Il caso Spotlight

Fresco di nomina all'Oscar come miglior film e per la migliore sceneggiatura originale, e mia seconda visione a breve distanza dalla prima. Sapendo già tutto quello che sarebbe successo, ho potuto godermi con calma i particolari, quale la piacevole colonna sonora originale firmata da Howard Shore.

Bravo Tom McCarthy ad orchestrare la sua stessa sceneggiatura (*) di una notevole complessità per il gran numero di personaggi coinvolti e per i temi trattati. Bravi un po' tutti gli attori, dove nessuno in particolare spicca ma ognuno dà il suo contributo alla riuscita dell'insieme.

Se è vero che al centro del racconto c'è la scoperta di come la pedofilia non fosse un accidente ma un problema strutturale del clero cattolico, ed è probabilmente questo che fa più colpo sullo spettatore, credo che le tesi principali siano che l'omogeneità culturale sia più un rischio che un vantaggio e che il giornalismo investigativo continui ad essere importante anche ai nostri giorni.

Si sottolinea infatti che Spotlight, il team del Boston Globe che si occupa di stanare le notizie più complicate che necessitano approfondimenti, avrebbe mancato la notizia non per mancanza di buona volontà, ma per incapacità di vedere il problema. 'Robby' Robinson (Michael Keaton), a capo del gruppetto, scopre con sua stessa sorpresa di non aver voluto dare peso agli indizi che pure aveva sotto il naso. Se non fosse stato per il nuovo direttore (Liev Schreiber) che, in quanto completamente estraneo alla città e al cattolicesimo, aveva modo di vedere quel che capitava da una visuale altra, l'attrazione di Mike (Mark Ruffalo) per questo caso probabilmente non sarebbe bastata per impegnarci sopra abbastanza tempo. E se non fosse stato per un avvocato di origine armena (Stanley Tucci) che aveva annusato un'aria di connivenza troppo soffocante per essere tollerata, difficilmente si sarebbero riusciti a raccogliere indizi sufficienti.

(*) Scritta a quattro mani con Josh Singer.

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