The fighter

Credo che la mancanza di una coesione interna nella storia narrata sia figlia di una lunga e complicata storia produttiva. La prima certezza è stata che Mark Wahlberg avrebbe interpretato il ruolo principale, quello di Micky Ward, di cui è amico. Tutto attorno è ruotata una serie di sceneggiatori, attori, registi, fino ad arrivare alla configurazione finale.

In particolare, Darren Aronofsky, che comunque ha mantenuto un ruolo produttivo, è stato l'ultimo candidato a dirigere questo film, prima di lasciarlo per The wrestler, un soggetto piuttosto simile, ma in mano ad una produzione più agile, che ha permesso ad Aronofsky di interagire più liberamente di quanto gli sarebbe stato qui possibile nella storia. E, almeno a mio gusto, il risultato ha giustificato la sua scelta. Si è finito con chiamare David O. Russell, che veniva da un lungo periodo di inattività, e non mi sembra fosse ancora in piena forma. In particolare, il rimescolamento tra un registro semi-documentaristico e uno più farsesco che viene utilizzato in un paio di occasioni mi è parso poco riuscito.

Si narra quindi di Micky Ward (Wahlberg), pugile del New England, seguendolo da un periodo particolarmente nero nella sua carriera fino alla conquista di un titolo della sua categoria. Numerose le libertà che vengono prese dagli scenggiatori, un po' per enfatizzare la fase luminosa, esagerando il buio iniziale, un po', temo, per semplice sciatteria.

Forse si voleva sostenere l'idea che la famiglia, per quanto disfunzionale, è il porto sicuro a cui l'individuo deve far riferimento se vuole ottenere il successo. Se questo è il caso, il risultato non è dei migliori, anche a causa di come è stata scritta la parte di Micky. Abbiamo infatti che Micky è costretto ai lati dell'azione da uno strabordante fratellastro, Dicky Eklund (un eccellente Christian Bale), da sette sorelle che non brillano per acume e sono limitate al ruolo di coro, e dalla terribile madre di tutti e nove, Alice (Melissa Leo). Micky troverà supporto in una esuberante barista, Charlene (Amy Adams), che cercherà di spiegargli come sarebbe opportuno per lui crescere e cercarsi di svincolarsi da quella compagnia di matti ma, non si capisce bene come, anche Charlene verrà attirata nel gorgo fatale. E tutti quanti assieme vanno verso il lieto fine. Che potrebbe anche starci, se non fosse che Micky, pur diventando campione, pur venendogli riconosciuto il suo teorico ruolo centrale, resta desolatamente in ombra.

Molto più interessante Dicky, ex pugile che ha avuto un attimo di gloria prima di sprofondare nella dipendenza da crack. Vuole evidentemente bene al fratellino, e gli potrebbe dare molto, ma non riesce a svicolarsi dal modello materno, che contrappone il desiderio che i suoi rampolli abbiano successo alla necessità di mantenerli subordinati a lei. Circostanze esterne (a blessing in disguise, direbbero gli anglofoni), ovvero la galera, lo allontaneranno da un ambiente asfissiante, lo costringeranno a ripulirsi fisicamente, e lo spingeranno a risalire dal baratro in cui si era ficcato. Bale eccelle nell'interpretare il carattere e vale da solo la visione del film.

Ecco, se si fosse potuto focalizzare la sceneggiatura su Dicky, sarebbe potuto venir fuori un film di livello molto superiore.

Decisamente brutto e inutile il finale, con il combattimento di Micky per il titolo. Falsificato storicamente per simulare un repentino colpo di scena con Micky sul punto di perdere che riesce invece ad avere la meglio sull'avversario, sembra avere l'unico scopo di creare un "cattivo", nel personaggio dello sfidante, che viene inutilmente connotato come tronfio e antipatico.

4 commenti:

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    1. ... nonostante la faticaccia fatta da Christian Bale.

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  2. concordo
    il personaggio principale è Dicky (e infatti l'Oscar l'ha ben meritato Ch. Bale)
    il match finale poteva durare 20 minuti in meno; ma si sono ispirati allo stallonesco ROCKY

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    1. Penso che il problema sia proprio che volevano fare il film su Micky ma, con tutto rispetto per la persona, il personaggio non si riesce proprio a capire come possa stare al centro della sceneggiatura.

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