Fino all'altro giorno, se pensavo ad un personaggio che di mestiere fa l'editor, mi veniva in mente solo il dottor Cavedagna in Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979) di Italo Calvino. Ancor più difficile, pensavo, mettere un carattere di questo genere, che necessariamente lavora sullo sfondo, al centro di una narrazione, specie se filmica. E invece l'operazione riesce piuttosto bene a Michael Grandage, acclamato regista treatrale inglese qui alla sua prima prova cinematografica.
La sceneggiatura (John Logan) è basata sulla biografia di Thomas Wolfe (*) che però è stata pesantemente editata per evidenziare la relazione tra lo scrittore e Max Perkins. A vedere il film sembrerebbe che Wolfe abbia dato alle stampe solo due romanzi, e tutta la sua vita risulta enormemente semplificata e piegata alle esigenze del racconto. Se interessati a come stanno davvero le cose, conviene leggere il testo di partenza.
Thomas Wolfe (Jude Law) è un genio letterario. Il problema è che il romanzo che ha prodotto è fuori dagli schemi editoriali del tempo, e nessuna casa editrice vuole rischiare di scottarsi con un malloppone da mille pagine. Per fortuna, e perseveranza della sua musa e amante Aline Bernstein (Nicole Kidman **), il faldone arriva nelle mani di Maxwell Perkins (Colin Firth), editor noto agli addetti ai lavori del tempo per curare la redazione di gente del calibro di Scott Fitzgerald (Guy Pearce) e Ernest Hemingway (Dominic West). Max, ha un carattere decisamente introverso, il che, vediamo, lo porta a trascurare moglie (Laura Linney) e nidiata di figlie, ma lo aiuta a focalizzarsi sulla lettura dei testi su cui lavora, che divora e riesce ad assorbire con una facilità sorprendente. La sua difficoltà ad aprirsi viene rappresentata visivamente con quello che era un tratto distintivo del vero Perkins, ovvero la tendenza a non togliersi mai il cappello, che qui viene estremizzata al punto che lo vediamo a capo scoperto solo nel finale, quando finalmente riesce a lasciare che le emozioni fluiscano senza filtri.
Max si rende conto della genialità di Tom, e i due riescono ad integrare i loro caratteri alla perfezione. Aiutati anche dal fatto che Max vede in Tom come il figlio maschio che non ha mai avuto, e Tom nei Perkins la famiglia che gli manca così tanto. I problemi vengono dal fatto che i due tendono a trascurare tutto il resto per il loro lavoro. Max se la cava meno peggio, grazie al buon rapporto con la moglie, Tom si mette in una situazione più delicata, sia per la sua irruenza e scarsezza di empatia, sia per la tempestosità della relazione con Aline.
I casi della vita causeranno una fine inaspettata, e in un certo senso deludente, alla vicenda.
(*) Scritta da A. Scott Berg, che ha anche partecipato alla produzione del film.
(**) Ci vorrebbe un altro film per raccontare la loro relazione. Qui, giustamente, s'è deciso di accennarla molto velocemente. Noto solo che la differenza di età tra i due è stata molto limata. Il primo candidato per il ruolo di Wolfe era Michael Fassbender, di qualche anno più giovane, e forse era stata pensata una Aline più attempata.
Adesso tocca a me recensirlo.
RispondiEliminaFinale triste... ma è la vita che è fatta così.
Eh sì (sospiro)
RispondiEliminaProprio quando le cose potevano prendere la giusta direzione ...
non che non mi sia piaciuto...
RispondiEliminala scelta dei due personaggi principali poi è particolarmente azzeccata, però in certe parti è decisamente troppo lento, e si sarebbero potute evitare certe parti, indiscutibilmente...
Dissento sia sull'indiscutibilità delle parti evitabili sia sulla eccessiva lentezza. Non tutte le storie devono essere narrate con ritmi mozzafiato.
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