Alex Cross - La memoria del killer

Deve essere uno di quei film nati in uno studio di produzione, con un tale che dice ad un collega che sta leggendo il nuovo libro della serie di Alex Cross (scritto da James Patterson) e gli chiede come mai nessuno ne ha fatto un franchise per il cinema. L'altro gli avrà ricordato che ci hanno provato, nel 2001, con Morgan Freeman nella parte del poliziotto-psicologo (Nella morsa del ragno), ma il risultato al botteghino ha raffreddato gli entusiasmi.

La carenza di idee alternative deve aver comunque fatto sì che la lezione di un decennio fa sia stata accantonata, e si sia deciso per un reboot della serie. Anche se suona strano fare il reboot di una serie che è consistita in un solo capitolo. In ogni caso, si è preso il dodicesimo capitolo della saga, e lo si è massacrato senza pietà per rifondare la storia di Cross. Il risultato è così deplorevole, sia artisticamente che commercialmente, che non credo vedremo mai un seguito.

Il titolo italiano ha lo scopo di richiamare il titolo del romanzo da cui è tratta la sceneggiatura. Oltre ad essere fatica sprecata, data la rivoluzione nella trama operata dai perfidi sceneggiatori, risulta essere una fonte di perplessità per lo spettatore, visto che del killer (Matthew Fox) non sappiamo praticamente nulla, nemmeno il nome. Al punto che viene identificato con il soprannome, Picasso, che gli viene affibbiato da Alex Cross (Tyler Perry), che nel film è un profiler della polizia di Detroit che gli sta alle calcagna, per la mania di lasciare disegni al carboncino che a volte sono in stile cubista.

La sceneggiatura è così pasticciata che per qualche tempo ho pensato avesse una impostazione cripto-gay e la regia (Rob Cohen) non fosse riuscita a renderne la sottigliezza, ma con il passare del tempo ho finito col propendere per pensare che quegli sciagurati credessero di fare un film molto macho (dopotutto il regista è quello di Fast and Furious e xXx) e la inesplicitata gayezza sia un risultato indesiderato causato dalla incapacità del team creativo.

In questa versione, Cross è una specie di Sherlock Holmes dalle prodigiose capacità deduttive che è sulle tracce di un killer psicopatico che sembra avercela a morte (è proprio il caso di dirlo) con una azienda capitanata da europei (tratteggiati come infidi) che vogliono investire pesantemente su Detroit. A capo c'è un francese (il povero Jean Reno costretto ad un ennesimo sconsolante ruolo) che, pur sembrando essere il bersaglio numero uno del killer, non sembra né particolarmente preoccupato né interessato a collaborare col poliziotto. C'è evidentemente del marcio in Danimarca, ma il buon Cross non doveva essere al suo meglio in quei giorni, e ci metterà parecchio per capire come stanno davvero le cose.

Alcuni minuti dell'indagine non sono neanche male, ma una sceneggiatura inqualificabile, e una regia che troppo spesso delega alla instabilità della camera a mano la responsabilità di dirci che c'è tensione e confusione in azione, finiscono per ammazzare anche la storia.

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