Visto oggi, è una simpatica commedia in ambito militare incrociata con ER e, nel finale, con il filone dei film in ambito sportivo. Inquadrandolo nel suo tempo, viene da chiedersi cosa sia passato per la mente ai produttori quando hanno puntato su di un regista con una lunga gavetta televisiva ma con una limitata esperienza per il grande schermo, lasciandogli in mano una sceneggiatura che lui ha rivoltato a suo piacimento, generando un film che deve essere risultato indigesto a molti.
Fatto è che il regista era Robert Altman, il film ha fatto un successo notevole, e ha generato come spin-off una lunghissima serie televisiva. Dunque scommessa vinta.
Il ogni caso il budget doveva essere relativamente limitato, e poco ci deve aver guadagnato il cast, che vede tra i personaggi principali Donald Sutherland (Hawkeye), Tom Skerritt (Duke), Elliott Gould (Trapper), Robert Duvall (Burns, niente soprannome per lui) e Sally Kellerman (Hot lips). Non ci si faccia impressionare dai nomi di Sutherland, Gould e Duvall. Soprattutto gli ultimi due dovevano ancora costruirsi un curriculum.
L'azione si svolge in un ospedale militare in Corea, durante la guerra negli anni cinquanta. Ci si può immaginare quanto dei medici reclutati a forza per l'emergenza siano disposti a seguire la disciplina militare, con quel che ne consegue. In particolare, c'è una frizione tra i più svaccati, Hawkeye-Duke-Trapper, e i più inquadrati, Burns-Hot lips, che sfocia in una serie di burle, anche feroci.
Decisamente blasfema una scena, in cui i colleghi organizzano per un medico, votato al suicidio in quanto convintosi di essere diventato omosessuale, una ultima cena che sembra un tableau vivant di quella del Leonardo. Il tutto accompagnato da una canzonetta tra il mesto e l'allegro (che poi è quella famosa, usata anche per i titoli di testa) che è fondamentalmente un inno alla libera scelta sul suicidio. Ma non ci si preoccupi troppo, il depresso scoprirà che il motivo della sua preoccupazione non sussiste, e supererà la crisi.
Bizzarri i titoli di coda. Non sono scritti, ma li sentiamo dall'altoparlante della onnipresente radio da campo.
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