Il sottotitolo italiano è posticcio ma interessante, perché va nella direzione diametralmente opposta da quella indicata dai fratelli Ethan e Joel Coen (loro la sceneggiatura, regia, co-produzione, e montaggio). Non solo la storia narrata non è successa nella realtà (ogni riferimento bla bla bla ...) ma anche quello che succede nel film, almeno da un certo punto in poi, non si capisce quanto avvenga realmente o quanto sia immaginato dal protagonista.
Risultato piuttosto catastrofico al botteghino, ma successo di critica, tre nomination agli Oscar (roba piccola, in realtà) e soprattutto sfracelli a Cannes, dove è stato premiato John Turturro come miglior attore, Joel Coen come miglior regista, e il film con la Palma d'Oro. Nel nostro piccolo, abbiamo assegnato a Turturro il David come miglior attore straniero.
Fine anni trenta. Barton Fink (Turturro) è un autore teatrale newyorkese. Impegnato, pensa che il teatro si debba occupare della gente comune, non di principi o nobildonne. Il suo primo lavoro ha un buon successo, e il suo agente gli trova un succulento contratto a Hollywood, dove come primo lavoro gli chiedono di scrivere la sceneggiatura di un film su lottatori. Indicazione della produzione: il nome del protagonista.
Alloggiato in un albergo che fa venire i brividi, Fink riesce a scrivere il primo paragrafo, e niente più. La situazione ricorda molto The shining di Stanley Kubrick. Blocco dello scrittore, inquietante albergo vuoto. O meglio, in realtà sappiamo che l'albergo è popolato (vediamo le scarpe fuori dalle porte, sentiamo qualche rumore da altre stanze) ma oltre a Fink vediamo solo l'addetto alla reception (Steve Buscemi), quello all'ascensore, e un suo vicino (John Goodman).
Quello che succede poi è molto questionabile. A dar retta al punto di vista che ci viene narrato, quello di Fink, succede che il vicino non è il buon uomo che inizialmente sembrava, e lui viene trascinato in una specie di incubo. Alcuni indizi ci fanno pensare che non la conti proprio giusta.
Giusto per citare un particolare, Fink ad un certo punto riesce a superare il suo blocco, e scrive di getto un lungo papiro che, a suo dire, sarebbe la migliore cosa che ha mai scritto. In seguito sentiamo leggerne il finale, e scopriamo che è uguale, parola per parola, al suo pezzo teatrale che avevamo sentito recitare all'inizio del film.
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