La foresta dei sogni

Difficile che io mi veda un film senza sapere, almeno sommariamente, di che cosa si tratti. Questa volta ha fatto eccezione, non ne sapevo praticamente nulla, sono andato a vedere qualcosa solo dopo. E meno male, perché se avessi letto prima la gran massa di critiche negative, qualche dubbio sull'andare al cinema mi sarebbe venuto. Mi spiace un po' per tutti quelli coinvolti nel progetto (*) ma fino ad un certo punto capisco i numerosi detrattori di questo film. Solo parzialmente, però. Mi pare innegabile che la sceneggiatura (Chris Sparling) abbia debolezze strutturali (**) e che la regia, stilisticamente inappuntabile di Gus Van Sant, scivoli a volte sulla comicità involontaria (***). Però, ad esempio, scrivere su Wired che la visione sia sconsigliata a chi piaccia Van Sant o Matthew McConaughey mi pare davvero eccessivo.

Si narra di una coppia, i coniugi Brennan. I rapporti tra i due sono molto tesi, lui, Arthur (McConaughey) è un ricercatore scientifico che ha lasciato un lavoro ben retribuito per insegnare a quella che sembra essere una scuola superiore. Lei, Joan (Naomi Watts), ha un evidente problema di alcolismo e sembra sfruttare la testa fra le nuvole di lui come scusa per attaccarsi alla bottiglia.

Succede poi qualcosa di molto brutto, e scoprono che tutte quelle punzecchiature che si infliggevano a vicenda erano una nebbia dietro a cui si nascondeva il grande amore che ognuno dei due aveva per l'altro. Cercano di ricucire il loro rapporto ma, ohimé, il caso glielo impedisce.

C'è dunque una separazione, e noi seguiamo solo il percorso di Arthur, che decide di andare in Giappone, ad Aokigahara, una foresta ai piedi del monte Fuji meglio nota come Il mare di alberi (°) o anche come La foresta dei suicidi, in quanto è spesso scelta come destinazione finale da molti disperati. Capita però che un tale, Takumi Nakamura (Ken Watanabe), incroci il percorso di Arthur, e sia messo così male che il nostro decida di mettere da parte, almeno temporaneamente, il suo proposito per aiutarlo.

E qui le cose diventano più complicate, ed è forse meglio se io mi astenga da scrivere altro.

A mio gusto, avrei preferito se la piega spirituale seguita dalla sviluppo fosse stata perseguita con minor radicalità. Nel senso, avrei lasciato aperta una porta ad una spiegazione più triviale agli accadimenti, mentre qui alcuni elementi, in particolare quelli rivelati solo negli ultimi minuti, guidano necessariamente verso una interpretazione che, per un bieco razionalista come il sottoscritto, è duretta da digerire. Non ce ne sarebbe stato bisogno, non è poi così importante, secondo me, sapere cosa davvero sia accaduto ad Arthur nella foresta, l'importante è il cambiamento avvenuto in lui.

(*) Tra cui Pietro Scalia. Uno dei più bravi montatori al mondo, due premi Oscar, qui anche alla sua seconda esperienza come produttore.
(**) La iella dei due protagonisti ha del prodigioso, il punto del racconto avrebbe retto benissimo anche con solo la metà delle sciagure che si abbattono sulla coppia.
(***) Ci momenti in cui l'effetto comico è voluto, come il riferimento al National Geographic. Non penso però sia il caso dei mitologici gli occhiali di lui, che sembrano capaci di resistere a qualunque catastrofe.
(°) Da cui il titolo originale, The sea of trees. La versione italiana, come spesso accade, ha origine sconosciuta e sembra avere l'unico scopo di spoilerare impietosamente sulla vicenda. Il bello è che esiste una serie televisiva inglese, In the night garden..., che da noi è stata chiamata come questo film. Trattasi di programma per bimbi in età prescolare, progettato dallo stesso team creativo che ha prodotto i Teletubbies.

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