Uno sparo nel buio

Dopo La pantera rosa Blake Edwards aveva in programma di scrivere assieme a William Blatty (quello de L'Esorcista) una sceneggiatura da una commedia francese, in cui un tale, apparentemente un imbecille (da cui il titolo L'idiote), si rivelava essere il vincente della situazione. E perché non adattare la storia al personaggio di Clouseau? Peter Sellers, oltre all'exploit inatteso della pantera rosa, aveva appena piazzato uno di quei colpi da KO partecipando come protagonista assoluto del Dottor Stranamore di Kubrick, ed Edwards, che il cinema ce l'ha nel sangue, fiuta che la cosa funziona.

La storia viene rivoluzionata e si pongono le basi a quella che sarà nota come la saga della pantera rosa - anche se in questo episodio del simpatico felino non appaiono nemmeno i baffi. Scena iniziale in una casa che fa pensare ad Escher, con gente che sale e scende per scale, entra in stanze da una porta per uscirne da un'altra. Capiamo subito che in questa residenza c'è del torbido, tanto è vero che, alla fine della sequenza, una serie di spari sottolinea quello che sarà solo il primo di una lunga serie di omicidi. Titoli di testa, ancora a fumetti, stessa mano del precedente episodio ma il protagonista è il commissario - e la musica è sempre dell'ottimo Henry Mancini.

E poi abbiamo il commissario Charles Dreyfus (Herbert Lom), che già odia Clouseau, il quale non fa quasi in tempo ad apparire sullo schermo che già cade in una fontana. E come torna a casa c'è Kato ad accoglierlo. Da notare che la bella della storia, Maria Gambrelli, è interpretata da Elke Sommer, berlinese, il che potrebbe sembrare strano, ma dopotutto la Sommer aveva iniziato la sua carriera proprio da noi, partecipando a film come La Pica sul Pacifico (!), L'amico del giaguaro, e persino Urlatori alla sbarra (con Chet Baker).

Questa la bella sequenza iniziale sopra citata, accompagnata da "Shadows of Paris", musica di Henry Mancini, testo di Bob Wells (forse più noto per aver scritto il testo di The Christmas song, canzonetta natalizia cantata da poco meno che tutti - da Tony Bennett ai Manhattan Transfer):

La pantera rosa

Dovrebbe essere una commedia sofisticata svisata da un soffio di follia ma, nonostante il peso degli interpreti che stanno dalla commedia di alto bordo (David Niven, Capucine, Robert Wagner, Claudia Cardinale), il successo di pubblico è andato tutto per la parte folle, sostenuta praticamente dal solo Peter Sellers, che qui dà vita al personaggio dell'ispettore Jacques Clouseau.

Geniali i titoli di testa, con la pantera rosa cartone animato che diventerà il vero simbolo della serie, oltre che a trasbordare in una serie di animata altrettanto memorabile, e sottolineati dall'indimenticabile brano di Henry Mancini che è ormai nelle orecchie di tutti. Regia e sceneggiatura di Blake Edwards che va un po' a strappi, forse a causa del tentativo di conciliare due generi che non stanno benissimo assieme.

La storia non è eccezionale: una nobile (vagamente indiana - interpretata in modo poco plausibile dalla Cardinale) è fuggita in Italia dove vive gozzovigliando tra Roma e Cortina. Dalla sua ha un diamante di inestimabile valore, la pantera rosa del titolo, e il fascino della nobiltà esotica. Niven è un ladro gentiluomo che la vuole alleggerire del gioiello, e che usa la sua amante, Capucine, per compiere una lunga serie di furti. Già perché ella ha sposato l'ispettore Clouseau, concedendogli poco ed estorcendogli molte informazioni. A complicare la vicenda arriva pure Wagner, nipote scapestrato di Niven.

A stravolgere la scena ci pensa l'ispettore più pasticcione della storia del cinema, che qui risulta sconfitto nel finale (perde l'amata moglie, gli scappa il ladro che insegue da una vita, e finisce addirittura in galera) ma si rifarà, a furor di popolo, negli episodi successivi.

Tra le scene memorabili ce n'è una senza Sellers, ma lo stesso molto divertente: Niven e Wagner stanno per rubare la Pantera Rosa. Entrambi sono vestiti da gorilla (sono ad una festa in costume - una delle tipiche feste distruttive dalla Edwards, come non pensare a Hollywood party o Colazione da Tiffany), entrano nella stanza della cassaforte che la custodisce - una assurda cassaforte a doppio accesso - e cercano entrambi di aprirla, ognuno all'oscuro della presenza dell'altro. Una buffa variazione di una classica scena comica, quella dello specchio rotto, vista ad esempio ne La guerra lampo dei fratelli Marx.

Anything for her

Primo lungometraggio diretto da Fred Cavayé, che ne ha anche curato la sceneggiatura assieme a Guillaume Lemans. Film francesissimo, dunque. Ambientato a Parigi, con personaggi molto francesi. Perché il titolo inglese, dunque? Probabilmente perché i distributori italiani hanno pensato di spacciarlo per americano, o forse perché sono stati così pigri da lasciare il titolo internazionale inglese. Curioso, anche perché nel DVD si può scegliere solo tra la versione originale francese o il doppiaggio italiano. A questo punto perché non usare il titolo francese Pour elle?

Non è stato distribuito nelle sale italiane e, come spesso accade ai titoli francesi da noi, ha guadagnato una certa notorietà solo dopo che negli USA ne è stato fatto un remake, The next three days, molto fedele all'originale.

Interessante vederli entrambi, dunque, possibilmente a distanza ravvicinata. Direi che Paul Haggis ha messo il silenziatore ai sentimenti (ad esempio nella sua versione sparisce il fratello del protagonista) e ha sottolineato gli effetti spettacolari e polizieschi della trama (creando una sorta di vicenda parallela che segue il percorso investigativo, quasi assente nell'originale).

Difficile dire quale sia il risultato migliore, questione di gusti. A me è piaciuto di più sia lo sviluppo della storia sia il cast dell'originale francese, con Vincent Lindon nei panni del marito che non si rassegna all'ingiusto arresto della moglie (qui interpretata da Diane Kruger).

Bella anche qui la colonna sonora (Klaus Badelt).

Terminator Salvation

Deciso cambio di rotta nel quarto episodio della serie di Terminator, al punto che forse conviene pensarlo come primo episodio di una seconda serie. Cambia praticamente tutto, produzione, regia (McG), protagonisti (Schwarzy assente giustificato appare prestando il volto per pochi secondi). Mantenuti due degli sceneggiatori originali (Brancato & Ferris) ma affiancati da niente meno che Jonathan Nolan e Paul Haggis. E, tanto per gradire, Danny Elfman ha curato la colonna sonora.

Atmosfere più cupe, temi più seri, tentativo di dare una maggior coerenza ad una storia indifendibile. Tutto sommato un risultato accettabile.

Il percorso principale dei personaggi è quello delineato dai precedenti episodi, con John Connor (Christian Bale - rafforzando quindi il legame con la serie di Batman) alle prese con la guerra contro le odiate macchine, e che deve fare i conti con le predizioni materne e dei precedenti Terminator che ha incontrato. Però si crea una traccia alternativa, determinata da uno strano personaggio uomo-macchina (Sam Worthington) che finisce per scompaginare le certezze manichee (uomini = buoni / macchine = cattivi) già messe in discussione, anche se in maniera embrionale, nei precedenti episodi dal Terminator "buono" di Schwarzenegger. Questa visione viene rafforzata dai personaggi ai vertici dell'esercito umano (con a capo Michael Ironside) che si comportano in modo disumano, fornendo l'assist a Connor per una batutta chiave del film: se ci comportiamo come macchine, che senso ha combatterle?

Terminator 3 - Le macchine ribelli

La produzione decide che quanto detto nei precedenti episodi di Terminator può essere contraddetto allegramente (dopotutto, perché no?) e tira fuori dal cilindro un nuovo episodio. Cameron decide che non gli va di girarlo, e perciò viene preso per curare la regia Jonathan Mostow. Da notare che anche il ruolo di Sarah Connor sparisce nel nulla perché pare che Linda Hamilton fosse rimasta scontenta del poco spazio a disposizione del suo personaggio. Poco male, la fanno morire di leucemia e con dispersione delle sue ceneri in mare.

Non male Arnold Schwarzenegger nel ruolo di un cyborg sempre meno all'altezza della concorrenza (variante significativa: ora se la deve vedere contro una super (s)terminatrice - Kristanna Loken). Spero che gli offrano qualche altro ruolo così, ora che si è deciso a mollare la politica.

Poco da dire sulla trama: soliti inseguimenti, sempre più distruttivi. Il giorno del giudizio, scampato nel precedente episodio, arriva qui. John Connor accetta il suo destino (che a seconda dell'umore corrente degli sceneggiatori è predeterminato o no) e prende le redini della resistenza.

Terminator 2 - Il giorno del giudizio

Scritto, diretto e prodotto da James Cameron, sembra a tratti più un remake che un sequel del primo Terminator, come se Cameron abbia voluto rifarlo con un budget più in linea con quella che era la sua idea iniziale. Gran parte dei difetti del primo episodio, in effetti, non li riscontro più qui. Persino Schwarzie si mantiene più sulla parte.

Purtroppo assieme ai difetti se ne va anche l'interesse della storia, tenuta qui a galla dall'arrivo di un nuovo terminator più evoluto e dall'idea che sarebbe possibile cambiare il futuro, impedendo la generazione delle macchine. Cosa ancora più autocontraddittoria di quanto visto nel primo episodio, a ben vedere. Tanto per dirne una, come può essere nato il figlio di Sarah Connor se il padre non può fare il viaggio nel tempo in modo da generarlo? Ma non è questa la cosa peggiore del film, a mio parere, quanto un abuso di armi e uno smaccato puntare al mercato minorile (con un John Connor ragazzetto insopportabile).

Terminator

Colonna sonora abbastanza terribile; Arnold Schwarzenegger nel ruolo del titolo che dà il suo meglio quando riesce a mantenere la sua famosa inespressività - purtroppo a volte tenta di "interpetare il personaggio", rovinando l'effetto; inseguimenti e sparatorie alla starsky & hutch; sceneggiatura un po' ballerina; effetti speciali mediamente pietosi (vabbé, roba di trent'anni fa). Più che il futuro apocalittico mostrato a sprazzi, ho trovato angosciante la rappresentazione di quello che era il presente di metà anni ottanta a Los Angeles.

Film salvato dall'idea alla base della sceneggiatura (in parte di James Cameron, anche alla regia), autocontradditoria ma non priva di un suo fascino perverso. Nel futuro le macchine prendono il potere, gli umani resistono e sembra che riescano a domare la rivolta, ma le nostre creazioni ribelli escogitano un piano bizzarro per ribaltare la situazione: mandano nel passato un terminator (anzi "il" terminator, come dice il titolo originale) per uccidere la madre del capo della resistenza. Un umano lo segue per bloccare la sua missione. Tutto ciò crea un incomprensibile paradosso, dato che Sarah Connor non avrebbe generato il suo figlio prodigioso se non ci fosse stato questo tentativo di eliminarla. D'altro canto, non è pensabile che non si svolgerà (si fosse svolta?) la missione, dato che il tizio esiste (esisterà?). E che dire di suo padre, che dev'essere (sarà? era?) più o meno suo coetaneo?

Moon

Esordio cinematografico di gran classe per Duncan Jones, una sorta di summa del cinema di fantascienza di fine novecento rivista alla luce di tematiche contemporanee quali lo strapotere delle multinazionali.

Il basso costo della pellicola non intacca la qualità del prodotto, che è basato su una solida sceneggiatura (sviluppata da Nathan Parker a partire da un soggetto dello stesso Jones) e fa buon uso di una eccellente colonna sonora (Clint Mansell), di un valido protagonista (Sam Rockwell - già Zaphod Beeblebrox nella versione cinematografica della Guida galattica per autostoppisti) e addirittura la voce di Kevin Spacey.

Verrebbe da malignare che se non avesse avuto come padre David Bowie forse Duncan Jones avrebbe avuto qualche difficoltà a mettere assieme un cast simile. Però, visto il risultato, non ci si può lamentare.

Lunga la serie delle citazioni che vengono fatte - Spacey dà la sua voce a GERTY, una sorta di HAL (2001 Odissea nello spazio) ma decisamente più simpatetico con gli umani; Rockwell vive da solo su una base lunare che mi ha fatto pensare a Spazio 1999 (serie anglo-italiana anni 70) badando, tra l'altro, alle sue piante come Bruce Dern in Silent running (da noi titolato 2002 la seconda odissea), una certa atmosfera da incubo con relative apparizioni fa pensare a Solaris, ma la seconda parte stravolge tutti i presupposti, muovendo la storia verso una conclusione inaspettata.

The next three days

Buona l'idea di partenza, scippata ai francesi (Pour elle - Fred Cavayé), piacevole la colonna sonora (Danny Elfman e molti brani di Moby, The Lake e anche una canzone - credo - di Billy Idol), notevole il cast con Paul Haggis alla regia, sceneggiatura, produzione, Russell Crowe protagonista, e una particina per Liam Neeson (molto bravo, peccato che abbia davvero pochi minuti). Ambientazione a Pittsburgh perlomeno inconsueta.

Eppure, a mio parere, il film non decolla. Una sola la scena mozzafiato, quando la protagonista (Elizabeth Banks - poco spazio per lei nel film) tenta il suicidio ma viene fermata dal marito (Crowe) con relativa carambola automobilistica. Siamo infatti dalle parti del cinema d'azione, con tanto di cronometro che scandisce i secondi di un piano millimetrico ordito da Crowe per salvare la sua famiglia, che riesce a reggere nonostante gli immancabili contrattempi.

Credo che l'originale francese, non potendo contare su di un budget così elevato come questa versione americana, e dovendo quindi puntare più sui sentimenti, risulti più interessante.

È ricca, la sposo e l'ammazzo

Film che m'è tornato in mente vedendo Accadde una notte, rimuginando sulla scena del matrimonio, dove il padre convince la sposa a scappare mentre la porta all'altare. Qui, invece, ad accompagnare la sposa è il di lei legale, che cerca di convincerla, inutilmente, a non sposarsi, sotto lo sguardo esterefatto del promesso sposo.

Il titolo originale, A new leaf, punta tutto sull'understatement e devo dire che anche se il titolo italiano ne tradisce completamente lo spirito, mi è simpatico. Si tratta dell'opera prima di Elaine May che ha scritto la sceneggiatura (non originale), diretto e interpretato nel ruolo principale il film, affiancata da un superbo Walter Matthau e da un buon cast di comprimari.

Pare che la buona riuscita del film sia dovuta all'intervento dei produttori che, esasperati dalla May che lasciava passare mesi in post-produzione, si sono impossessati della pellicola, l'hanno sforbiciata (a tratti rudemente) di una ora abbondante, e le hanno dato un taglio più leggero rispetto a quella che era l'impostazione originale.

La versione che ci è pervenuta inizia con Matthau al capezzale del suo amore, una sfavillante Ferrari che patisce il traffico newyorkese al punto di richiedere costose e continue visite da meccanici di gran lusso. Tipicamente Matthau interpreta personaggi trasandati e ben poco interessati alle apparanze, qui è invece quasi un dandy, sempre vestito di tutto punto, con un solo interesse nella vita: vivere da ricco. Purtroppo per lui il capitale paterno finisce pochi minuti dopo l'inizio del film e deve prendere una decisione drastica: suicidio? Quasi peggio: sposare una donna ricca. Deve fare alla svelta, prima che la catastrofe economica lo travolga, e le possibili candidate hanno "difetti" per lui intollerabili (una, ad esempio, è molto attirata dal sesso, cosa che lo getta nel panico). Fortuna vuole che incontra la May, una ricca ereditiera che ha la botanica come unica passione della sua vita. La poverina è del tutto incapace di affrontare la vita, e nei circoli che frequenta finisce per fare da tapezzeria. Per Matthau vederla e concepire il piano icasticamente rappresentato dal titolo italiano è una cosa sola. Grazie al cielo le cose vanno a finire in modo diverso.

Tron: Legacy

Nell'originale di trent'anni fa la storia era poco più di un pretesto per giustificare l'idea di Lisberger di portare sul grande schermo i videogames. Qui invece viene sviluppato qualcosa di più solido, a tratti fin troppo, al punto che più di una volta m'è venuto da pensare "troppa trama!" mentre Jeff Bridges (protagonista anche qui) ragionava (o sragionava, a seconda dei punti di vista) sugli eventi.

Nel primo episodio Bridges combinava tutti quegli sconquassi per soldi. Questa volta (i tempi sono cambiati) suo figlio (Garrett Hedlund) fa il paladino del software libero a cavallo di una (magnifica) Ducati sabotando la sua stessa azienda, una sorta di Microsoft, avuta in eredità dal padre misteriosamente scomparso decenni prima.

Ci vuol poco a capire, per chi abbia visto l'episodio precedente, che Bridge è tornato nel computer. Hedlund lo capisce venendo a sua volta sparato nello stesso mondo, dove incontra l'avatar paterno, diventato cattivo ma restato giovane, e poi il padre vero e proprio, diventato più saggio e pure più vecchio. Temi interessanti ce ne sarebbero pure, tipo il conflitto tra bene e male in una stessa persona (tema quasi tabù per una produzione Disney come questa), la relazione tra padre e figlio, una certa valutazione critica dell'approccio alla realtà proprio delle filosofie orientali, eccetera eccetera. Come dicevo, fin troppa grazia rispetto al vuoto compresso del Tron originale. Però mi sono sembrati trattati in modo poco coinvolgente, per dire noioso. Divertenti le svariate citazioni, a dire il vero non so quanto volontarie, di svariati film dello stesso genere, in particolare Guerre Stellari.

Punto forte della produzione la colonna sonora dei Daft Punk.

Tron

Interessante come reperto storico, credo sia il primo caso di matrimonio tra videogiochi e cinematografia, ma francamente evitabile per lo spettatore medio.

Ai tempi gli effetti speciali dovevano apparire strepitosi, adesso lasciano perplessi. Ma il lato peggiore è rappresentato dalla storia, evidentemente Steven Lisberger, che l'ha scritto e diretto, non ne era molto interessato, e ha puntato tutto sull'uso della grafica computerizzata. In poche parole, un programmatore (Jeff Bridges) viene fagocitato da un computer. Per uscirne vivo dovrà combattere contro un programma maligno che vorrebbe addirittura assoggettare l'intera umanità.

Dirk Gently

Film per la televisione da un ora netta tratto da "Dirk Gently. Agenzia di investigazione olistica", romanzo di Douglas Adams (primo e ahimé penultimo episodio della serie dedicata a questo bizzarro investigatore).

A causa dei ristretti tempi (e budget, temo) la storia originale è stata sfoltita e semplificata in modo a dir poco brutale, dando allo spettatore solo una pallida immagine di quello che è il romanzo.

Regia (Damon Thomas) televisiva, interpretazioni decenti ma certamente non memorabili (Stephen Mangan protagonista). Si tratta comunque di una piacevole visione, che mi ha fatto venir voglia di rileggere il libro.

Rapunzel - L'intreccio della torre

Tipica storia Disney, ma con un tocco più spregiudicato. La fiabia di Raperonzolo (o Prezzemolina) è stata pesantemente adattata dagli sceneggiatori, rendendola a tratti un po' confusa, ma mantenendo comunque un suo interesse.

La grafica è superba, anche se mi pare ci sia da lavorare un po' sui movimenti degli umani, che nelle scene più concitate mi sono sembrati poco naturali. Ho trovato leggermente fastidiosi i giganteschi occhi della protagonista e non sono particolarmente un fan degli intermezzi cantati, in puro stile musical, ma si sa - Disney è così.

Numerosi i riferimenti a precendenti lavori della casa (e anche altri). Curioso che il titolo originale sia "Tangled", qualcosa come "aggrovigliati" (come sarebbero i due protagonisti, dai capelli di lei) o "complicata" (come è la storia che viene narrata).

From Prada to nada

Visto soprattutto per il titolo decisamente ben scelto. Scoperto nei titoli di testa che gli sceneggiatori si sono ispirati a Ragione e sentimento di Jane Austen che, nel genere, è una garanzia. E infatti la storia in sé regge. Simpatica anche l'idea di trasferire l'ambientazione a Los Angeles, in una famiglia messico-americana, introducendo così il tema dell'identità chicana. Terribile la regia (Angel Garcia) nei primi minuti, per fortuna poi si riprende e diventa tutto sommato accettabile, con qualche sequenza anche rimarchevole. Cast scarsotto, da cui si salvano, a fatica, Camilla Belle (la sorella "Ragione" - "Sentimento" è Alex Vega) e alcuni personaggi secondari.

Le due giovini sorelle vivono nei lussi losangelini, ma l'improvvisa morte del padre le getta in miseria. Si trasferiscono da una zia, a East Los Angeles, quartiere a predominanza ispanica (e popolare) dove inizialmente sono pesci fuor d'acqua (non parlano spagnolo). Seguono intrecci da commedia romantica, fino alla soluzione finale.

Parto col folle

Sorta di remake di Un biglietto per due, film di una ventina di anni in cui si affrontavano Steve Martin e John Candy, diretti da John Hughes. Qui invece i protagonisti sono Robert Downey Jr. e Zach Galifianakis, alla regia c'è Todd Phillips e il risultato finale mi sembra decisamente inferiore. Viene da chiedersi perché mai Downey Jr. si presti a fare cose del genere.

La storia è piuttosto comune, due tizi completamente diversi sono costretti a fare qualcosa assieme (in questo caso un lungo viaggio in automobile). Inizialmente uno dei due disprezza apertamente l'altro, alla fine finisce per accettare le sue peculiarità e diventano pure amici.

Trattandosi di commedia, la cosa regge se fa ridere. Io ho riso due volte in tutto il film, un po' pochino. Sul lato positivo c'è da dire che è un film ben recitato, soprattutto da Downey Jr., con un buon cast, tra cui Michelle Monaghan (già con Downey in Kiss Kiss Bang Bang).

D'altro canto i personaggi principali sono caratterizzati in modo di essere a dir poco sgradevoli e incontrano lungo la strada una serie di individui che sono anche peggio.

Giardini di pietra

Coppola torna sul tema del Vietnam, ma lo affronta dalla prospettiva di chi, volente o nolente, resta a casa.

Il punto di vista principale è quello di un militare pluridecorato (ben interpretato da James Caan) fondamentalmente contrario a quella guerra, in quanto la giudica impostata in modo errato. Seguiamo anche (e forse soprattutto) la vicenda di una giovane recluta (D.B. Sweeney), figlio di militare e dalla cultura profondamente militaresca che vuole ardentemente andare in Vietnam perché ritiene che sia per lui il posto giusto dove essere. L'esperienza diretta - che ci viene riportata solo dalle sue lettere alla moglie e la sergente - gli farà cambiare idea.

Parte rilevante per Anjelica Huston, nel ruolo di una giornalista del Washington Post contraria alla guerra ma che finirà per sposarsi con Caan.

La guerra lampo dei fratelli Marx

Una ricca vedova condiziona un ingente prestito a Fridonia, staterello europeo sull'orlo del collasso economico, alla presa del potere di Groucho Marx. Questi, come entra in carica, promulga una serie di leggi insensate e guida il Paese allo sfascio. Come se non bastasse, l'ambasciatore della confinante Sylvania briga per annettersi lo sfortunato Paese, usando numerose spie, tra cui Harpo e Chico Marx, i quali passano indifferentemente da una parte all'altra. Segue guerra che verrà conclusa da un lancio di frutta. Un affare davvero semplice, come indica il titolo originale "Duck soup".

I Marx sostenevano che il film fosse solo una raccolta di gag, ma in Italia e Germania (chissà perché) fu vietata la circolazione dell'opera.

Moltissime le battute fulminanti diventate patrimonio comune:

- Ti ho visto uscire con i miei occhi!
- TI fidi di me o dei tuoi occhi?

- Signori, Chicolini parla forse come un idiota, e sembra pure un idiota. Ma non lasciatevi ingannare, è davvero un idiota.

Come pure le scene. In una Harpo e Chico hanno una discussione animata con uno sfortunato venditore di limonata che si risolve in un frenetico scambio di cappelli.

In un'altra Harpo e Chico si travestono entrambi da Groucho (in pigiama), Harpo rompe uno specchio, Groucho si trova di fronte a un suo doppio che non lo convince, inizia a fare movimenti bizzarri, non riuscendo però a cogliere in fallo Harpo, se non quando il terzo Groucho piomba sulla scena.

La guerra in sé è poi un compendio di tutte le guerre, Groucho cambia continuamente tenuta, vestendosi anche da Davy Crockett, un po' come dire che tutte le guerre sono assurde, come quella tra Freedonia a Sylvania.

An education

Sceneggiatura scritta da Nick Hornby ma basata su di un racconto breve e autobiografico di Lynn Barber, regia di Lone Scherfig (Italiano per principianti) non particolarmente convincente, un cast anglo americano che include Carey Mulligan (che un po' mi ha ricordato Keira Knightley - le due hanno recitato assieme in Orgoglio e pregiudizio - e un po' Audrey Hepburn), Alfred Molina e Peter Sarsgaard.

Come lascia intendere il titolo, il tema è la formazione di una giovinetta, e pure l'educazione in genere. A che serve avere una buona educazione? Emma Thompson, che ha il piccolo ma incisivo ruolo della direttrice scolastica, dà a Carey Mulligan una serie di motivazioni francamente demotivanti. Molina, padre, riesce a fare anche peggio. Sarsgaard sembra dire che non serve a un tubazzo. Fortuna che Olivia Williams (qui insegnante, vista di recente in L'uomo nell'ombra) sostiene una tesi diversa, che alla fine risulta vincente.

Accadde una notte

Questa volta non è colpa del distributore italiano se il titolo non quaglia molto con il film, visto che si tratta di una traduzione letterale dell'originale: It happened one night. Il racconto da cui è tratto ha un titolo più azzeccato, Night bus, dato che è proprio l'autobus di linea da Miami a New York (Greyhound, se non erro) a fare da motore alla vicenda.

In realtà la storia originale non doveva essere un granché, e infatti Frank Capra faticò a trovare i protagonisti, visto che i nomi che aveva in mente come la leggevano scappavano orripilati. Colpo di fortuna volle che Clark Gable venne costretto dai suoi produttori ad accettare la parte, come punizione per i suoi atteggiamenti da star. Nemmeno Claudette Colbert sembra che fosse particolarmente felice di partecipare al film che, oltre tutto, venne girato con un budget estremamente basso.

Iniziano le riprese. I protagonisti si odiano cordialmente, la storia pare debole, poche riprese possono essere fatte in studio, per carenza di fondi. La situazione sembra disperata, ma è proprio in queste situazioni che i grandi, come Capra, danno spesso il loro meglio.

La Colbert fa la star? Ottimo, visto che recita una ricca rampolla viziatissima. Non sopporta Gable che la ricambia con la stessa moneta? Ancora meglio, proprio nello spirito della commedia. Le star protestano per la pochezza della sceneggiatura? Capra ne ammette le debolezze e la modifica al volo. Il budget basso crea una sorta di cameratismo nel cast, che finisce per conquistare anche le star, dando quel tipico calore che ritroveremo in molte altre pellicole dello stesso regista.

Il film risulta essere una miniera di scene memorabili, al punto che, avendolo visto decenni fa, nel rivederlo sono stato sorpreso dal fatto che appartenessero tutte allo stesso titolo. Pensavo che venissero da almeno due o tre fonti diverse.

Scena iniziale: la viziatissima Colbert è in pieno sciopero della fame (nota: siamo negli anni '30, piena crisi - molti non mangiano perché non hanno scelta). Il padre fa portare nella di lei cabina due vassoi pieni di leccornie da due marinai, che vengono fulminati da una occhiataccia della Colbert. In pochi secondi capiamo quanto possa essere terribile la ragazza.

Scena successiva, viene introdotto Gable: ubriaco, mentitore, attaccabrighe, ma capace di mobilitare folle con una risposta giusta al momento adatto. Segue cozzo immediato tra le due personalità molto forti, con conseguente tregua dovuta solo alle circostanze (ultimo posto da spartirsi sull'autobus).

Entrambi vanno a New York, lei per incontrare il bellimbusto che ha sposato per far dispetto al padre. Il viaggio continua tra traversie e battibecchi, fino ad una forzata interruzione nel mezzo del nulla a causa di piogge torrenziali. I passeggeri trovano alloggio in un motel, e i due compagni forzati (Gable ha scoperto che la Colbert è una ereditiera in fuga e le ha proposto di aiutarla nel viaggio in cambio dell'esclusiva per il suo giornale) trovano alloggio per la notte in un motel.

E arriviamo ad una delle scene più famose: le mura di Gerico. I due si spartiscono una stanza, divisa da una coperta che, assicura Gable, sarà inespugnabile, dato che lui non ha una tromba da suonare per farla cadere.

Bello il movimento della camera che il mattino successivo accompagna la Colbert a fare la doccia, in comune con tutti gli altri. Seguiamo l'ereditiera che entra nella misera vita comune del tempo. Anche qui, senza bisogno di parole, Capra finisce per dirci molto, con gran semplicità, mirando al cuore.

Dopo pochi minuti c'è un'altra scena memorabile. Il viaggio in pullman è ripreso, e alcuni viaggiatori suonano e cantano per far passare il tempo. Poco alla volta tutti si associano alla canzone, trasformando un gruppo casuale di viaggiatori in una comunità. Da notare che qui Gable se ne sta buono sullo sfondo, a fare il coro mentre anonimi viaggiatori si prendono il loro minuto di celebrità cantando una strofa.

Segue un piccolo incidente, i due fuggitivi abbandonano il pullman e proseguono a piedi, non prima che Gable abbia spaventato a morte un tale che pensava di essere furbo fingendosi un violento malavitoso che ha rapito la Colbert (anche questa una scena da ricordare). Passaggio del fiume con diatriba tra i due su cosa voglia dire portare una persona piggy-back (alla cavallina) e successiva notte in pagliaio.

Ennesima scena strafamosa: al mattino cercano un passaggio in macchina. Gable è convinto di avere un metodo perfetto per farsi caricare, ma non funziona. La Colbert risolve il problema in un secondo, mostrando una gamba alzando la gonna. Da notare che, da brava star, la Colbert non voleva girare questa scena. Capra le diede ragione si mise a lavorare con una controfigura. Tanto bastò a far cambiare idea alla Colbert. Gable qui recita sgranocchiando carote. Pare che l'idea di Bugs Bunny, quel terribile coniglio, sia nata proprio da questa scena (!).

Un folle autista canterino dà ai due un passaggio, cerca di rubare la valigia di Gable, che ruba invece lui la macchina e premette alla coppia di giungere in vista di New York. Segue una incomprensione tra i due piccioncini - pensano entrambi di essere stati ingannati dall'altro/a durante una seconda notte divisi dal muro di Gerico - che porta a una rottura che sembra definitiva.

Altri dettagli interessanti che però tralascio (il post sta diventando fin troppo lungo) e arrivo alla penultima scena molto nota. La Colbert sta confermando il suo matrimonio con una seconda cerimomia, il padre la accompagna convincendola a scappare (!!).

E, finalmente, sentiamo suonare una tromba e cadere la coperta di Gerico.

Il signore degli anelli - Il ritorno del re

Mi pare che il terzo episodio de Il signore degli anelli sia quello venuto meglio, soprattutto se confrontato all'episodio di mezzo che ho trovato poco convincente.

Anche in questo caso sarebbe meglio guardare l'edizione estesa - per una durata superiore a quattro ore - dato che il taglio per le sale ha finito per eliminare alcuni dettagli che rendono certi passaggi oscuri.

Il signore degli anelli - Le due torri

Secondo episodio delle avventure di hobbit e amici, che ho trovato meno appassionante del primo.http://www.blogger.com/img/blank.gif

Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello

Titolo lungo per film dal metraggio corrispondente, e sarebbe meglio vederselo nell'extended edition del DVD che ne porta la durata a più di tre ore e, meglio ancora, leggersi prima il librone originare di JRR Tolkien da cui è tratto per riuscire ad avere un'idea di quello che stia accadendo. Oppure guardarselo senza preoccuparsi troppo dei dettagli.

Personalmente ne avrei preferito una versione animata, tipo quella del 1978 che però fu un fiasco per ragioni economiche. Usando tecnologie attuali, tipo quelle usate per Avatar, per intenderci, probabilmente il risultato sarebbe migliore.

E poi la durata è contemporaneamente eccessiva (per lo spettatore interessato all'azione ma poco al racconto originale) e troppo breve (per chi avrebbe avuto la curiosità di vedere traslato sullo schermo parti che nel film sono state bellamente eliminate).

Indiscutibile il successo commerciale.