Il vampiro del Sussex

La sceneggiatura (Jeremy Paul) è stata scritta in fretta e furia, allo scopo di adattare l'omonimo racconto (*) di Conan Doyle alle impreviste esigenze del momento. Che poi sarebbero quelle di produrre un episodio doppio, cento minuti invece dei soliti cinquanta, senza però sovraccaricare di lavoro Jeremy Brett, la cui salute era, ohimè, declinante. Considerando la base di partenza e le circostanze, il risultato non è poi terribile.

Pur mantenendo gran parte degli elementi originali, la scelta è stata quella di aggiungere un personaggio, John Stockton (Roy Marsden) che rende la struttura più complessa e ambigua. Lasciando allo spettatore la possibilità di accettare la soluzione razionale di Sherlock Holmes (Brett, ovviamente), o propendere per una via sovrannaturale.

In questa versione, Holmes e il dottor Watson (Edward Hardwicke) vengono chiamati nel Sussex dal locale curato che è preoccupato da una serie di accadimenti che la popolazione locale imputa allo Stockton, che si pensa essere un vampiro, in seguito ad una leggenda del posto che ha tracce in una tragedia di un secolo prima.

Holmes interviene più con l'idea di evitare un linciaggio che per esplorare un caso di vampirismo. Però scopre che lo Stockton ci marcia sulla credulità popolare, per fini suoi. Al punto che Holmes alla fine si convince che sia effettivamente una specie di vampiro, anche se in un senso ben diverso da quello che vuole la tradizione.

(*) L'avventura del vampiro del Sussex, inclusa ne Il taccuino di Sherlock Holmes. Un caso piuttosto semplice e per nulla paranormale.

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