Volevo vedere I sogni segreti di Walter Mitty, diretto e interpretato da Ben Stiller, ma il proiezionista deve aver sbagliato pellicola. La confusione, se questo è il caso, potrebbe essere stata causata dal fatto che in lingua originale il titolo non è cambiato. Avessero mantenuto il titolo italiano per il remake, ci si sarebbe pure potuti confondere con Sogni mostruosamente proibiti, con Paolo Villaggio nel ruolo di protagonista.
Non è molto importante chi sia il regista (Norman Z. McLeod) o chi siano gli sceneggiatori che hanno preso un racconto di James Thurber e lo hanno martellato a lungo per adattarlo ai talenti del protagonista, Danny Kaye, quanto il produttore, Samuel Goldwyn, che è stato, nel bene e nel male, il vero responsabile di questo film.
Tra gli interpreti secondari spicca Boris Karloff, in un ruolo piccolo che pare sia stato sacrificato anche in fase di montaggio per tenere il minutaggio sotto le due ore (lo spettatore attento noterà incongruità in altre parti, dovute probabilmente ad altri tagli draconiani). In quel periodo Karloff faceva cose come Dick Tracy meets Gruesome, in cui lui era Gruesome (in italiano, qualcosa come Raccapricciante - un po' come il protagonista di Cattivissimo me, che si chiama Grue) e dunque non credo abbia fatto particolarmente caso a questi dettagli.
Walter Mitty (Kaye) è un dipendente di una casa editrice pulp (vedasi Pulp fiction per dettagli) di New York. Fa ogni giorno il pendolare dal suo paesino nel New Jersey, dove è vessato dalla terribile madre, a Manhattan, dove è vessato dal terribile capo. Un po' come il suo omologo in Quando la moglie è in vacanza, anche lui trova rifugio in fantasticherie che lo consolano dalla triste realtà. La madre è così tremenda che gli ha pure imposto la fidanzata (Ann Rutherford), una odiosetta, anch'ella succube della propria madre. Il capo, invece, si limita a maltrattarlo e a soffiargli le idee.
A sconvolgere la routine ci pensa una bella straniera (Virginia Mayo) che lo trascina in un inghippo alla Notorious (uscito un anno prima), Intrigo internazionale, e un po' a tutto quel genere di storie che piacevano molto ad Alfred Hitchcock. Non è difficile immaginare come andrà a finire.
Il ritmo della narrazione è spezzato di continuo sia dai sogni ad occhi aperti di Walter, che vengono dilatati esageratamente per dar modo a Kaye, che proveniva dall'avanspettacolo, di fare sfoggio delle sue capacità (qui ricorda a tratti Charlie Chaplin, che viene anche citato esplicitamente, e il nostro Totò), sia da siparietti comici che però non centrano sempre il bersaglio.
Le numerose le attrici di bella presenza ma dalla scarsa o nulla possibilità di emetter parola rimarcano la impostazione da vaudeville della produzione, che però deve fare i conti con il codice Hays che ai tempi regolamentava il cinema americano. Ne conseguono abiti succinti ma non troppo, e niente situazioni che possano essere considerate sconvenienti. Anche il finale paga pegno e il protagonista, pur ribellandosi alla sua precedente situazione, finirà per rimanerne comunque impastoiato.
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