Parenti serpenti

Trattasi di film natalizio anomalo, un po' come Babbo Bastardo di Zwigoff. Questa è però una storia corale, e il vetriolo che Mario Monicelli usa con abbondanza nel narrarla è tale da far sembrare anche il film Zwigoff sdolcinato. Qui, infatti, non si salva nessuno, e di lieto nel finale c'è davvero poco.

La storia è di un autore esterno alla cerchia solita di Monicelli, Carmine Amoroso. Questa è la sua prima sceneggiatura che viene trasformata in film, nel 2006 scriverà e dirigerà Cover boy, dramma che mescola tematiche relative all'omosessualità, immigrazione, precarietà del lavoro, ottenendo un risultato apprezzato a livello di critica ma che ha ottenuto pochi spazi distributivi. Qui, invece, gli interventi sulla sceneggiatura di Suso Cecchi D'Amico, Piero De Bernardi e dello stesso Mario Monicelli bilanciano bene gli aspetti più drammatici alla commedia, lasciando allo spettatore la scelta di come leggere la storia. Da notare anche come Monicelli riesca a dare abbastanza spazio a tutti senza sforare i tempi classici del cinema, così che, sia pure con pochi minuti a disposizione, ogni personaggio ha la sua caratterizzazione adeguata. Peccato solo per gli scarsi soldi a disposizione della produzione, qualche milioncino in più avrebbe permesso di rifinire meglio il prodotto, che dà invece l'impressione di essere un po' tirato via.

Si narra di una famiglia originaria dell'Abruzzo. I quattro figli tornano dagli anziani genitori per le feste di fine anno, compiendo tutta la serie di rituali connessi col periodo. L'annuncio della madre che i due intendono trasferirsi da uno dei loro figli, scatena la lotta fratricida che esplicita tutta la serie di tensioni che lo spettatore più attento ha già percepito nella prima parte.

Al centro della famiglia c'è Trieste (Pia Velsi), dispotica e ben poco simpatetica, la vediamo subito comandare a bacchetta il marito. Questi (Paolo Panelli, ultimo suo film per il grande schermo) è un carabiniere in congedo, succube della moglie, sta scivolando in una gentile demenza senile. Probabilmente ha usato la scusa del suo lavoro per star più possibile lontano da casa, lasciando i figli senza un riferimento che bilanciasse quello materno.

Lina (Marina Confalone, recentemente in Amiche da morire) è perennemente sull'orlo di una crisi di nervi, tormentata da malanni di evidente origine psicosomatica, è la figlia che è rimasta più vicina a casa, non solo geograficamente vien da pensare in quanto duplica il comportamento materno nella sua famiglia. Ha sposato Michele (Tommaso Bianco), succube di sua moglie quanto il suocero di sua suocera, la sua valvola di sfogo sono evidentemente le donne. Direi che la moglie sa, ma non ci dà nemmeno peso. Hanno un figlio, Mauro, povera anima, che viene scelta da Monicelli come voce narrante, credo con lo scopo di prendere contemporaneamente un elemento interno alla storia ma che sia anche completamente estraneo alle meccaniche distruttive che seguiamo.

Milena (Monica Scattini) è la figlia bella. Evidente sin da subito la competizione con Lina, smussata dal suo gran dolore per non essere riuscita ad avere figli. Ha sposato Filippo (Renato Cecchetto) di cui non sembra essere molto innamorata, anche perché lui non è che sembri molto sveglio. Però gli ha dato una certa agiatezza, e la possibilità di allontanarsi dalla famiglia.

Alessandro (Eugenio Masciari) ha scelto di seguire il percorso paterno. Non che abbia firmato per la Benemerita, ma ha deciso di chiudersi in un mondo tutto suo, rinunciando alla realtà. Direi che si è sposato solo perché "si fa così" ma non mi sorprenderebbe scoprire che nemmeno la figlia, per la quale del resto non sembra mostrare un gran interesse, non sia sua. Ha sposato Gina (Cinzia Leone) che, al contrario, è un vulcano di sensualità che evidentemente sfoga altrove.

Alfredo (Alessandro Haber) non ha rinunciato al sesso come il fratello, ma l'invadenza materna e l'assenza paterna lo hanno confuso, e ha finito per scegliere l'omosessualità. Peccato ovviamente inconfessabile alla famiglia, per cui se ne è allontanato e finisce per dichiararsi solo per evitare che i fratelli usino il suo non essere sposato per rifilargli i genitori.

Sullo sfondo, l'asfissiante vacuezza della provincia italiana, dominata dalla ripetizione di modelli antiquati nei quali non sembra che ormai nessuno più si riconosca, ma dai quali non ci si può distanziare per paura del giudizio degli altri.

Sui titoli di coda Vivere di Bixio, nella bella versione di Enzo Jannacci che la stravolge (e gioiosamente massacra).

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