Kubo e la spada magica

Quarto lungometraggio (*) della Laika, dopo Coraline e la porta magica (2009), ParaNorman (2012) e Boxtrolls - Le scatole magiche (2014).

Questa volta si è scelto di ambientare la storia in un Giappone medioevale fantastico, forse per omaggiare lo Studio Ghibli, in cui i normali cittadini non si inquietano se accadono fenomeni inspiegabili, anzi, li accettano come se facessero parte della loro quotidianità. Numerosi i riferimenti ad altre narrazioni fantasy, tra cui m'è sembrata spiccare quelli alla saga di Harry Potter (**), che comunque sono al servizio di una storia originale ben delineata, con una propria forte identità e un messaggio ben chiaro.

Il protagonista è Kubo, un ragazzino che è figlio di una specie di strega pentita (***) e di un potente samurai (°). I due, nel concepirlo, hanno fatto arrabbiare così tanto il padre di lei, Raiden (°°), che ha scatenato contro la coppia le sue due altre figlie (°°°) con lo scopo di accecare Kubo, in modo da staccarlo dal nostro mondo per avvicinarlo al suo. Il piano riesce solo a metà, e Kubo è portato in salvo dalla madre in una località recondita.

Il piccolo Kubo diventa un valente cantastorie, grazie anche al fatto che la forza dentro di lui è grande (#) e quindi riesce a creare origami che prendono vita al suono della sua chitarra (##). Un caso particolare fa sì che lui trasgredisca a un comandamento materno, e causi quindi l'arrivo delle sue terribili zie, col che parte per davvero la vicenda, in cui lui dovrà recuperare un'armatura magica e scontrarsi con suo nonno.

Colonna sonora giapponesizzante di Dario Marianelli impreziosita da una versione in tema di While my guitar gently weeps, proprio quella di George Harrison, cantata da Regina Spektor sui titoli di coda.

(*) Tutti e quattro realizzati in stop-motion con l'aggiunta di effetti speciali in CGI.
(**) La voce inglese dell'antagonista è quella di Ralph Fiennes, tanto per dirne una.
(***) Disegnata pensando alla voce di Charlize Theron.
(°) Matthew McConaughey, che per noi diventa Neri Marcorè.
(°°) Ralph Fiennes
(°°°) Che parlano nell'originale entrambe con la voce di Rooney Mara.
(#) Un po' Harry Potter un po' Luke Skywalker.
(##) In realtà trattasi di strumento giapponese a tre corde, da cui il titolo originale del film, Kubo and the two strings, che è molto significativo nello svolgimento della trama, mentre la spada magica ha una parte trascurabile.

Genius

Fino all'altro giorno, se pensavo ad un personaggio che di mestiere fa l'editor, mi veniva in mente solo il dottor Cavedagna in Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979) di Italo Calvino. Ancor più difficile, pensavo, mettere un carattere di questo genere, che necessariamente lavora sullo sfondo, al centro di una narrazione, specie se filmica. E invece l'operazione riesce piuttosto bene a Michael Grandage, acclamato regista treatrale inglese qui alla sua prima prova cinematografica.

La sceneggiatura (John Logan) è basata sulla biografia di Thomas Wolfe (*) che però è stata pesantemente editata per evidenziare la relazione tra lo scrittore e Max Perkins. A vedere il film sembrerebbe che Wolfe abbia dato alle stampe solo due romanzi, e tutta la sua vita risulta enormemente semplificata e piegata alle esigenze del racconto. Se interessati a come stanno davvero le cose, conviene leggere il testo di partenza.

Thomas Wolfe (Jude Law) è un genio letterario. Il problema è che il romanzo che ha prodotto è fuori dagli schemi editoriali del tempo, e nessuna casa editrice vuole rischiare di scottarsi con un malloppone da mille pagine. Per fortuna, e perseveranza della sua musa e amante Aline Bernstein (Nicole Kidman **), il faldone arriva nelle mani di Maxwell Perkins (Colin Firth), editor noto agli addetti ai lavori del tempo per curare la redazione di gente del calibro di Scott Fitzgerald (Guy Pearce) e Ernest Hemingway (Dominic West). Max, ha un carattere decisamente introverso, il che, vediamo, lo porta a trascurare moglie (Laura Linney) e nidiata di figlie, ma lo aiuta a focalizzarsi sulla lettura dei testi su cui lavora, che divora e riesce ad assorbire con una facilità sorprendente. La sua difficoltà ad aprirsi viene rappresentata visivamente con quello che era un tratto distintivo del vero Perkins, ovvero la tendenza a non togliersi mai il cappello, che qui viene estremizzata al punto che lo vediamo a capo scoperto solo nel finale, quando finalmente riesce a lasciare che le emozioni fluiscano senza filtri.

Max si rende conto della genialità di Tom, e i due riescono ad integrare i loro caratteri alla perfezione. Aiutati anche dal fatto che Max vede in Tom come il figlio maschio che non ha mai avuto, e Tom nei Perkins la famiglia che gli manca così tanto. I problemi vengono dal fatto che i due tendono a trascurare tutto il resto per il loro lavoro. Max se la cava meno peggio, grazie al buon rapporto con la moglie, Tom si mette in una situazione più delicata, sia per la sua irruenza e scarsezza di empatia, sia per la tempestosità della relazione con Aline.

I casi della vita causeranno una fine inaspettata, e in un certo senso deludente, alla vicenda.

(*) Scritta da A. Scott Berg, che ha anche partecipato alla produzione del film.
(**) Ci vorrebbe un altro film per raccontare la loro relazione. Qui, giustamente, s'è deciso di accennarla molto velocemente. Noto solo che la differenza di età tra i due è stata molto limata. Il primo candidato per il ruolo di Wolfe era Michael Fassbender, di qualche anno più giovane, e forse era stata pensata una Aline più attempata.

Mulan

Stanno già lavorando alla versione live action che dovrebbe uscire venti anni dopo essere stato il trentaseiesimo classico Disney (*). Considerando i tempi, la storia ha una impostazione quasi sperimentale, con la protagonista che agisce per buona parte del tempo en travesti.

Mulan è una giovinetta cinese a cui mal si attaglia la rigidezza della società in cui vive. Succede però che gli unni passano la Grande Muraglia e puntano decisi verso la capitale. Ogni famiglia è tenuta a partecipare alla difesa del Paese, fornendo una persona all'esercito. Ma Mulan è figlia unica e il padre è messo male, la vita militare gli potrebbe essere fatale. Mulan decide così di fingersi uomo e partire per la guerra. In suo soccorso arriva uno scarsissimo draghetto, Mushu e un grillo che si assume porti fortuna.

Non è chiarissimo nemmeno a Mulan cosa ella ci faccia nell'esercito cinese, difende l'onore di famiglia e la vita del padre o cerca un modo di realizzarsi? Un bizzarro percorso evolutivo la porterà, forse, a capirci qualcosa di più.

Nel finale casa Disney punta comunque su una normalizzazione della vicenda.

(*) Dopo Hercules (1997) e prima di Tarzan (1999).

Whiskey Tango Foxtrot

Kim Baker (Tina Fey) ha un oscuro lavoretto in una televisione americana a New York, uno sfuggente fidanzato e, quel che è peggio, sembra ormai rassegnata a quella vita. Capita però la guerra in Afghanistan, anche la sua rete deve coprire le notizie con una reporter sul posto e nessuno ci vuole andare. Dopo breve meditazione, decide di prendere l'occasione e vedere cosa le riserva.

L'impatto con la realtà è al limite del catastrofico, con tutto quel che si può immaginare che capiti a dei civili scaraventati in una zona di guerra (*), ma vediamo che Kim, da buon essere umano, si adatta rapidamente alla situazione e finisce per trovare un suo equilibrio. Al punto che l'assegnamento, che doveva essere limitato a tre mesi, sembra estendersi indefinitamente.

Ci sarà però un'altra scena chiave, in cui l'interprete di Kim (Christopher Abbott) le dice, senza girarci troppo attorno, che lei si è evidentemente presa una dipendenza da vita pericolosa (**). Per sua fortuna, lei ci pensa, elabora, comprende e decide di tornare a qualcosa di meno irragionevole.

Pur essendo diretto dal dinamico duo costituito da Glenn Ficarra e John Requa, questo andrebbe considerato a tutti gli effetti un film della Fey, che non solo interpreta la protagonista assoluta (***) ma è anche produttrice. E la sceneggiatura è scritta da un suo fedelissimo, Robert Carlock. E in effetti la distanza da altre cose di Ficarra & Requa (°) è sostanziale. In negativo manca di consistenza, come se la produzione fosse stata indecisa sull'indirizzo da prendere, ci sono momenti in cui sembra di andare verso Animal house (1978) di John Landis, vedasi anche l'indirizzo che non è altro che la sigla WTF (°°) riportata usando lo spelling militare. In positivo c'è una storia interessante, in cui vediamo il punto di vista di una donna in un ambiente che di femminile ha poco. Si impone il confronto con Zero dark thirty (2012) della Bigelow. Là la protagonista arrivava a negare la sua femminilità (°°°) allo scopo di raggiungere l'obiettivo che si era prefissa. Qui Kim non rinnega il suo essere donna, il che la porterà anche a risolvere un piccolo mistero la cui soluzione era preclusa ai maschi.

Tra i comprimari, Margot Robbie è la giornalista di guerra che mostra un lato più mascolino nell'affrontare le situazioni; Martin Freeman il giornalista freelance scozzese (Iain) che parte malissimo, sembra cambiare, poi ricade e infine chissà. Tra Iain e Kim vediamo il prologo di una scena di sesso tra le più divertenti che io mi ricordi. Alfred Molina è un politico afgano in crescita che ha una attrazione per Kim; e Billy Bob Thornton è un memorabile generale dall'eloquio molto fiorito.

(*) Vedasi MASH (1970), modello ineludibile per film di questo genere.
(**) Mi è venuto naturale citare Un anno vissuto pericolosamente (1982) di Peter Weir.
(***) Al resto del cast, che pure funziona molto bene, restano solo le briciole, e praticamente nessun altro ha la possibilità di dare un rilievo al suo personaggio.
(°) Crazy, stupid, love (2011), ad esempio.
(°°) What The Fuck.
(°°°) Definendosi con orgoglio motherfucker.

The hours

La prima volta che ho visto questo film non ci ho capito molto. Ne ho apprezzato la qualità ma mi sono fatto distrarre da dettagli secondari, quali il naso posticcio della Kidman, e ho mancato di empatizzare con i personaggi, credo fondamentalmente per i loro problemi sessuali. Per fortuna il tempo non è passato inutilmente e questa seconda visione mi ha trovato più sul pezzo, con il risultato che me la sono goduta di più.

Pur essendo un film molto al femminile, con un eccezionale terzetto di protagoniste (*), lo leggerei come la storia di Richard Brown (Ed Harris) che tiene insieme le storie delle tre donne. Seguiamo infatti in parallelo la vicenda di Virginia Woolf (Nicole Kidman) che sta scrivendo La signora Dalloway preparandosi anche a lasciare la vita; Laura Brown (Julianne Moore) è invece una casalinga americana depressa che sembra avere l'unica consolazione nella lettura proprio di quel libro della Woolf; Clarissa Vaughan (Meryl Streep) è l'agente letterario di Brown, con cui ha convissuto, prima di dare una svolta alla sua vita e mettersi assieme a Sally Lester (Allison Janney).

Richard è il figlio di Laura, ha appena scritto un romanzo che ricalca le struttura de La signora Dalloway, è sul punto di morire causa AIDS, e vede nella devota Clarissa una reincarnazione dell'eroina del romanzo della Woolf.

Ottimo l'adattamento per lo schermo, grazie sia alla sceneggiatura di David Hare sia alla regia di Stephen Daldry (**). Eccellente la colonna sonora di Philip Glass.

(*) Tra gli innumerevoli premi, Kidman, Moore e Streep hanno condiviso l'orso d'argento per la migliore attrice.
(**) I due hanno collaborato anche per The reader - A voce alta.

Infernet

A Verona, una serie di storie si incrociano lasciando presagire una catastrofe che però, abbastanza inspiegabilmente, viene ammorbidita da un finale relativamente rassicurante.

Don Luciano (Remo Girone) insegna in una classe turbolenta stile Il seme della violenza (1955) ma aggiornato alle nuove tecnologie. Il pugno di ferro con cui tiene a bada i ragazzi è tale da spingerlo a sequestrare il cellulare al più scalmanato della combriccola, anche se solo per pochi secondi. Cosa che però sembra sufficiente per gettare il ragazzotto nel panico. Finita la lezione, Don Luciano se ne guarda bene da intervenire in un atto di bullismo dello stesso teppistello, forse perché gli sembra di aver già fatto la sua parte, o forse perché ha fretta di andare ad un poco chiaro evento in favore di migranti.

Il bullizzato, d'altronde, si fa giustizia da sè, essendo dotato di irrealistiche capacità informatiche, riesce addirittura a incendiare a distanza il pc di chi lo ha vessato, cosa che finisce per farlo apprezzare dai delinquenti in erba, che lo accolgono nel loro gruppo dedito a reati di varia natura.

Nel frattempo un architetto, Giorgio (Ricky Tognazzi) incontra un suo vecchio amico, il tassista Alessio (Massimo Olcese), di cui nota praticamente solo la figlia, Nancy, la quale, all'insaputa del padre, si prostituisce e ricatta pure i clienti per arrotondare le tariffe. Giorgio, nonostante capisca al volo le tendenze della piccola, non dice o fa nulla in proposito, anche perché ha già i suoi problemi a cui pensare, nella veste di una dipendenza da gioco d'azzardo che lo ha riempito di debiti. La moglie, Martina (Daniela Poggi) sa qualcosa, ma pensa di riuscire a tenere sotto controllo la cosa. I due sembrano anche essere genitori molto distratti, essendo loro figlio uno dei bulli di cui sopra.

Ad aiutare come testimonial Don Luciano nelle sue attività c'è un attore di secondo piano, noto per qualche serie televisiva, tale Claudio Ruggeri, interpretato con una certa autoironia da Roberto Farnesi, che però pare partecipare più come modo per promuovere se stesso, e per dar retta alla fidanzata (Elisabetta Pellini), che per un reale interesse personale. Scopriremo più avanti che è attratto da avventure sessuali con ragazzine molto giovani.

Segue una lunga serie di fatti che sembrano presi di peso dalla cronaca nera (*), con l'aggiunta di una crociera sul Mediterraneo di Giorgio e Martina, rapidamente interrotta, e che mi è sembrata avere l'unico scopo di dare spazio ad un munifico sponsor e a un cameo di Katia Ricciarelli.

Giuseppe Ferlito, che ha diretto e co-scritto il tutto, non mi è sembrato essere all'altezza della situazione. La storia m'è risultata indigesta, come pure il livello medio della recitazione, da cui si è relativamente salvato Girone, grazie al mestiere. Gli altri nomi noti se la sono cavicchiata, facendo rimpiangere l'assenza di una regia più presente. Decisamente sottotono Tognazzi, che del resto non direi sia nel suo periodo migliore.

Il riferimento ad internet è poco rilevante. Sarebbe facile spostare l'azione nel passato togliendo ogni accenno a tecnologie moderne. Al punto che il film mi ha ricordato cose che si facevano svariati decenni fa, quando la censura aveva allargato le maglie ma era ancora presente, e allora uscivano film che strizzavano l'occhio nella direzione di Arancia meccanica (1971) ma non avevano nessuna pretesa autoriale, mirando solo a solleticare i bassi istinti. Chiaramente oggi non c'è più questo problema, e dunque mi vien da pensare che l'atteggiamento ambivalente tenuto qui sia dovuto solo ad una confusione creativa.

(*) Violenze, anche sessuali, qualche morto, prostituzione, anche minorile, ricatti, atti di vandalismo, furti, eccetera.