Se nel precedente episodio della serie avevo percepito un sottile malcontento della produzione nella struttura classica del giallo di inizio novecento, qui si assiste ad una esplicita rivolta, con il racconto originale di Agatha Christie che viene esteso con un antefatto in cui ci si fa beffe dell'introduzione all'ultimo minuto di personaggi e fatti che portano a soluzioni a sorpresa.
Succede infatti che Hercule Poirot (David Suchet) ha un malanno immaginario, che scopriremo dovuto semplicemente dall'assenza di casi da svolgere. Il buon capitano Hastings lo invita a teatro, a vedere un whodunnit alla moda, scommettendo con lui che non sarebbe riuscito ad identificare il colpevole. Alla fine del primo atto, Poirot emette il suo responso: è stato il maggiordomo! Negli ultimi minuti del secondo atto l'astuto investigatore sul palco scopre carte che erano rimaste nascoste e si arriva ad una soluzione completamente diversa. Con gran disdoro del nostro belgioso, che arriva a dare dell'imbecille a chi ha scritto la pièce.
Tornati a casa vediamo la vicina del piano di sotto, una succulenta giovinetta per la quale Poirot mostra di avere un certo interesse, anche se puramente estetico, scoprire assieme a suoi tre amici che la nuova occupante del terzo piano è stata uccisa a pistolettate. Arriva l'ispettore capo Japp (Philip Jackson) che giunge alla conclusione sbagliata. Poirot arriverà a quella giusta, in un modo che però ricorda molto quella che abbiamo visto nella prima parte.
Nota a latere su Hastings, che mette da parte il suo temporaneo interesse per il cricket per tornare a stimare le automobili, seppure senza gli eccessi che avevamo visto in A mezzogiorno in punto.
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