Doctor Who mini-speciale: The night of the Doctor

Nel vedere lo sciagurato film per la televisione del '96, mi sono ricordato di questo mini-speciale pubblicato dalla BBC direttamente sul web come preparazione per lo Speciale del 50°. Se là si mostrava l'arrivo dell'Ottavo Dottore (Paul McGann), qua se ne mostra l'uscita di scena.

Ci viene detto che è in corso una disastrosa guerra (*) tra i Time Lord e i Dalek, mentre il resto dell'Universo ne patisce le conseguenze. L'Ottavo Dottore si è tenuto fuori dal conflitto, ma questo non basta a renderlo diverso agli occhi di chi si vede distruggere la realtà da uno scontro di proporzioni inimmaginabili. In particolare, tale Cass (Emma Campbell-Jones) dice al Dottore che preferisce morire piuttosto di essere aiutata da un Time Lord.
A completargli il quadro della situazione arriva Ohila, che sembra essere a capo della sorellanza di Karn, e gli spiega che solo il Dottore può trovare una via di uscita, e per farlo dovrà prendere una decisione ancora più impossibile del solito.
Ottavo nicchia, nonostante che la sorellanza gli offra una pozione che gli permetterà di guidare il processo di rigenerazione. Ottavo sa che che il successore subirà la damnatio memoriae da parte dei futuri Dottori, nonostante ciò si rende conto che non può fare altro che accettare. Il nuovo Dottore non sarà il Nono, ma un Dottore di cui si perderà a lungo la memoria, che si fa chiamare War Doctor (William Hurt).

(*) Nota amichevolmente come Time War.

Doctor Who

L'ultima avventura del Settimo Dottore (Sylvester McCoy) risaliva al 1989 (*). In BBC si erano convinti che una serie di fantascienza dal budget così limitato non avesse più senso di esistere, e avevano preferito un dignitoso silenzio ad una lenta erosione del pubblico.

Anni dopo arrivano gli americani della Fox e pensano che le avventure del Dottore potrebbero avere un mercato da loro. Però vogliono che la storia abbia i'impronta che loro reputano più adatta, introducendo dettagli che faranno accapponare la pelle ai fan della serie e non riusciranno ad attirare l'attenzione degli spettatori d'oltreoceano. E così ci resta solo questo pilota, a tratti inguardabile, spesso inconsistente, ma che ha qualche passaggio piacevole.

Skaro, pianeta dei Dalek, che pensavamo distrutto, è lì tranquillo nella sua orbita. E i Dalek, non si capisce bene perché, hanno catturato il Maestro, lo hanno sottoposto ad un processo (**) e condannato alla polverizzazione. Il Maestro chiede, come ultimo desiderio, che le sue ceneri tornino su Gallifrey, e che il trasporto sia assegnato al Dottore (***).

Ovviamente tutto ciò è un astuto trucco del Maestro per rubare la TARDIS e la scorta di vite del Dottore. Per motivi poco chiari, il piano richiede che ci si schianti a San Francisco e che la Terra venga distrutta al passaggio dal 1999 al 2000, fuso orario della costa del Pacifico.

Nell'impedire che tutto ciò accada, si passa da Settimo ad Ottavo (Paul McGann), scopriamo che il Dottore ha un genitore terrestre (°), e non gli dispiace sbaciucchiare le nostre donne (°°). Il Maestro, nel frattempo, prende sembianze umane (Eric Roberts) in attesa di ottenere le vite del Dottore, e si tira dietro anche lui un companion (Yee Jee Tso), che non sembra aver alcuna utilità reale nel racconto della storia.

Tutto finisce bene, ma dell'Ottavo Dottore non sentiremo più parlare fino al 2013, quando il mini-episodio The night of the Doctor ci farà vedere come da Ottavo si passa a War Doctor.

(*) Survival, storia in tre episodi, in cui sembra che il suo arcinemico, il Maestro (Master), muoia nella distruzione del pianeta Cheetah.
(**) Cosa che non è proprio nella loro indole. Un Dalek prima stermina e poi fa domande, semmai.
(***) Non riesco a pensare quanto impossibile sia tutto ciò.
(°) Particolare che era ignoto prima, e credo non sia stato usato in seguito, se non per seminare il dubbio che fosse il Dodicesimo Dottore l'ibrido destinato a far cadere Gallifrey.
(°°) Una donna sola, a dire il vero, la dottoressa Grace Holloway (Daphne Ashbrook), che gli fa da companion.

Poirot 3.7: Doppio indizio

[Comunicazione di servizio: Marco Il Bibliofilo mi ha coinvolto nel Best Movie Tag originato da Una vita non basta. Lo ringrazio per l'attenzione e svolgo le incombenze associate in un apposito post altrove.]

Anche questo episodio espande enormemente (*) quello che era un breve raccontino di Agatha Christie, aggiungendo molta polpa, qualche sottotrama, e anche (ohimé) alcune debolezze nello svolgimento. Queste ultime sono controbilanciate dalla solita eccellente cura nell'ambientazione d'epoca (**) e da una colonna sonora originale di tutto rispetto (***).

Come Sherlock Holmes ha Irene Adler, Hercule Poirot (David Suchet) ha la contessa Vera Rossakoff (Kika Markham). Qui si incontrano per la prima volta, e in questa versione Poirot perde per lei la testa più di quanto la Christie aveva scritto. Succede infatti che l'ispettore capo Japp (Philip Jackson) veda lo spettro del licenziamento farsi reale dopo che tre furti di preziosi sono avvenuti tra compagnie altolocate e Scotland Yard non sa che pesci pigliare.

Il quarto furto vede Poirot all'opera, ma solo brevemente. Il nostro detective infatti capisce al volo due cose, che a colpire è stata la contessa, e che lui si è perdutamente innamorato di lei a prima vista. Così, invece di agire, passa il tempo con lei, visitando musei e passeggiando amabilmente.

A disperarsi non è solo Japp, ma anche il capitano Hastings (Hugh Fraser) e Miss Lemon (Pauline Moran), che si chiedono quale sarà il loro futuro se Poirot li mollasse. Abbiamo così modo di vedere all'opera i due assistenti di Poirot come investigatori, con i risultati che ci possiamo immaginare.

Controvoglia, alla fine Poirot risolverà l'inghippo, costruendo una finta soluzione al caso che salverà capra e cavoli, scaricando la colpa su di un vagabondo che, possiamo sperare, non verrà mai rintracciato.

(*) La sceneggiatura è di Anthony Horowitz, alla sua seconda collaborazione poirottesca dopo Il furto da un milione di dollari in obbligazioni. Seguiranno altri nove adattamenti.
(**) Con la despicabile eccezione dell'uso di una torcia elettrica che pare invero molto moderna.
(***) Da notare come Yitkin Seow appaia nel ruolo del pianista invitato alla festa.

Poirot 3.6: La tragedia di Marsdon Manor

Anche in questo caso la concisione del racconto breve di Agatha Chirstie ha spinto lo sceneggiatore (*) a rimpolpare la storia e, già che c'era, anche a cambiare una serie di dettagli, pur lasciando intatte le linee generali.

Hercule Poirot (David Suchet) e il capitano Hastings (Hugh Fraser) sono in trasferta nella campagna inglese, attirati con un equivoco da un albergatore con la passione del romanzo giallo. Poirot sarebbe dell'opinione di segnare il viaggio nel registro delle perdite di tempo e tornare al più presto possibile a Londra, ma il caso vuole che si imbattano nella misteriosa morte di un anziano possidente locale. La prima impressione è quella che a stroncarlo sia stata una emorragia interna, che del resto gli era stata segnalata come spauracchio dal suo medico curante, causata, sembra, da un forte spavento. Essendo in un vecchio maniero inglese, gli spettri abbondano, e la novella vedova (Geraldine Alexander) dice di essere da tempo tormentata dalle apparizioni di una terribile ragazzina defunta tempo addietro.

Lascino ogni speranza gli estimatori del paranormale, la soluzione sarà molto terrena.

(*) David Renwick alla sua quarta e ultima partecipazione alla serie. Sua anche la sceneggiatura di Nido di vespe.

Good: L'indifferenza del bene

John Halder (Viggo Mortensen) è tutto sommato una brava persona presa nel fuoco incrociato delle circostanze. Forse per fargli andare meglio le cose sarebbe bastato che se fosse riuscito a trovare una diversa soluzione al problema della demenza senile di sua madre (Gemma Jones). Vediamo infatti che la sua presenza in casa Halder complica la relazione di John con sua moglie, che a sua volta sembra essere incapace di gestire situazioni troppo complicate.

John, pur non essendo interessato alla politica, reputa il nazismo una disgrazia, e spera che si tratti di un malanno passeggero della società. Preferisce così accontentarsi del suo posto di assistente all'università, in attesa di tempi migliori. Maurice Glückstein (Jason Isaacs *), suo amico di vecchia data che gli offre anche supporto psicologico, è meno ottimista sulla faccenda. Anche perché, essendo di origine ebraica, vive direttamente sulla sua pelle la pressione del momento.

Succede poi che John venga convocato da Philipp Bouhler (Mark Strong), capo della cancelleria (**) del führer. Anni prima, John ha scritto un romanzetto di poche pretese, che però adombrava l'uso dell'eutanasia in un caso molto particolare. La sua prosa piace a Hitler, e così viene scelto per scrivere un testo propagandistico sull'opportunità, ben più generalizzata, della pratica. C'è solo un piccolo intoppo, la mancanza della tessera di partito. Era stato facile per John resistere allo suocero che gli aveva più volte prospettato l'utilità della cosa, non trova però le parole per spiegare a Bouhler la sua avversione al nazismo. Succede così che viene presentato a Freddie (Steven Mackintosh), un alto papavero delle SS, che lo arruola nell'organizzazione, assicurandogli che si tratta di una affiliazione puramente simbolica.

I vantaggi della sua nuova posizione sono immediati. Fa carriera all'università, si separa dalla moglie, e convive con Anne (Jodie Whittaker), procace sua ex studentessa. Ma non riesce a tacitare la sua coscienza, anche perché ha sotto gli occhi la parabola negativa di Maurice. Il suo turbamento interiore trova sfogo in una specie di sogni ad occhi aperti (***), in cui gli pare che la gente che ha attorno di metta a cantare brani di Gustav Mahler.

John non riesce a salvare Maurice (°), si accorge tardivamente di quanto Anne sia un abisso di vacuità, e si trova ingabbiato nell'assurda macchina autodistruttiva del nazismo. Tocco finale, giunto in un campo di sterminio alla ricerca disperata del suo amico, scopre che la realtà supera la sua ossessione, e assiste incredulo allo spettacolo di un orchestra di internati costretti a suonare mentre attorno avviene la tragedia.

Non sono ben sicuro di cosa non mi convinca nel film. La sceneggiatura basata sull'omonima pièce teatrale di C. P. Taylor, mi è sembrata forzata in qualche passaggio. Nonostante il cast sia notevole e funzioni bene, non sono rimasto colpito da nessuna scena in particolare. Magari ci sarebbe voluto un regista dalla mano più decisa, Vicente Amorim ci mette tanta buona volontà ma non direi che lasci il segno.

(*) Hello!
(**) Bouhler è un personaggio storico che ha realmente occupato quella posizione. Molto vicino a Hitler, è considerato tra i principali responsabili per la famigerata Aktion T4, il programma nazista per l'eliminazione fisica di persone con handicap.
(***) Che mi hanno ricordato quelli di Selma, la protagonista di Dancer in the dark di Lars von Trier.
(°) Forse salva un suo omonimo che si trova nel momento giusto al posto giusto, e per il quale potrebbe aver avuto valore la locuzione nomen omen, visto che Glück significa (anche) fortuna.

La corrispondenza

Ed Phoerum (Jeremy Irons) è una brutta persona. Astrofisico geniale fin che si vuole ma manipolativo, egocentrico e megalomane. Aggiungiamoci pure che ha sedotto una sua studentessa, Amy (Olga Kurylenko), giovane, bella, intelligente e atletica, che è diventata sua amante e si accontenta del poco tempo che lui riesce a togliere al suo lavoro e alla sua famiglia per completare un quadretto poco edificante che non può che rendermelo antipatico.

Però ci sono un paio di circostanze che lo salvano. In primo luogo sta per morire a causa di un brutto malanno che non è per niente gentile con lui. E poi è sinceramente e profondamente innamorato di Amy. Questo lo spinge ad ordire un complicato piano volto ad uscire di scena mettendo le cose a posto. Nel senso che, dopo essersi spupazzato la sua bella per sei anni, si è fatto una paio di domande su di lei, (a) cosa l'ha predisposta ad innamorarsi di un uomo con quaranta/cinquanta anni più di lei sulle spalle? (b) perché come lavoretto parallelo agli studi fa la stunt woman in film di una pericolosità al limite dell'assurdo? Ed si è dato delle risposte, che non gli sono piaciute mica tanto. Ovvero, ha capito che Amy ha un grosso problema, che forse la sua morte acuirà.

Cerca così di fare in modo che la sua uscita di scena ottenga il risultato opposto, mettendo Amy in condizione di affrontare le sue paure, e magari superarle. Non è facile orchestrare un piano del genere, in particolare essendo morto. Ed però può contare su una diffusa rete di conoscenti e amici che sono disposti ad aiutarlo in questa folle impresa.

Faccia attenzione lo spettatore a non tirare conclusioni affrettate su questo lavoro di Giuseppe Tornatore, tutta la prima parte del film è piuttosto nebulosa, visto che Ed vuole nascondere a Amy, per quanto possibile, quello che sta accadendo, e ci riesce egregiamente nascondendosi dietro una corrispondenza mediata da diverse tecnologie (*) che impediscono alla destinataria di capire a quando effettivamente risalgano le loro generazioni. Conviene aspettare la seconda parte per azzardare commenti.

Come il precedente La migliore offerta, cast internazionale e girato in inglese (**). Se quello era pensato come storia mitteleuropea, qui siamo più in ambito britannico, anche se l'Italia fa capolino in più punti. Non ho capito perché Orta San Giulio è stata rinominata nel finzione Borgoventoso. Forse per scatenare la curiosità in chi non la conosca?

(*) Dalla vecchia cara lettera, al filmato mandato via posta elettronica o su DVD.
(**) Il doppiaggio spegne necessariamente la recitazione dei protagonisti, Irons in particolare. Mi piacerebbe vederlo in originale.

Poirot 3.5: Nido di vespe

Ancora un racconto breve, che è stato necessariamente rimpolpato (*), per evitare che venisse reso con uno scarno cortometraggio minimalista. Al contrario, la produzione si è sbizzarrita, aggiungendo una festa paesana, una sfilata di alta moda, una corsa in automobile, e persino un ricovero ospedaliero con operazione per l'ispettore Japp (Philip Jackson).

L'aggiunta di materiale, e anche la traslazione di battute verso altri personaggi, non intaccano comunque lo spirito originale del racconto di Agatha Christie. La sostanza della storia non cambia. Hercule Poirot (David Suchet) questa volta non interviene a giochi fatti, ma riesce addirittura a prevenire un omicidio. E c'è da dire che questa volta è più facile del solito empatizzare con vittima e perpetratore. Solitamente si tratta di persone che vivono su di un loro mondo che sembra abbia ben poco a vedere col nostro. Qui, invece, abbiamo a che fare con personaggi relativamente accessibili, che farebbe più dispiacere del solito pensare destinati a morire.

L'apparenza è quella di un triangolo. Il filosofo John Harrison (Martin Turner) è fidanzato con la bella Molly Deane (Melanie Jessop), una top model che si è appena guadagnata la copertina di Vogue. Solo un'anno prima, Molly era fidanzata con Claude Langton (Peter Capaldi), un artista locale, ma qualcosa tra i due non è andato come doveva andare, ne è seguita una rottura e Molly si è messa con John. A complicare le cose, John e Claude sono grandi amici.

Il padre di John è stato uno dei primi amici di Poirot al suo arrivo in Inghilterra, e il nostro investigatore ha una gran simpatia per il giovane Harrison. Quindi, quando ha modo di vedere la meccanica delle relazioni tra John, Molly e Claude, si accorge subito che c'è un pericolo nell'aria. La sua azione riuscirà ad impedire la catastrofe, facendo sì che il potenziale assassino si ravveda e che l'amore trionfi.

Nonostante questo, il finale è ben poco allegro, con l'accettazione della irrimediabilità della fine che domina la morale del racconto.

Fino a questo punto, e per il mio gusto, il miglior episodio della serie.

(*) Questa volta da David Renwick.

Poirot 3.4: L'espresso per Plymouth

Tratto da un racconto breve (*), non tra le migliori cose di Agatha Christie, che è stato qui espanso Rod Beacham e modificato in particolari tutto sommato secondari, al fine da riuscire a coprire la durata standard di cinquanta minuti.

L'intreccio giallo è deludente. Impossibile per lo spettatore arrivare alla soluzione per conto proprio, visto che un dettaglio essenziale ci viene nascosto fino allo spiegone finale, attribuito da Hercule Poirot (David Suchet) ad una sua ricerca (**) nell'archivio di Miss Lemon (Pauline Moran), avvenuta a nostra insaputa. Potremmo avere qualche sospetto sul complice che ha reso possibile la riuscita della malefatta, ma il grosso dell'azione è nascosto ai nostri occhi e, a ben vedere, è ammantato da un livello di improbabilità molto elevato.

Nonostante ciò, mi sembra un episodio riuscito. Succede infatti che Poirot fa un errore, si era impegnato a tener d'occhio Florence Carrington (Shelagh McLeod) per conto del padre, eppure quella viene uccisa e, in subordine, derubata. Difficile dare colpe al nostro uomo, eppure vediamo come lui, per una volta, colpito dalla morte della giovane donna, metta da parte la sua consueta levità.

Non che lei si meriti particolarmente questo riguardo. Trattasi infatti della solita ereditiera abituata ad avere il mondo ai suoi piedi, e con una tendenza a mettersi nei guai. In particolare è sposata con un tizio (Julian Wadham) che non pare antipatico, ma sembra essere interessato solo al gioco d'azzardo. Separata, ha una storia con un presunto nobiluomo francese, che ha tutta l'aria di essere un imbroglione.

Quando lei viene trovata morta sul treno per Plymouth, i sospetti cadono naturalmente sui due uomini, anche se non sono ben chiari i motivi che avrebbero potuto spingere uno o l'altro a compiere il gesto. Ci sarebbe la sparizione della valigetta che conteneva i gioielli della defunta, e questo è in effetti il punto su cui Poirot lavora per dare una soluzione al caso.

(*) La raccolta I primi casi di Poirot include anche Come va il vostro giardino.
(**) Nel racconto era l'ispettore Japp (Philip Jackson) che metteva a parte Poirot di una scoperta significativa.

Hector and the search for happiness

Ho aspettato tutto il 2015 che venisse distribuito in Italia, ma pare che questo titolo non sia considerato appetibile per il nostro mercato, e a tutt'oggi non è disponibile. Il rischio che cadesse nel dimenticatoio era alto, è successo però che mi sono iscritto per curiosità ad un corso sulla felicità, vista da un punto di vista strettamente scientifico, e ad un certo punto, tra i compiti assegnati, c'era pure la visione di questo film. Avrei potuto agevolmente portare la giustifica, ho preferito invece darmi un pochettino da fare, e sfruttare l'unione con i nostri confratelli europei che ci permette di accedere a prodotti teoricamente non disponibili da noi. Unica seccatura, che però può essere anche vista come un vantaggio, l'assenza di doppiaggio e anche sottotitoli nella nostra bella lingua.

Alla base del lavoro di Peter Chelsom c'è un libro di François Lelord che ha avuto un gran successo in Francia, poi in Germania, per essere poi tradotto in inglese e vendere parecchio in tutto il mondo. Per quanto ne so, da noi non è arrivato.

Il film inizia con Hector (Simon Pegg) che sta sognando, un bel sogno che rapidamente si trasforma in incubo, interrotto da Clara (Rosamund Pike) che amorevolmente lo mette in pista per la giornata. Scopriamo così che Hector (*) è una persona che avrebbe tutto per essere felice, è uno stimato psichiatra, vive con una donna bella e simpatica a Londra, ha soldi, un bell'appartamento, nessun problema. Eppure è visibilmente infelice. Decide così di prendersi un sabbatico e partire in un viaggio alla ricerca della felicità. Da solo. Lasciando a casa Clara che, ribadisco, è interpretata da Rosamund Pike. Per non sa nemmeno lui quanto tempo.

Difficile immedesimarsi in Hector. Benestante, fortunato, potrebbe avere una vita bellissima eppure non riesce a farlo. E per tutta la prima metà del film si continua su questa falsariga. Prende un areo per la Cina, il caso gli fa ottenere un upgrade in prima classe, finisce di fianco ad un uomo d'affari (Stellan Skarsgård) che lo prende a benvolere e gli offre una serata da super-ricco, conosce una cinese giovane e bella (Ming Zhao), si fa una bella chiacchierata con un monaco. Ma tutto questo gli scivola sopra, e non sembra che niente possa cambiarlo.

Deve accorgersi anche lui che qualcosa non va, decide così di cambiare continente, tocca all'Africa, dove può contare su un suo vecchio amico che lavora lì come medico. Altri incontri fortunosi, tra cui un narcotrafficante (Jean Reno) che finirà per salvargli incidentalmente la vita, e a cui forse riuscirà a sua volta a cambiare, almeno parzialmente, la sua visione del mondo. Ma anche qui è difficile simpatizzare per lui. Continua ad essere visibilmente distaccato dagli altri, iniziamo a vedere qualche germe di interazione, resta però la sensazione che nulla riesca a colpirlo più di tanto.

Ed è tempo per la terza tappa, direzione Los Angeles, dove vive Agnes (Toni Collette), altra sua vecchia amica, di cui era innamorato ma con la quale non ha mai concluso nulla. Mentre è in volo succede qualcosa che sembra finalmente dargli una scossa. Forse è proprio qui che parte il suo cambiamento, essere sul punto di prendersi una pallottola in faccia non l'aveva smosso più di tanto, ma scoprire che è possibile affrontare la morte con serenità potrebbe essere quello che gli serviva.

Un'altra bella spinta gliela dà Agnes, che gli chiarisce la differenza tra sogno e realtà, e lo introduce al professor Coreman (Christopher Plummer), un luminare degli studi sulla fisica delle emozioni. E infine arriva il punto chiave del film, Hector deve affrontare le sue paure. Riuscirà a superarle? Se sì, potrebbe riuscire a recuperare il rapporto con Clara. E magari trovarla, quella felicità che ha cercato per tutto il mondo.

(*) Che sembra essere una specie di alter ego dello scrittore. Spero per lui che la distorsione operata dalla fantasia sia sostanziale.

Poirot 3.3: Il furto da un milione di dollari in obbligazioni

Questa volta la sceneggiatura (*) è meno fedele del solito alla lettera di Agatha Christie, al punto che anche chi avesse letto l'originale potrebbe lasciarsi prendere dal piacere di farsi spiegare da Poirot (David Suchet) come si è svolta l'azione.

Il pezzo grosso di una banca londinese dovrebbe andare a New York con obbligazioni al portatore, ma due tentativi di eliminarlo, per investimento automobilistico e con una dose di stricnina nel caffè (**) lo mettono fuori gioco. Parte così al posto suo un giovinotto di belle speranze e con un presente burrascoso, causa debiti di gioco. Nonostante Poirot non ami viaggiare per mare, decide di accompagnarlo con il fido capitano Hasting (Hugh Fraser) sulla Queen Mary, al suo viaggo inaugurale.

Contro tutte le aspettative, Poirot non soffre il mal di mare, mentre il capitano è così malridotto che si vede costretto a non approfondire l'amicizia con una procace biondona, tale Miranda Brooks (Lizzy McInnerny), conosciuta a bordo. Rispetta invece i pronostici la scomparsa del bottino e la conseguente indagine del nostro, che assicura alla giustizia il delinquente.

(*) Firmata in questo caso da Anthony Horowitz.
(**) L'inizio della stagione è dominato da questo veleno. Qui però non muore nessuno.

Il ponte delle spie

James Donovan (Tom Hanks) fa un lavoro noioso, l'avvocato assicurativo, e quel che peggio è che pare esserne pure soddisfatto. Nonostante questo, sembra essere una brava persona, si comporta correttamente, ha una bella famigliola, e scopriremo poi che in passato aveva persino partecipato al processo di Norimberga, anche se probabilmente in un ruolo molto marginale. Sembra che la sua vita sia indirizzata verso una quieta routine che lo porterà senza troppi scossoni al pensionamento.

Succede però che un tale, chiamiamolo Rudolf Abel (Mark Rylance), che sembrava essere un innocuo pittore della domenica, si riveli essere un colonnello dell'armata rossa in missione di spionaggio in America. Siamo sul finire negli anni cinquanta, in piena paranoia da guerra fredda, ed essere beccato in una posizione del genere a New York non è una bella cosa. Tutti quanti, a partire da Abel, si aspettano che il suo destino sia quello di friggere su di una sedia elettrica.

Si imbastisce in fretta e furia un processo il cui scopo sarebbe quello di dare una parvenza di legalità all'eliminazione della spia, e qui cortocircuitano le due storie. Va dato un avvocato all'accusato, si prende (a caso) lo studio di Donovan e il suo capo (Alan Alda) decide che sarà proprio il nostro uomo a prendere quel difficile ruolo. Il problema è che Donovan crede in quello che fa, e decide di difendere Abel come difenderebbe un qualunque suo cliente. Questo gli attira l'odio di molti suoi connazionali che, come capita spesso a noi umani, preferisco ragionare per stereotipi e non capiscono che senso abbia garantire un equo processo ad un "nemico".

Le molte perplessità procedurali e sostanziali vengono placidamente ignorate da tutti, e si arriva rapidamente alla sentenza di colpevolezza. Ma in un certo senso Donovan ottiene comunque un successo, convincendo il giudice a scartare la pena di morte in cambio di una lunga pena detentiva.

Seconda parte del film. Un americano finisce nella stessa condizione di Abel. Cercando di mantenere le apparenze, le due superpotenze imbastiscono una trattativa per scambiarsi i prigionieri, pratica che diventerà comune in seguito, ma che a quei tempi era una strada inesplorata. Donovan viene mandato a Berlino per discutere i termini dell'operazione, e qui interviene una ulteriore complicazione. Uno studente americano si trova dalla parte sbagliata della città quando viene eretto il muro, i tedeschi dell'est lo arrestano come spia, e cercano di usarlo per ottenere una legittimazione del loro Stato, sia nei confronti dell'URSS, sia nei confronti dell'occidente. Così Donovan si troverà a trattare contemporaneamente su due tavoli (*).

Film estremamente solido, a partire dalla robusta sceneggiatura dei fratelli Ethan e Joel Coen. I due hanno messo il silenziatore alla loro consueta vena sarcastica e al loro pessimismo cosmico, lasciando maggior spazio all'impegno civile e al ragionamento sul cosa significhi realmente essere cittadino di uno stato occidentale (**), e cosa voglia dire contrapporsi ad un diverso modello di società. Ottima la regia di Steven Spielberg, che riesce ad esprimere bene le idee del copione, dando una bella rappresentazione dell'epoca e usando bene l'ottimo cast.

(*) Il negoziatore tedesco è interpretato da Sebastian Koch.
(**) Ovviamente il loro discorso è tutto incentrato sugli USA, ma non dovrebbe essere difficile per nessuno traslarlo al nostro caso particolare.

Coherence - Oltre lo spazio tempo

Primo film, a bassissimo costo, di James Ward Byrkit (*). Tecnicamente mi ha ricordato Clerks di Kevin Smith, girato quasi come se fosse una ripresa amatoriale, sfiorando lo stile da pseudo documentario basato su found footage (**). Narrativamente mi ha fatto pensare ad Another Earth, in particolare per l'uso di teorie scientifiche, che fanno pensare inizialmente pensare ci si stia indirizzando verso la fantascienza "dura" ma che poi si risolvono in una direzione molto più leggera, senza stare a badare troppo alla verosimiglianza e usando invece la situazione per fare un punto che interessa al filmmaker. In teoria io sarei più attratto da film che cercano di mantenere una coerenza scientifica (***) ma preferisco l'approccio usato qui rispetto, ad esempio, a quello tentato in Primer.

La storia è quella di un gruppetto di amici che si incontrano per passare una serata assieme, a casa di uno di loro. Seguiamo il punto di vista prevalente di Em (Emily Baldoni °), fidanzata ma non sicurissima del legame. Lui sta per partire per un lungo viaggio di affari in Vietnam e lei non sa se seguirlo o meno. L'interazione tra i vari elementi della compagnia è piuttosto complessa e sembra destinata a causare tensioni. Forse, però, succederebbe poco, se non fosse che proprio quella sera una cometa sfiora l'orbita terrestre, causando una serie di bizzarre anomalie. Il risultato è indescrivibile, assistiamo ad un paio di probabili omicidi, alla fine Em si troverà ad un bivio, accettare il suo stato, che pure non le pare ottimale, o cercare di forzare la situazione per passare ad una realtà che la sconfinfera maggiormente.

Non è chiaro quale sia realmente l'effetto della cometa. I nostri cercano di interpretare la loro situazione usando degli appunti del fratello di uno di loro, fisico teorico poco ortodosso, loro però, fondamentalmente, non sanno di cosa stanno parlando, e dunque non è che possiamo prendere le loro conclusioni come oro colato.

Più o meno pensano di essere nella condizione del gatto nel famoso esperimento mentale di Erwin Schrödinger. Credono che la cometa abbia causato una anomalia tale per cui si trovano in una condizione di sovrapposizione coerente di stati. Purtroppo, prima di giungere a questa conclusione, hanno contattato altre copie di loro stessi, introducendo quello che credono sia una incoerenza, e temono che questo si possa risolvere in una catastrofe quando, allontanatasi la cometa, credono che avvenga il collasso della funzione d'onda, con una sola delle distinte realtà sovrapposte resterà in esistenza.

Gli stolti non hanno studiato fisica quantistica, non sanno quello che dicono, e si stanno preoccupando per niente. Se davvero fossero in quella situazione non avrebbero modo di contattare altri stati sovrapposti. Assumendo che valga la teoria dei molti mondi (°°) l'evento che ha scatenato la biforcazione dei mondi è già avvenuta, e per definizione non c'è più modo di scambiare informazioni tra le realtà alternative. Lo svolgimento dei fatti, poi, ci mostra come le copie dei mondi sono molte, e distinte tra loro anche per particolari che risalgono a molto prima del passaggio della cometa.

Ad esempio Em a volte ha un anello, a volte no. O meglio ancora, Mike (Nicholas Brendon), afferma di aver interpretato Joe in Rosewell. Ma Laurie (°°°) dice di essere una gran fan della serie ma di non riuscire a collegare il personaggio di Joe alla faccia di Mike. Particolare curioso, Brendon, nel nostro mondo, in quel periodo ha interpretato Xander in Buffy l'ammazzavampiri.

Ma allora, cosa diamine può essere successo? Io non scarterei a priori l'ipotesi che la fricchettona del gruppo abbia realmente versato una qualche droga nel cibo, nonostante lei neghi con sdegno, e quello che stiamo vedendo non sia altro che l'incubo allucinogeno di Em. In alternativa mi verrebbe da pensare che il passaggio della cometa, per qualche stranissimo motivo, causi un fenomeno correntemente considerato impossibile anche dalla fisica teorica più spericolata, avvicinando temporaneamente gli universi paralleli permettendo di passare da una realtà all'altra.

Ma tutto questo, come dicevo, serve solo da pretesto a Byrkit per indagare sulle relazioni all'interno di un gruppo in caso di forte stress, e in particolare ad avanzare una sua amara ipotesi sulle scelte che ci sembra di poter fare.

(*) Che si è fatto conoscere lavorando prima per la saga dei pirati dei caraibi e poi a Rango.
(**) Ma per fortuna evitando. Vedasi come esempio, per me negativo, Cloverfield.
(***) Interstellar, ad esempio.
(°) Al tempo usava il nome d'arte di Emily Foxler, avendo accorciato e leggermente storpiato il suo cognome originale, poi ha sposato il fortunato Justin Baldoni, di lontane origini nostrane, e ne ha assunto il cognome.
(°°) Uso l'interpretazione di Everett via la nomenclatura di DeWitt, che mi pare più leggibile.
(°°°) Arrivata ultima alla serata, assieme a Amir.

Poirot 3.2: Come va il vostro giardino?

Ci lasciamo alle spalle l'episodio speciale di inizio stagione e torniamo alla normalità della serie. O almeno quasi, visto che qui una misteriosa allergia (*) mette fuori gioco il capitano Hastings (Hugh Fraser) e sarà perciò la burocratica Miss Lemon (Pauline Moran) a fare da spalla a Hercule Poirot (David Suchet) nell'investigazione.

Rispetto al racconto originale, qui la produzione, e in particolare Andrew Marshall che cura la sceneggiatura di questa puntata, si prende alcune libertà sostanziali nel caso, con l'evidente scopo di rimpolpare il materiale, così da farci arrivare ai cinquanta minuti canonici senza farci addormentare. Infatti Agatha Christie non si era sprecata in dettagli in questa storia, che veniva risolta con una rapidità impressionante dal nostro. E, dopotutto, il caso in sé è piuttosto semplice.

Una vegliarda viene avvelenata con una abbondante dose di stricnina. A compiere il deprecabile gesto può essere stata solo la governante russa, Katrina (Catherine Russell) o l'unica parente diretta della defunta, Mary (Anne Stallybrass). Tecnicamente anche il marito di Mary potrebbe essere indiziato, ma egli è così evidentemente incapace di alcunché, che possiamo tranquillamente eliminarlo dalla lista.

Il titolo, che in inglese è How does your garden grow?, allude ad una filastrocca che torna molto utile nel dare un indirizzo alla soluzione corretta.

Il lavoro di sceneggiatura aggiunge un buon numero di trame secondarie, con Poirot che dà sfogo alla sua vanità spendendo un capitale in un acqua di colonia molto profumata, tingendosi i capelli, e partecipando con gran gioia alla presentazione di una nuova specie di rosa a cui è stato dato il suo nome. La posizione di Katrina viene complicata aggiungendo una possibile relazione con l'Unione Sovietica, e si aggiunge pure un gustoso, per quanto inutile, intermezzo in cui il notaio della defunta riesce a rispondere ad una domanda di Poirot senza violare il suo dovere alla segretezza, usando come codice cifrato la premiazione di un concorso ippico.

(*) Inizialmente presa per una febbre da fieno, solo nel finale se ne scoprirà la vera causa.

Pan - Viaggio sull'isola che non c'è

Credo che l'idea fosse quella di stiracchiare il target del pubblico di riferimento verso l'alto, in modo da far sì che questo prequel alle avventure di Peter Pan attirasse il pubblico delle famigliole con giovani virgulti ma anche quello degli adolescenti che vanno al cinema per conto loro. Se questo era lo scopo, qualcosa è andato storto. Forse il pirata Barbanera (Hugh Jackman) che canta Smells like teen spirit dei Nirvana in una cava di polvere di fata da fare invidia a Mad Max ha fatto scappare i primi, e gli ammazzamenti numerosi ma ingentiliti da nuvolette colorate (*) i secondi. Il risultato è una catastrofe finanziaria. Si stima una perdita nell'ordine di cento milioni di dollari.

All'origine di questo sfacelo c'è la sceneggiatura di Jason Fuchs. Costui è un attore che ha scoperto in sé una vena da scrittore e ha partecipato alla stesura di quel marasma che è stato il quarto episodio de L'era glaciale aka Continenti alla deriva. Questo modesto biglietto da visita, e probabilmente qualche amicizia al posto giusto, è valso l'interesse della Warner Bros per la sua sceneggiatura sulla vita del giovane Pan, che ha deciso di puntare qualcosa come centocinquanta milioni su questa storia, e poi ce ne ha aggiunti circa altrettanti per il marketing. Questo fiume di denaro è stato messo in tasca a Greg Berlanti, che tante soddisfazioni economiche ha dato nella produzione di serie televisive, ma che in campo cinematografico ha al suo attivo (?) solo Lanterna verde. Conscio dell'importanza della posta in gioco, Berlandi s'è fatto affiancare da Sarah Schechter, che non aveva mai prodotto nulla per il cinema (**) ma che una quindicina di anni prima aveva avuto un posto da oscura assistente per I Tenenbaum di Wes Anderson.

Immagino che Joe Wright sia stato reclutato come regista per rafforzare l'idea che questo non doveva essere un semplice film per bambini, ma doveva avere un'anima adulta e implicare tematiche più profonde. Il risultato è che Paul Webster si è aggiunto al novero dei produttori, certamente in posizione subalterna ai suoi colleghi americani, con non so bene quale impatto reale sul lavoro.

A mangiarsi gran parte dei soldi messi sul piatto sono stati gli effetti speciali, ma anche gli scenari devono aver avuto un impatto significativo, vista la girandola di ambientazioni, tutte ben curate visivamente. Si passa da un orfanotrofio alla Dickens, ai tedeschi che bombardano Londra, alla fantascienza classica dei viaggi interplanetari (***), ai pirati in stile caraibico, alla già citata fantascienza post-catastrofista stile Mad Max, alle foreste tropicali di Indiana Jones, allo scontro volante in stile Guerre Stellari. Eccetera. Un pastiche encomiabile, se lo scopo del film era quello di farci perdere la testa in una serie infinita di riferimenti.

Il protagonista della storia è Peter (Levi Miller), un orfanello ribelle che ha passato tutta la sua vita in un orribile orfanotrofio londinese. La terribile suora a capo dell'istituto decide infine di liberarsi di lui e di una buona parte dei suoi compagni di sventura cedendoli ai pirati di Barbanera (°). Peter si trova a lavorare in miniera, e il caso gli fa scoprire che può volare, o almeno qualcosa del genere. Le circostanze lo portano a fare amicizia con un adulto, tal Giacomo Uncino, o meglio James Hook (Garrett Hedlund), con il quale fa un patto di reciproca assistenza per fuggire da Barbanera. Ai due si aggiunge un terzo, Spugna (Adeel Akhtar), con l'unico scopo di fornire alleggerimento comico. I tre rubano una nave volante, ma si schiantano nel territorio dei feroci nativi. Il che spiace a Hook, che vorrebbe tornarsene a casa, va bene per Pan, che crede che sua mamma sia da quelle parti, e direi che è indifferente a Spugna. Il personaggio più interessante dei nativi è Giglio Tigrato (Rooney Mara), che combina abilità combattive a un rango nobiliare che fa pensare alla principessa Leila di Star wars. Ovviamente Hook e Giglio battibeccano ma finiranno per fare coppia fissa. Ad allungare la storia ci si mette Barbanera che vuole uccidere Pan, per confutare la leggenda secondo cui Peter potrebbe portar fine al suo potere (°°). Questo causa una strage di nativi e la fuga del nuovo terzetto, Pan, Hook e Giglio, verso il segreto regno delle fate. Parte che sarebbe del tutto trascurabile se non prevedesse l'incontro con alcune sirene, che ha a sua volta il solo scopo di offrire un cameo a Cara Delevingne.

Scontro finale, i cattivi sembra abbiano il sopravvento, ma James Hook e Peter Pan scoprono aspetti che erano dentro di loro, ma che loro negavano, e riescono a raddrizzare le sorti dei buoni.

(*) Stratagemma utilizzato per mantenere il rating PG Parental Guidance, equivalente in pratica al General Audience (G) secondo cui chiunque può entrare liberamente in sala. Il gradino successivo, PG-13, suggerisce alle famiglie che i loro pargoli potrebbero rimanere impressionati dallo spettacolo se non avessero lo stomaco di reggere a scene di violenza (e magari qualche leggera allusione sessuale) reputate palatabili a teenager.
(**) E che ora pare destinata ad una luminosa carriera nella produzione di serie televisive.
(***) Anche se si punta ad una interpretazione più mitologica che scientifica del tema.
(°) Potrebbe trattarsi di una sottile allusione al dramma dei bambini inglesi che venivano spediti nelle colonie come lavoratori a basso prezzo. Chi avesse la forza di voler approfondire potrebbe cominciare con la visione di Oranges and sunshine.
(°°) Topos classico, vedi ad esempio Macbeth. Non ho capito perché non gli ha tirato il collo subito, quando ne aveva l'occasione.

Poirot 3.1: Poirot a Styles Court

La terza stagione inizia con un episodio speciale, tanto per la lunghezza (*) quanto per l'origine letteraria. Infatti l'omonimo romanzo (**) è il primo lavoro di Agatha Christie, scritto durante la prima guerra mondiale e pubblicato nel 1920. E' come se fosse un flashback, che ci spiega finalmente come mai il belga Hercule Poirot (David Suchet) è in Inghilterra, abbia un rapporto di amicizia e collaborazione con lo svagato capitano Hastings (Hugh Fraser), che qui è solo tenente, e anche la sua amicizia con l'ispettore capo (Philip Jackson). In pratica, con la sola assenza giustificata di Miss Lemon (Pauline Moran), i protagonisti sono già ben delineati qui per come li abbiamo già conosciuti nelle puntate precedenti.

La guerra infuria sul continente, ma Hastings è stato rimandato a casa, ufficialmente per una ferita che risulta essere di così lieve entità da farmi pensare che i suoi superiori abbiano deciso che quel tenente avrebbe dato un più significativo contributo alla vittoria stando lontano dai campi di battaglia e dedicandosi ad altro. A sua parziale discolpa possiamo dire che ha gli evidenti sintomi di uno stress post-traumatico, disturbo che ai tempi non era riconosciuto, e portava a volte alla fucilazione dei soldati che lo subivano, tacciati di codardia.

Per sua fortuna, Hastings, prima di partire per la guerra, si è creato una cerchia di facoltosi amici, e ora uno di questi, John Cavendish (David Rintoul), lo invita a fannulloneggiare nella sua villa di campagna, Styles Court, vicino all'inesistente paesino di Style St. Mary. Il realtà la magione non è di John, ma di sua madre, che è recentemente diventata Mrs. Inglethorp, avendo sposato quello che sembra un cacciatore di dote (Michael Cronin) una ventina di anni più giovane di lei, e che fa di tutto per rendersi antipatico a chi gli sta attorno.

Mrs. Inglethorp ha un caratterino ben poco accomodante abbinato a sospetti slanci di filantropia, uno di questi la ha portata a cedere in uso gratuito una sua proprietà ad un gruppetto di belgi in fuga dalla guerra. Uno di questi è proprio Poirot. Hastings lo aveva conosciuto in Belgio quando, probabilmente a causa della sua goffaggine, aveva corso il rischio di essere coinvolto in un omicidio. I due si riconoscono e riprendono la loro amicizia.

Nel frattempo Hastings mette gli occhi su una pollastrella locale, una graziosa vedovella a nome Mrs. Raikes (Penelope Beaumont), che però non lo calcola nemmeno, avendo ella una relazione con John, il quale a sua volta è sposato con Mary (Beatie Edney). Il nostro metterà gli occhi anche su Cynthia (Allie Byrne), una giovinetta miracolata dalla Inglethorp divenuta ospite fissa della famiglia, che però mira al fratello minore di John, Lawrence (Michael Cronin), che, forse per motivi di opportunità familiare, non ricambia. In più abbiamo anche una scorbutica dama di compagnia, Evie Howard (Joanna McCallum), che non sembra concupire né essere concupita da nessuno, ma nutrire solo un feroce odio per l'Inglethorp.

Succede dunque quello che tutti ci aspettiamo, la Inglethorp muore, avvelenata con una buona dose di stricnina. Il principale sospetto è ovviamente il vedovo, che sembra fare di tutto per attirare l'attenzione su di lui. Succede così che il primo intervento investigativo di Poirot sia finalizzato a non fare incriminare quello che appare a tutti (***) il naturale colpevole dell'omicidio. La seconda fase sarà quella di togliere dai guai John che, in quanto co-erede della Inglethorp, risulta essere il secondo principale indiziato. E infine l'investigatore belga potrà dare la soluzione al caso.

La Christie qui sviluppa una serie di temi interessanti. C'è infatti l'imbarazzo dei Cavendish al secondo matrimonio della loro madre con un uomo più giovane. Cosa ritenuta sconveniente, e di cui si cerca di parlare il meno possibile. C'è poi la relazione extraconiugale di John, che scatena l'ira della di lui madre non tanto per il tradimento degli affetti quanto per il giro di soldi che ne consegue (°). Anche la modalità con cui viene eseguito l'avvelenamento è verosimile e presuppone una notevole applicazione dell'assassino (e della scrittrice) alla materia.

Ci sono anche alcune debolezze. Ad esempio non riesco a capire perché mai l'assassino lasci sul luogo del misfatto un indizio così significativo, che pure aveva in mano e di cui era ben conscio della pericolosità. Poteva benissimo portarlo via e distruggerlo a suo piacimento.

Bella come al solito la produzione, con la consueta cura nella ricostruzione dell'epoca.

(*) Lunghezza doppia rispetto ai canonici cinquanta minuti.
(**) In inglese The mysterious affair at Styles.
(***) Lettori/spettatori compresi.
(°) La relazione con la vedova Raikes meriterebbe un miglior approfondimento. Non si capisce se lei mira a John per i soldi, se è solo sesso, o se si tratta di una semplice amicizia, tenuta nascosta per evitare le dicerie della gente. Qualunque sia il caso, a me pare che la povera Raikes sia la vera vittima della storia.

La grande scommessa

La crisi ultima scorsa (*) ha origini che ai più sono poco chiare. Ci sono alcuni film che cercano di fare chiarezza, vedasi in particolare Margin call, e questo va nella stessa direzione. La particolarità è che Adam McKay, regia e sceneggiatura (**), ha cercato, per quanto possibile, di buttarla in commedia. Il che mi aveva fatto temere il peggio, visto che il nostro ha una certa tendenza per il trash (vedasi Anchorman). Per fortuna è stata una preoccupazione inutile, ed è riuscito a far ridere senza intaccare la drammaticità della vicenda.

A raccontare la storia è Jared Vennett (Ryan Gosling), che ammette candidamente di non essere l'eroe della storia (***), è invece un operatore di borsa che si è trovato in mezzo agli accadimenti per puro caso, un pettegolezzo riferitogli da un collega, e ha fatto in modo di ritagliarsi la sua piccola fetta di utile. Sempre per caso, una telefonata sbagliata, il Vennett contatta un gruppetto di investitori che fanno capo a Mark Baum (Steve Carell), costui, che per moglie ha Marisa Tomei, ma la sua è una particina irrilevante, è in profonda crisi a causa della morte del fratello, si è reso conto di quanto disumano sia il suo lavoro, e ha la forte tentazione di agire alla Robin Hood. Quando Vennett gli spiega la faccenda dei sub-prime, e come questi siano destinati ad esplodere causando una catastrofe finanziaria, investe pesantemente contro quegli strumenti finanziari, facendo grossi acquisti allo scoperto (°) usando a sua volta lo strumento creato da Vennett.

Vennett si è mosso in base ad un pettegolezzo, e questo era stato originato da Michael Burry (Christian Bale), un analista finanziario con evidenti tendenze autistiche, con grosse incapacità ad interagire con gli umani, ma molto bravo a capire i numeri. Burry ha investito cifre spaventose contro i sub-prime, facendo creare a questo scopo strumenti finanziari appositi da un po' tutte le grandi banche operanti a Wall Street. Tutti quanti lo prendevano per matto, fregandosi le mani per i premi che pagava, assumendo che buttasse soldi dalla finestra.

Seguiamo anche un paio di piccoli investitori, che vedono per caso un prospetto di Vennett, fiutano l'affare, e ci si buttano a corpo morto. Costoro sono così piccoli che non sarebbero riusciti ad entrare nella storia, se non fosse che conoscevano per caso Ben Rickert (Brad Pitt), un trader di spicco che, disgustato dall'ambiente, si era ritirato a vita privata anni prima.

A me è piaciuto più Margin call, apprezzo però questo tentativo di rendere la storia più facilmente fruibile al pubblico. Anche se devo notare che i commenti che ho sentito al cinema mi hanno fatto cadere le braccia. Ad esempio, "Le banche ti fottono. Quando ti fanno un mutuo ti dicono il TAN, e tu non ti accorgi che il TAEG è molto più alto", giuro che ha detto un tale che pensava di aver capito di cosa si parlava.

Forse occorre fare film ancora più semplici da capire.

(*) E ancora in atto, vedasi ad esempio la faccenda delle banche italiane fallite di recente.
(**) Dal libro di Michael Lewis e con il supporto di Charles Randolph.
(***) Lo ammette a noi spettatori. Di tanto in tanto i personaggi si rivolgono a noi per spiegare dettagli, o contraddire se stessi, dicendoci che le cose non sono andate come ce le fanno vedere nella scena in corso, ma si sa, le esigenze di sceneggiatura portano ad aggiustare la realtà.
(°) Tenendo così una posizione "corta", da cui il titolo originale The big short.

Macbeth

L'originale teatralità (*) è smussata dal team creativo capitanato da Justin Kurzel, che gli ha dato un taglio che sembra influenzato da cose come Braveheart e 300, e non lo dico in senso spregiativo, solo sorpreso. Ridotti i dialoghi, aumentata l'importanza dell'impatto visuale, snellito il racconto, al punto che conviene aver visto una rappresentazione più aderente alla lettera, se non si vuole restar dubbiosi su alcuni passaggi che vengono solo accennati. E introdotte varianti che spaziano dal superfluo, come l'aggiunta di una giovane streghetta a quello che dovrebbe essere un trio, all'approfondimento psicologico della personalità dei protagonisti, che vengono così rese più vicina alla nostra sensibilità.

Il risultato mi pare comunque molto interessante, sia perché con una storia così potente alla base è difficile cadere male, sia perché Kurzel non sembra l'ultimo arrivato (**), sia per l'ottimo lavoro degli attori.

Macbeth (Michael Fassbender), fedele al suo re, Duncan (David Thewlis), riesce ad ottenere una vittoria insperata, che ribalta le prospettive di una guerra che sembrava persa. Questo non lo rallegra più di tanto, anche perché aveva già perso un figlio prima della battaglia decisiva, e quest'ultimo scontro gli ha portato via l'altro. In cambio ottiene da alcune streghe il vaticinio di una baronia e poi del trono regale. Al suo amico Banquo (Paddy Considine) va anche peggio (***), e gli viene detto che sarà più fortunato ma anche sfortunato di Macbeth, e da lui nascerà una stirpe di re.

Macbeth non sembra per niente contento di quello che ha sentito, e ne ha tutti i motivi. La sete di potere lo porterà a perdere il senno, e otterrà solo sciagure. Altrettanto male andrà a Lady Macbeth (Marion Cotillard), che inizialmente spingerà il marito alla doppiezza e al tradimento ma poi - ohimé troppo tardi - si renderà conto che la scelleratezza non è strada facile da praticare.

(*) La tragedia scozzese è di William Shakespeare, se ci fosse bisogno di precisarlo.
(**) Anche se non ho visto niente altro di suo.
(***) O meglio. Non è facile capirlo.

Sherlock Speciale: L'abominevole sposa

O sarebbe meglio dire The abominable bride, che la versione italiana sarà disponibile al cinema in una decina di giorni. Curiosa scommessa, questa della BBC, di trasmettere prima in televisione e poi di portare nelle sale questo episodio speciale di Sherlock (*), seguendo a ritroso il percorso classico delle produzioni cinematografiche. Potrebbe essere vincente, sia per la promessa di materiale aggiuntivo, sia per l'effetto-supporter che potrebbe scatenare sui fan della serie. E' un po' come andare allo stadio a vedere il proprio cantante preferito, il bello sta proprio nel rivedere (o ascoltare) cose già conosciute in compagnia di chi condivide la nostra passione.

Si sapeva già da tempo che questo sarebbe stato un episodio vittoriano, lasciandoci la curiosità di capire come questo fosse possibile, considerando che in questi anni i personaggi si sono sviluppati sotto i nostri occhi mantenendo una ambientazione contemporanea. La soluzione che ci viene proposta è che si tratti di una realtà alternativa, come se questa fosse una vicenda che si svolge in un universo parallelo, in cui i nostri si trovano catapultati mantenendo il loro carattere ma trovandosi a vivere in un periodo che non è il loro. Scopriremo molto più avanti, quando ormai il finale incombe, che anche su questo punto Mark Gatiss e Steven Moffat vanno presi con le molle, e che tutta la storia non è altro che una proiezione fantastica dello Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) che conosciamo. Oppure, come viene suggerito nell'ultima scena, quello che conosciamo noi e le avventure che affronta non sono altro che la fantasia futuribile dello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle.

Del resto il caso stesso che dà il titolo all'episodio (**) non è altro che un parallelo che Sherlock usa per elucubrare sul vero problema che gli sta a cuore. E dovremmo capire abbastanza rapidamente che quello è lo strano caso del suo arcinemico, il Professor Moriarty (Andrew Scott), che pur essendo morto sotto i suoi occhi (***) non ne vuole sapere di lasciarlo in pace.

Sul finire dell'ottocento, Lestrade (Rupert Graves) chiede aiuto a Holmes per lo strano caso di Emilia Ricoletti (Natasha O'Keeffe) che prima si è uccisa in pubblico, e poi ha ucciso il marito a schioppettate in una via di Londra sotto gli occhi di numerosi testimoni. Di motivi per eliminare il marito, Emilia ne avrebbe avuti in abbondanza, non si capisce come e perché lo possa aver fatto dopo essersi suicidata. Una visita alla morgue ci mostra come Emilia sia davvero morta, ma serve soprattutto per farci vedere che Molly Hooper (Louise Brealey) è anche qui disperatamente innamorata di Sherlock senza essere non dico ricambiata ma nemmeno notata da lui, con la piccola variante che, trovandosi a vivere in un periodo in cui sarebbe stato praticamente impossibile per una donna lavorare in quella posizione, ella vive en travesti, senza che nessuno se ne accorga - con la notevole eccezione del dottor John Watson (Martin Freeman) che, come spesso gli accade, alterna sprazzi di percettività ad altri di imbarazzante ottusità.

Sherlock bolla rapidamente il caso come indegno della sua attenzione, in quanto di una banalità sconcertante, e si dedica ad altro. Poco ci sarebbe da aggiungere su questa parte, se non per il corto circuito con un altro racconto doyliano, Il cerchio rosso, dove appare una Emilia Lucca, moglie sventurata, anche se in modo diverso da questa Emilia, che ha un legame con una associazione delinquenziale italo-americana. Al momento l'indizio è debole, ma tornerà utile più avanti.

Passa qualche tempo e Mycroft Holmes (Mark Gatiss), che ha qui una grassezza pythoniana (°) convoca il suo fratellino meno dotato al Diogenes Club per sottoporgli un caso apparentemente semplice ma che dovrebbe portare luce su un cambiamento paradigmatico che sta piombando sulla società del tempo. Lady Carmichael (Catherine McCormack) è preoccupata per il marito, che sembra avere un problema simile a quello di Elias Openshaw ne I cinque semi d'arancia (°°). Il duo di Baker Street interviene e, mi spiace doverlo dire, fallisce. Ma poco male, perché Sir Eustace Carmichael (Tim McInnerny) è comunque una brutta persona, e perché c'è Mary Morstan in Watson (Amanda Abbington) che, su indicazione di Mycroft, tiene gli occhi ben aperti.

La soluzione di questo intricato caso sembra scadere nel manierismo da racconto poliziesco gotico del secolo scorso, se non fosse per l'irruzione di Moriarty e di un sorprendente ping pong temporale che ci offre almeno un paio di chiavi di lettura alternative al racconto.

(*) Si tratta di una postilla all'ultimo episodio della terza stagione, L'ultimo giuramento, che era finita lasciandoci una gran perplessità su quello che stava accadendo. Qui si danno delle spiegazioni, e si chiariscono quelle che saranno le basi della quarta stagione.
(**) Il cui titolo è una citazione da Il cerimoniale dei Musgrave, dove si accenna ad un caso holmesiano di cui non si dirà più nulla in tutta la storia del consulting detective.
(***) Vedasi Il problema finale, che per Moffat/Gatiss è diventato Le cascate di Reichenbach.
(°) Vedasi Monty Python: il senso della vita.
(°°) Racconto di cui non ho visto trasposizioni su pellicola, vedasi comunque La casa del terrore che ricicla, come si fa qui, il meccanismo della lettera minatoria.