Kreuzweg - Le stazioni della fede

Questo dei Brüggemann (*) sembra uno di quei film che si va a cercare gli spettatori a piccoli numeri. Dieci qua, una mezza dozzina là. Ogni tanto capita nel pubblico qualche sbadato, che non si è accorto che non era stato chiamato alla visione. E ci resta molto male.

Da un lato la distribuzione italiana ha aiutato la tendenza all'autolimitazione del pubblico con uscite centellinate e mantenendo il titolo originale tedesco, accompagnato da un sottotitolo sibillino. Ma chissà, se avessero avuto il coraggio di tradurlo, se questo avrebbe avuto un impatto positivo o negativo sul numero di biglietti staccati.

Lo stile è di una totale asciuttezza, la storia è divisa in quattordici capitoli, quanti sono le tappe della Via Crucis, e seguono pochi giorni nella vita di Maria (Lea van Acken), una quattordicenne, attorno al momento della sua cresima. Ogni capitolo si svolge sotto l'occhio vitreo della macchina da presa, immobile, che lascia che l'azione si svolga senza che, almeno apparentemente, ne prenda parte, in un unico ininterrotto piano sequenza. A me ha fatto pensare a Michael Haneke, vedasi Amour, Niente da nascondere, o un po' tutta la sua filmografia. L'impressione che abbiamo è di avere a che fare con un quasi documentario, che vediamo i fatti come davvero sono andati e non come ce li sta proponendo il regista. Il che può risultare di una certa pesantezza per lo spettatore abituato ai montaggi sempre più frenetici del cinema ad alto budget, ma che permette, a chi abbia pazienza, una maggiore partecipazione alla vicenda.

Solo due quadri fanno eccezione, quello centrale, la cresima, in cui la camera compie tre o quattro movimenti, e quello finale in cui la tensione si spezza e la macchina da presa ci riporta quella che deve essere il respiro di sollievo di Maria, finalmente libera.

(*) Fratello e sorella. Lei, Anna, si è occupata della scrittura, lui, Dietrich, ha firmato anche la regia.
(**) Nato anche lui a Monaco di Baviera, come i Brüggemann, ma una trentina di anni prima.

2 commenti:

  1. Lo trovai un po' confuso, un po' pretenzioso, alla fine rimane poco.
    Non ho capito il discorso sul titolo, chi pensi che sarebbe stato incoraggiato/scoraggiato dal titolo in italiano?

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    1. Come da primo paragrafo. Evidentemente fai parte di chi lo ha visto per errore. Niente di male, eh. Semplicemente non è il tuo film. Io l'ho trovato molto focalizzato, senza nessuna pretenziosità, anzi di una asciuttezza estrema, e mi ha lasciato molto su cui ragionare. Però gli spettatori adatti temo che vadano cercati col lanternino.
      Il titolo. Presentarlo in originale con sottotitolo italiano vuol dire allo spettatore casuale "stai alla larga, questo è un film da cineforum, di quelli con dibattito alla fine". In particolare se non in inglese. Traducendolo letteralmente, Via Crucis, avrebbe forse creato un mezzo caso, attraendo/respingendo chi cercava un film su cui battagliare per questioni di fede. I distributori si saranno chiesti se avevano voglia di tutto quel clamore, e avranno forse preferito più di quiete e meno biglietti staccati.

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