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Non è un semplice adattamento russo di La parola ai giurati. Vero è che ci ritroviamo tutto quanto c'era nell'originale, però Nikita Mikhalkov ci ha anche messo dentro dell'altro, con l'effetto collaterale di far raggiungere alla pellicola una durata superiore alle due ore e mezza. Curiosamente, e qui si vede la maestria del regista, l'ora in più non appesantisce l'azione, al contrario, la alleggerisce, alternando le scene in cui la giuria discute il destino dell'imputato a quelle in cui vediamo l'infanzia dello stesso.

Se nell'originale l'imputato era un italo-americano, e come tale si beccava la sua bella serie di pregiudizi, qui il ragazzetto è un ceceno che, per complicare le cose, è stato adottato da un militare russo ora in pensione. L'accusa rimane quella di parricidio, la differenza sembra essere che le testimonianze non sono semplicemente guidate dall'assunto che l'imputato sia colpevole a prescindere, ma dalla paura di una misteriosa organizzazione che avrebbe un interesse nella vicenda.

La parte di Henry Fonda è qui sostenuta da Sergei Makovetsky, mentre il suo antagonista, che per Lumet era Lee J.Cobb, è qui Sergey Garmash. Un colpo di scena nel finale viene riservato per il presidente della giuria, interpretato dallo stesso Mikhalkov. Bravissimi comunque tutti e dodici i giurati, che danno vita alla complicata discussione sul destino dell'imputato.

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