sa bene, ma quello che nessuno potrà uccidere è il ricordo di Clara che il Dottore si porta dentro, e a cui lui fa riferimento nei suoi momenti più cupi, quando sarebbe sul punto di arrendersi.

Così il Dottore riesce a immaginarsi un piano di fuga che sconfigga la logica del castello, sfruttandone le sue debolezze. Scopre infatti le stanze sono progettate per ritornare allo stato iniziale ogni volta che lui cede un suo segreto, ma il sistema non va troppo per il sottile, e trascura i cambiamenti che il progettista ha considerato irrilevanti. Il Dottore ragiona poi sulla natura del teleporter che lo ha fatto arrivare nella prigione. Dopotutto non è altro che un meccanismo per immagazzinare un essere vivente in tutti i suoi dettagli per poi stamparlo, come se fosse una stampante 3D.

Ricorda poi una favola dei fratelli Grimm, quella che da noi è nota come Il pastorello. Il protagonista della storia deve rispondere a tre domande di un re, la terza delle quali è sulla natura del tempo. Quanti secondi ci sono nell'eternità? Il pastorello dice che esiste un monte di diamante, un cubo esteso per chilometri, e che ogni cento anni un uccellino vi si reca per affilarsi il becco. Quando avrà consumato il monte, sarà passato un secondo dell'eternità.

Il suo compito, decide il Dottore, non è impossibile, ma solo inumano. Dovrà ripetere lo stesso percorso per miliardi di volte (***), dimenticandosi ogni volta di cosa è successo, ricostruendo dai pochi indizi che riesce a lasciare come arrivare al muro quasi indistruttibile, per tirargli qualche pugno, venire ridotto in fin di vita dal castellano, e uccidersi per ricominciare il ciclo.

(*) Abbiamo una serie di indizi che ci guidano nel corso dell'episodio a capire di chi si tratta, così che la sorpresa finale non sia troppo traumatica.
(**) Semplice, basta danneggiare l'intero organismo. I Time lord sono delle pellacce, e comunque anche in questo caso avranno una lunga agonia dalla quale però non c'è via di uscita.
(***) Numero stimato per difetto. Sappiamo che passano miliardi di anni, non sappiamo quanto duri una singola vita del Dottore, potremmo stimare un giorno, forse anche meno. Centinaia di miliardi di vite, forse migliaia, usate per abbattere un muro. Si può immaginare quanto sia furibondo il Dottore a questo punto.

Love & secrets

Il film è dovuto all'attrazione fatale che il trio creativo (*) ha per la vita di Robert Durst, vicenda che da decenni riappare e scompare nelle cronache americane. Se questo è un vantaggio per lo spettatore d'oltreoceano, che più o meno sa di cosa si parla, e riconosce dettagli di cui sa grazie a televisione e giornali, lo è meno per noi. Per motivi sia narrativi sia di cautela, la storia è stata semplificata e sono state eliminate alcune parti imbarazzanti. Ad esempio non si cita nemmeno di passaggio che Durst ha avuto una lunga relazione pubblica con Prudence Farrow prima della misteriosa scomparsa della moglie. Inoltre, dopo la realizzazione del film, sono successi altri fatterelli che hanno complicato la posizione del Durst e hanno avanzato sospetti persino peggiori sulla sua figura. Infine, alcune illazioni sui fatti sono a dir poco indimostrabili, come il presunto parricidio che gli viene velatamente attribuito.

Nonostante tutte queste cautele, il racconto, che pure non è per niente attendibile sui singoli fatti, ha una sua rilevanza nel darci un'idea dei tempi e dell'ambiente in cui i fatti si sono svolti.

David Marks (Ryan Gosling) è il rampollo di una ricca famiglia che possiede immobili a midtown Manhattan, dalle parti di Times square. Siamo sul finire degli anni settanta, e ai tempi la zona era malfamata. Succede così che gli affittuari dei Marks hanno a che fare con pornografia, prostituzione, e tutta una serie di attività al limite della legalità, se non oltre. La potenza e ricchezza della famiglia è tale da far sì che questo dettaglio risulti invisibile ai loro amici, che preferiscono non vedere e non sapere.

Per David la sua famiglia è un peso, e così quando incontra Katie (Kirsten Dunst), completamente estranea al loro giro, se ne innamora in un batter d'occhio. I due decidono di mollare New York e aprire un negozio di alimentari nel Vermont (**). La cosa però non dura, il padre di David, Sanford (Frank Langella), insiste perché i due piccioncini tornino in città, facendo balenare l'idea che Katie si merita di più di quello che David gli può offrire.

E inizialmente Sanford sembra aver ragione, ma il contatto continuo con il padre, e il lavoro deprimente, risveglia in David la sua inquietudine, che viene fatta risalire al suicidio di sua madre, avvenuto quando lui aveva sette anni. Il timore di non poter essere un buon padre, o forse il rifiuto completo della figura paterna, spingono David a rifiutare di avere figli, cosa che determina il distacco da Katie. Con il passare degli anni il carattere di David peggiora sempre più, finché una notte Katie sparisce. David sostiene se ne sia andata, la regia ci fa capire di pensare che le cose siano andate in un modo più tragico.

Una ventina di anni dopo il caso viene riaperto. Si scoprono alcuni elementi molto dubbi, e sembra che ci siano elementi che possano incriminare David. Deborah Lehrman (Lily Rabe), vecchia amica di David, potrebbe avere cose da dire in merito ma, sfortunatamente, una pallottola le impedisce di chiarire alcunché. Dal canto suo, David, si sottrae all'inchiesta sparendo nel nulla, si scoprirà poi che ha vissuto in un paesino desolato spacciandosi per donna, risolvendo il problema della voce poco femminile dichiarandosi muta. Giusto per complicare le cose, in questo periodo David ammazza un suo vicino e lo fa a pezzi, e per questo verrà portato a processo, ma se la caverà con una condanna di pochi anni.

A mio parere, il difetto principale del film è che non si capisce dove vuole andare a parare. Da un lato sembra suggerire che David sia vittima delle circostanze, e che il suo peccato più grosso sia quello di non essersi riuscito ad affrancarsi dal mortale abbraccio paterno. Dall'altro, il comportamento di David è quello di un idiota per il quale è veramente difficile avere anche una minima empatia. Forse la lezione che si può trarre da questa storia è che se si è abnormemente ricchi si può fare di tutto, e che questo non sia un bene per nessuno.

(*) Regia di Andrew Jarecki, sceneggiatura di Marcus Hinchey e Marc Smerling.
(**) Come dire, nel mezzo del nulla. Il nome del posto, All good things - Tutte cose buone - è il titolo originale del film. Che, al contrario del titolo scelto dalla distribuzione italiana, ha un suo senso. Infatti, evidentemente, si sostiene che David sia stato rovinato dal contatto con la sua famiglia, e che forse la vita in campagna sarebbe riuscito a far sì che fossero le cose buone dentro di lui ad avere il sopravvento, e non quelle cattive.

Spy

Il mestiere della spia non è più quello di una volta, come sa bene chi pratica il genere. Qui si semplifica e si riduce all'osso un team. Da una parte c'è l'operativo, un bondiano Bradley Fine (Jude Law), dietro c'è l'analista Susan Cooper (Melissa McCarthy) che lo telecomanda facendo gran parte del lavoro. Bradley sa bene che senza Susan sarebbe spacciato in un batter d'occhio, e deve pur sapere che il motivo per cui Susan ha sacrificato la sua carriera in prima fila per restare nella sua ombra è che è cotta persa di lui, ma fa finta di non accorgersene nemmeno. Forse a tal punto che se qualcuno glielo dicesse non ci crederebbe nemmeno.

Comunque succede che una azione del duo Fine-Cooper finisce con la prematura morte del trafficante di armi dal quale si doveva prima spremere una importante informazione, dove mai avesse nascosto la bombetta nucleare portatile ambita dai terroristi di tutto il mondo. Per risolvere l'impasse occorre mettere sotto controllo la figlia del defunto, Rayna (Rose Byrne), che ne ha preso il posto nell'organizzazione. Il problema è che Rayna conosce tutti gli agenti segreti americani (*) e lo dimostra terminando Bradley Fine.

Rick Ford (Jason Statham) è un collega di Bradley con uno stile diametralmente opposto, molto alla Statham, e vorrebbe vendicarlo. Gli viene preferito Susan, che ha il discutibile vantaggio di essere certamente ignota al mondo spionistico ufficiale. La cosa gli fa girare le scatole ancora più del solito, e così decide di mollare l'Agency per operare comunque la sua vendetta (**).

Susan, che in realtà aveva tutte le potenzialità per essere un'ottima operativa, si trova fin troppo a suo agio nel nuovo ruolo e nonostante tutti abbiano ben poca fiducia in lei, a partire da se stessa, riuscirà a portare a casa il risultato praticamente da sola.

Il film è scritto e diretto da Paul Feig, che secondo me sarebbe anche abbastanza capace nel suo genere (***) se non avesse una perniciosa attrazione per le situazioni da cinepanettone. A parte questo, alla pellicola avrebbe giovato una bella sforbiciata. Due ore per raccontare il passaggio da bruco a farfalla (°) di Susan Cooper sono davvero eccessive, e in alcune occasioni ho avuto il forte desiderio di guardare l'orologio invece dello schermo.

Per conto mio, la baracca viene salvata da Jason Statham che interpreta il suo personaggio con una assurda credibilità che meriterebbe di essere sviluppata in un film a se stante. Non male nemmeno Jude Law che, sia pure costretto in un ruolo piuttosto spiacevole, un vanesio James Bond manipolativo e interessato solo al suo lavoro, se la cava da par suo. Simpatica Miranda Hart, nel ruolo dell'amica della Cooper. Piccola parte per Bobby Cannavale (°°), mi piacerebbe tornare a vederlo in un film che gli dia maggior spazio. C'è anche Peter Serafinowicz che interpreta Aldo, un agente segreto che deve aver trasformato la sua confusione mentale da difetto personale a valore aggiunto professionale.

(*) Bum! Ma lei dice così e le credono.
(**) Difficile immaginare che uno possa dare le dimissione dalla CIA semplicemente alzandosi e andandosi, ma qui funziona così.
(***) Vedasi Le amiche della sposa.
(°) Una farfalla molto sui generis, invero.
(°°) E' il mediatore che Rayna contatta per piazzare la bomba.

Le mele di Adamo

Film del danese Anders Thomas Jensen, poco attivo come regista (*) ma molto più prolifico alla scrittura (**), che narra dell'incontro-scontro tra il prete protestante Ivan (Mads Mikkelsen) e il neo nazista Adam (Ulrich Thomsen).

Adam s'è fatto un po' di galera, e ora è stato assegnato alle cure di Ivan, in attesa di poter tornare a capitanare la sua cellula. Come ci si può aspettare, Adam è violento e assolutamente maldisposto nei confronti di chiunque. Più inatteso il carattere di Ivan, che abbina una tendenza cristiana ad insegnare con l'esempio e a mostrare l'altra guancia alcuni inaspettati svisamenti che sembrano andare nella direzione della follia.

Al momento la parrocchia di Ivan ospita altri due ex-galeotti, il vorace ladro-stupratore alcolizzato Gunnar (Nicolas Bro) e il rapinatore di benzinai Khalid (Ali Kazim), che secondo lui hanno superato le loro tendenze criminali, anche se pare evidente il contrario. Ogni ospite deve seguire un progetto che mostri il suo recupero e Adam, provocatoriamente, dice di volere fare una torta di mele, usando i frutti dell'albero che cresce di fronte alla chiesa. Con sua sorpresa, Ivan sembra entusiasta dell'idea, e lo invita a curare la maturazione dei frutti, prevista in un paio di settimane.

Capita però che una serie di sciagure si abbattono sul melo, a partire da una invasione di voraci corvi, come se, nell'interpretazione di Ivan, il demonio ci mettesse la coda, per rendere il compito impossibile. Nel frattempo, anche grazie al viscido ed estremamente anticlericale medico locale, Adam scopre che Ivan ha avuto una vita estremamente disgraziata sin dalla sua nascita, e che ha un tumore al cervello di dimensioni tali da renderlo una impossibilità vivente. Come fa Ivan ad essere ancora vivo e per di più anche felice? Semplice, nega la realtà. Se qualcuno gli fa notare un qualche fatto troppo doloroso, lui non ci crede.

Adam, che odia cordialmente Ivan, usa questa conoscenza per ucciderlo. Lo mette di fronte a tutte le dolorose verità che Ivan cerca di sfuggire, fino ad arrivare a contestargli il libro di Giobbe, spiegandogli che non è stato il diavolo a trasformare la sua vita in un inferno, ma il buon dio in persona.

Adam a questo punto avrebbe vinto. Però si accorge, con suo sommo raccapriccio, che questo non gli dà alcun piacere. Inoltre, scopre pure che i due suoi compagni di sventura stanno molto peggio senza il supporto di Ivan. E poi vede, in una serata tempestosa da horror ultraterreno, il melo, che ne aveva già patite di tutti i colori, venir distrutto da un fulmine.

Così assistiamo alla peculiare conversione di Adam, che finirà perfino per apprezzare la musica di Ivan, nonostante questa includa melasse musicali quali How deep is your love dei Bee Gees nella cover che ne hanno fatto i Take that.

(*) Al punto che questo è il suo ultimo film distribuito in Italia. Quest'anno è uscito Mænd & høns (Uomini e polli) che chissà se e quando arriverà da noi.
(**) Tra cui Love is all you need e La duchessa.

Sopravvissuto - The martian

Per errore Mark Watney (Matt Damon), disperso e creduto morto in una tempesta, viene abbandonato su Marte dai compagni di missione. Nonostante tutte le prospettive siano contro di lui, si prepara a sopravvivere per i quattro anni che lo separano da quella che dovrebbe essere la successiva missione umana sul Pianeta Rosso. Per sua fortuna, i suoi movimenti vengono notati dalla Nasa e, dopo alcune traversie, si appronta una missione di soccorso che potrebbe riuscire a salvargli la vita.

La storia non brilla per interesse, considerando anche che la domanda che regge due ore abbondanti di racconto - riuscirà Mark a sopravvivere alle avversità marziane? - è brutalmente spoilerata dal titolo italiano. Eppure si lascia vedere con piacere, grazie al cast stellare, la fotografia, le immagini, e la ricostruzione delle tecnologie utilizzate, tutte veramente notevoli.

Trattasi di fantascienza "dura", dove la fantasia lavora su basi molto realistiche, e quindi lo si potrebbe paragonare a Interstellar, ma quello poneva domande filosofiche, questo è molto più materiale, più interessato a mostrare la scienza che c'è dietro l'esplorazione spaziale che altro.

Bella regia di Ridley Scott, che mostra di essere capace di mettersi al servizio di una storia altrui (*) senza sacrificare le sue capacità tecniche.

(*) La sceneggiatura di Drew Goddard è basata sul romanzo omonimo - L'uomo di Marte in italiano - di Andy Weir.

Oranges and sunshine

Varrebbe la pena di vederlo in abbinata con Ladybird ladybird di Ken Loach. Il tema è simile, la sceneggiatura è in entrambi i casi di Rona Munro (*), e questa è la prima regia cinematografica di Jim Loach, figlio di Ken.

Negli anni ottanta, Margaret Humphreys (Emily Watson) lavora ai servizi sociali di Nottingham. Un lavoro di quelli che fanno venire il mal di pancia al solo pensarci, per sua fortuna ha un marito (Richard Dillane) molto comprensivo e capace. Una sera una giovane donna le chiede aiuto, è giunta dall'Australia a Nottingham per cercare tracce della sua infanzia ma non ha trovato nulla. Il che è molto strano, considerando l'efficienza della burocrazia inglese. Ancora più strano che lei racconti di essere stata spedita dall'altra parte del mondo in nave, a quattro anni, senza accompagnatori, in compagnia di numerosi altri orfani, o presunti tali, avendo come destinazione un orfanotrofio. Margaret non sa bene cosa pensare di tutto ciò, lascia il fatto in un cantuccio della sua memoria e torna al suo lavoro.

Capita però che una sua assistita racconti di suo fratello Jack (Hugo Weaving), da cui era stata separata in tenera età, che la ha recentemente ricontattata. Jack è finito in Australia, e anche lui dice di essere stato spedito per nave, nelle stesse circostanze che Margaret ha sentito. Inizia così a cercare maggiori informazioni e scopre una orribile verità.

Fino agli anni settanta è stata pratica comune spedire bambini britannici nelle colonie (**). In teoria avrebbero dovuto essere solo orfani, ma la richiesta era alta e allora non si andava troppo per il sottile, mentendo ai minorenni, dicendo loro che i genitori erano morti e prospettando loro una bella vita in un paese assolato dove avrebbero potuto mangiare tutti i giorni arance colte direttamente dall'albero. La realtà era leggermente diversa, e molti bambini hanno vissuto come schiavi, alcuni venendo pure regolarmente violentati, dovendo poi ripagare il debito per l'accoglienza ricevuta.

Il film è stato presentato al festival di Roma nel 2010 ma misteriosamente non è stato distribuito da noi in alcuna forma.

(*) In questo caso basata sul libro-inchiesta di Margaret Humphreys.
(**) Nel film si parla solo di Australia, ma anche il Canada era parte dello schema.

45 anni

Tra una settimana i Mercer festeggeranno i 45 anni di matrimonio. Pare che dalle loro parti (*) sia uso dare una gran festa in occasione del quarantesimo, ma lui, Geoff (Tom Courtenay), ha avuto grossi problemi di cuore a quel tempo, e i due hanno deciso di rimandare a cinque anni dopo.

Lei, Kate (Charlotte Rampling), è un tipetto molto deciso. Basti notare la soggezione che ha per lei il postino per capirlo. Ai tempi insegnava e non doveva essere una docente accomodante. Succede però l'inatteso che aggiunge tensione, seppure tutta sotterranea, a quella che doveva essere l'organizzazione di un evento che nessuno dei due sente particolarmente. Arriva infatti una lettera da un comune svizzero che annuncia a Geoff il ritrovamento di Katya.

Cinquant'anni prima Geoff stava con Katya. I due erano in vacanza nella Svizzera tedesca, con l'intenzione di raggiungere, con tutta la calma possibile, l'Italia a piedi. Katya è caduta in un orrido e di lei non si è saputo più nulla. Anni dopo Geoff e Kate si sono incontrati, piaciuti, sposati. Geoff ha raccontato qualcosa di Katya a Kate, tralasciando però molti dettagli non proprio secondari, che adesso riemergono prepotentemente.

Alla povera Kate cade il mondo sotto i piedi, anche se, potenza del carattere inglese, bisogna osservarla con molta attenzione per rendersene conto. Sembra sempre svagata, guarda in giro cose che non vede, come se facesse fatica a mantenere a fuoco la realtà che la circonda. Ha passato tutta la vita con un uomo e ora le sorge il sospetto, che non sembra per niente infondato, di essere stata la brutta copia del vero amore di lui, e che tutto quello che loro due hanno fatto assieme non fosse altro che il tentativo di lui di non perdere Katya.

E se fosse che ha attratto Geoff solo per la debole somiglianza fisica (**) e l'assonanza del nome? Kate finisce pure per sospettare che il loro cane sia stato scelto seguendo i gusti di Katya. E tutte le scelte che lei ha fatto assieme a Geoff, che senso hanno adesso? Avrebbe dovuto forse continuare a suonare il piano (***)?

Anche Geoff è sulle spine. Katya è morta mezzo secolo prima, ma lui non ha ancora accettato la cosa, e del resto le circostanze non l'hanno aiutato. Lei è sparita nel nulla, e solo ora riappare, fra l'altro congelata, come metaforicamente è rimasta nei suoi pensieri. Razionalmente Geoff si deve essere reso conto di essersi rovinato la vita, avrebbe dovuto seppellire Katya e vivere appieno la sua vita con Kate. Ora si rende conto di amare Kate, ma non è che sia troppo tardi?

Bravo Andrew Haigh, che sviluppa un racconto di David Constantine lasciando che tutta la carica emotiva della storia ci arrivi grazie all'interpretazione dei due eccellenti protagonisti. Non è facilissimo per noi mediterranei capire cosa stia accadendo, all'uscita dal cinema mi è stato chiesto come mai la Rampling fosse così svagata, se stata seguendo le indicazioni di regia o se non fosse in parte.

(*) Sono molto inglesi e piuttosto campagnoli.
(**) Entrambe avevano i capelli scuri, scopriamo.
(***) La vediamo improvvisare un pezzo e, nonostante la ruggine dovuta ad una evidente mancanza di esercizio, il risultato è potente.

Doctor Who 9.10: Face the raven

Siamo già al finale di stagione, organizzato in ben tre episodi. Essendo questo il primo del terzetto, ha un tasso di fumosità tale da consigliare di tenerlo da parte, meditarci sopra con calma, e ripensarci quando avremo il quadro completo della situazione.

Di certo abbiamo il ritorno di Rigsy (Joivan Wade), quella specie di Bansky che era apparso l'anno scorso in Flatline. Costui scopre di avere tatuato sul collo un numero che scende di minuto in minuto, ricordando pericolosamente un conto alla rovescia, e chiede aiuto a Clara Oswald (Jenna Coleman), di cui è companion in quell'anomalo episodio, e al Dottore (Peter Capaldi). Questi capisce che il pericolo è reale e letale, e intuisce che deve venire da alieni basati a Londra in una trap street (*). Non è chiaro da dove gli venga questa idea, e come mai gli venga in mente solo adesso che ci sia una piccola comunità extraterrestre a Londra che sfugge al suo controllo. Lui, così ficcanaso, così control freak, che non investiga questa possibilità che qui gli sembra così naturale.

Con un minimo di indagine, Dottore e accoliti trovano la loro Diagon Alley (**) e hanno la sorpresa di scoprire che a dominare la comunità è una ben nota umana, Ashildr (Maisie Williams), che ora si fa chiamare Sindaco Me, dopo essere stata Lady Me ed essersi dimenticata della sua natura umana, causa le sfortunate circorstanze narrate ne The girl who died.

E qui succede il disastro. Il Dottore è stranamente distratto, e si rende conto solo superficialmente che c'è qualcosa che non funziona, un trappolone che non vede. Clara, che abbiamo visto nell'ultima annata prendersi rischi sempre più grossi, spesso senza alcun vero motivo, si mette in un vicolo cieco, che la porterà alla sua morte. C'è la possibilità che non sia la sua vera fine, anche perché avviene in un contesto molto particolare, dopo che Lady Me ne aveva garantito l'incolumità su espressa richiesta del Dottore, e mentre ci troviamo nelle vicinanze di un macchinario il supporto vitale in animazione sospesa. In ogni caso è una uscita di scena brutale, lieve, affettuosa, e drammatica. Tutto assieme. Il bello, se così si può dire, è la sua assoluta inutilità. Non giova a nessuno, è semplicemente un errore. Tutti quanti sottovalutano cose, non fanno caso a qualche dettaglio, e come risultato, paf!, Clara non c'è più. Sembra che lei sia la meno dispiaciuta della sua fine, forse non ne poteva più di vivere senza Danny Pink.

E tutto questo, come dicevo, è solo una trappola per il Dottore. Non sappiamo ancora chi l'ha tesa, ma sappiamo che Ashildr si è prestata all'opera. Clara, prima di affrontare il corvo (***), chiede al Dottore di non vendicarsi per quel che è successo, di non diventare nuovamente un War Doctor. Sembrerebbe che sia un ultimo gesto di affetto di Clara per il Dottore, e io credo che sia davvero così. Ma il Dottore è furibondo, e pur sentendosi vincolato all'ultima richiesta della sua companion, non ha nessuna intenzione di lasciare che Ashildr se la cavi così a buon mercato. E così le spiega che lui farà il possibile per mantenere il controllo, ma che lei farebbe bene a cercare di stargli ben lontano, e che l'universo è ben piccolo per chi ha un conto in sospeso con il Dottore.

(*) Una trap street è una strada finta, che esiste solo in cartografia ma non nella realtà, disegnata con lo scopo di identificare violazioni di copyright. Vedasi Città di carta per la descrizione di un fenomeno simile ma in scala maggiore. Nell'universo whoviano, le trap street sono strade reali, che qualcuno fa sparire, e che gli umani pensano non siano mai esistite.
(**) Il riferimento ad Harry Potter mi pare piuttosto evidente.
(***) Come da titolo. Le condanne a morte nella piccola comunità del Sindaco Me sono eseguite da un corvo che sembra uscire da un poema di Edgar Allan Poe.

I ragazzi irresistibili

Commedia nata per essere recitata a Broadway, convertita poi per il cinema dall'autore e affidata alla regia di Herbert Ross. Segue un tema tipico di Neil Simon, quello della strana coppia, formata da individui che sembrano inconciliabili eppure non riescono fare a meno uno dell'altro. Rispetto ad altre variazioni, qui l'equilibrio è spostato su un polo del sistema, Willy Clark (Walter Matthau), mentre l'altro, Al Lewis (George Burns), ha molto meno spazio. Il protagonista ha pure una seconda spalla, il nipote-agente Ben (Richard Benjamin), il che dà maggior movimento teatrale, sacrificando però lo sviluppo dei due ruoli secondari.

Willy & Al sono stati per decenni una famosa coppia comica col nome di Sunshine boys (*), dieci anni prima dell'azione, Al ha abbandonato le scene, lasciando Willy arrabbiatissimo e disoccupato. Questo farebbe pensare che Willy abbia una qualche ragione nel covare il suo risentimento, non fosse che lui stesso ammette che prima di chiudere la partita i due avevano lavorato per un intero anno senza parlarsi. O meglio, parlandosi solo in scena, lasciando che parlassero i personaggi, ma mantenendo altrimenti entrambi un ostinato mutismo.

Spunta l'occasione di fare una apparizione in televisione. Per Willy sarebbe il modo di tornare finalmente a lavorare (**), e aiuterebbe il nipote permettendogli di guadagnare visibilità come agente teatrale. Per Al sarebbe il modo di far conoscersi conoscere meglio dai suoi nipoti. E nessuno dei due disdegnerebbe i soldi e la momentanea visibilità che ne deriverebbe. Però i conti i sospeso tra i due sono troppo pesanti per essere messi da parte. A turno entrambi usano le loro armi per far uscire dai gangheri l'altro, seguendo il copione che i due devono aver recitato per tutta la loro vita. Dimenticano però di essere molto anziani e acciaccati, al punto che si sfiorerà la tragedia, anche se poi tutto andrà a finire relativamente bene.

(*) Da cui il titolo originale.
(**) E' la sua ossessione. Anche se non ne ha bisogno, ne sente la necessità. Anche se poi fa di tutto per farsi scartare alle rare opportunità che Ben gli riesce a trovare.

Lo straccione

Primo film con Steve Martin protagonista e (co)sceneggiatore, anche se non si può parlare propriamente di un debutto, considerando quanto aveva già fatto, in entrambi i ruoli, per la televisione. La regia è di Carl Reiner, già complice in avventure precedenti, per la prima volta in questa formazione che sarà mantenuta per altri lavori, il meglio riuscito dei quali direi è Il mistero del cadavere scomparso.

Il titolo originale, The jerk, potrebbe essere tradotto come L'imbecille, in quanto si narra la storia di Navin R. Johnson (Martin) che ha indubitabilmente problemi nel capire quel che accade. Trovatello, è stato allevato da una famiglia di colore, e all'età di trenta anni e più non si era reso conto che c'era qualcosa di strano nella sua bianchezza. Decisosi per futili motivi ad abbandonare la casa, trova lavoro come inserviente ad un garage / benzinaio di un italo-americano. Preso di mira dal solito matto armato di fucile, si unisce casualmente ad un circo, in cui incontra Patty (Catlin Adams), una rude motociclista (*) che si innamora di lui, al punto da tatuarsi il suo nome su una chiappa. La felicità dei due piccioncini dura poco, perché entra in scena Marie (Bernadette Peters), cosmetologa (**), che risulterà essere il vero amore di Navin.

A contrastare l'amore dei due ci pensa la mamma di lei, che sembra molto mal disposta nei confronti di lui, in quanto mirerebbe per un partito migliore. Fortuna vuole che una demenziale invenzione di Navin gli frutta cifre spaventosamente alte, e i due si possono sposare. Ma i soldi danno loro alla testa, e il cattivo gusto li sommerge, rischiando di farli affogare. Capita però che l'origine della loro ricchezza abbia un peccato originale, che viene evidenziato dallo stesso regista, e questo porterà alla caduta in miseria della coppia. Dopo un primo shock, Marie non sembrerebbe poi così dispiaciuta del rovescio, le basterebbe poter vivere con Navin, il quale però non ci sta, e le promette di essere capace di tornare sulla cresta dell'onda (***). I due litigano, e lui se ne va, diventando un barbone - o straccione, come da titolo italiano. Segue lieto fine che raddrizza all'ultimo momento la situazione.

Alcune battute sono decisamente divertenti, altre meno. Spesso mi è venuto un certo imbarazzo nel trovarmi a ridere nelle disavventure di un imbecille, mi ha consolato il fatto di leggere nella figura di Navin la caricatura, per quanto incredibilmente esagerata, di tutti noi. O meglio, degli americani in particolare, ma di tutti gli occidentali in generale.

(*) Che un po' mi ricorda il ruolo di Ryan Gosling in Come un tuono.
(**) E non cosmonauta, come Navin inizialmente crede di capire.
(***) Così che le potrà regalare un diamante così grosso da farla vomitare.

Una canzone per Marion

Arthur (Terence Stamp) è una brutta persona. Si potrebbe pensare che sia colpa delle circostanze, sua moglie, Marion (Vanessa Redgrave), è messa davvero male, causa un tumore che, scopriremo dopo pochi minuti dall'inizio del film, non le lascia che un paio di mesi di vita. Scopriamo però che Arthur è ruvido e intrattabile da tempo immemorabile, forse la causa sta in qualcosa che è successo nella sua infanzia, cose ormai dimenticate di cui non si accenna nemmeno qui, fatto sta che a farne le spese sono un po' tutti quelli che gli sono attorno, in particolare il figlio James (Christopher Eccleston), che mai, in tutta la sua vita, ha ricevuto un briciolo d'affetto dal padre.

Per non lasciarsi sopraffare dalla malattia, Marion si era iscritta al coro, pensato esclusivamente per anzianotti, diretto da Elizabeth (Gemma Arterton). Arthur, ovviamente, pensa il peggio possibile della cosa ma, amando teneramente, anche se in quel suo modo spigoloso, la sua Marion, la accompagna (im)pazientemente alle prove. Elizabeth propone di partecipare ad un concorso, e organizza un piccolo evento in cui il gruppo si esibisce al pubblico, così che uno scout possa valutare la loro performance. Nell'occasione Marion, che ormai sa di avere i giorni contati e che probabilmente non arriverà viva all'evento, canta come solista una canzone, che è evidentemente dedicata al marito.

Trattasi di True colors di Cyndi Lauper, in cui si parla di lui che ha "darkness inside" (*), e lei che gli dice che vede i suoi veri colori, che sono belli come un arcobaleno, ed è per questo che lo ama, lo incita a mostrarli, e gli ricorda che, quando sarà giù di morale, lei sarà lì per lui.

Non sembra però che questa dichiarazione d'amore pubblica ottenga un gran effetto. Arthur continua ad essere brusco e villano, respingendo ogni possibilità di contatto con chiunque (**).

Infine, Marion muore. Arthur reagisce isolandosi ancor di più, allontanando bruscamente anche James, nonostante avesse promesso il contrario alla moglie.

Sarebbe la triste fine della storia, se Arthur non si lasciasse convincere da Elizabeth che Marion avrebbe voluto che lui prendesse il suo posto nel coro. Dapprima titubante, Arthur inizia il suo percorso che lo porterà alla serata del concorso. Ci sono alcune avversità, ma avrà modo di rispondere a Marion, cantando a sua volta come solista una canzone.

Ed è Lullabye (Goodnight, My Angel) di Billy Joel. Lui accetta la separazione, ma le ricorda che le aveva promesso che non l'avrebbe mai lasciata, e deve sapere che comunque, per quanto possibile, manterrà la sua promessa.

Brusco cambiamento di registro per Paul Andrew Williams che, per questo suo quarto film, lascia quello sembrava essere il suo genere preferito - tra thriller e horror - per affrontare un dramma sentimentale con alleggerimenti musicali. Mostra di avere una buona capacità sia nella scrittura che nella direzione, riuscendo a gestire bene i rapporti complicati nella famiglia di Arthur (***). Solo, mi è sembrato un po' debole nello sviluppo delle parti più leggere, come se la commedia non sia nelle sue corde.

(*) L'oscurità dentro di sé.
(**) Fanno eccezione, a dire il vero, un paio di vecchi amici con cui si trova al pub di tanto in tanto. Ma sembra che la relazione tra costoro sia una di quelle amicizie inglesi che consistono nel trovarsi a date prestabilite per bere birra e lasciare che il tempo passi fare nulla di sostanziale.
(***) Grazie anche all'ottimo cast.

Doctor Who 9.9: Sleep no more

Quando il Dottore (Peter Capaldi) quando avrà finalmente un'idea di cosa sta accadendo, citerà Shakespeare, e il titolo stesso arriva dalla tragedia scozzese: "Non dormire più! Macbeth uccide il sonno!". La sceneggiatura è di Mark Gatiss, ma nella finzione dobbiamo fare conto che questa non sia un episodio di una serie televisiva ma found footage montato alla bell'e meglio da Rassmussen (Reece Shearsmith), scienziato capo della stazione spaziale Le Verrier che orbita attorno a Nettuno. E questa peculiarità viene ribadita dall'assenza della sigla iniziale (*). Il nostro narratore, dopo averci scongiurato di non guardare quello che segue, spiega che è l'unico sopravvissuto di una catastrofe, e ci racconterà quello che è successo, il materiale che è riuscito a recuperare. Di tanto in tanto tornerà per darci qualche ulteriore spiegazione.

Si inizia seguendo un agile squadra militare di soccorso, capitanata da Nagata (Elaine Tan), che inizia l'esplorazione della Le Verrier. Con loro gran stupore, incontrano due strani personaggi, Clara (Jenna Coleman) e il Dottore, che sembrano completamente fuori luogo. Scena veramente notevole. Abbiamo vista innumerevoli volte il Dottore e la sua companion apparire dal nulla in una situazione improbabile. Questa volta vediamo la cosa dalla prospettiva opposta. I due si scambiano le solite battute, ma è come se li guardassimo a loro insaputa. In ogni caso, Nagata decide che i due non sono un pericolo, ordina loro di comportarsi come (**) sottoposti, e procede nell'esplorazione.

Quello che segue è abbastanza nell'ordine delle cose. Ci sono dei mostri che si mangiano allegramente tutti gli umani che incontrano, e i nostri dovranno cercare (a) di capire cosa diamine siano (b) cosa davvero vogliono (c) evitare che facciano danni eccessivi. Però ci sono alcuni elementi che vanno considerati con una certa attenzione.

In particolare conviene non sottovalutare Gatiss. Un problema tipico che si incontra nei film di questo genere, è che spesso viene da chiederci da dove vengano le immagine, e a volte non abbiamo spiegazioni ragionevoli. Qui però una spiegazione c'è, e ci cambierà il senso della storia.

Il finale manca della conclusione secondo il punto di vista del Dottore, ma è giusto così, visto che è una storia che viene da Rassmussen, che segue i suoi scopi, e che vede il Dottore come un personaggio tutto sommato secondario.

Non sappiamo quindi se la promessa del Dottore di risolvere una piccola seccatura che colpisce Nagata e Clara sia mantenibile o meno. Noto per inciso che anche in questo episodio Clara viene ibridata con un altra forma di vita. Viene da chiedersi quanto di umano sia rimasto in lei a questo punto.

(*) I credits vengono mostrati come se fossero un disturbo nella registrazione, e finiamo per intuirli più che vederli. Dobbiamo aspettare i titoli di coda per sentire il motivo musicale che identifica la serie da mezzo secolo.
(**) Mobilia, suggerisce il Dottore.