Play Time

Noto in italiano con il titolo tradotto Tempo di divertimento; scritto, diretto, interpretato da Jacques Tati, fu ai tempi una colossale catastrofe.

Probabilmente l'insuccesso fu causato anche dal momento storico, ma bisogna dire che soprattutto la prima parte del film non risulta progettata al meglio.

Meglio vederlo in originale, dato che i colloqui non sono poi molto importanti, ed è molto più divertente assistere alla confusione tra francese, inglese, un pizzico di tedesco e persino una spruzzata di italiano.

E' stato girato su pellicola da 70mm, e andrebbe quindi visto in un buon cinema, in modo da poterlo apprezzare appieno. La storia, come è tipico nelle avventure di Hulot, è un dettaglio marginale. Una comitiva di turisti americani arriva a Parigi, passa una giornata a visitare i sobborghi moderni, la sera in un ristorante, e il giorno dopo vanno a riprendere l'aereo. Il loro percorso si intreccia con quello di M. Hulot, che al mattino ha un appuntamento in un caotico e disumano ufficio di una multinazionale e alla sera si trova a passare dalle parti del ristorante e ne viene risucchiato dentro. C'è una sorta di simpatia tra Hulot e una turista, ma non se ne fa niente.

Il sobborgo parigino che vediamo nel film, chiamato amichevolmente Tativille, è stato costruito apposta per il film, secondo quello che Tati pensava fosse un possibile futuro globalizzato. E bisogna dire che ci è andato abbastanza vicino. In una scena ambientata in una agenzia turistica, si vedono manifesti di varie città, tutte rese ormai praticamente identiche. E come ridere amaramente al fatto che i turisti americani vadano a visitare una specie di fiera dove guardano con ammirazione prodotti che, viene detto, sono appena giunti dall'America.

La prima parte, che mostra una società "ottimizzata" ma disumanizzata risulta pesante. D'accordo che era proprio l'effetto desiderato - dirci quanto sia impossibile vivere in quel modo - ma Tati avrebbe dovuto anche mettersi nei panni del pubblico, e pretendere un po' meno. La seconda parte, invece, è più ottimista. La rigida strutturazione iniziale cade a pezzi, letteralmente, durante la serata al ristorante.

E' un film geniale, genialità che forse sconfina nella follia, e richiede molta attenzione da parte dello spettatore, anche perché spesso accadono molte cose nella stessa inquadratura ed è praticamente impossibile seguire tutto quanto.

I demoni di Sanpietroburgo

Basato su un'idea di Andrey Konchalovskiy, scritto e diretto da Giuliano Montaldo, premiato con due David e due nastri d'argento ma, mi pare, poco visto.

Buon film, anche se un poco troppo lento per i miei gusti. Basato sulla vita di Fyodor Dostoevsky, di cui viene anche rappresentato uno degli episodi più noti della sua travagliata biografia, quando venne condannato a morte, portato davanti al plotone di esecuzione e solo quando i fucili erano pronti a sparare gli è stato detto che stavano scherzando, i burloni. Era già arrivata la grazia da parte dello zar che commutava la sentenza capitale in "soli" dieci anni di lavori forzati in Siberia.

Si parla Dostoevsky e della sua esperienza intellettuale e politica, ma in un senso generale. Si racconta del rapporto tra l'intellettuali e il potere, da una parte, e la società civile dall'altra. Del rapporto tra progressismo moderato e rivoluzionario, e di come i rivoluzionari considerino i moderati (molto male). Ma anche di come spesso l'approccio rivoluzionario sia spesso slegato dalla realtà - mi pare che questo sia un tema da leggere in rapporto alla storia recente italiana.

Temi tosti, dunque, che giustificano un certo passo lento nel procedere.

Le vacanze di Monsieur Hulot

Scritto, diretto, interpretato da Jacques Tati. Ai tempi è piaciuto al punto da ottenere una nomination all'oscar per la sceneggiatura e una per il gran premio di Cannes (battuto da Vite vendute di Cluzot, mica paglia).

Le vacanze di Mr.Bean (2007) lo ricordano molto, pur nelle evidenti differenze.

La storia è molto flebile: Hulot va in vacanza al mare, con la sua improbabile vetturetta. Combina qualche disastro, crea un certo scompiglio tra i vacanzieri e i residenti, le vacanze finiscono e tutti ripartono per la città.

Il tutto è evidentemente un pretesto per dare modo a Tati di mostrarci Hulot all'opera. Potrebbe benissimo essere un film muto, data la bassa rilevanza del parlato, quello che conta è l'espressività di Hulot.

La ricerca della felicità

Non ho potuto vedere tutto il film perché il DVD (peraltro come extra è fornito solo il trailer) era rovinato. Come scusa suona debole, ricorda vagamente quella utilizzata per giustificare la mancata consegna di un compito a casa: me l'ha mangiato il cane.

In effetti avrei potuto chiedere la sostituzione del disco, ma poi mi sarei dovuto rivedere il film. Ho preferito fare a meno di qualche scena centrale.

Film d'esordio negli USA per Gabriele Muccino che ha colpito al cuore, e al portafoglio, del pubblico di oltreoceano, facendo un ottimo incasso, lasciando contenta buona parte degli spettatori, e riuscendo pure a guadagnare qualche premio e molte nomination (una all'oscar per Will Smith).

Tolta la buona prova di Will Smith, c'è poco da aggiungere. Storia abbastanza noiosa e prevedibile: a Will va tutto storto, e a ogni nuova scena è una nuova rogna che gli capita ma abbiamo come il sospetto che alla fine andrà tutto per il meglio.

Non mi è piaciuto per niente l'obiettivo del protagonista, per il quale è disposto a rischiare praticamente tutto: fare soldi. Si imbarca in una attività di vendita che gli fa perdere un mucchio di tempo e denaro, lasciando che la moglie faccia doppi turni in fabbrica per tirare a fine mese; arrivato all'orlo del tracollo finanziario, vede un broker in Ferrari, nota come tutti lì attorno siano sorridenti, e decide di candidarsi per uno stage non retribuito di sei mesi per diventare anche lui broker. Detto fra parentesi, guardarsi Wall Street di Stone potrebbe essere un buon contrappasso. La moglie, sfinita, lo molla. Lui insiste per tenersi il figlio, dicendole che certamente lei non avrebbe tempo per badare a lui - senza considerare che, non dovendo fare doppi turni per mantenerlo, forse ci sarebbe riuscita meglio di lui - e così se lo trascina in squallidi motel, quando va bene, in rifugi per senzatetto e persino a dormire in bagni pubblici (incredibilmente lindi) quando va male. Colpo di bacchetta magica, alla fine dei sei mesi prendono un solo stagista su venti, ed è proprio lui.

Prima dei titoli di coda ci confermano che il protagonista, dopo qualche hanno, si mette in proprio e fa soldi a palate. Felicità raggiunta.

Al confronto, Jersey Girl di Kevin Smith è un film di una profondità che fa venire le vertigini. Lì il padre (Ben Afflek) si trova a decidere tra un lavoro che ama, e avere il tempo per badare alla figlia, ed è proprio Will Smith nei panni di sé stesso a consigliargli di non far stupidate.

La famiglia omicidi

Pessimo il titolo italiano, forse con l'idea di alludere a Ladykillers (che a sua volta era sta tradotto erroneamente in La signora omicidi, e con il quale non ha ben poco a cui spartire), mentre il titolo inglese, Keeping mum, è un gioco di parole tra il significato idomatico di "to keep mum", fare silenzio, nel senso di tenere un segreto, e il senso letterale, tenersi la mamma.

Buon lavoro di regia da parte di Niall Johnson, che ha avuto l'indubbio vantaggio di avere a disposizione attori come Rowan Atkinson nei panni di un reverendo di paese con la testa fra le nuvole, Kristin Scott Thomas, sua moglie, stufa di essere trascurata, Maggie Smith, una pazza scatenata che entra nelle loro vite, Patrick Swayze, un giocatore di golf che vuole divertirsi con la moglie del reverendo, e una giovanissima Tamsin Egerton che dimostra di essere capace di tenere la scena in un cast che intimorirebbe i più.

Buona la storia, una tipica black comedy inglese (in effetti, da questo punto di vista il richiamo a Ladykillers funziona), in bilico tra efferatezza e comicità, con tante tazze di té a punteggiare l'azione.

Piacevole la colonna sonora, che segue l'azione con discrezione e belli e ben fotografati i paesaggi che servono a dare la giusta connotazione al racconto.

Si narra della famiglia del reverendo Goodfellow (Buonuomo, diremmo in italiano) che sta andando verso lo sfascio. Il reverendo s'è come distratto, e non si accorge che la moglie non ne può più di essere trascurata, e cerca consolazioni nell'aitante istruttore di golf americano; la figlia si "vendica" delle tensioni famigliari ruzzolando con una lunga serie di "fidanzati" che vengono rimpiazzati con una velocità impressionante; il figlio minore subisce le angherie dei bulli della sua scuola senza reagire. Fortunatamente arriva a questo punto la grazia, ovvero Grazia, una anziana signora chiamata per fare la governante. Sappiamo già che è una pazza scatenata e che una quarantina di anni prima aveva ucciso marito e la di lei amante senza che si rendesse conto che questa fosse una reazione sopra le righe. Il resto del film ci spiegherà cosa farà per la famiglia Goodfellow, come, e anche perché.

Ancora qualche parola sul cast. Rowan Atkinson, a mio parere uno dei più bravi attori comici in attività, purtroppo costretto dal successo di Mr.Bean a recitare quasi sempre lo stesso ruolo. Tra le rare occasioni che ha avuto per uscire dal suo ruolo-prigione ci sono i Quattro matrimoni e un funerale (particina, ancora un reverendo) e The tall guy (terribile titolo italiano "Due metri di allergia", anche qui parte secondaria, un crudele attor comico).
Kristin Scott Thomas (Paziente inglese, Gosford Park), qui signora Goodfellow, non deve dimostrare nulla, semplicemente recita come ci si può aspettare da lei; e lo stesso dicasi per Maggie Smith (anche lei in Gosford Park, oltre che nella saga di Herry Potter, Un té con Mussolini, ....).
Notevole l'autoironia di Patrick Swayze nel prendere il ruolo di questo film, lui che resterà noto per Dirty Dancing, Ghost e Point Break, ma c'è da dire che aveva già dimostrato di essere capace di interpretare personaggi a dir poco particolari in Donnie Darko.

Avrei preferito che venisse dato meno peso al ruolo di Maggie Smith, che risulta essere la dea ex-machina della storia, mentre penso che avrebbe avuto più senso se il suo apporto fosse stato più piccolo, ottenendo risultati per aver scatenato il cambiamento, più che per azione diretta. Avrei dunque dato meno peso al lato criminale della vicenda, e dato più spazio al versante comico e magari sentimental-familiare. Ma questo è gusto personale, la vicenda così com'è mi pare regga bene, e penso che il film avrebbe potuto ottenere un risultato migliore.

Maria Antonietta

In originale, Marie Antoinette. Uno dei film più noiosi che mi sia capitato di vedere negli ultimi tempi.

Se capisco bene, l'idea di Sofia Coppola (regia e sceneggiatura) sarebbe stata quello di riabilitare la figura di Maria Antonietta, famosa per aver letteralmente perso la testa per la rivoluzione francese.

In realtà, vedendo il film ho avuto l'impressione che la Coppola volesse farci vedere che, dato il cognome che porta, può fare quello che vuole nel mondo del cinema e ottenerne in cambio addirittura commenti positivi.

L'espediente di raccontare la storia introducendo evidenti errori temporali (a partire dalla colonna sonora infarcita di musica pop) in questo caso non mi pare che funzioni. Tutto sommato incolpevole il cast, tra cui Kirsten Dunst, come protagonista. Discorso a parte per Asia Argento nel ruolo della favorita del precedente re Luigi XV, che mi pare segua lo stesso percorso artistico della Coppola.

Oscar ai costumi (che in effetti ci sta), qualche altro premio e nomination.

Nel DVD ci sono un paio di scene tagliata e una featurette che potrebbe essere interessanti all'appassionato.

District 9

Strutturato come un mockumentary, ma evidentemente non si pretende che lo spettatore creda che si tratti di un vero documentario per più di pochi secondi, dato che racconta la vicenda di una astronave piena di extraterrestri che sembrano imparentati con i nostri crostacei e che, per motivi non chiariti, si "arena" sopra Johannesburg.

L'arrivo sarebbe successo nel 1982, gli alieni, malridotti, sarebbero stati portati in una specie di ghetto dove sarebbero rimasti per decenni, creando le tensioni e i problemi che ci si può aspettare.

L'azione parte quando l'organizzazione internazionale che si occupa del fenomeno decide di spostarli in un'area più periferica (si cita un episodio simile, sempre a Johannesburg, dove un intero quartiere - district 6 - venne sbaraccato per esigenze di mercato coperte da esigenze di ordine pubblico).

Vagamente il film può ricordare Starship Troopers (a mio avviso una delle cose peggiori di Paul Verhoeven e della fantascienza in generale) per la naturale antipatia che finiscono per sprigionare gli umani nei confronti degli "altri".

Il film ha ottenuto un buon successo di pubblico, quattro nomination agli oscar, molte altre nomination e qualche premio (minore). Francamente mi pare troppo. Non è malaccio, si lascia vedere, ha anche un qualche cosa da dire. Ma senza esagerare. Ad aiutare la sua accoglienza deve aver pesato la produzione di Peter Jackson.

Up

Nonostante che tema e l'ambientazione siano molto diversi, Up e Wall-e hanno molto in comune. Si vede che vengono entrambi da Disney-Pixar.

Pur essendo prodotti per il pubblico tipico di questa casa di animazione - molto giovane - non si ha paura di affrontare temi complessi. Ed evidentemente questo approccio paga.

Inoltre, entrambi i film sono caratterizzati da una lunga introduzione senza parlato - Wall-e è più estremo - Up si "limita" ad una decina di minuti, dopo il breve attacco dove conosciamo Carl ed Elly bambini, in cui ci scorre davanti agli occhi tutta la vita della coppia, fino alla morte di Elly, ormai vecchietta.

Curiosa la decisione di dare un aspetto "fumettoso" a Dug (il cane più simpatico) e Kevin, il misterioso volatile che ricorda vagamente beep-beep, mentre gli altri cani sono disegnati più realisticamente.

Il supercattivo ha la voce di (e anche una certa somiglianza con) Christopher Plummer.

Il divo

Bel film di Paolo Sorrentino che ha avuto un ottimo riscontro di pubblico e molti premi, tra cui spiccano il premio della giuria a Cannes (nella stessa edizione, il gran premio è andato a Gomorra), una sfilza di David di Donatello e svariati nastri d'argento e il premio europeo a Toni Servillo come miglior attore.

Il film narra la carriera di Giulio Andreotti (noto anche come il divo, per l'appunto), dandole un taglio da film d'azione quasi all'americana. La vicenda orginale è così lunga e complessa che non ci si può aspettare che venga trattata nei dettagli, ma mi pare che la narrazione riesca ad essere interessante senza risultare troppo dispersiva.

Star Trek

Simpatico prequel a Star Trek che interesserà prevalentemente, se non esclusivamente, ai fan della fantascienza in generale e a quelli della serie omonima in particolare.

Diretto e prodotto da JJ Abrams (Lost, Mission Impossible 3) mi ha colpito soprattutto per la cura con cui i personaggi principali (Kirk, Spock, McCoy, Uhura, Scotty, Sulu, Chekov) siano interpretati da attori che sono resi credibili rispetto a quelli che erano gli attori originali.

Storia non particolarmente interessante, pasticciata da viaggi nel tempo che permettono di inserire nella trama lo Spock originale, Leonard Nimoy, ma che garantisce tanta azione, voli stellari, botti e anche un po' di sesso (inconcepibile nella serie originale!).

A serious man

Tipico film di Ethan e Joel Coen. A volte riescono meglio, altre volte, e purtroppo questo mi pare il caso, no.

Non c'è un senso nella vita, non sono (necessariamente) i migliori ad aver successo, e proprio quando ti sembra che tutto stia andando bene, ti puoi aspettare che arrivi la catastrofe.

Ma, dato che la vita è fatta così, assurda e imprevedibile, l'unica cosa da fare è mantenere la calma e sperare per il meglio.

Cast composto da sconosciuti (almeno a me) ma capaci e ben diretti. Protagonista principale un insegnante ebreo a cui ne capitano di tutti i colori, alla Giobbe, oscillando di continuo tra la catastrofe e la possibilità di avere, finalmente, un po' di tranquillità. Intersecata alla sua vicenda seguiamo anche quella di suo figlio, che ha anch'essa il suo bell'altalenare.

A dare un'inquadratura alla vicenda (o meglio, a spiazzare lo spettatore), un prologo ambientato nell'Europa orientale di fine ottocento (credo) dove viene narrata una storiella yiddish - in lingua originale - a proposito di anime dannate e di donne che ne sanno una più del diavolo.

Il film si lascia guardare (due nomination all'oscar dovrebbe bastare a garantire una certa solidità del lavoro), ma non mi pare al livello della migliore produzione dei fratelli Coen, meglio guardarsene un altro, come ad esempio: Fargo; Il grande Lebowski; Fratello, dove sei?

Il padrino

Se si vuole trovare un difetto in The Godfather, si potrebbe aver da dire sulla sua durata: ben 3 ore. Meglio vederselo in lingua originale, nonostante la bravura dei doppiatori italiani che sono comunque all'altezza (elevatissima) del prodotto.

Eccellente la sceneggiatura di Mario Puzo, tratta dal suo romanzo omonimo. Ci sono alcune parti della storia che meriterebbero un approfondimento ma si capisce bene che non era pensabile fare un film più lungo di così. Non ci sono tempi morti, praticamente ogni battuta conta, e non c'è nemmeno un eccessivo sovraccarico per lo spettatore. Merito chiaramente anche dell'ottima regia di Francis Ford Coppola e del cast stellare (Marlon Brando - Don Vito Corleone, Al Pacino - suo figlio Michael, Robert Duvall - Tom Hagen, e Diane Keaton su tutti).

E certo non si può dimenticare la strepitosa colonna sonora originale scritta da Nino Rota. Questo il trailer:

E' uno di quei film che va visto, anche solo per capire modi di dire che sono entrati nel lessico collettivo ("gli ho fatto un offerta che non poteva rifiutare", "niente di personale, sono solo affari") e per l'influenza che ha avuto su molti film seguenti.

Si parla della storia di Vito Corleone, a partire dal punto in cui, boss affermato della Cosa Nostra newyorkese, inizia il suo declino. Gli ammazzamenti non sono il tema principale, si parla piuttosto della storia di una famiglia. Più che un film di mafia è un film sulla mafia. Vengono spiegati piuttosto bene alcuni meccanismi psicologici che sono probabilmente validi ancora oggi in quell'ambito.

Saturno contro

Ferzan Ozpetek è un bravo regista, ma le sue storie in genere in genere non mi appassionano. E questo vale anche per Saturno Contro.

Gli attori nel film sono all'altezza, soprattutto Margherita Buy (ammetto che sono molto di parte quando si parla di lei) e Stefano Accorsi. Ma anche Ennio Fantastichini, Milena Vukotic e Isabella Ferrari non se la sono cavata male, nonostante il poco spazio a disposizione.

Sento dire un gran bene di Ambra Angioini ma a me pare che sia sovrastimata, forse come reazione al suo passato. Visto quel che faceva di giovinetta, una buona recitazione di medio livello ha un effetto spettacolare.

Gli spunti interessanti non mancano, forse il problema è che restano solo spunti. Si cerca di raccontare la vicenda di un gruppo di amici, le singole storie restano tratteggiate e mancano, a mio gusto, di dettaglio.

Questo il trailer del film che, come spesso accade, non è che sia proprio indicativo di quello che sia il film vero e proprio.

Un gruppo di amici, alcuni omosessuali, alcuni straight, tutti con i loro problemi. Al pubblicitario gay viene un colpo, vegeta un po' in ospedale, poi muore. Il suo compagno ne risente, il padre del morto riesce nel frangente a superare lo shock del figlio omosessuale. E altre cose. Troppe altre cose, secondo me.

Avrei preferito meno temi e più di profondità.

Ma il film è piacevole e vale il tempo di vederlo. Evidentemente sconsigliato a chi abbia forti sentimenti anti omosessuali.

Fantastic Mr. Fox

Ne parlano tutti bene, sarà per il regista, Wes Anderson (Tenenbaum, Il treno per il Darjeeling), per il fatto che la storia è stata scritta da Roald Dahl, o per le voci (George Clooney, Meryl Streep, Bill Murray, Willem Dafoe ...). Fatto è che mi aspettavo molto da questa animazione in passo uno, e ne sono rimasto molto deluso.

Il paragone con Mary e Max, stesso anno, budget enormemente inferiore, a mio parere, chiude il discorso. Ma anche uno stop-motion che ho visto citato come confronto, Galline in fuga (2000), mi sembra decisamente fatto meglio.

Due nomination all'oscar, colonna sonora e animazione, battuto in entrambi i casi, e in questo caso sono d'accordo con l'Academy, da Up.

The island

Molto scarso. Se non l'hai ancora visto, continua così.

Dato il regista/produttore, Michael Bay, non è che ci si possa aspettare molto - noto per la serie dei Transformers, ma anche per i due Bad Boys, Armageddon, Pearl Harbor e persino The Rock. Roba di facile visione e molto rumorosa. Anche paragonato alla sua produzione normale, però, The island non regge al confronto.

Uno scienziato pazzo (Sean Bean) ha creato una specie di fabbrica sotterranea in cui, dietro cospicuo pagamento, crea e mantiene cloni dei clienti finché questi non hanno bisogno di pezzi di ricambio. Ai cloni si dice che è successa una catastrofe planetaria e loro sono gli unici superstiti in un ambiente controllato. Un clone (Ewan McGregor) inizia a fare troppe domande e stringe amicizia con un tecnico (Steve Buscemi) che, direttamente o indirettamente, finirà per fargli aumentare i dubbi. Un giorno una clone sua amica (Scarlett Johansson) vince la "lotteria" che le permetterà di lasciare quella specie di galera per andare su una fantastica isola incontaminata (questa è la favoletta che raccontano ai cloni per spiegare come mai ogni tanto qualcuno di loro sparisce). Lo stesso giorno il clone astuto scopre che non è vero niente di quanto avevano detto loro, e organizza una fuga per lui e la sua amica. Seguono inseguimenti, sparatorie, incidenti stradali, elicotteri che si schiantano finché i cloni non riescono a riprendersi la libertà.

Volontariamente o meno, sono citati film a bizzeffe. Matrix, anche se lì la contrapposizione era tra umani e macchine, qui i cloni nel loro bozzolo ricordano molto gli umani "addormentati" di quel film. Blade Runner, se vogliamo, per la storia dei cloni che si ribellano. Gattaca, per il discorso pseudo-etico sui diritti dei cloni. Persino Metropolis di Fritz Lang, per la rappresentazione della Los Angeles del futuro. Ma anche film di azione alla Arma Letale per parte del film dedicata all'inseguimento.

Per far funzionare il film si sarebbe dovuta prendere una decisione: o rendere i personaggi e la storia più realistica di quel che è; o puntare esplicitamente sull'azione, tagliando i molti tempi morti e tentativi (falliti) di dare uno spessore ad una storia che non ne ha.

Altro elemento che mi ha decisamente disturbato è stata la presenza veramente eccessiva della pubblicità. Alla faccia del product placement. Alcune scene sembrano girate con l'unico scopo di dare spazio ad un certo articolo.

Sul DVD non è male il making of incluso, dove si vede Michael Bay che si diverte un mondo a schiantare automobili, far precipitare un elicottero e a filmare gioiosamente tutte queste catastrofi. Da cui si deduce che almeno uno s'è divertito con questo film.

Notturno bus

Primo lungometraggio diretto da Davide Marengo, noto per la sua esperienza nei video musicali. La frequentazione di Marengo all'ambiente musicale - suo Craj del 2005, documentario sulla musica popolare pugliese - spiega la bella colonna sonora che si destreggia tra diversi stili.

Ottimo il cast, almeno nei ruoli principali. La storia non è niente di soprendente, ma viene giocata giocata con una buona ironia, appoggiandosi sulle atmosfere di una Roma notturna che risultano piacevoli.

Buon risultato complessivo, grazie agli ottimi ingredienti che ha avuto a disposizione, anche se il finale non mi ha soddisfatto. Un po' come se si fosse arrivati corti di fiato, dopo tutto il correre del film.

Giovanna Mezzogiorno ha il ruolo di una ladra che ha imparato sin da piccina a non fidarsi di niente e di nessuno e che tira dentro nella storia Valerio Mastandrea, autista di autobus tendente alla depressione e con un grosso debito di gioco da saldare. Ennio Fantastichini, sempre un ottimo cattivo, qui fa un agente dei servizi che sta cercando di mettere le mani su di un misterioso microchip, finito per caso nelle mani della ladra; dall'altra parte ci sono Francesco Pannofino, anche lui un convincente cattivo ma con una vena più comica, e Roberto Citran, una coppia di sbirri un po' pasticcioni e molto violenti. Una particina (nei panni della moglie del poliziotto interpretato da Pannofino) anche per la brava Iaia Forte.

I personaggi sono costruiti bene, ma non (mi) è chiaro il loro sviluppo. Il protagonista, ad esempio. Ha studiato, gli mancava un esame a laurearsi ma, per motivi imprecisati (una donna, pare) ha mollato tutto e si è adattato su un lavoro che chiede poco, e poco dà. Inoltre, in contrasto alla sua tendenza di non rischiare, ha la passione per il gioco d'azzardo, che lo porta verso la rovina, dato che non è capace di bluffare e non riesce a capire il gioco degli avversari. Ha un rapporto complesso con un suo amico che è anche il suo strozzino. Nel suo lavoro è capace, ma gli manca lo stimolo a fare quel di più che sarebbe alla sua portata. Parlando con la ladra viene fuori che il "segreto del bravo autista di autobus" è il guardarsi dietro, sapere usare gli specchietti retrovisori. La ladra lo interpreta nel modo negativo, ovvero nel fatto che lui non si sappia staccare dal passato (anche perché lei ha il problema opposto, non riesce a mantenere una relazione con il passato, è sempre in fuga verso qualcos'altro).

Un buon personaggio, dunque, ben caratterizzato. Lo vediamo usare il suo passato, la conoscenza di un deposito di stoffe, per riuscire ad sfuggire agli inseguitori. Lo vediamo usare anche le sue capacità di guida all'autobus in una scena di inseguimento (avrebbe potuto essere maggiormente spettacolarizzata - mi sembra che invece sia solo confusa), da cui però ne esce in un modo che sembra più fortunato che abile. Lo vediamo anche bluffare con successo e riuscire a stendere un avversario. Ma tutto questo ci viene mostrato senza dargli l'opportuna rilevanza, e sembra sempre che il personaggio sia sì cambiato, ma più accidentalmente che sostanzialmente. Come dire, non si vede bene la crescita del personaggio.

La scena topica risulta quella dove deve decidere se prendere una borsa contenente un paio di milioni di euro o abbandonarla. La ladra, esperta della faccenda, gli ha consigliato di lasciarla ed è scappata, ritenendo che due tra i presenti sul posto fossero poliziotti. A questo punto noi dovremmo vedere la sua transizione e vedere come agisce in questa situazione limite. Invece non vediamo niente. Stacco e passaggio alla scena successiva, quando lui si ricongiunge alla ladra. Non sapremo mai cosa è successo in quel frangente.

Titoli di coda con Daniele Silvestri che canta La paranza, e viene premiato con un David.

Peccato per l'assenza assoluta di bonus nel DVD.

Clerks 2

Clerks 2 è in linea con Clerks (Commessi - 1994). Chi ha visto il primo episodio, sempre scritto e diretto da Kevin Smith, dovrebbe avere più o meno le stesse reazioni alla vista del secondo.

I personaggi principali sono gli stessi: Dante (Brian O'Halloran) e Randal (Jeff Anderson) che "lavoravano" in una sorta di minimarket, adesso "lavorano" in un fastfood, ma non si sono riusciti a scrollare di dosso Jay (Jason Mewes) e Silent Bob (lo stesso Kevin Smith) che continuano a spacciare. A questi si aggiungono Rosario Dawson e Jennifer Schwalbach Smith (moglie del regista) che, incredibilmente, si contendono Dante.

Stesso spirito da commedia irriverente, in certi casi al limite del disgusto (e per qualcuno anche oltre), in entrambi i film.

Stessa ambientazione nel New Jersey, tipica anche di altri film di Smith, come Jersey Girl (che però è più rivolta ad un pubblico più tranquillo).

Se nel primo Clerks grosso peso avevano i clienti e entravano e uscivano dal negozio, qui la vicenda è più centrata sul dilemma di Dante: mollare il Jersey per la Florida o restare? Con tutto quel che ne consegue.

Tra le apparizioni dei clienti spiccano quelle di Ben Affleck (giusto un paio di battute) e Jason Lee (compagno di scuola di Dante e Randal che è diventato schifosamente ricco ma che ha un cetriolo nella sua memoria).

Divertenti le citazioni di altri film. Jay, ad esempio, cita il silenzio degli innocenti (e quale scena se non quella dove il rapitore pervertito si mette a ballar da solo mentre la vittima è in fondo al pozzo?).

Bel film, dunque. Fra l'altro, al contrario del primo, questo è quasi tutto a colori. Attenzione però ai temi trattati. Ad esempio: come addio al celibato Randal regala a Dante (a insaputa di questi, naturalmente) uno spettacolino erotico altamente disgustoso, naturalmente in tipico stile Randal.

L'ultimo re di Scozia

The last king of Scotland, regia di Kevin Macdonald, scozzese e più interessato ai documentari che alla fiction. Nonostante questo, grazie ad un tema decisamente interessante, la feroce dittatura di Idi Amin, e alla convincente interpretazione di Forest Whitaker il film ha avuto un ottimo successo, ratificato anche da una serie di premi tra cui spicca l'oscar a Whitaker.

C'è da tener presente che i fatti narrati hanno un'attinenza molto limitata alla realtà. Per dirla con schiettezza, il dottor Nicholas Garrigan (interpretato da James McAvoy, che ho apprezzato di più in Espiazione) è pura invenzione.

Mi pare che la storia regga solo fino a un certo punto.

Si potrebbe dire che si tratta di un racconto di formazione, dato che inizia con Garrison che si laurea e decide di andarsene di casa, stufo dell'aria di superiorità paterna. Sceglie l'Uganda a caso, fa un po' di sesso casuale, gioca all'inglese (pardon, scozzese) nel terzo mondo, tenta di sedurre la moglie del collega, finché incontra Amin i due si piacciono e lui molla il suo lavoro per diventare il medico del presidente. Fa un po' di bella vita, finché ad un certo punto inizia a maturargli qualche dubbietto sul suo amico Amin.

Fin qui tutto bene. Il dottore risulta essere un ragazzetto in fin dei conti di buon carattere (dopotutto sa fare il suo lavoro) anche se immaturo. A questo punto dovrebbe crescere e prendere delle decisioni. Invece traccheggia e si mette nei guai ancor più profondi. La sua passione per le donne sposate (ad altri) lo porta a legarsi ad una moglie di Amin, al punto da metterla incinta. Pur essendo poligamo e trattandosi di una moglie in disgrazia, la reazione coniugale è quella che ci si può aspettare, e fa a pezzi - letteralmente - la moglie.

E a questo punto siamo oltre la plausibilità. Diciamo che sia possibile che Amin perdoni il medico che gli ha soffiato una moglie, ma che si continui a fidarsi di lui è eccessivo. E solo quando il dottore pianifica di ucciderlo dandogli del veleno invece che pastiglie per il mal di testa, e il piano viene scoperto dall'astuto capo della sorveglianza, finalmente si decide di eliminarlo. Capita però che proprio in quel momento arrivi ad Entebbe l'aereo dirottato da palestinesi per cui, contro ogni logica, si decide di giustiziare il dottore all'aeroporto, utilizzando un sistema che non può che ricordare la prova del dolore a cui si sottopone il protagonista di Un uomo chiamato cavallo (1970). Ma il fortunato dottore riesce a scappare, seppur malridotto, grazie al sacrificio inspiegabile (come dice lui stesso) di un suo collega.

Ha imparato qualcosa il dottor Garrison dalle sue avventure? Non si sa. E forse non gliene può importar di meno a nessuno. Resta la notevole interpretazione di Whitaker e un film tutto sommato guardabile.

Wall Street

Il punto di vista di Oliver Stone sul turbocapitalismo anni ottanta, giusto prima del crollo dell'87 - che risulta stranamente simile alla stessa situazione che ha portato alla crollo di venti anni dopo. Dunque, probabilmente, invece di vedersi il seguito (Il denaro non dorme mai - 2010) tanto vale vedersi il primo episodio.

Charlie Sheen (non eccezionale) interpreta Bud Fox, operatore di borsa che, visto l'andazzo generale, vorrebbe arrichirsi, ma in realtà non riesce nemmeno a ripagare il debito contratto per prendersi la laurea. Anche perché vivendo a New York (Upper West Side - ci tiene a specificare) i soldi che guadagna se ne vanno solo per vivere. Come molti suoi colleghi ha il mito di Gordon Gekko (un superlativo Michael Douglas), uno squalo di Wall Street che fa montagne di soldi viaggiando in bilico tra lecito e illecito. Lo incontra, inzia a violare qualche regoletta, e conosce Darien (Daryl Hannah, ruolo che le è valso il Razzie Award come peggior attrice non protagonista) di cui si invaghisce, anche se lei mette bene in chiaro le sue priorità: soldi e cose costose. Bud fa una montagna di soldi facendo porcherie varie, che impegna in una casa dall'altra parte di Central Park (l'Upper East Side fa più figo), bizzarre opere d'arte e tutto quanto vuole Darien. Una nota simpatica: nel frigo della sua nuova casa si vede un cartone di Pomì, evidentemente considerato alla moda.

Il problema nasce dal fatto che Bud chiede al perfido Gekko di aiutarlo a comprare la compagnia area dove lavora il padre di Bud (interpretato da Martin Sheen, padre di Charlie - meglio del figlio, visto di recente in The Departed). Bud vorrebbe salvarla, Gekko lo asseconda ma vuole fare come al solito: farla a pezzi, liquidarla e farci sopra una gran plusvalenza.

A questo punto Bud decide di mollare Gekko, qualunque cosa dovesse costargli.

Storia non originalissima, ma che regge. Interessante anche perché, come si diceva all'inizio, a parte la tecnologia, poco pare che sia cambiato nel mondo della finanza da allora a oggi.

Chicago

Non sono un amante del musical, e Chicago è soprattutto per amanti del genere. C'è da dire che, persino a me, la partenza ha colpito al cuore con un numero davvero notevole, All that jazz interpretato da Catherine Zeta-Jones. Bravissima, davvero. Ho scoperto solo dopo, guardando il lungo e interessante "making of" incluso nel DVD, che la Zeta-Jones è praticamente nata come cantante e ballerina. Beh, lo dimostra a meraviglia nel film.

Mi chiedevo come mai le avessero dato il ruolo di Velma Kelly e non quello di Roxie Hart, la protagonista (Renée Zellweger, brava, ma non paragonabile). Ho scoperto poi che è stata lei a voler fare quel ruolo, perché voleva assolutamente fare, per l'appunto, il numero in iniziale. E come darle torto.

Altra stella del cast Richard Gere, nel ruolo di un estroso avvocato. Bravo, ma parte limitata. Buona prova di John C.Reilly nella parte del povero disgraziato che si era sposato la protagonista. Fra l'altro Really è uno di quegli attori che lo vedo e mi chiedo, "ma io questo dove l'ho già visto?", do un occhiata su imdb e scopro che l'ho visto in una dozzina di titoli.

La sceneggiatura è poco più di un pretesto per tenere assieme i numeri. Velma fa il suo numero e viene portata in galera, per aver ammazzato sorella e marito (colti sul fatto). Roxie era lì con un suo amico che pretendeva di avere agganci per introdurla nell'ambiente, quando lui si stuferà di lei, e le dirà la verità, Roxie lo fa fuori. Roxie e Velma si incontrano in galera, non vanno per niente d'accordo. Processo farsa di Roxie, con l'avvocato che la riesce a far assolvere; poi farà assolvere pure Velma. Finale con Roxie e Velma che, pur odiandosi, lavorano assieme (l'impresario aveva spiegato a Velma che un'assassina che balla e canta non fa più notizia, ma due assieme sì).

La trovata del film è che quasi tutti numeri sono immaginati da Roxie, come modo di evadere dalla realtà. Il problema (dal mio punto di vista) è che è la stessa trovata di Dancer in the dark (Lars von Trier - 2000) film, a mio avviso, superiore e premiato anche negli USA. Mi pare curioso, ma non ho trovato nessuno che abbia notato la cosa.

In maniera per me incomprensibile, Chicago è stato premiato con addirittura 6 oscar (sarebbe bastato quello alla Zeta-Jones, a mio avviso) e una montagna di altri premi. Come miglior film ha battuto Gangs of New York (anche lì c'era Reilly, tra l'altro) e Il pianista, secondo me ingiustamente. E se Il pianista s'è consolato con un gran numero di altri oscar, Gangs lo avrebbe meritato.

Tutto può succedere

In originale, Something's gotta give, titolo di una canzone di Johnny Mercer, compositore e paroliere piuttosto popolare negli USA, per intenderci è quello che ha scritto il testo di Moonriver, musicata da Henry Mancini, premiata con l'oscar per la sua funzione all'interno di Colazione da Tiffany. Come omaggio nel film, il personaggio interpretato da Keanu Reeves fa di cognome, per l'appunto, Mercer.

Per dare un'idea delle sue composizioni, metto qui un suo brano, via youtube. Non tra i più famosi ma comunque simpatico: On the Atchison, Topeka & Santa Fe, interpretato dai The Pied Pipers, chiunque essi siano.

Tornando al film, la citazione del titolo ci dà anche un'idea sul tipo di impostazione che Nancy Meyers (che lo ha scritto e diretto, come le è successo di fare anche in È complicato - It's complicated buon successo del 2009) voleva dare: una commedia sentimentale vecchio stile.

Ottimo il cast, con Jack Nicholson interpreta a dovere un ruolo che gli è stato creato addosso, e lo stesso dicesi per Diane Keaton.

La storia zoppica un po', a ben vedere, ma lo spessore dei protagonisti fa perdonare questo e altro. In breve Nicholson interpreta Harry Sanborn, uno splendido sessantenne noto per le sue capacità manageriali e per il fatto di uscire, da sempre, solo con donne tra i venti e i trenta - fra l'altro questo permette una mirabolante scena iniziale a New York dove il buon Sanborn spiega la sua predilezione come voce narrante mentre scorrono le immagini che illustrano quello che intende - sta per passare un weekend nella villa al mare di Marin, una sua nuova amica (Amanda Peet, 2012). Il problema è che si trova lì anche Erica, madre di Marin (la Keaton), e la zia (Frances McDormand - particina, ma comunque simpatica apparizione). Problema successivo è che a Harry viene un colpo, viene portato in ospedale, dove entra in scena il bel dottore (Reeves).

Si vede bene dove vuole andare a parare la storia Erica e Harry sono destinati a mettersi assieme. Gli impicci sono rappresentati dal fatto che Harry non ha mai visto una donna nuda di quell'età, e non riesce a convincersi che sarebbe ora che cambiasse attitudine verso le donne in genere; inoltre il dottore si innamora di Erica, creando una simmetria con l'attrazione di Harry per le giovin fanciulle.

Verso il finale, Harry prenderà coscienza di avere una certa età e intraprenderà pure un viaggio che lo porterà a cercar di parlare con tutte le donne della sua vita e questo da scattare un paio di connessioni: High Fidelity di Frears e soprattutto Broken Flowers di Jarmusch. Ma qui la cosa viene sbolognata in pochi secondi.

La peculiarità del film è che i protagonisti sono anzianotti e si parla di amore. Per questo pare che la Meyers abbia fatto un po' di fatica a farsi produrre il film, il tema veniva considerato rischioso.

Molta musica nel film ma trattata in modo intercambiabile. Nel DVD si trova come bonus una sequenza tagliata in cui Harry canta ad un karaoke La vie en rose per Erica, prima di lasciare la villa e tornare a New York, alla sua vita. Peccato sia stata tagliata. Molta musica francese nel film, dato che Erica voleva dare una impostazione francese alla commedia che sta scrivendo, e la usa come fonte di ispirazione. Tra i vari brani c'è anche "Boum!" di Trenet, il che non può non far pensare a Toto le heros, e al diverso uso della musica che si fa lì.

American Dreamz

Simpatica commedia, in bilico sul versante della satira, scritta e diretta da Paul Weitz, che avrebbe meritato un miglior successo di quello, molto limitato, che ha ottenuto.

Ottimo il cast, Hugh Grant al suo meglio, nei panni panni di Martin Tweed simpatica carogna che conduce un reality, American Dreamz, indeciso tra il disprezzo per i concorrenti e il pubblico e i vantaggi che gli dà la popolarità; Dannis Quaid bravo nel fare un presidente degli USA stonato come pochi (evidentemente ispirato da Bush Junior); Mandy Moore (che ho appena visto in Tutto quello che voglio, dove aveva una parte minore) credibile in una parte non semplice, ragazzotta di campagna che mira al successo ad ogni costo; Willem Dafoe un po' sacrificato nel ruolo del capo dello staff del presidente. A questi si aggiunge Sam Golzari a cui tocca il ruolo del terrorista confuso, pasticcione, e ben poco motivato.

Il lato satirico della vicenda sta nel fatto che praticamente tutti hanno un lato idiotico che li porta a mettersi nei pasticci, ma viene smussato dal fatto che quasi tutti hanno un briciolo di umanità.

Tante vicende che si incrociano e giungono alla loro naturale fine. Tweed, pieno di disgusto per quello che fa, finirà per abbandonare le scene, come si suol dire, facendo il botto: raggiungendo un picco di ascolti mai visto prima. Il presidente, entrato in politica non sa nemmeno bene come (dice che gli pare di ricordare sia stata sua madre a volerlo presidente, perché voleva dimostrare al marito come un fesso qualunque potesse diventarlo) acquista una certa consapevolezza e, chissà, magari diventa anche un bravo presidente. La ragazzotta ha quello che voleva, il successo, e adesso son cavoli suoi. Il terrorista, che sin dall'inizio aveva mostrato la sua passione per il musical, mollerà le armi per il canto e il ballo.

Si ride, ci sono spunti di riflessione, buona sceneggiatura, regia, recitazione. Eppure, il risultato è stato piuttosto scarso. Chissà, forse perché la satira riesce meglio quando i personaggi negativi vengono spogliati di ogni residuo di umanità (come non pensare ad un capolavoro come il Dottor Stranamore) o forse perché i bersagli di questo film, come una certo trash televisivo, dove quello che conta è apparire, a costo di trasformarsi in caricature di sé stessi, sono così forti che non riescono a venir scalfiti da questo film.

Léon

Variazione sul tema del gigante e la bambina. Probabilmente Léon è il film più amato di Luc Besson (sceneggiatura e regia), francese considerato quasi americano per la sua impostazione culturale e per il senso del ritmo che mette nei suoi lavori.

Non è un caso che l'azione si svolga a New York, dove Léon (Jean Reno probabilmente al suo meglio) ha un appartamentino nell'Upper West Side a due passi da Central Park, in un caseggiato piuttosto malfamato. D'altronde si tratta di un analfabeta, forse con qualche problema mentale, che di mestiere fa il killer per la cosa nostra newyorkese e non sta a badare a questi particolari. Fatto è che il suo vicino di casa prova a fregare Stansfield, un capetto della DIA (un notevole Gary Oldman) che, avendosene a male, lo ammazza con tutta la famiglia, esclusa la dodicenne Mathilda (Natalie Portman, all'inizio della sua carriera) che si rifugia da un perplesso Léon.

Da questo punto si dipana la storia che viene governata da diverse tensioni:

Léon comincia a rendersi conto che la sua vita non ha senso.
Mathilda vuole vendicarsi uccidendo Stansfield.
Stansfield vuole eliminare Mathilda, testimone scomoda, e poi Léon, quando questi gli ammazza un uomo e libera Mathilda.
Mathilda si innamora di Léon, alla fine ricambiata da questi.

Nel finale c'è uno scioglimento finale che porta Mathilda a tornare alla normalità, la scuola che aveva abbandonato all'inizio del film. E, in un certo senso, anche le due altre anime inquiete, Léon e Stanfield, troveranno pace.

Buona colonna sonora, che usa anche un pezzo di Bjork e, sui titoli di coda, Sting.

Cinque pezzi facili

Primo film importante di Jack Nicholson, che già aveva avuto una particina in Easy Rider dell'anno prima. Entrambi i film sono prodotti da Bob Rafelson che qui è anche alla regia, e la parentela tra i due lavori si vede eccome.

Il titolo, Five Easy Pieces in originale, fa riferimento alla formazione da pianista del protagonista, Robert Eroica Dupea (a quanto pare il middle name musicale è una tradizione di famiglia) che, preso da inquietudine esistenzialista, ha mollato la famiglia e si è messo a vagabondare per l'America facendo lavoretti saltuari.

Lo seguiamo nelle sue vicende come operaio ai pozzi petroliferi, poi nel ritorno alla casa di famiglia, in visita al padre malridotto per un paio di colpi al cuore, e via di nuovo nel nulla.

Fin quasi verso la fine viene accompagnato nelle sue peregrinazioni da una poveretta che s'è innamorata di lui ma a una stazione di servizio, mentre lei va a prendersi un caffè al bar del galletto rosso (red rooster), lui salta su un camion e se ne va chissà dove.

Datato, mantiene un interesse più storico / sociologico.

Jump to: A proposito di Schmidt, sempre con Nicholson protagonista. Una scena in un diner è replicata in modo quasi identico. Oppure i Blues Brothers, per una canzone "Stand by your man" che apre Cinque pezzi facili, e che viene interpretata in modo indimenticabile dai fratelli Blues.

Tutto quello che voglio

Commedia non memorabile che ha un doppio titolo originale Try Seventeen, che rimarca più l'aspetto commedia ambientata in un college, e All I want, che sottolinea più l'aspetto della formazione del protagonista, colto nel momento in cui deve decidere cosa fare della propria vita. Fortunatamente il titolo italiano ha scelto la seconda alternativa.

Purtroppo l'indecisione sui titoli rispecchia regia (di Jeffrey Porter) e sceneggiatura (Charles Kephart) che oscillano tra le due possibilità, decidendosi alla fine per la seconda, ma rendendo il film insoddisfacente.

Protagonisti Elijah Wood, che nel frattempo era anche Frodo Baggins nella saga del signore degli anelli, e Franka Potente nello stesso anno di The Bourne Identity, il film che l'ha resa più popolare (ma da ricordare anche il suo lavoro in Lola rennt). Da notare la particina affidata ad Deborah Harry, più nota come cantante dei Blondie, ormai anzianotta ma dotata di fascino e tanta autoironia.

Jones (Wood) va al college, le cose non iniziano molto bene, ma entra in un appartamento di una casa abitata da gente peculiare, tra cui Jane (Potente) di cui si prende una bella cotta. A complicare le cose ci sono una vicina (Mandy Moore) che avrebbe volentieri una storia con Jones ma si spaventa perché lui è ancora vergine (seguendo il filone dei film da college), e la relazione tra Jones e i propri genitori (padre irraggiungibile, madre lontana).

Il buio nell'anima

Meglio il titolo originale, The brave one, che fa scegliere allo spettatore chi sia ad avere coraggio, Erica Bain (Jodie Foster), o il detective Mercer (Terrence Howard).

Buon lavoro di Niel Jordan (Intervista col vampiro, In compagnia dei lupi) che affronta un tema, apparentemente consunto dall'uso, per darne una interpretazione originale.

Non una delle migliori colonne sonore di Marianelli (Espiazione, Orgoglio e pregiudizio target="_blank"), ma comunque di buon livello.

Avrei fatto a meno della parte inziale, in cui viene rappresentato piuttosto crudamente il pestaggio della Bain e fidanzato, con conseguente morte del secondo (e rapimento del cane di lei). Mi pare sarebbero stati sufficienti i flash back successivi per spiegare il rancore della protagonista, senza indulgere nel truculento.

Data la premessa, lo svolgimento sembrerebbe naturale: la superstite dell'attacco fa giustizia da sé, alla Charles Bronson, finché completa la sua vendetta o viene fermata. E, in un certo senso e proprio quello che accade, ma con una interessante variazione.

La "vendicatrice" è disgustata da quello che fa, semplicemente non riesce a farne a meno. La scomparsa del suo uomo le ha creato un buco che cerca di riempire in questo modo (da cui il titolo italiano).

D'altra parte l'investigatore che segue la sua indagine, pur volendo risolvere il caso, sarebbe molto contento di sbagliarsi e che non fosse davvero lei il "giustiziere".

Alla fine uno dei due protagonisti dovrà trovare il coraggio per sbrogliare la matassa.

Jump to: Una voce nella notte (The night listener 2006). Il protagonista (Gabriel Noon - Robin Williams) conduce un programma simile a quello di Erica Bain, anche lui per una radio newyorkese.

Idiocracy

Niente da dire questa volta sul titolo. Dovrebbe avvertire adeguatamente sul livello della pellicola.

Due parole sul cast: regia, soggetto e sceneggiatura di Mike Judge, proprio quello di Beavis and Butt-head. E questo dovrebbe dare un'idea su cosa ci si può aspettare dal film, se non bastasse il titolo. Protagonisti Luke Wilson, che è meglio ricordare per i Tenenbaum, e Maya Rudolph, vista spesso a Saturday Night Live.

I due protagonisti vengono ibernati e, per un contrattempo, invece di venir risvegliati dopo un anno, ne passano 500. Lui è un mediocre soldato, lei una prostituta. A causa del crollo della civiltà umana si trovano ad essere relativamente dei geni.

A voler essere molto gentili nei confronti del film, si può ipotizzare una critica rivolta all'instupidimento della società. Ma il temino viene svolto svogliatamente e finisce per ridursi ad una raccolta di luoghi comuni. Ogni tanto ci sono battute che strappano un sorriso ma alla resa dei conti ci troviamo con un film facilmente dimenticabile.

Le prime scene tagliate presentate nel DVD fanno pensare che Wilson avesse originariamente una fidanzata, che però è totalmente sparita dalla versione definita. Hanno fatto bene a eliminarla, non avrebbe aggiunto niente alla storia.

Catastrofe al botteghino e, chi avrà voglia di vedere il film, scoprirà che a volte conviene dar retta alle scelte del mercato.

Quarto potere

Il titolo italiano orienta verso una delle tante possibili scelte interpretative che si possono dare a questo che è il primo lungometraggio (scritto, diretto, prodotto, interpretato) di Orson Wells.

Meglio il titolo originale, un neutrale Citizen Kane.

Ai tempi la visione di questo film deve essere stata uno shock. Inizia con la morte del protagonista, a cui segue un cinegiornale che ne racconta la vicenda. Dunque sappiamo subito che non ci sarà lieto fine, anzi, sappiamo praticamente tutto quello che succederà. Il pretesto che non ci fa uscire dal cinema per chiedere indietro i soldi è un reporter che ha il compito di indagare cosa volesse dire il cittadino Kane con la sua ultima parola "Rosebud".

La figura di Kane è modellata su quella di William Randolph Hearst, fondatore di un impero editoriale tuttora esistente (da cui il titolo italiano), che se ne ebbe piuttosto a male e cercò in ogni modo di boicottare il film. Ma la personalità del protagonista è solo il presupposto per una storia che ricorda, più che altro, una storia di Pirandello. Veniamo infatti a conoscere Kane solo dal punto di vista di testimonianze esterne, ognuna delle quali ci racconta il suo Kane.

Il vero Kane resta un mistero per tutti, non a caso l'indagine del giornalista non arriva ad una soluzione ed è solo lo spettatore che ha modo di scoprire nel finale a cosa stava pensando Kane nel suo momento finale.

Elizabethtown

Non ha avuto il successo che ci si poteva attendere questo piacevole film di Cameron Crowe (Almost Famous, Vanilla Sky). Forse perché mette troppa carne al fuoco e finisce per confondere le idee allo spettatore che si aspettava qualcosa di più semplice.

Si tratta infatti di una commedia romantica, con una robusta colonna sonora che è quasi un personaggio a se stante - tipico di Crowe, del resto - un film di passaggio, con il protagonista che si deve gestire la morte del padre e un licenziamento catastrofico, un road-movie, con un viaggio in auto nel profondo sud degli Stati Uniti, e chissà quante cose ancora che mi sono dimenticato.

In realtà l'intreccio rende bene, ma bisogna dedicarci una certa attenzione.

Il cast è notevole, anche se Orlando Bloom forse non regge appieno il ruolo del protagonista. In certe scene m'è sembrato che si atteggiasse un po' a fare un Tom Cruise più giovane (dai titoli di coda ho poi scoperto che Cruise è tra i produttori del film, tra l'altro), e questo, a mio gusto, non gli giova. Sempre brava Kirsten Dunst (che ho appena visto in Se mi lasci ti cancello), sempre in gamba Susan Sarandon, piccole parti ma ben recitate per Alec Baldwin, Bruce McGill e Jessica Biel.

In breve succede che Drew (Bloom) lavora da anni al progetto di una scarpa innovativa che si rivela essere un disastro. Il principale (Baldwin) stima le perdite in un miliardo di dollari, e invita gentilmente Drew a sparire. Capita anche che Drew stava con Ellen (Biel), una collega, che lo molla ipso facto. Vista la mala parata Drew pensa al suicidio, ma prima che possa metterlo in atto (in modo bizzarro) viene interrotto dalla notizia della morte improvvisa del padre, che si trovava ad Elizabethtown, in visita ai parenti, che vede di rado per colpa di alcune ruggini ... ecco, torna il fatto che la sceneggiatura è veramente complessa. E bisogna tener conto del fatto che la prima parte, quella che ho accennato, è stata evidentemente tagliata per mantenere la durata del film in limiti ragionevoli (123 minuti).

Tra le scene che restano impresse, c'è quella dove la vedova (Susan Sarandon) al termine di un incredibile discorso commemorativo sulla figura del morto si mette a ballare in suo onore un tip tap su Moonriver di Henry Mancini.

Old boy

Gli insoddisfatti di questo film, a quanto vedo, sono una minoranza. Ma tra di loro ci sono pure io.

Il film parte bene, ma poi si disperde. Per i miei gusti vira troppo al fumettistico (d'altronde è adattato da un manga), e mi son trovato pure ad usare il fast-forward per superare la noia che, a tratti, m'ha assalito.

Bella la colonna sonora, devo dire. Piacevole, nel complesso, la regia di Chan-wook Park.

Francamente esagerato mi sembra il palma res della pellicola, con un gran premio della giuria di Cannes, e numerosi altri premi e nomination.

Si parla di vendetta, secondo episodio di una trilogia del regista sul tema, anche se a mio parere il risultato è un po' confuso. In pratica succede che il protagonista viene rapito, e tenuto in una prigione clandestina per quindici anni senza che gli venga detta una sola parola. Dopodiché viene liberato e sfidato dal carceriere a scoprire il motivo per cui ha subito tutto ciò.

Scopriremo col protagonista che si trattava della prima parte della vendetta per aver causato, del tutto inconsapevolmente, la morte della sorella del carceriere.

M'è sembrato insoddisfacente l'uso dell'ipnosi da parte del carceriere per ottenere la seconda parte della sua vendetta. E andiamo. L'ipnosi. Roba da medioevo - in senso cinematografico. Del resto anche la costruzione di una vendetta che dura quindici anni mi pare un poco eccessiva.

Ne consiglierei la visione solo agli amanti del cinema coreano e di quello di Quentin Tarantino (a cui tanto è piaciuto).

Se mi lasci ti cancello

Il titolo italiano è francamente brutto, quello originale (Eternal Sunshine of the Spotless Mind) pretenzioso. A volte accade che chi decide il titolo di un film non sia al suo meglio, ma credo che questo caso resterà negli annali del cinema.

Almeno nell'originale hanno trovato il modo di mitigare la pretenziosità del titolo scelto nello sviluppo del film. Quello italiano resta indifendibile.

Il film è davvero un lavoro di prima classe, e ha prodotto un buon risultato economico (probabilmente una miglior scelta dei titoli avrebbe aiutato a migliorare ulteriormente la situazione, soprattutto nel mercato italiano), di soddisfazione degli spettatori, e anche a livello di premi. Tra i tanti ricevuti va ricordato l'oscar per la sceneggiatura originale.

Regia e sceneggiatura sono di Michel Gondry, più noto per la sua attività nei video clip: ha lavorato per gente del calibro di Massive Attack, Björk, The Chemical Brothers, ...

Notevole anche il cast, con un buon Jim Carrey, una strepitosa Kate Winslet, che ha preso una nomination all'oscar per questo ruolo, un inatteso Elijah Wood nei panni del cattivo (lui che è nella memoria collettiva come il Frodo del signore degli anelli!), un sempre bravo Tom Wilkinson nei panni dello scienziato pazzo (non proprio pazzo, ma la sua invenzione è abbastanza folle), e una simpatica Kirsten Dunst nei panni di Mary Svevo.

Il nome del personaggio della Dunst è rivelatore dello spirito del film, si tratta infatti di una aperta citazione a Italo Svevo, si parla dunque di psicologia in termini molto scanzonati.

L'intreccio della sceneggiatura fa pensare a Memento, anche se qui è meno labirintico. Il primo quarto d'ora abbondante del film narra infatti il risveglio di Joel (Carrey) che, in contrasto con il suo carattere, decide di saltare un giorno di lavoro per andare al mare. A New York, a febbraio. Assurdo, verrebbe da dire. Lì incontra una tipa folle, (Winslet) che un po' lo attira un po' lo spaventa. I due si piacciono un mucchio e sembra che stia per nascere una storia fra loro.

Finito questo prologo, partono i titoli di testa e veniamo spiazzati trovando che la storia fra i due è appena finita, ma non siamo andati avanti nel tempo, bensì indietro. Come è possibile? Colpa dell'invenzione dello scienziato pazzo, che ha messo su una azienda (Lacuna) che ha lo scopo di permettere la cancellare dalla mente di chi vogliamo (da cui il terribile titolo italiano).

Resta da spiegare il titolo originale, una citazione da niente di meno che Alexander Pope, che Mary Svevo tira fuori cercando di impressionare il suo capo. Sfortunatamente per lei la affibbia a Pope Alexander (come dire: Papa Alessandro).

Toto le heros

Al suo uscire ebbe un buon successo, e anche una serie di premi per il film, regia, e soggetto. Purtroppo Jaco Van Dormael (regia e sceneggiatura originale) non mi pare abbia fatto nient'altro di così capace di attirare l'attenzione.

Il protagonista è Thomas, ormai anziano, che è convinto che la sua vita sia stata una schifezza per colpa di Alfred, suo coetaneo, nato per di più anche lo stesso giorno, che accusa di tutto il male che gli è successo in vita sua, a partire dalla nascita. Già, perché si convince che i due bambini siano stati scambiati nella culla.

Concepisce così una vendetta molto tardiva, estremizzando il detto secondo cui sarebbe un piatto che va consumato freddo, e decide di sparare Alfred. Quando lo vede, però, si accorge che è ormai un vecchio ad un passo dalla morte, come lui, del resto. Pensandoci meglio sopra, inoltre, scopre che in realtà Alfred c'entra poco o niente con la direzione che ha preso la sua vita, e forse dovrebbe essere più Alfred ad avercela con lui, che viceversa.

Avuta questa improvvisa illuminazione Thomas concepisce un piano per riuscire a ribaltare la sua vita e uscirne in un modo inaspettato.

Un personaggio non secondario del film è una canzone: "Boum!" di Jacques Trenet, che dà il tono scanzonato ad una storia che potrebbe esserlo molto meno. La vediamo in azione in questa scheggia presa da youtube: un importante compleanno di Toto. Simpatica, in coda, l'infantile descrizione di Toto sul come si sono incontrati i suoi genitori.

A proposito di Schmidt

Titolo originale About Schmidt, regia e sceneggiatura di Alexander Payne (Sideways), basata sul romanzo di Louis Begley (molto adattato) e basato quasi esclusivamente sul personaggio di Warren Schmidt, che va in pensione e viene assalito dal sospetto di aver sprecato la sua vita.
Protagonista assoluto Jack Nicholson, tra le parti secondarie spicca Kathy Bates, forse più nota per Pomodori verdi fritti, qui nel ruolo dell'eccentrica madre del cognato.

A dire il vero, a Warren il sospetto di aver sbagliato qualcosa gli cresce con notevole lentezza, inizialmente ritiene che siano gli altri a non essere all'altezza delle sue aspettative. Però gli va dato atto che, quando finalmente si accorge che le cose non sono esattamente come pensava lui, ha la forza d'animo di accettare la consapevolezza della sua situazione e magari fare qualcosa di buono per il poco tempo che gli resta.

Il tema non è dei più allegri, ma viene trattato con levità e a tratti anche con un certo umorismo.

Da notare nel DVD la presenza di un buon numero di scene tagliate, alcune delle quali aggiungono dettagli significativi che aiutano a capire meglio il personaggio che, soprattutto all'inizio ha un'idea di sé non esattamente allineata con la realtà dei fatti. Ad esempio in una scena tagliata Warren parla con la figlia di quando la portava in maneggio, e viene fuori che lui ricorda di averlo fatto spesso, mentre lei solo con fatica ricorda una volta che ciò è successo, forse due.

Infamous - Una pessima reputazione

Cast notevole, buona storia, commenti generalmente favorevoli, eppure il risultato economico è stato praticamente un disastro, in pochi l'hanno visto, soprattutto al cinema. Forse colpa delle circostanze sfavorevoli - un'altro progetto basato praticamente sullo stesso soggetto è partito quasi nello stesso momento. E l'altro, probabilmente per una accordo commerciale tra le produzioni, è uscito nel 2005. Si trattava di "Capote" che ha avuto un buon successo (anche molti premi, tra cui un oscar).

Qui Toby Jones rende Capote con notevole verve comica, nella prima parte, e gli dà adeguato spessore drammatico nella seconda. Ottimo il cast a supporto che include un sorprendente Daniel Craig, più noto come lo 007 da Casino Royale in poi, nei panni dell'assassino; una altrettanto inattesa Sandra Bullock, un sempre bravo Jeff Daniels; Sigourney Weaver, Gwyneth Paltrow (che canta giusto all'inzio del film What is this thing called love), Peter Bogdanovich in piccole ma significative parti, e anche Isabella Rossellini.

Amores Perros

Film di Alejandro González Iñárritu piuttosto violento e dalla trama non semplice, ma che si lascia guardare volentieri. Forse è meglio evitarlo se si vuole un film leggerino, per passare una serata in allegria.

E' il film che nel 2000 ha lanciato il regista e che gli ha permesso di dirigere poi prodotti come 21 grammi (2003) e Babel (2006). Curioso il fatto che sui mercati di lingua inglese sia stato presentato con il titolo informale di "Love's a bitch". Un gioco di parole non troppo sottile che si perde in italiano, ma che sarebbe abbastanza vicino al senso gergale del titolo originale, letteralmente "amori cani" in italiano che potrebbe essere reso con qualcosa come "amori bastardi".



Si tratta di tre storie, parzialmente sovrapposte, che si sviluppano a Città del Messico.

La prima racconta di uno scontro tra fratelli di una famiglia sull'orlo della povertà. Il maggiore, sposato, con l'hobby delle rapine nel tempo libero; il minore (interpretato da Gael García Bernal - uno dei protagonisi de La mala educación di Pedro Almodóvar e persente in una parte minore anche in Babel) che decide di usare il cane di famiglia, insospettabilmente un asso nel combattimento tra cani, per far soldi e cercare di scippare la sposa al fratello. Gran spreco di sangue, canino e umano, in questo episodio.

La seconda é a proposito di un editore di stampa rosa che si innamora di una top model (Goya Toledo), per lei lascia la famiglia ma, proprio il giorno in cui si mettono a vivere insieme, lei ha un incidente in macchina (il fratello minore dell'episodio 1 le viene addosso), seguono complicazioni varie ma alla fine i due (forse) trovano un equilibrio.

Nella terza, un ex guerrigliero diventato una sorta di punkabbestia che fa da killer prezzolato per conto di un poliziotto corrotto con lo scopo di sbarcare il lunario, esegue il suo ultimo lavoretto in modo decisamente personale.