Nell'originale di trent'anni fa la storia era poco più di un pretesto per giustificare l'idea di Lisberger di portare sul grande schermo i videogames. Qui invece viene sviluppato qualcosa di più solido, a tratti fin troppo, al punto che più di una volta m'è venuto da pensare "troppa trama!" mentre Jeff Bridges (protagonista anche qui) ragionava (o sragionava, a seconda dei punti di vista) sugli eventi.
Nel primo episodio Bridges combinava tutti quegli sconquassi per soldi. Questa volta (i tempi sono cambiati) suo figlio (Garrett Hedlund) fa il paladino del software libero a cavallo di una (magnifica) Ducati sabotando la sua stessa azienda, una sorta di Microsoft, avuta in eredità dal padre misteriosamente scomparso decenni prima.
Ci vuol poco a capire, per chi abbia visto l'episodio precedente, che Bridge è tornato nel computer. Hedlund lo capisce venendo a sua volta sparato nello stesso mondo, dove incontra l'avatar paterno, diventato cattivo ma restato giovane, e poi il padre vero e proprio, diventato più saggio e pure più vecchio. Temi interessanti ce ne sarebbero pure, tipo il conflitto tra bene e male in una stessa persona (tema quasi tabù per una produzione Disney come questa), la relazione tra padre e figlio, una certa valutazione critica dell'approccio alla realtà proprio delle filosofie orientali, eccetera eccetera. Come dicevo, fin troppa grazia rispetto al vuoto compresso del Tron originale. Però mi sono sembrati trattati in modo poco coinvolgente, per dire noioso. Divertenti le svariate citazioni, a dire il vero non so quanto volontarie, di svariati film dello stesso genere, in particolare Guerre Stellari.
Punto forte della produzione la colonna sonora dei Daft Punk.
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