Esperimento interessante, che però non mi sembra riuscitissimo, e che rischia lasciar perplesso lo spettatore che si lasci sfuggire qualche importante dettaglio. Già, perché seguire una storia raccontata seguendo la prospettiva del protagonista può creare notevoli problemi se questi non è affidabile. In un certo senso siamo dalle parti di Memento, con la differenza che qui il problema di Ben (Colin Firth) è tale che gli succede di non sapere se quello che vede sia reale o meno, ha false memorie, si dimentica cose, a volte mente a se stesso (e a noi). Insomma, un macello. Tocca a noi stare molto attenti a quello che vediamo, a confrontare quello che Ben dice a seconda del suo interlocutore, e a cercare di estrarre un possibile senso compiuto da tutto ciò.
Di certo succede che Ben ha un incidente in macchina, e si risveglia dopo un lungo coma con la certezza che sua moglie sia morta, e con una certa inquietudine che gli fa pensare che potrebbe essere colpa sua. Sulle prime le sue memorie sembrano portarlo alla conclusione che lei era in auto con lei, e che sia morta a causa della sua guida. Poi i ricordi si confondono, si mescolano con spezzoni di discussioni che ha con altri, un suo amico, un poliziotto, la sorella della moglie, e ci rendiamo conto che Ben ha in testa una confusione raccapricciante.
A complicare maggiormente le cose c'è Charlotte (Mena Suvari), padrona di casa e vicina nel suo nuovo appartamento, che inizialmente sembra estremamente reale, ma che in seguito inizia pericolosamente a sembrare una creazione della fantasia di Ben. Infatti si chiama come sua zia (*) a cui era molto affezionato, e in una scena piuttosto impressionante vediamo come la sua immagine si sovrapponga a quella di sua moglie.
Il finale mi ha ricordato, in un suo modo tutto particolare, lo Psycho di Hitchcock, con Ben che si è ritratto nel suo mondo, mantenendo una interazione distratta con il nostro.
(*) E da una foto scopriamo anche che le assomiglia.
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