Il braccio violento della legge

Primo grande successo di William Friedkin, che continua con alti e bassi la sua attività fino al recente Killer Joe, è anche il suo primo approccio al genere che in Italia chiameremmo poliziottesco. Prima si era dedicato prevalentemente a commedie, spesso venate da sfumature satiriche, come il simpatico Quella notte inventarono lo spogliarello, dove una amish si trova improbabilmente a diventare una acclamata stripper newyorkese.

Qui cambia completamente registro, siamo sul quasi-documentaristico, sottolineato dall'uso frequente della macchina da presa a mano, al servizio di una vicenda che è centrata su un poliziotto dell'antidroga newyorkese (Gene Hackman), dal comportamento a dir poco questionabile. A fargli da spalla ci sono niente meno che Roy Scheider, compagno di avventure, e Fernando Rey, la mente della "French connection" del titolo originale.

I due comprimari, nonostante la presenza scenica, sono costretti in un ruolo di puro supporto, Scheider caratterizza il poliziotto "buono" che si fida quasi ciecamente del compagno, pur cercando di contenere il suo strabordante carattere; Rey è l'ingegnoso "cattivo", confusamente straniero (sarebbe francese, ma quando parla inglese lo fa con uno smaccato accento spagnolo, come è lecito aspettarsi), che organizza un piano (che a ben vedere è pieno di falle) per portare alla mafia italo-americana un carico di eroina, e averne in cambio un bel gruzzoletto.

Hackman, in teoria, dovrebbe essere il personaggio di cui lo spettatore dovrebbe prendere le parti. Il problema è che mescola tratti relativamente positivi ad altri decisamente spiacevoli. È rissoso, irascibile (non per niente soprannominato Popeye), parte come un segugio alla ricerca del traffico solo per cercare di raddrizzare una carriera traballante (si accenna a tragici errori precedenti), maltratta sospetti e informatori e, a ben vedere, anche comuni cittadini che si trovano casualmente a passargli davanti. E, infine, pur avendo tra le mani un caso importante, finirà per fare un pasticcio.

Punto chiave del film, che lo rende memorabile, è l'inseguimento di Popeye di un presunto pericolosissimo killer francese (che si rivela essere un incapace male organizzato) che ha appena tentato di ucciderlo. Il killer dirotta un treno della metropolita, Popeye requisisce l'auto di un povero disgraziato (la ridurrà ad un rottame) e gli corre dietro - o meglio, sotto, visto che è una di quelle linee che corrono sopra la strada.

Sembra quasi che la regia segua il carattere del protagonista, sviluppando l'azione includendo episodi evidentemente insensati, come quando vanno in un bar, per contattare un informatore. Tutti gli avventori (di colore) sembrano essere spacciatori, con le tasche piene di varie droghe. Nella vita reale è semplicemente assurdo, cosa fanno, se la scambiano tra di loro? Sembra dunque più una proiezione della fantasia bacata di Popeye, che vede in ogni "nigger" un delinquente. Ma del resto non ce l'ha solo con loro. Italiani, ebrei, francesi, sono tutti pericolosi. Gli altri, al massimo, se ne devono stare fuori dai piedi per lasciargli fare il suo lavoro.

C'è anche una scena di sesso, anche questa completamente assurda. Popeye ha passato una notte ad ubriacarsi, si risveglia al mattino sul bancone del bar. Guida in una qualche maniera fino a tornare a casa, quando vede una bella figliola in bicicletta. Taglio, e si riprende che il collega lo cerca a casa, e lo trova (in un caos primigenio) in compagnia della suddetta. Come diavolo ha fatto non dico a portarsela a casa, ma anche solo a dirle le sue intenzioni, date le sue condizioni fisiche e mentali resta un mistero senza soluzione.

Ma tutta la storia è piena di fatti insensati, alternati a lunghe sequenze in cui non succede nulla (appostamenti, pedinamenti che non portano a nulla). Eppure questo marasma ha un suo strano fascino, sia perché è denso di episodi che poi abbiamo visto e rivisto in numerosi film di genere, sia grazie alla regia che riesce a tenere insieme i vari elementi portandoci, in un modo o nell'altro, al finale.

4 commenti:

  1. Non sono riuscito a trovare tanto buonsenso, non-sense, o senso alla mia sorpresa, l'ultima volta che l'ho visto; sarà stato il periodo magro, ma a me ha entusiasmato.

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    1. E' bello guardare i film anche così, senza stare tanto a razionalizzare, ma lasciandosi guidare dalle emozioni.

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    2. Direi pure che è stato un banco di prova per tanta buona roba venuta in seguito. E' poi nata così la coppia sbirro buono e cattivo?

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    3. Non credo che la storia fosse particolarmente inventiva, ma sarebbe interessante approfondire. E, hai ragione, guardandolo oggi mi sono venuti in mente una marea di polizieschi successivi, film e telefilm (Starsky & Hutch). Direi proprio che la genialità di Friedkin è stata quella di creare un modello per il genere.

      A proposito, Il cattivo tenente di Ferrara adesso mi sembra un remake dove viene messo a nudo (in ogni senso) il personaggio principale, ribaltandone l'aura positiva e sottolineandone le negatività, ma salvandolo nel finale. Proprio il contrario dell'originale, a ben vedere.

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