I miserabili

Credo che la storia la sappiano anche i sassi. Anche chi non abbia mai letto l'originale Victor Hugo (Les misérables) avrà visto una delle innumerevoli riduzioni televisive o cinematografiche.

Questa versione dura un paio d'ore, e ci si può ben immaginare di come lo sceneggiatore (Rafael Yglesias) si sia dovuto lambiccare per semplificare la magmatica vicenda senza correre il rischio di renderla incomprensibile. Al contrario di quanto spesso accade (vedasi il Dune di David Lynch, ad esempio), il risultato mi pare accettabile, anche se lo si è ottenuto a patto di stravolgere alcuni fatti e focalizzarsi sul contrasto tra i due protagonisti.

Abbiamo dunque un ex-galeotto, Jean Valjean (Liam Neeson), che viene redento dall'incontro con un vescovo caritatevole (Peter Vaughan, di cui non c'è purtroppo tempo per narrare l'interessante storia). Costui incontrerà una ragazza-madre, Fantine (Uma Thurman), ormai ridotta agli ultimi, in quanto costretta dalla sua condizione a una vita di stenti e a prostituirsi. Platonicamente innamoratosene, non potrà far molto più che assisterla nei suoi ultimi giorni e prometterle di badare alla di lei figlioletta Cosette. Anni dopo Cosette è grandicella (Claire Danes) e si piglia una cotta ricambiata per Marius, un ragazzotto (Hans Matheson) di simpatie repubblicane (siamo nel periodo della restaurazione). Cosette si trova a decidere tra lui e il padre adottivo, che a sua volta deve trovare la forza per lasciare che la piccola lasci il nido.

Tutto questo sarebbe già tanto, ma il vero rapporto conflittuale del film è tra Valjean e Javert (Geoffrey Rush). I due si conoscono il galera, quando il primo è ai lavori forzati e l'altro è un secondino. Poi Javert viene nominato ispettore proprio nel paese dove Valjean s'è rifatto una vita, crede di riconoscerlo e cerca di smascherarlo. Valjean fugge a Parigi, ma Javert lo segue, trasferito nella capitale per i suoi meriti, e continua ad essere ossessionato dal galeotto, fino alla risoluzione della loro partita nel finale.

Il motivo di tanto accanimento è che il povero Javert ha avuto padre e madre miserabili, che lo devono aver trattato molto male, e dunque pensa che sia suo dovere punire rigorosamente tutti i miserabili che incontra. Valjean ha anch'egli avuto un passato tremendo, ma ha avuto la forza di cambiare. Da un lato Jarvet deve trovarlo insopportabile perché gli rovina il suo bello schema (non c'è cambiamento, ognuno è legato al proprio ruolo) e perché gli mostra, con l'esempio, una via alternativa che lui non ha saputo percorrere.

La regia di Bille August non mi è parsa adeguata. Bello l'attacco iniziale, ma poi m'è sembrata più che altro rassegnata a seguire lo svolgimento, senza metterci molto di suo. La parte finale, con le barricate parigine, mi pare abbia un aria di ricostruzione in studio che la rende poco coinvolgente.

Non male il cast (anche se l'edizione televisiva del 2000, con Gérard Depardieu, John Malkovich e altri promette sfracelli), in particolare Valjean-Neeson. Javert-Rush avrebbe forse avuto bisogno di maggior spazio, per chiarirne la psicologia. Credibile Fantine-Thurman, peccato per la figlia Cosette-Danes che sembra una adolescente contemporanea (e capricciosa) e spasimante Marius-Matheson poco incisivo. Particina minuscola ma ben caratterizzata (è l'usciere del tribunale) per Toby Jones.

2 commenti:

  1. Anche la recente versione musical de "I miserabili" non è stata convincente (almeno per me), sarà proprio un problema di incompatibilità tra l'immensa trama del libro e relative sottotrame con la realizzazione cinematografica.

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    1. Non posso fare paragoni, ma l'operazione di snellimento della trama operata qui mi pare che abbia portato ad un risultato accettabile. Il punto debole lo identificherei in un regia poco ispirata e alcuni interpreti, la Danes in particolare, fuori parte.

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