Facendo quattro conti, questa storia per ragazzi tedesca (il titolo originale infatti è Das weiße Band - Eine deutsche Kindergeschichte) di Michael Haneke che si svolge cent'anni fa, è narrata come se fosse stata girata negli anni sessanta, o giù di lì. Infatti abbiamo come narratore, che racconta in prima persona quello che vediamo, testimone oculare (ma un po' confuso) dei fatti, il maestro del villaggio, che era ai tempi sulla trentina. Assumendolo ottantenne quando racconta, sta parlando mezzo secolo dopo.
Se si trattasse di un regista qualunque, tutto ciò non sarebbe molto interessante. Ma nel caso di Haneke, ogni elemento va soppesato come possibile indizio che ci possa aiutare a trovare una soluzione all'intricata matassa che ci presenta.
Mi sembra di aver percepito atmosfere letterarie alla Buddenbrook, ma inquietanti come un romanzo di Friedrich Dürrenmat, e filmiche alla Bergman (e, volendo, anche alla Novecento di Bertolucci). Fotografato con la consueta cura, girato in un bel bianco e nero, che offre un maggior risalto alla gelida campagna nordica, spesso coperta dalla neve.
Siamo in un piccolo borgo di campagna, all'inizio del novecento, tutti conoscono tutti, la vita scorre lenta seguendo consuetudini secolari. Il nobile locale possiede gran parte della terra, la gran parte dei contadini campa per lavorare e crescere moltitudini di figli, che a loro volta seguiranno il destino dei genitori.
Capita però un primo strano incidente, il medico locale cade rovinosamente da cavallo, a causa di un cavo, praticamente invisibile, teso sul suo percorso. Muore poi una donna, forse per l'inaccuratezza del conte, almeno così crede suo figlio maggiore. Seguono altri incresciosi fatti, a non si capisce bene commessi da chi.
Il maestro ha una idea, e la riferisce al curato, al quale sembra così assurda che lo minaccia apertamente di fargli perdere il lavoro se solo osasse riferirla ad altri. Ma la Storia ha il sopravvento, scoppia la prima guerra mondiale, e questa piccola storia viene dimenticata.
Come praticamente sempre accade nei film di Haneke, viene lasciato al pubblico il privilegio di tirare le conclusioni, e di capire quello che ci vuol capire. Difficile quindi scrivere qualcosa di più, senza rischiare di rovinare l'effetto per lo spettatore.
Mi limito a sottolineare che la reazione del curato sarebbe spropositata, se il maestro non avesse toccato un nervo scoperto. E che Haneke lavora sempre sulle stesse tematiche, riproponendole ogni volta sotto un diverso profilo. In questo caso, pensare a Niente da nascondere e a Benny's video, dovrebbe aiutare a trovare una chiave di lettura soddisfacente.
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