Margaret

Una particolarità del film è che tra la produzione e la distribuzione è passata una mezza dozzina d'anni. Nato come costoso film indipendente (una quindicina di milioni), si è trasformato in un incubo distributivo per un paio di buone ragioni: la lunghezza esagerata (3 ore) e una sceneggiatura poco focalizzata.

Credo che il problema stia nella troppo alta opinione di sé che aveva Kenneth Lonergan (sceneggiatura e regia). E forse ha tutt'ora, visto che, piuttosto di piegarsi alle logiche del mercato, ha preferito abbandonare il cinema. Se ho capito bene, ora si dedica a tempo pieno al teatro.

Il film mi ha ricordato certa produzione europea anni sessanta, in cui lo scopo era disturbare lo spettatore al fine di scatenare una reazione. O forse la pellicola era solo un prodotto secondario, e i veri interessi del cast erano altri - passare del tempo assieme, fare cose, vedere gente. Il risultato era magari anche molto artistico (in un qualche senso) ma non era ben chiaro se ci fosse sotto un qualche significato, magari anche solo incidentale.

Qui si narra la storia di una ragazzina che pensa di essere al centro del mondo. Capita spesso che un(a) adolescente abbia idee del genere, e Lisa (Anna Paquin) ha anche la scusante di essere una ricca (o almeno benestante) newyorkese che vive nell'Upper West Side di Manhattan. Difficile con questo background controllarsi, però sembra proprio che Lisa faccia di tutto per essere indisponente.

L'accadimento principale è che Lisa, per futili motivi, distrae un autista di autobus (Mark Ruffalo) al punto che il povero disgraziato non si accorge che scatta il rosso ad un semaforo, e finisce per travolgere e uccidere una signora. Lisa, che ha un sussulto di empatia e si rende conto di essere almeno concausa dell'incidente, mente alla polizia dichiarando che il semaforo era verde, così da non rovinare la vita all'autista.

Poi però cambia idea, visita l'autista non si capisce bene a che scopo, contatta la "vedova" della vittima, decide di ritrattare la sua dichiarazione, e infine spinge perché si faccia causa, insistendo che vuole che Ruffalo vada in galera per quello che ha fatto. Non riuscirà nel suo intento, ma la cugina della morta (a cui importava davvero poco della faccenda) riceverà un sontuoso risarcimento per l'incidente. Solo in quel momento, nel dare sfogo alla sua ennesima crisi nervosa, ammetterà (ma di passaggio, senza che nessuno ci faccia molto caso) di essere lei la responsabile dell'incidente, e di volere che qualcuno (o meglio, qualcun altro) paghi per quello che è successo.

In parallelo seguiamo anche il percorso della madre (J. Smith-Cameron), divorziata, attrice teatrale, di cui si innamora un buon uomo (Jean Reno) che dolcemente, con gran pazienza, le fa una tranquilla corte. Mal gliene incorrerà, al poveretto, che la madre è fatta della stessa pasta della figlia, solo più trattenuta, causa dell'età, che smussa le asperità maggiori, immagino.

Il resto del tempo è assorbito dai passatempi di Lisa, che vediamo litigare a scuola con chi non la pensa come lei, maltrattare i suoi coetanei, stabilire una relazione con il suo insegnante di matematica (Matt Damon), rifiutare la corte di un ragazzino normale, e farsi sverginare da un mezzo tossico mezzo scemo, per poi far sesso una volta anche col prof (giustamente terrorizzato dalla sciocchezza in cui è stato trascinato).

Il film finisce con la riconciliazione tra madre e figlia.

Ma che senso ha tutta questa vicenda? Forse che Lisa è il prodotto del suo ambiente? OK, ma non c'è un'aperta condanna del suo comportamento infantile. Gli sconfitti del film sono i personaggi che cercano di mantenere la calma (il fidanzato della madre, il detective che segue il caso, lo stesso autista, che pure non è certo un santo), sembra invece che per vincere si debba essere arroganti e sfacciati.

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